Tempo di lettura: 5 minutiCosa sanno i genitori italiani sul Papillomavirus e la vaccinazione anti- HPV lo ha rivelato lo studio del Censis. L’indagine ha esplorato gli atteggiamenti e i comportamenti rispetto a questo tipo di vaccinazione. Inoltre, a sei anni di distanza da una precedente indagine, nell’ambito della quale è stato realizzato un focus su un campione di mamme da 36 a 55 anni con figlie da 10 a 17 anni, è stato possibile osservare cosa è cambiato nel bagaglio di conoscenze delle mamme sia sul Papillomavirus che sulla vaccinazione.
Il primo dato che emerge riguarda il livello di conoscenza dei genitori italiani sul tema che, ancora una volta, non si presenta del tutto adeguato ed è condizionato da una visione parziale della patologia. Quando si parla dei soggetti a rischio, ad esempio, è di poco superiore ad un terzo dei genitori (che indicano di conoscere il Papillomavirus) la quota di coloro che sono convinti che si tratti di un virus che colpisca solo le donne.
L’associazione tra Papillomavirus e tumori femminili emerge da un altro dato: l’87,4% del campione associa il Papillomavirus al tumore al collo dell’utero e si tratta della quasi totalità delle donne che ne hanno sentito parlare (91,6%), senza differenze in base al livello di istruzione, mentre si presenta molto più ridotta la quota (47,2%) di chi sa che può essere responsabile di altri tumori che riguardano anche l’uomo (come il tumore all’ano, al pene), e ad esserne a conoscenza in questo caso sono più gli uomini (52,9%)
Consapevolezza.
Dal confronto dei dati raccolti nel 2011 con quelli rilevati nel 2017, si confermano le lacune: rispetto alla definizione del Papillomavirus si assiste ad una sorta di involuzione nella conoscenza della mamme, le quali oggi più di ieri hanno difficoltà ad indicare in maniera corretta cosa sia il Papillomavirus e quali siano i rischi che può comportare: si riduce di circa 10 punti percentuali, ad esempio, la quota di mamme consapevoli che l’HPV è un virus responsabile dei condilomi genitali (passando dal 43,5% nel 2011 al 34,4% nel 2017).
Le conoscenze appaiono migliorate, con una porzione sempre più ampia di mamme consapevoli che il virus si possa trasmettere anche attraverso un contatto delle parti intime. Si riduce la quota di chi considera il preservativo uno strumento sicuro ad evitare il contagio del virus (lo pensava il 52% delle mamme nel 2011, nel 2017 la quota di riduce al 44,4%), così come aumenta la quota di mamme consapevoli che non è possibile eliminare completamente i rischi del contagio quando si è sessualmente attivi (rispettivamente 15,3% e 22,5%).
Canali di informazione.
I professionisti della sanità continuano a mantenere un ruolo strategico nell’informazione sul Papillomavirus e in maniera ancora più evidente sulla vaccinazione anti- HPV. Cresce anche il ruolo informativo operato dal Servizio vaccinale delle ASL, non soltanto in merito alla vaccinazione ma anche rispetto alle informazioni sul Papillomavirus.
Tuttavia, guardando all’esperienza diretta con i servizi vaccinali, rimangono ancora visibili differenze sul territorio, con i genitori del Nord che più di frequente (53,0%) rispetto ai genitori del resto della penisola sono stati effettivamente informati della possibilità di vaccinare i propri figli tramite chiamata o lettera della ASL.
Le novità riguardano anche il ruolo sempre più rilevante dei nuovi media (internet e i social network), fonti strategiche non soltanto per l’informazione sul Papillomavirus ma anche sulla vaccinazione.
Inoltre, è cambiato anche il modo di approcciarsi al tema e di parlare di Papillomavirus, che percorre vie di natura sempre più informale e meno scientifica, in cui hanno maggior peso le opinioni di amici e conoscenti.
Nel complesso, il giudizio che gli intervistati esprimono nei confronti dell’informazione disponibile sul Papillomavirus e la vaccinazione non è positivo, quasi la metà dei genitori afferma che le informazioni che circolano al riguardo sono poche e poco chiare (48,9%), a questa quota si aggiunge anche il 32,5% di chi pensa che circolino molte informazioni ma confuse e contraddittorie. Inoltre, in base al titolo di studio non si segnalano differenze evidenti, indice che quello informativo è un problema radicato in maniera trasversale tra i genitori italiani.
Il vaccino.
Il 73,8% sa che è disponibile il vaccino contro l’HPV e, tra questi, il 40% ritiene sa che si tratti di una vaccinazione indicata sia per le figlie femmine che per i figli maschi di dodici anni, ma una quota quasi sovrapponibile (38%) pensa che sia indicata solo per le femmine dodicenni. Il ruolo delle campagne vaccinali sulla vaccinazione anti-HPV fin qui condotte ha impattato su questa convinzione, ma le scelte del nuovo Piano vaccinale, che allarga le campagne gratuite anche ai maschi della stessa età, potrà svolgere un ruolo strategico per la diffusione di informazioni più complete.
Inoltre, il dato sui genitori che affermano di aver vaccinato i propri figli (33,3% in media), risulta articolato sulla base del genere dei figli e, come è facile attendersi, sale decisamente tra i genitori con figlie femmine (53% circa) rispetto ai genitori con figli maschi (5,5%). Sulla scelta di vaccinazione esercita un impatto anche l’area geografica di residenza dei genitori, attraversando la penisola da Nord a Sud, infatti, si riduce la quota di genitori che hanno vaccinato almeno una figlia o un figlio contro l’HPV, passando dal 35,8% del Nord al 32,5% del Centro e al 29,9% del Sud e Isole. Considerando come unità di analisi i figli, risultano essere state vaccinate il 56,6% delle figlie femmine (in linea con gli ultimi dati ufficiali di copertura disponibili e relativi al 2015) e il 7,3% dei maschi.
Scelte e condizionamenti.
Sono stati quindi indagati gli aspetti che hanno contribuito alla scelta di vaccinare o all’interesse nei confronti della vaccinazione contro l’HPV, per quei genitori che hanno vaccinato almeno un figlio e che si reputano interessati alla vaccinazione, che sono il 69,4% del campione: nel 32,1% dei casi per aspetti collegati alla capacità di proteggere da patologie gravi come quelle tumorali, e più nello specifico dal tumore al collo dell’utero e da altri diversi tumori (all’ano, al pene, alla vulva, alla vagina), il 24,6% menziona la fiducia nei progressi scientifici, in particolare i rispondenti con un alto livello di istruzione (28,3%) e il 20,3% segnala come fattore importante che ha contribuito alla propria scelta o interesse l’averne parlato o l’aver ricevuto dal pediatra il suggerimento di sottoporre i figli alla vaccinazione.
Se si considerano invece gli aspetti che hanno suscitato disinteresse (tra chi non ha vaccinato e non si reputa interessato, vale a dire il 30,6% del campione), la motivazione più citata (21,0%) è legata alle caratteristiche della vaccinazione disponibile, che gli intervistati indicano finalizzata a proteggere solo da alcuni tipi di Papillomavirus, e pertanto non in grado di eliminare la necessità di ricorrere al Pap Test. Inoltre, il 19,7% pensa che non sia il caso di vaccinare una ragazza o un ragazzo per una malattia sessualmente trasmissibile, perché troppo piccoli; il 17,8% non si fida del vaccino perché ha sentito che può provocare effetti collaterali gravi; per il 16,2% costituisce elemento di disinteresse il fatto che la vaccinazione non sia obbligatoria e gratuita per i ragazzi di tutte le età, per l’8,6% il fatto che
non sia gratuita per le ragazze di tutte le età, l’11,1% sottolinea il prezzo elevato per chi non può usufruirne gratuitamente. Con quote approssimabili al 14% si fa, inoltre, riferimento ad una mancanza di fiducia nei confronti delle vaccinazioni come strategia di prevenzione e al fatto che sarebbe sufficiente effettuare periodicamente il Pap test come efficace strategia preventiva.
In conclusione sale al 70,9% la quota di chi (pur non avendo vaccinato) si reputa interessato alla vaccinazione contro l’HPV, si riduce al 49,1% tra chi si fida abbastanza e scende ancora al 20,4% tra chi si fida poco e per nulla.
Anche l’atteggiamento nei confronti della vaccinazione contro l’HPV risente di quel clima culturale oggi meno favorevole ai vaccini che trova in Internet le espressioni più diffuse. Ma sono anche presenti casi in cui la vaccinazione è stata espressamente sconsigliata (anche dagli stessi professionisti della sanità), fatto citato dal 34% delle mamme di figlie femmine, una quota che risulta notevolmente aumentata (era il 25,6% nel 2011).
Non mancano poi opinioni contraddittorie, più evidenti nel caso della vaccinazione dei figli maschi. Tra chi ha figli maschi, il 43,7% non ha vaccinato ma si reputa interessato alla vaccinazione, mentre è più alta la quota di chi non ha vaccinato e non si reputa interessato a questa specifica vaccinazione (50,8%). Ciononostante, una larga parte del campione (88%) si reputa favorevole alla scelta presente nel nuovo Piano vaccinale di estendere la vaccinazione gratuita anche ai maschi di 12 anni, un dato che testimonia una apertura.
Papillomavirus, genitori ancora poco informati. Il 30,6 % non vaccina
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneCosa sanno i genitori italiani sul Papillomavirus e la vaccinazione anti- HPV lo ha rivelato lo studio del Censis. L’indagine ha esplorato gli atteggiamenti e i comportamenti rispetto a questo tipo di vaccinazione. Inoltre, a sei anni di distanza da una precedente indagine, nell’ambito della quale è stato realizzato un focus su un campione di mamme da 36 a 55 anni con figlie da 10 a 17 anni, è stato possibile osservare cosa è cambiato nel bagaglio di conoscenze delle mamme sia sul Papillomavirus che sulla vaccinazione.
Il primo dato che emerge riguarda il livello di conoscenza dei genitori italiani sul tema che, ancora una volta, non si presenta del tutto adeguato ed è condizionato da una visione parziale della patologia. Quando si parla dei soggetti a rischio, ad esempio, è di poco superiore ad un terzo dei genitori (che indicano di conoscere il Papillomavirus) la quota di coloro che sono convinti che si tratti di un virus che colpisca solo le donne.
L’associazione tra Papillomavirus e tumori femminili emerge da un altro dato: l’87,4% del campione associa il Papillomavirus al tumore al collo dell’utero e si tratta della quasi totalità delle donne che ne hanno sentito parlare (91,6%), senza differenze in base al livello di istruzione, mentre si presenta molto più ridotta la quota (47,2%) di chi sa che può essere responsabile di altri tumori che riguardano anche l’uomo (come il tumore all’ano, al pene), e ad esserne a conoscenza in questo caso sono più gli uomini (52,9%)
Consapevolezza.
Dal confronto dei dati raccolti nel 2011 con quelli rilevati nel 2017, si confermano le lacune: rispetto alla definizione del Papillomavirus si assiste ad una sorta di involuzione nella conoscenza della mamme, le quali oggi più di ieri hanno difficoltà ad indicare in maniera corretta cosa sia il Papillomavirus e quali siano i rischi che può comportare: si riduce di circa 10 punti percentuali, ad esempio, la quota di mamme consapevoli che l’HPV è un virus responsabile dei condilomi genitali (passando dal 43,5% nel 2011 al 34,4% nel 2017).
Le conoscenze appaiono migliorate, con una porzione sempre più ampia di mamme consapevoli che il virus si possa trasmettere anche attraverso un contatto delle parti intime. Si riduce la quota di chi considera il preservativo uno strumento sicuro ad evitare il contagio del virus (lo pensava il 52% delle mamme nel 2011, nel 2017 la quota di riduce al 44,4%), così come aumenta la quota di mamme consapevoli che non è possibile eliminare completamente i rischi del contagio quando si è sessualmente attivi (rispettivamente 15,3% e 22,5%).
Canali di informazione.
I professionisti della sanità continuano a mantenere un ruolo strategico nell’informazione sul Papillomavirus e in maniera ancora più evidente sulla vaccinazione anti- HPV. Cresce anche il ruolo informativo operato dal Servizio vaccinale delle ASL, non soltanto in merito alla vaccinazione ma anche rispetto alle informazioni sul Papillomavirus.
Tuttavia, guardando all’esperienza diretta con i servizi vaccinali, rimangono ancora visibili differenze sul territorio, con i genitori del Nord che più di frequente (53,0%) rispetto ai genitori del resto della penisola sono stati effettivamente informati della possibilità di vaccinare i propri figli tramite chiamata o lettera della ASL.
Le novità riguardano anche il ruolo sempre più rilevante dei nuovi media (internet e i social network), fonti strategiche non soltanto per l’informazione sul Papillomavirus ma anche sulla vaccinazione.
Inoltre, è cambiato anche il modo di approcciarsi al tema e di parlare di Papillomavirus, che percorre vie di natura sempre più informale e meno scientifica, in cui hanno maggior peso le opinioni di amici e conoscenti.
Nel complesso, il giudizio che gli intervistati esprimono nei confronti dell’informazione disponibile sul Papillomavirus e la vaccinazione non è positivo, quasi la metà dei genitori afferma che le informazioni che circolano al riguardo sono poche e poco chiare (48,9%), a questa quota si aggiunge anche il 32,5% di chi pensa che circolino molte informazioni ma confuse e contraddittorie. Inoltre, in base al titolo di studio non si segnalano differenze evidenti, indice che quello informativo è un problema radicato in maniera trasversale tra i genitori italiani.
Il vaccino.
Il 73,8% sa che è disponibile il vaccino contro l’HPV e, tra questi, il 40% ritiene sa che si tratti di una vaccinazione indicata sia per le figlie femmine che per i figli maschi di dodici anni, ma una quota quasi sovrapponibile (38%) pensa che sia indicata solo per le femmine dodicenni. Il ruolo delle campagne vaccinali sulla vaccinazione anti-HPV fin qui condotte ha impattato su questa convinzione, ma le scelte del nuovo Piano vaccinale, che allarga le campagne gratuite anche ai maschi della stessa età, potrà svolgere un ruolo strategico per la diffusione di informazioni più complete.
Inoltre, il dato sui genitori che affermano di aver vaccinato i propri figli (33,3% in media), risulta articolato sulla base del genere dei figli e, come è facile attendersi, sale decisamente tra i genitori con figlie femmine (53% circa) rispetto ai genitori con figli maschi (5,5%). Sulla scelta di vaccinazione esercita un impatto anche l’area geografica di residenza dei genitori, attraversando la penisola da Nord a Sud, infatti, si riduce la quota di genitori che hanno vaccinato almeno una figlia o un figlio contro l’HPV, passando dal 35,8% del Nord al 32,5% del Centro e al 29,9% del Sud e Isole. Considerando come unità di analisi i figli, risultano essere state vaccinate il 56,6% delle figlie femmine (in linea con gli ultimi dati ufficiali di copertura disponibili e relativi al 2015) e il 7,3% dei maschi.
Scelte e condizionamenti.
Sono stati quindi indagati gli aspetti che hanno contribuito alla scelta di vaccinare o all’interesse nei confronti della vaccinazione contro l’HPV, per quei genitori che hanno vaccinato almeno un figlio e che si reputano interessati alla vaccinazione, che sono il 69,4% del campione: nel 32,1% dei casi per aspetti collegati alla capacità di proteggere da patologie gravi come quelle tumorali, e più nello specifico dal tumore al collo dell’utero e da altri diversi tumori (all’ano, al pene, alla vulva, alla vagina), il 24,6% menziona la fiducia nei progressi scientifici, in particolare i rispondenti con un alto livello di istruzione (28,3%) e il 20,3% segnala come fattore importante che ha contribuito alla propria scelta o interesse l’averne parlato o l’aver ricevuto dal pediatra il suggerimento di sottoporre i figli alla vaccinazione.
Se si considerano invece gli aspetti che hanno suscitato disinteresse (tra chi non ha vaccinato e non si reputa interessato, vale a dire il 30,6% del campione), la motivazione più citata (21,0%) è legata alle caratteristiche della vaccinazione disponibile, che gli intervistati indicano finalizzata a proteggere solo da alcuni tipi di Papillomavirus, e pertanto non in grado di eliminare la necessità di ricorrere al Pap Test. Inoltre, il 19,7% pensa che non sia il caso di vaccinare una ragazza o un ragazzo per una malattia sessualmente trasmissibile, perché troppo piccoli; il 17,8% non si fida del vaccino perché ha sentito che può provocare effetti collaterali gravi; per il 16,2% costituisce elemento di disinteresse il fatto che la vaccinazione non sia obbligatoria e gratuita per i ragazzi di tutte le età, per l’8,6% il fatto che
non sia gratuita per le ragazze di tutte le età, l’11,1% sottolinea il prezzo elevato per chi non può usufruirne gratuitamente. Con quote approssimabili al 14% si fa, inoltre, riferimento ad una mancanza di fiducia nei confronti delle vaccinazioni come strategia di prevenzione e al fatto che sarebbe sufficiente effettuare periodicamente il Pap test come efficace strategia preventiva.
In conclusione sale al 70,9% la quota di chi (pur non avendo vaccinato) si reputa interessato alla vaccinazione contro l’HPV, si riduce al 49,1% tra chi si fida abbastanza e scende ancora al 20,4% tra chi si fida poco e per nulla.
Anche l’atteggiamento nei confronti della vaccinazione contro l’HPV risente di quel clima culturale oggi meno favorevole ai vaccini che trova in Internet le espressioni più diffuse. Ma sono anche presenti casi in cui la vaccinazione è stata espressamente sconsigliata (anche dagli stessi professionisti della sanità), fatto citato dal 34% delle mamme di figlie femmine, una quota che risulta notevolmente aumentata (era il 25,6% nel 2011).
Non mancano poi opinioni contraddittorie, più evidenti nel caso della vaccinazione dei figli maschi. Tra chi ha figli maschi, il 43,7% non ha vaccinato ma si reputa interessato alla vaccinazione, mentre è più alta la quota di chi non ha vaccinato e non si reputa interessato a questa specifica vaccinazione (50,8%). Ciononostante, una larga parte del campione (88%) si reputa favorevole alla scelta presente nel nuovo Piano vaccinale di estendere la vaccinazione gratuita anche ai maschi di 12 anni, un dato che testimonia una apertura.
Giovani e alcol, un rapporto pericoloso
News Presa, PartnerAlcol e giovani, un binomio fatale. A dirlo sono i pediatri e molti tra i responsabili dei principali pronto soccorso italiani, che nei week end si vedono costretti a intervenire per salvare decine e decine di ragazzini dagli effetti di incredibili sbronze. Spinti dalla voglia di stupire, di essere riconosciuti nel gruppo, sono moltissimi gli adolescenti che nei fine settimana in discoteca iniziano a bere superalcolici e vanno avanti sino allo sfinimento. Un fenomeno che non smette di crescere e coinvolge ragazzi sempre più giovani. Intervistati per uno studio realizzato nelle scuole, il 66% delle ragazze e addirittura l’82% dei ragazzi dichiara di consumare abitualmente alcolici in occasione di uscite con gli amici. Inoltre, il 54% dichiara di aver consumato superalcolici e il 15% sostiene di essersi ubriacato nell’ultimo mese.
Good Morning Kiss Kiss
Un tema scottante che verrà affrontato dalla professoressa Rossella Aurilio, presidente della Società italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale, nel corso del consueto appuntamento con la salute realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con il PreSa, network editoriale di Prevenzione e Salute. L’appuntamento è come sempre con Good Morning Kiss Kiss, nella giornata di sabato 6 maggio (ore 11.35). Per saperne di più, per comprendere meglio e saper riconoscere eventuali segnali di pericolo.
Alla Federico II con Erri De Luca per #nonsolomedicina
News PresaChe ci fa Erri De Luca tra i giovani studenti di medicina della Federico II? Crea, con la magia delle sue parole, il filo rosso che unisce la letteratura alla medicina, ai temi della vita che, usando le parole di Luigi Califano «inevitabilmente sfiorano i problemi e le dinamiche della scienza medica». Classe 1950, giornalista, scrittore, poeta e autore teatrale, noto al grande pubblico per il suo impegno civile, Erri De Luca ha scritto alcuni dei più grandi successi degli ultimi vent’anni della letteratura italiana come «Non ora, non qui» (1989), «Tu, mio» (1998) e «Sulla traccia di Nives» (2005). Sarà lui, lunedì 8 maggio alle 15, il protagonista del nuovo appuntamento con la rassegna #nonsolomedicina. Il ciclo di eventi è promosso dalla Scuola e dall’Azienda e prevede appuntamenti periodici con personaggi del mondo dell’arte, della cultura, dello sport e dello spettacolo, invitati a portare la loro esperienza nelle aule universitarie con l’obiettivo di favorire l’integrazione dei saperi. Dopo Vincenzo Salemme, Maurizio De Giovanni, Gennaro Rispoli, Edoardo Bennato, Gino Strada, Alessandro Siani ora è il momento di Erri De Luca.
«La magia delle parole»
E’ questo il titolo dell’incontro che sarà aperto dai saluti istituzionali del Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia, Luigi Califano e del Direttore Generale dell’Azienda, Vincenzo Viggiani e introdotto da Cesare Formisano, professore associato di Chirurgia Generale della Scuola. Sarà cura di Ignazio Senatore, psichiatra e critico cinematografico, intervistare lo scrittore. «Con Erri De Luca proseguiamo sulla scia della migliore letteratura contemporanea di stampo partenopeo- spiega Luigi Califano – Siamo onorati di poter accogliere, presso la nostra Scuola, intellettuali di questa levatura». L’idea alla base di questi appuntamenti è quella di promuovere un dialogo costruttivo con i professionisti della salute, con l’obiettivo di favorire processi di formazione a tutto tondo e stimolare la condivisione di spazi di riflessione per conoscersi e fare squadra. L’appuntamento (aperto a tutti e gratuito) è per nell’Aula Magna di Scienze Biotecnologiche (Via Tommaso de Amicis, 95- Napoli, Primo Piano).
Round Midnight: il concerto per la salute della donna il 16 maggio a Roma
Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneUn concerto per raccogliere fondi contro i tumori ginecologici e per la tutela della Salute della Donna e dei suo diritti. Iris Roma Onlus con il Polo Scienza della Salute della Donna e del Bambino, coordinato dal Prof. Giovanni Scambia, sta organizzando la 7° edizione del Concerto di Beneficenza, “RoundMidnight” (per il 16 maggio 2017 al Teatro Olimpico di Roma) con il patrocinio del Senato e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La serata di arte e charity, presentata dalla giornalista Annalisa Manduca, prevede anche quest’anno la partecipazione della Banda Musicale della Polizia di Stato, del trio tutto femminile di Silvia Donati (una delle voci più anticonvenzionali del panorama jazz italiano), e il passo a due di Alessandra Romani e Alessio Giacobbe, con la coreografia di Alessandra D’Attilia.
La raccolta fondi dell’iniziativa contribuirà alla realizzazione dei diversi progetti in cui Iris Roma Onlus è impegnata: ricerca scientifica, prevenzione e informazione, sostegno psico-oncologico alle pazienti di Ginecologia Oncologica e alle loro famiglie, sostegno delle pazienti alle terapie, servizio fisioterapeutico, progetti a sostegno della qualità di vita; inoltre anche: reperibilità telefonica 24 ore, Cure Palliative e sostegno logistico alle famiglie meno abbienti delle pazienti fuori sede.
In particolare la raccolta fondi di quest’anno, contribuirà a consentire che alcuni ambienti ospedalieri dell’undicesimo piano del Polo Donna siano risemantizzati dal necessario connubio tra design e bio architettura per far sentire le pazienti accolte in uno spazio a loro misura, idoneo a stimolare la spinta alla vita, anche grazie alla percezione visiva rasserenante.
L’intervento, in collaborazione con altre Associazioni, attiene a un reparto di un’area assolutamente innovativa in Italia, nel solco dell’attenzione alla Medicina di Genere.
Rinosinusite, curarla con l’acido ialuronico
Ricerca innovazioneCirca il 5% della popolazione soffre di rinosinusite cronica con polipi nasali. “Una malattia infiammatoria frequente – spiega Carlo Antonio Leone, Presidente della Società Italiana di Otorinolaringologia e Chirurgia Cervico-Facciale, – che ha un elevato impatto sulla qualità della vita dei pazienti visto che i sintomi principali sono l’ostruzione nasale con conseguenti difficoltà respiratorie e la perdita della funzione olfatto-gustativa. La diagnosi è semplice, ma il suo trattamento rimane una sfida per l’otorinolaringoiatra date le ancora scarse conoscenze sulle sue cause, il difficile controllo terapeutico e la frequenza delle recidive che si presentano in almeno 1 paziente su 4. Nonostante la terapia medica controlli i sintomi in una buona percentuale di pazienti, molti ricorrono al trattamento chirurgico per ridurre i disturbi e prevenire le complicanze. Va però ricordato – aggiunge lo specialista – che l’approccio chirurgico si limita a disostruire il naso e ampliare gli osti dei seni paranasali, ripristinando al meglio la funzione respiratoria e permettendo ai farmaci nebulizzati di raggiungere la mucosa dei seni, ma non è risolutivo in quanto non agisce sulle cause della malattia”.
Terapia e cura
Pubblicato di recente su Acta Otorhinolaryngologica Italica, uno studio del Centro Rinologico del Policlinico Universitario di Bari definisce uno schema terapeutico mirato a controllare i sintomi e migliorare la qualità della vita dei pazienti sulla base ad una classificazione che prende in considerazione diversi parametri (citologia nasale, asma, allergie e sensibilità all’acido acetilsalicilico) come fattori di rischio di recidiva post-chirurgica. Questo trattamento personalizzato evita di esporre il paziente al rischio di sotto o sovra-trattamento e di conseguenza alla possibilità di incorrere in una recidiva o negli effetti collaterali dei farmaci utilizzati.
Lo studio
Sono stati presi ad esame per 5 anni 204 pazienti affetti da rinosinusite cronica con polipi nasali dei quali 120 avevano subito precedentemente un intervento chirurgico per la rimozione dei polipi. I pazienti sono stati trattati con corticosteroidi topici con periodo di somministrazione variabile in base al livello di rischio di recidiva e con corticosteroidi sistemici associati ad irrigazioni nasali ed acido ialuronico ad alto peso molecolare. Altri farmaci come antistaminici, antibiotici, immunoterapie specifiche sono stati aggiunti a seconda della presenza di co-morbilità come rinite allergica, asma o infezioni concomitanti. Ne è emerso che: nel gruppo con rischio lieve il 92% dei pazienti non ha avuto peggioramenti e non è ricorso alla chirurgia, nel gruppo a rischio moderato il 44% dei pazienti non ha avuto peggioramenti e solo il 3,6% ha avuto necessità di ricorrere alla chirurgia contro il 13,6% del gruppo di controllo, infine soltanto il 5,7% dei pazienti del gruppo con rischio grave necessitava di trattamento chirurgico contro il 49% del gruppo di controllo. Inoltre, dal punto di vista obiettivo le dimensioni dei polipi nasali tendevano ad aumentare ad una velocità maggiore nel gruppo di controllo che nei pazienti trattati con terapia personalizzata.
Nuove prospettive
Mentre era già nota l’attività dei corticosteroidi nelle poliposi, la novità è rappresentata dall’impiego dell’acido ialuronico 0,3% ad alto peso molecolare che ha svolto un ruolo determinante per la sua attività antiinfettiva sui biofilm e di ripristino del battito ciliare “Questo studio – conclude Carlo Antonio Leone -apre la strada allo sviluppo e all’adozione di un nuovo approccio alla gestione della rinosinusite cronica con polipi nasali sulla base di una classificazione clinica e citologica che permetta di stimare con accuratezza la gravità della malattia e di adattarne il trattamento al fine di informare meglio il paziente, migliorare l’aderenza terapeutica, il controllo della malattia e limitare il ricorso alla chirurgia”
Iss: aumentano le fumatrici, in alcuni casi superano gli uomini
News Presa, Nuove tendenze, Prevenzione, Ricerca innovazioneIn Italia le fumatrici sono un milione in più rispetto allo scorso anno.
In particolare, su un totale di 11,7 milioni i fumatori italiani (il 22,3% della popolazione) 6 milioni sono uomini (erano 6,9 milioni del 2016) e 5,7 milioni le donne (erano 4,6 milioni del 2016). Anzi, in alcune fasce d’età le donne fumano più degli uomini, soprattutto nel Nord del Paese, nella fascia d’età in cui si accende la prima sigaretta (15-24) e nella fascia in cui si smette (45-64). Risulta, quindi, quasi azzerato il divario di genere.
Il quadro emerge dai dati presentati ieri dall’Ossfad del Centro Nazionale Dipendenza e Doping dell’Iss in occasione della Giornata Mondiale senza tabacco.
“Oggi nel nostro Paese fumano quasi 6 milioni di donne, circa un milione in più rispetto allo scorso anno – ha affermato Walter Ricciardi, Presidente dell’Iss – d’altra parte invece sono stati pochi coloro che in presenza di minori hanno fumato in auto, un divieto sul quale è stato d’accordo anche l’86% dei fumatori. L’avvicinamento delle donne fumatrici alle percentuali registrate tra gli uomini ci dice, però, che dobbiamo ancora continuare a contrastare il fumo e a insistere in questa direzione”.
L’indagine dell’Iss ha confermato, inoltre, che i divieti legislativi, a partire dalla legge sul fumo fino ai più recenti divieti hanno avuto un impatto significativo non solo sul consumo ma anche più in generale culturale. Soltanto il 3,8% dei non fumatori, per esempio, ha dichiarato di aver viaggiato in auto con un fumatore che ha fumato nell’abitacolo in presenza di bambini o donne in gravidanza e soltanto un italiano su 10 consente ai propri ospiti fumatori di accendersi una sigaretta in casa.
Cibi ‘light’ potrebbero far ingrassare. Saziano meno
Alimentazione, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneSe è vero che hanno poche calorie, i cibi “light” hanno anche tanti zuccheri e saziano meno.
Gli alimenti cosiddetti “light” o low fat, insomma, spesso pubblicizzati per il loro basso contenuto calorico e talvolta accentuando un loro presunto ruolo nel controllo del peso, in realtà potrebbero addirittura far ingrassare oltre che favorire altri problemi quali infiammazione cerebrale e problemi metabolici.
Ad affermarlo è uno studio su animali pubblicato sulla rivista Physiology & Behavior da Krzysztof Czaja dell’Università della Georgia. Chi vuole dimagrire spesso sceglie di mettere nel frigo cibi low fat. Questi ultimi contengono in zuccheri tutto quello che non hanno in grassi, spiega Czaja, quindi pur essendo effettivamente meno calorici di un analogo cibo con normale contenuto di grassi, in realtà non sortiscono gli effetti sperati da chi li consuma. Czaja ha sottoposto topolini a una dieta con cibi “diet”, poveri di grasso e quindi ricchi di zuccheri, confrontandoli con topolini con una dieta bilanciata per contenuto di grassi e zuccheri. Nonostante questi ultimi mangiassero più grassi dei primi, i topolini alimentati con cibi “dietetici”, low fat, accumulano, per metà delle calorie consumate, la stessa quantità di grasso corporeo dei topi che mangiano in modo equilibrato.
Il perché è semplice. Innanzitutto, pochi grassi significa più zuccheri che fanno male al metabolismo e aumentano il rischio diabete, spiega la studiosa; inoltre mangiare low fat porta a mangiare di più proprio perché i cibi sono meno calorici e quindi ci si sazia meno; per di più l’eccesso di zuccheri si trasforma in grasso corporeo anche se si consumano meno calorie rispetto a una dieta bilanciata. La dieta low fat è risultata anche legata a infiammazione a livello cerebrale, per via di sostanze chimiche che esaltano i sapori.
Allarme super- fungo letale a New York. 17 morti
News Presa, PrevenzioneC’è un super- fungo letale che sta creando panico in tutta l’America. Si chiama Candida auris resistente, arriva dal Giappone e ha già procurato 17 vittime nella Grande Mela. L’allarme è arrivato negli ospedali newyorchesi dopo i numerosi casi ed è allerta in tutti i nosocomi Usa. Il super- fungo potenzialmente letale – originariamente identificato in Giappone nel 2009 – si sta diffondendo negli Stati dell’Unione ed e’ giunto a NY. La facilità di contagio ha fatto scattare il timore di una facile diffusione nella metropoli. Negli ospedali di New York sono stati riportati di recente 44 casi dell’infezione resistente ai medicinali disponibili e 17 morti. Anche se per i decessi non si e’ stabilita’ una incontrovertibile relazione causa-effetto. Tutte le infezioni sono state trasmesse in cliniche o in uffici e centri medici.
Il primo caso negli Stati Uniti fu segnalato nel 2013, ma la diffusione del super- fungo e’ iniziata lo scorso anno.
Tra i sintomi del contagio: sensazioni di bruciore e difficolta’ a deglutire. “Il super- fungo – hanno spiegato gli esperti dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) – agisce come un super-batterio,non risponde agli anti-funghicidi, è difficile da identificare nei test di laboratorio”. Il microrganismo colpisce in particolare gli individui più deboli ed esposti, come neonati ed anziani, ed è stato identificato sulle attrezzature degli ospedali e sulla pelle persino di pazienti già trattati con i medicinali.
Da Napoli una rete nazionale contro gli abusi sui minori
News PresaGli «orchi» e i «ladri di infanzia» hanno quasi sempre i volti delle persone più amate e vicine, soprattutto quelli di mamma e papà, ma anche dei parenti, degli amici più intimi, o dei vicini di casa, come tristemente insegnano i più recenti casi di cronaca. Crisi economica, famiglie in difficoltà, conflittualità fra genitori e nella società ed ecco che sale il rischio di maltrattamenti e abusi: sono circa 9.000 i bambini e gli adolescenti under 14 campani a rischio di maltrattamenti e violenze, di questi il 10% è a rischio di abusi sessuali. Si tratta di un tipico fenomeno “iceberg” sottostimato, che nel 70% dei casi si consuma fra le mura domestiche, due volte su tre per mano di uno dei familiari. Nella metà dei casi si tratta di maltrattamenti e violenze psicologiche o fisiche, in uno su dieci di abusi sessuali. Pochissime le piccole vittime che riescono a chiedere aiuto: uno su cinque fra coloro che subiscono abusi sessuali, uno su tre fra chi è oggetto di maltrattamenti e violenze. Le sofferenze restano troppo spesso coperte dal silenzio ed è per questo che Menarini attraverso il sostegno di eventi formativi diretti ai medici, realizzati in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP) e la Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP), si è impegnata nella creazione di una rete antiabusi su tutto il territorio nazionale, sostenuta dalla multinazionale farmaceutica fiorentina con un investimento di 1 milione di euro.
In prima linea
«E’ a Napoli il primo appuntamento con cui oggi parte il progetto“Stop agli abusi sui bambini”che unisce professionalità, sensibilità ed entusiasmo, doti che tutti i pediatri hanno dimostrato per una problematica tra le più delicate e dolorose dell’infanzia e dell’adolescenza», dice Luigi Nigri, responsabile del progetto per Fimp. «A Napoli saranno coinvolti circa 50 pediatri campani e nell’arco del 2017 molti altri parteciperanno ai corsi che si terranno in altre 18 città italiane. L’iniziativa contribuirà a un risveglio delle coscienze: i pediatri che seguiranno i corsi diventeranno un punto di riferimento per i colleghi sul territorio che riceveranno consigli e aiuto per la gestione di casi sospetti di abusi e maltrattamenti. Tutto questo aiuterà a fare uscire dall’ombra un numero sempre maggiore di piccole vittime e speriamo ad aumentare le denunce: la Polizia giudiziaria riferisce che sono 700/800 in tutto il Paese ogni sei mesi. Il problema resta quindi troppo spesso ancora nascosto e taciuto».
Pediatri in campo
«In Campania non sono disponibili dati di incidenza di abusi e maltrattamenti perché non abbiamo un osservatorio sui minori ma la prevalenza del fenomeno non è diversa da quella del resto del Paese e si conferma il dato di letteratura scientifica di un bimbo su mille a rischio di abusi sessuali – commenta Renato Vitiello, vicepresidente SIP Campania – Il tessuto sociale del territorio è purtroppo un humus fertile per il verificarsi di maltrattamenti, come ricordano anche i molti casi recenti di cronaca, non ultima la vicenda della piccola Fortuna che ha addolorato e commosso l’Italia. I temi dell’abuso e del maltrattamento oggi non possono essere più trascurati anche per le gravi conseguenze che determinano sulla salute del bambino nel breve e lungo termine: un bambino maltrattato o abusato, infatti, non solo è più a rischio di disturbi fisici, psicologici e del comportamento, ma anche di danni organici nella vita adulta. Per questo FIMP e SIP ritengono motivo di orgoglio professionale la partecipazione a un percorso di conoscenza capace di coinvolgere tutte le componenti della pediatria con spirito di collaborazione reciproca che è il pilastro su cui costruire una rete efficace».
ADT, il disturbo della modernità che ostacola i propri obiettivi
News Presa, Nuove tendenze, Prevenzione, PsicologiaUna costante sensazione di non riuscire a fare tutto, o come si vorrebbe. Si tratta dell’Attention Deficit Trait (ADT). A scoprirlo è stato il ricercatore Edward Hallowell che lo descrive nel suo libro Driven to distraction, cioè l’incapacità di resistere alle notifiche, selezionare le opportunità e scegliere le cose da fare.
È una specie di disturbo da deficit di attenzione (ADD), anche se non è riconosciuto come malattia, indotto dalla sovrabbondanza del rumore di sottofondo, che sovraccarica il cervello costringendolo ad agire in una sorta di “modalità provvisoria”.
La buona notizia è che esiste un rimedio.
A differenza del disturbo da deficit dell’attenzione, che, invece, è una vera malattia che colpisce il 5% della popolazione adulta, l’ADT è indotto dalla vita moderna. Nasce dalla tendenza ad essere sempre impegnati a rispondere a troppi impulsi e stimoli diversi e che rendono sempre più distratti, irritabili, impulsivi, irrequieti e, a lungo andare, incapaci di raggiungere obiettivi alla propria portata. In altre parole, inefficaci, perché si dà attenzione a più cose di quelle che si è in grado di gestire.
Per chi soffre di questo disturbo della modernità, la vita diventa sempre più difficile e chi ne soffre avverte lievi sensazioni di panico e di colpa per non essere in grado di gestire tutto. La combinazione di questi fattori rende chi soffre di ADT incapace di individuare le cose importanti e dedicarsi a esse.
I sintomi dell’Attention Deficit Trait sono diversi e spesso si tratta di sensazioni comuni, come non rendere al massimo delle proprie capacità; voler fare di più, ma riuscire solo a fare di meno; fare meno esercizio fisico e avere meno spazi di socialità.
Chi soffre di ADT è come se perdesse di vista la visione d’insieme, i propri obiettivi e i propri valori. Ad esempio, si ritrova a pensare a qualcosa di diverso da quello a cui si sta dedicando per il 50 per cento del proprio tempo; cede alle distrazioni (che si presentano in media ogni 11 minuti) e fatica a rimanere concentrato (ogni distrazione costa 23 minuti di tempo prima di riuscire a ritrovare la stessa concentrazione di prima, come dimostrano i dati dello studio Steelcase). La conseguenza ultima è l’alterazione della percezione del tempo, dalla quale dipende la pianificazione della nostra vita.
La “malattia” può presentarsi anche in forme più lievi e chi si riconosce in alcuni dei sintomi potrebbe in realtà averla già “incubata”.
Per affrontare l’ADT e ripristinare la capacità di concentrazione è necessario per prima cosa riconoscere di soffrirne.
Prendersi cura di corpo e mente, in quanto strettamente collegati fra di loro.
Avere un sonno adeguato (fra le 7 e le 8 ore), una dieta equilibrata (cercando di mangiare verdure a ogni pasto e facendo spuntini a base di frutta) e un regolare esercizio fisico.
Ridurre il rumore di sottofondo. L’80 per cento dei propri risultati dipende dal 20 per cento delle proprie azioni, secondo l’universalmente riconosciuto Principio di Pareto. Individuare quel 20 per cento è il primo passo per ridurre il sovraccarico del proprio cervello.
Per farlo, è buona cosa scrivere in un’agenda o in un’app ogni pensiero, organizzare bene il lavoro, così da non spendere energie mentali a ricordarlo, come insegna David Allen, autore del metodo GTD.
Eliminare le notifiche, che sono azioni di disturbo che richiamano l’attenzione su altro rispetto a quello in cui si è impegnati.
Ridurre le notifiche all’essenziale e ogni giorno programmare qualche ora di lavoro ad alta concentrazione, quello che lo studioso Cal Newport definisce Deep Work, è un viatico per riprendere possesso della propria attenzione.
Sorridere. Studi scientifici hanno dimostrato che la felicità rende il 31% più produttivi. La felicità è presente in ogni individuo a prescindere da quello che fa e non come conseguenza di ciò, come spiega lo psicologo Richard Wiseman in The As If Principle, in pratica basta sorridere di più per essere più felici.
Meditare
I benefici della meditazione che la scienza ha rilevato si estendono all’umore e alla capacità di concentrazione.