Tempo di lettura: 3 minutiEntrare nella mente e lavorare direttamente sui pensieri è un traguardo ancora lontano, ma non del tutto impossibile. A rende meno fantascientifico questo traguardo è la “connettomica”, scienza che studia la nuova anatomia delle connessioni cerebrali, che ha trovato grande spazio a Napoli nel corso del ciclo di incontri «Le nuove frontiere della ricerca scientifica», ideato e promosso dall’IRCCS SDN con la direzione scientifica dello scienziato Marco Salvatore.
La mappa dei pensieri
Arrivato da Londra, Marco Catani (docente di Neuroanatomia al King’s College London ha svelato le nuove possibilità legate a quella che molti chiamano la “mappa dei pensieri”. Dal punto di vista scientifico è lo studio delle connessioni celebrali, quindi delle modalità in base alle quali il cervello “produce” i pensieri, i ragionamenti, le sensazioni e le emozioni. Più specificamente la connettomica cerca di spiegare in che modo la diversa organizzazione e il diverso collegamento tra i neuroni del nostro cervello produce le nostre attività cerebrali e regola il comportamento umano.
Risonanza ad alto campo
A dare sostanza ad un discorso altrimenti del tutto empirico è la risonanza magnetica ad alto campo, uno strumento fondamentale per questa materia, perché consente lo studio delle connessioni cerebrali di ogni soggetto in tempo reale, in maniera totalmente non invasiva e senza alcuna somministrazione di mezzo di contrasto. Tutto questo, spiega il professor Catani «è possibile grazie alla trattografia che, mediante la risonanza magnetica, misura del fenomeno fisico della diffusione dell’acqua e consente di stimare i percorsi delle fibre assonali e, quindi, il grado di connettività tra differenti regioni cerebrali». Semplificando non poco, il professor Catani ha presentato in anteprima assoluta in Italia il primo atlante completo delle connessioni cerebrali umane che pubblicherà insieme all’ingegnere biomedico Flavio Dell’Acqua a fine anno.
Nuove frontiere
La risonanza magnetica ad alto campo si sta rivelando non solo una tecnica d’indagine capace di offrire un notevole dettaglio anatomico delle strutture cerebrali, ma soprattutto, proprio grazie alla connettomica, uno strumento fondamentale per studiare l’organizzazione cerebrale a livello individuale, in grado di fornire una caratterizzazione completa di uno stato patologico oncologico, neurologico o psichiatrico. All’SDN di Napoli già si studia la connettività cerebrale grazie alla presenza di due tomografi di risonanza magnetica ad alto campo (di cui uno integrato con la PET) e di un laboratorio interdisciplinare che comprende fisici, ingegneri, informatici, psicologi e radiologi. Tutti uniti nel cercare di sviluppare tecniche di acquisizione e di analisi dei dati con lo scopo di portare i risultati degli studi di connettomica dalla ricerca alla pratica clinica.
Imaging di una nevrosi
Uno degli aspetti più affascinanti è legato alla possibilità, come spiegano Marco Aiello e Carlo Cavaliere (rispettivamente fisico e neurologo), di avere importanti elementi di indagine clinica anche in assenza di palesi alterazioni strutturali. Si pensi alla possibilità di vedere nelle immagini condizioni quali la prosopagnosia (condizione in cui risulta alterata la percezione dei volti, in cui in soggetto può non riconoscere il volto di un suo familiare stretto) o un disturbo psichiatrico come l’ipocondria.E poi, nel caso di alterazioni strutturali del cervello, come nelle patologie neurodegenerative e oncologiche, è ancora più evidente il ruolo integrativo della connettomica. Ad esempio, nella pianificazione di un trattamento neurochirurgico, lo studio delle connessioni cerebrali coinvolte nell’area di intervento può influire positivamente sulle scelte del neurochirurgo. Facile comprendere a quali esplorazioni e quali traguardi possano arrivare da questa nuova esplorazione.
“Clicca il neo” l’App tutta italiana per battere il melanoma
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneBasta fare una foto alle macchie o alle lesioni a rischio, e inviare l’immagine all’esperto che, nel più breve tempo possibile, invierà la risposta. La salute è a portata di clic, insomma, grazie a “Clicca il Neo”, la app per identificare i nei sospetti (ad esempio un melanoma) direttamente dal proprio smartphone. La tecnologia ci dà grandi opportunità sul campo della prevenzione. Questa app è stata messa alla prova da uno studio sperimentale svolto nell’Ats Bergamo dal Centro Studi Gised e il livello di accuratezza tra chi ha usato la app e chi il monitoraggio tradizionale è risultato equivalente.
La ricerca sperimentale è stata svolta dal 10 ottobre 2016 al 3 febbraio scorso, in Ats Bergamo dal Centro Studi Gised e sostenuto da Lilt grazie a Fondazione Credito Bergamasco: 211 dipendenti di Ats Bergamo hanno usato “Clicca il Neo”, mentre 213 hanno fatto ricorso agli strumenti di monitoraggio tradizionale. “Il livello di accuratezza è risultato equivalente. Con un punto in più per la app: chi l’ha utilizzata, ha risparmiato tempo vitale e denaro”, riferisce una nota del Gruppo Studi Gised.
“Tra le malattie cutanee, il melanoma è una delle cause principali di mortalità – afferma Mara Azzi, Direttore Generale Ats Bergamo -, ma educazione e screening sono un mezzo importante di prevenzione e diagnosi precoce. Per questo credo molto in ‘Clicca il Neo’, che con la sperimentazione ha dimostrato come le nuove tecnologie permettanno una diagnosi precoce e una rapida valutazione da parte dello specialista, riducendo le liste d’attesa e indirizzando i pazienti più a rischio alla visita specialistica. “Clicca il Neo” è uno strumento che sfrutta le competenze specialistiche e sviluppa la consapevolezza, la responsabilizzazione verso la propria salute”.
Diabete, in Campania è allarme per l’assistenza
News PresaIl diabete è una delle malattie più diffuse del nostro secolo, “un’epidemia” legata in molti casi a stili di vita sbagliati. Uno dei problemi più gravi legati a questa malattia è nell’assistenza, spesso carente, che si trova sul territorio. Dalla Campania arrivano ad esempio dati poco incoraggiati. Stando ai dati emersi nel corso del workshop «Il paziente al centro – La gestione integrata della cronicità», organizzato con il contributo non condizionante di MSD nell’ambito del progetto “Insieme per il cuore”, per i circa 400mila diabetici campani il diritto alla salute è solo utopia.
Percorsi assistenziali
In regione infatti i pazienti non riescono a trovare un sostegno adeguato, come come sarebbe prescritto delle direttive della legge 9/2009 che disciplina i percorsi assistenziali. Sulla scorta del trend nazionale, in Campania solo 1 su 3 ha un adeguato controllo del diabete mentre gli altri vanno incontro alle complicanze della malattia: si stima che il 50% dei pazienti muoia a causa di malattie cardiovascolari, il 10-20% per insufficienza renale, mentre il 10% subisce un danno visivo. Tra le persone anziane con diabete di tipo 2 gli eventi cardiovascolari legati alle complicanze della malattia sono la principale causa di mortalità: il 70% dei decessi in questa fascia d’età è dovuto ad un evento cardiovascolare, in primis infarti e ictus. Altissimo l’impatto economico per il SSN, con costi complessivi, diretti e indiretti, stimati in 20,3 miliardi di euro l’anno.
Medicina generale
Sul diabete l’ulteriore beffa è che l’attuale gestione non valorizza il ruolo di riferimento del medico di medicina generale che, insieme al medico specialista, rappresenta il perno attorno al quale ruota una corretta gestione integrata del paziente e ne limita la libertà prescrittiva lasciando nel suo armamentario terapeutico, oltre alla classica metformina, le sole sulfoniluree che, secondo i dati della letteratura scientifica, aumentano il rischio cardiovascolare e la mortalità rispetto ai farmaci di più nuova generazione come per esempio i DPP-4 inibitori.
Violenze sui minori: i segnali dei bambini spiegati dai medici
Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, PsicologiaGli abusi e le violenze sui bambini lasciano segni indelebili. È importante saper leggere i segnali dei più piccoli per poter intervenire in loro aiuto. Tra i fattori chiave a cui guardare per individuare se un bimbo ha subito maltrattamenti o abusi, ci sono età e comportamento. L’età va sempre rapportata a ciò che è possibile osservare come segni sul corpo, un’ecchimosi in un bimbo che non cammina ha ad esempio un valore diverso rispetto a quella in un piccolo già autonomo. Il comportamento può dare, invece, indizi importanti. Ad esempio, in un bambino che ha già raggiunto una tappa evolutiva e poi in maniera rapida sembra come regredire o cambiare c’è qualcosa da approfondire. A spiegarlo è Stefania Losi, pediatra dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze. “I maltrattamenti e le violenze riguardano tutta l’età pediatrica, da 0 a 17 anni, l’età media rilevata è fra i 7 e gli 8 anni- spiega Losi – anche se, a volte, poi la questione emerge durante l’adolescenza, ma le origini sono legate a eventi del passato. “Al Meyer – evidenzia l’esperta- c’è un servizio apposito, chiamato GAIA (Gruppo Abusi Infanzia Adolescenza), di cui sono responsabile, nato nel 2005 e multispecialistico (ne fanno parte 12 professionisti, tra cui pediatri, psicologi, neuropsichiatri, esperti in ginecologia pediatrica, infermieri, assistenti sociali) che viene attivato dal Pronto Soccorso, dai reparti, dagli ambulatori quando un bimbo presenta delle problematiche e si hanno dei dubbi relativi alla ricostruzione di quanto gli e’ accaduto”. Uno dei cardini indicati però anche per prevenire questi episodi è la formazione, come ad esempio quella dei pediatri di base che come sottolinea Losi “può intercettare prima quel sommerso di trascuratezza, maltrattamento o abuso sessuale non evidente, reiterato nel tempo”. Come la formazione programmata col progetto sostenuto da Menarini, in collaborazione con Telefono Azzurro, Società Italiana di Pediatria (SIP), Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) e Associazione Ospedali Pediatrici Italiani (AOPI), per creare una rete nazionale antiabuso di 15.000 pediatri e medici di base, con un primo corso nei mesi scorsi a Firenze.
Screening, parte la campagna voluta da FAVO e Underforty
PrevenzioneA causa del disastro ambientale degli anni passati, la Campania è una regine nella quale si è registrato e si registra ancora oggi un’incidenza tumorale più alta che in altre regioni. Tra mito e realtà, la Terra dei Fuochi si lascia alle spalle un tributo molto alto. Per cercare di intercettare in maniera precoce alcuni tumori particolarmente insidiosi, parte a marzo una campagna di screening voluta dalla Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) e l’Associazione Underforty Women Breast Care Onlus.
I camper della salute
Si parte da Fuorigrotta con una squadra di medici che raggiungeranno i cittadini con i camper della salute. Poi gli screening proseguiranno nei Comuni tristemente noti per l’inquinamento ambientale e racchiusi in quella che è diventata per tutti la Terra dei Fuochi. Le visite saranno naturalmente gratuite, particolarmente utili per tutte le donne che voglio levarsi il pensiero.
Una diagnosi precoce
«Il tumore al seno – spiegano Sergio Canzanella (Segretario FAVO Regione Campania) e Massimiliano D’Aiuto (Direttore Scientifico dell’Underforty) – colpisce una donna su otto ed è la prima causa di mortalità per tumore nel sesso femminile, con un tasso di mortalità del 16% di tutti i decessi per causa oncologica. La terapia di queste neoplasie richiede la presa in carico da parte delle Breast Unit (Centri di senologia di alta specializzazione multidisciplinare e multiprofessionale), la ricerca ha fatto passi avanti, al punto che attraverso un prelievo di sangue è possibile attestare se una donna sia portatrice di un gene modificato che la candida ad avere più dell’85% di probabilità di sviluppare il tumore della mammella e dell’ovaio ereditario. Con i test genetici è possibile individuare la presenza di mutazioni a carico dei geni BRCA, consentendo di selezionare le pazienti ad alto rischio eredo-familiare da avviare a programmi mirati di screening con un’offerta diagnostica personalizzata. La Regione – concludono i due – ha scelto con questa iniziativa di ampliare ancor più il ventaglio degli screening sul territorio, una scelta lungimirante per la salute dei cittadini e per le casse del sistema sanitario».
Connettomica, ecco come la scienza indaga (e vede) il pensiero
Ricerca innovazioneEntrare nella mente e lavorare direttamente sui pensieri è un traguardo ancora lontano, ma non del tutto impossibile. A rende meno fantascientifico questo traguardo è la “connettomica”, scienza che studia la nuova anatomia delle connessioni cerebrali, che ha trovato grande spazio a Napoli nel corso del ciclo di incontri «Le nuove frontiere della ricerca scientifica», ideato e promosso dall’IRCCS SDN con la direzione scientifica dello scienziato Marco Salvatore.
La mappa dei pensieri
Arrivato da Londra, Marco Catani (docente di Neuroanatomia al King’s College London ha svelato le nuove possibilità legate a quella che molti chiamano la “mappa dei pensieri”. Dal punto di vista scientifico è lo studio delle connessioni celebrali, quindi delle modalità in base alle quali il cervello “produce” i pensieri, i ragionamenti, le sensazioni e le emozioni. Più specificamente la connettomica cerca di spiegare in che modo la diversa organizzazione e il diverso collegamento tra i neuroni del nostro cervello produce le nostre attività cerebrali e regola il comportamento umano.
Risonanza ad alto campo
A dare sostanza ad un discorso altrimenti del tutto empirico è la risonanza magnetica ad alto campo, uno strumento fondamentale per questa materia, perché consente lo studio delle connessioni cerebrali di ogni soggetto in tempo reale, in maniera totalmente non invasiva e senza alcuna somministrazione di mezzo di contrasto. Tutto questo, spiega il professor Catani «è possibile grazie alla trattografia che, mediante la risonanza magnetica, misura del fenomeno fisico della diffusione dell’acqua e consente di stimare i percorsi delle fibre assonali e, quindi, il grado di connettività tra differenti regioni cerebrali». Semplificando non poco, il professor Catani ha presentato in anteprima assoluta in Italia il primo atlante completo delle connessioni cerebrali umane che pubblicherà insieme all’ingegnere biomedico Flavio Dell’Acqua a fine anno.
Nuove frontiere
La risonanza magnetica ad alto campo si sta rivelando non solo una tecnica d’indagine capace di offrire un notevole dettaglio anatomico delle strutture cerebrali, ma soprattutto, proprio grazie alla connettomica, uno strumento fondamentale per studiare l’organizzazione cerebrale a livello individuale, in grado di fornire una caratterizzazione completa di uno stato patologico oncologico, neurologico o psichiatrico. All’SDN di Napoli già si studia la connettività cerebrale grazie alla presenza di due tomografi di risonanza magnetica ad alto campo (di cui uno integrato con la PET) e di un laboratorio interdisciplinare che comprende fisici, ingegneri, informatici, psicologi e radiologi. Tutti uniti nel cercare di sviluppare tecniche di acquisizione e di analisi dei dati con lo scopo di portare i risultati degli studi di connettomica dalla ricerca alla pratica clinica.
Imaging di una nevrosi
Uno degli aspetti più affascinanti è legato alla possibilità, come spiegano Marco Aiello e Carlo Cavaliere (rispettivamente fisico e neurologo), di avere importanti elementi di indagine clinica anche in assenza di palesi alterazioni strutturali. Si pensi alla possibilità di vedere nelle immagini condizioni quali la prosopagnosia (condizione in cui risulta alterata la percezione dei volti, in cui in soggetto può non riconoscere il volto di un suo familiare stretto) o un disturbo psichiatrico come l’ipocondria.E poi, nel caso di alterazioni strutturali del cervello, come nelle patologie neurodegenerative e oncologiche, è ancora più evidente il ruolo integrativo della connettomica. Ad esempio, nella pianificazione di un trattamento neurochirurgico, lo studio delle connessioni cerebrali coinvolte nell’area di intervento può influire positivamente sulle scelte del neurochirurgo. Facile comprendere a quali esplorazioni e quali traguardi possano arrivare da questa nuova esplorazione.
“Mariuoli della Sanità”, il videosocial per combattere la corruzione
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneEtica, trasparenza, merito. Sono queste le leve per prevenire e combattere la corruzione – soprattutto in sanità – dove in gioco c’è, oltre al bene pubblico, la vita stessa delle persone.
Esattamente 25 anni iniziava la stagione di Mani pulite con la scoperta, e non è un caso, di una mazzetta sanitaria pagata alla struttura sociosanitaria Pio Albergo Trivulzio di Milano.
Il videosocial preparato per l’occasione non è una commemorazione – perché si commemorano i defunti – e la corruzione è più che mai viva e attuale. Ma è l’occasione per analizzare come siano cambiati gli strumenti e le modalità del malaffare. Un tema che – come i grandi fenomeni del nostro tempo – non può essere affrontato all’interno del Paese ma deve trovare strategie e strumenti di prevenzione e di controllo comuni e il più possibile globali.
“Mariuoli della sanità, oggi come allora. – sottolinea Francesco Macchia, Presidente dell’Istituto per la promozione dell’etica in sanità, ISPE Sanità – Forse sono cambiati i metodi ma la corruzione è sempre lì. Lo dimostrano oggi i 50 rinvii a giudizio per appalti truccati a Modena, l’indagine della Guardia di Finanza all’ASL di Imperia per liste d’attesa parallele, l’inchiesta “Operazione Piramide” avviata presso l’Ospedale San Camillo – Forlanini di Roma, sempre per appalti truccati, solo per citare i casi più recenti”.
“Per questa ragione, come rappresentanti per l’Italia del network europeo contro le frodi e la corruzione in sanità (EHFCN.org) – prosegue Macchia – abbiamo organizzato per il 15 e 16 giugno a Roma un summit delle organizzazioni e delle istituzioni che in tutta Europa lottano contro il malaffare ai danni della salute dei cittadini. Presenteremo il nuovo Rapporto europeo sul fenomeno che, solo in Italia, sottrae alle cure dei cittadini circa 6 miliardi di euro ogni anno”.
“La strada della formazione etica applicata ai modelli organizzativi e affiancata da una puntuale e costante sensibilizzazione verso i cittadini – conclude il Presidente di ISPE Sanità – risulta ormai irrinunciabile per salvaguardare il patrimonio di civiltà che è il nostro Servizio Sanitario Nazionale; ed è una guerra che si può vincere solo se la si combatte a livello comunitario con un coinvolgimento consapevole dei professionisti e di tutti i cittadini”
Rassicurazione e comfort, gli aspetti positivi della telemedicina in oncologia
News Presa, Prevenzione, PsicologiaL’uso della telemedicina in oncologia può contribuire a rassicurare i pazienti e a rafforzare l’autonomia. Anna Cox, della University of Surrey di Guildford, autrice principale dello studio da cui emerge questa evidenza, ha spiegato “Offrire consulenze in remoto ai pazienti affetti da cancro è estremamente efficace dal punti di vista psicologico, perché consente una maggiore personalizzazione della terapia e non stravolge la quotidianità del paziente”. Inoltre”I pazienti dicono che la telemedicina fornisce loro una rete di sicurezza, perché si sentono seguiti dai medici e rassicurati dalla possibilità di avere accesso immediato a consigli dati da un professionista su qualsiasi problema relativo alla patologia”, ha aggiunto la ricercatrice.
Lo studio è stato pubblicato nel Journal of Medical Internet Research 2017 e diffuso da Reuter Health.
Il team di ricercatori ha condotto una revisione sistematica e una sintesi tematica di 22 studi qualitativi di adulti sopravvissuti a un cancro inseriti in un programma di telemedicina e hanno individuato tre aree tematiche: come la telemedicina abbia influito sulle vite dei pazienti in termini logistico-psicologici, le qualità delle cure personalizzate prestate a distanza e il livello di rassicurazione ricevuto. I pazienti percepivano che la telemedicina li aiutava a limitare lo sconvolgimento delle loro vite permettendo loro di evitare di recarsi in ospedale. Hanno anche riferito di sentirsi più indipendenti e sicuri nel prendersi cura di sé stessi. La consulenza in remoto ha permesso loro di interagire con i medici in un luogo confortevole, si sentivano meno vulnerabili e percepivano una “lontananza” dagli ospedali e dalla malattia. A ciò va aggiunto che la possibilità di accedere a consulenze in remoto li dotava di una rete di sicurezza che li faceva stare tranquilli anche se non avevano la necessità di ricorrervi.
“Alcuni pazienti affetti da cancro, tuttavia possono considerare la telemedicina come un dispendio di tempo o un ulteriore peso”, aggiunge Anna Cox. “Il coinvolgimento dei pazienti nel delineare gli interventi potrebbe essere un modo per assicurare il mantenimento di questo equilibrio”.
Vitamine e aminoacidi, svelato il loro ruolo nelle cellule staminali
News Presa, Ricerca innovazioneLe vitamine e gli aminoacidi hanno un ruolo importante contro il cancro. La scoperta . La scoperta, che promette risvolti applicativi molto concerti in campo oncologico, arriva da un team internazionale coordinato dall’Istituto di genetica e biofisica A. Buzzati-Traverso del Consiglio nazionale delle ricerche (Igb-Cnr) di Napoli, che ha coinvolto gli Istituti Cnr di chimica biomolecolare (Icb-Cnr) e di applicazioni del calcolo (Iac-Cnr), la Radboud University, Nijmegen (Olanda) e University of California, San Francisco (Usa). Pubblicato sulla rivista Stem Cell Reportsm, lo studio dimostra come le vitamine e gli aminoacidi abbiano un ruolo fondamentale in quei meccanismi cellulari coinvolti nello sviluppo di malattie come il cancro.
Un ruolo chiave
Gabriella Minchiotti, tra gli autori dello studio e ricercatrice Igb-Cnr, spiega che la sorpresa maggiore riguarda le cellule staminali, per le quali un ruolo chiave è svolto da due insospettabili attori chiamati “metaboliti”. «Si tratta – spiega la ricercatrice – di molecole molto piccole indispensabili per la vita della cellula, che corrispondono alla vitamina C e all’aminoacido L-Prolina. Abbiamo dimostrato che le cellule staminali embrionali pluripotenti (ossia cellule staminali presenti nei primissimi stadi dello sviluppo), se trattate con Vitamina C acquisiscono uno stato più immaturo (primitivo), mentre se trattate con l’aminoacido L-Prolina danno luogo alla formazione di una cellula embrionale più matura (stato cosiddetto primed). Quindi Vitamina C e L-Prolina agiscono in maniera del tutto opposta sulle cellule staminali embrionali, determinando delle modifiche al DNA che non ne alterano la sequenza bensì il modo in cui viene letto e quindi la sua attività».
Rigenerazione
Lo studio delle cellule staminali desta molto interesse tra ricercatori perché possiedono una particolare caratteristica, ossia la capacità di auto-rinnovarsi ed allo stesso tempo di differenziarsi, cioè specializzarsi in altri tipi cellulari. «Le cellule staminali embrionali – aggiunge – sono le più “potenti” perché sono le uniche in grado di dare origine a tutti i tipi di cellule che si trovano in un organismo come le cellule ossee, cardiache ecc. Questa caratteristica è propria anche delle cellule staminali tumorali che sostengono la crescita del tumore».
Nuove cure
Lo spazio extracellulare nel quale avvengono i meccanismi che il team di ricerca sta analizzando ormai da anni, diventa quindi sempre meno un mistero per la scienza. «I risultati raggiunti – conclude la ricercatrice – rappresentano un grande passo in avanti perché, attraverso la regolazione dei metaboliti possiamo inibire o attivare i meccanismi che determinano la crescita e il destino delle cellule staminali embrionali e in futuro anche di quelle tumorali».
Scompenso cardiaco, ecco la tecnologia di “stimolazione multisito”
News Presa, Ricerca innovazioneSi parla tanto di salute del cuore, ma troppo spesso questo concetto resta vuoto e generico. Tra le varie malattie che possono mettere a rischio la salute ce n’è una che ha dei numeri terribili: lo scompenso cardiaco. Secondo i dati dell’OMS colpisce in Europa 14 milioni di persone, la stima è di arrivare a 30milioni nel 2020. Le cifre sono in costante aumento sia per il progressivo invecchiamento della popolazione sia per il miglioramento nel trattamento delle sindromi coronariche acute che registrano, in Italia, 170mila nuovi casi ogni anno. Lo scompenso cardiaco, invece, circa 80mila casi l’anno e un crescente livello di cronicità. Tutto questo ha anche costi enormi per la gestione dei pazienti, circa 10 miliardi, di cui il 74% per ricoveri ospedalieri.
I sintomi
A causa dell’incapacità del cuore di pompare il sangue efficacemente e di fornire ossigeno a organi importanti come reni e cervello, le persone colpite da scompenso cardiaco in una fase avanzata possono presentare sintomi come la dispnea (mancanza di fiato) da sforzo o anche a riposo, edema degli arti inferiori, astenia, difficoltà respiratorie in posizione supina, tosse, addome gonfio o dolente, perdita di appetito, confusione, deterioramento della memoria.
Nuovi impianti
I pazienti affetti da scompenso cardiaco sono spesso dipendenti da device che aiutano il cuore ad assolvere alla sua funzione di pompa. In questo senso una buona notizia è legata ad una nuova famiglia di dispositivi messi a punto da Boston Scientific che consentono di stimolare il ventricolo sinistro da punti differenti, la cosiddetta “stimolazione multisito”, con oltre 200 combinazioni possibili. La principale barriera nell’utilizzo di questa tecnologia è sempre stata legata al consumo di maggiore energia del dispositivo. Una barriera che ora viene superata grazie a batterie più longeve (evoluzione delle batterie Enduralife), con una proiezione di durata fino a 13.3 anni. Per capire la portata di questa innovazione si deve considerare che la durata delle batterie è un elemento cruciale per l’efficacia dei dispositivi e rappresenta la maggiore preoccupazione per il 73% dei pazienti che devono affrontare la sostituzione dopo alcuni anni (in media dopo 4 anni). I primi impianti di questi nuovi dispositivi sono stati realizzati in quattro ospedali italiani, vale a dire al Gemelli di Roma all’ospedale di Feltre (Belluno), al Muscatello di Augusta e nella Casa di Cura Montevergine di Mercogliano (Avellino).
La terapia liquida per la salute della tiroide
Farmaceutica, News Presa, PrevenzioneLa terapia tiroidea diventa liquida anche negli Usa. Una vittoria per milioni di pazienti e un successo che in gran parte parla italiano. La “levotiroxina” è la forma sintetica dell’ormone tiroideo, tiroxina (T4) impiegata in tutti i casi di deficit dell’ormone. È sulla lista dei farmaci essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra i più efficaci, sicuri, fondamentali e tra i tre farmaci più prescritti al mondo. È indicato anche nei bambini in caso di ipotiroidismo congenito ed è importante valutarne la necessità in gravidanza quando la tiroide della mamma deve lavorare per due e una sua carenza può causare abortività e influire negativamente sullo sviluppo neurologico del bambino. La difficoltà della terapia con levotiroxina è rappresentata dalla determinazione del paziente di seguire la cura che, una volta avviata è da assumere a vita, e che richiede qualche sacrificio. Oggi con la formulazione liquida i pazienti hanno una migliore qualità di vita e conseguentemente una maggiore aderenza alla terapia.
Una malattia sempre più diffusa
A spiegare quanto sia serio il problema dell’ipotiroidismo è Andrea Lenzi, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (SIE). «Si tratta – dice – di una malattia sempre più diffusa in Italia: si stima ne sia affetto 1 cittadino su 25 e la causa più frequente è identificata nella tiroidite cronica autoimmune. La sintomatologia può essere sfumata, ma la patologia, se non identificata e trattata correttamente, si correla ad un aumentato rischio cardiovascolare, infertilità e complicanze gravidiche e fetali. La tiroxina fu isolata nel 1914 presso la Mayo Clinic da Edward Calvin Kendall, come estratto dalla ghiandola tiroidea di maiale e resa disponibile negli USA dal 1927. Solo nel 1950 si arrivò all’attuale forma sintetica che garantisce una titolazione precisa dell’ormone».
Dall’Italia agli USA
La levotiroxina liquida è stata messa a punto da IBSA ed è presente sul mercato italiano dal 2012. Sono stati gli endocrinologi italiani a determinarne il successo iniziando per primi a prescriverla e realizzando studi clinici che, in pochi anni, hanno sviluppato un gran numero di pubblicazioni sulle più prestigiose riviste internazionali. La scelta dell’Italia per il lancio della nuova formulazione liquida è stata del tutto naturale vista la grande cultura endocrinologica esistente in Italia che nasce negli anni ‘70-‘80 con la scuola del prof. Aldo Pinchera, esperto di fama internazionale. L’approvazione FDA della levotiroxina liquida per il mercato USA apre a sviluppi di grande interesse: un mercato di 18 milioni di pazienti, stimato in 2 miliardi di dollari, che accoglie velocemente le novità medico-scientifiche ma anche un sistema prescrittivo più complesso.