Tempo di lettura: 2 minutiAl dolore cronico è dedicata una tappa speciale del Giro d’Italia, una tappa simbolica che consiste nell’informare i cittadini e promuovere una migliore conoscenza di questa condizione che si può affrontare oggi grazie a tecnologie avanzatissime. Il dolore cronico, spesso banalizzato e quasi sempre “sottovalutato”, colpisce il 26% della popolazione italiana e tra il 16 e il 46% della popolazione europea (circa 100 milioni di persone). Tanto per fare qualche esempio, ci sono persone che non sono mai riuscite ad accavallare le gambe, non hanno mai preso in braccio i propri figli e hanno convissuto, per anni, con mal di schiena, emicrania, endometriosi, artrosi e così via. Con un impatto devastante sulla vita quotidiana. L’iniziativa promossa in occasione del Giro d’Italia si intitola «Prossima Tappa: sconfiggere il dolore» ed è voluta da Boston Scientific (società ai vertici del settore biomedicale) e Fondazione ISAL, nata dall’Istituto di Formazione e Ricerca in Scienze Algologiche.
Sport e salute
Come ricorda il presidente della Fondazione Isal, William Raffaeli: «Lo sport è l’emblema della vita sana, del benessere, dell’equilibrio psico-fisico. Tuttavia, le sollecitazioni muscolo-scheletriche sono spesso la causa di un dolore acuto o, più pericolosamente, di un dolore subdolo e persistente (borsiti, infiammazioni, tendinopatie etc.). L’obiettivo che ci proponiamo con la presenza al Giro è quello di sensibilizzare tutti, sportivi e non, sulla tematica del dolore, per individuare le corrette diagnosi preventive e le terapie da adottare per una migliore qualità di vita». Non c’è da stupirsi, quindi, che di dolore cronico si parli in un contesto di straordinaria vitalità e passione, di grandi campioni e atleti superallenati come il Giro d’Italia, uno degli eventi sportivi più amati dagli italiani. Con una vettura caratterizzata e riconoscibile, il Team di ISAL e Boston Scientific seguirà l’intero percorso del Giro per dare informazioni, offrire spunti di riflessione, fornire aggiornamenti sulle formidabili innovazioni del settore biomedicale, a fronte delle nuove scoperte in materia di diagnosi preventiva e terapie non invasive. Molta strada è ancora da fare ma, oggi, sono disponibili trattamenti mirati con dispositivi impiantabili, come la “neurostimolazione spinale”, una soluzione terapeutica adottata nei pazienti per i quali il trattamento farmacologico o l’intervento chirurgico non si siano dimostrati efficaci, indipendentemente dal fatto che siano o meno degli sportivi.
Dolore neuropatico
Il materiale informativo disponibile presso il Team presente al Giro d’Italia è ampio, aggiornato, arricchito da immagini, video e contributi “live”. A disposizione degli atleti, di tutti coloro che per venti giorni vivranno direttamente le emozioni della “Carovana a Due ruote” e dei milioni di persone (12,5 la scorsa edizione!!) che lungo le strade d’Italia festeggeranno gli eroi del pedale.
Un’iniziativa, insomma, che mira a sconfiggere il dolore cronico, sia mettendo a disposizione del Sistema Sanitario dispositivi impiantabili sempre più efficaci per il dolore neuropatico, sia formando medici, infermieri, personale ospedaliero, ricercatori, sulle più comuni patologie che hanno nel “dolore” il principale problema fisico e sociale. Per testimoniare come si possa combattere e superare la sofferenza, l’attività della Fondazione è supportata dalla preziosa esperienza della campionessa mondiale di Sci Nautico per Disabili 2015/2016 Sabrina Bassi: paraplegica dal 2004, grazie alle moderne metodiche non invasive sperimentate da ISAL, tra cui la neurostimolazione, Sabrina è riuscita a sconfiggere il dolore e a conquistare prestigiose medaglie mondiali.
Tumore alla prostata: intervista al Prof. Pinto
PodcastDolore cronico, una tappa per batterlo al Giro d’Italia
Eventi d'interesse, News Presa, Ricerca innovazioneAl dolore cronico è dedicata una tappa speciale del Giro d’Italia, una tappa simbolica che consiste nell’informare i cittadini e promuovere una migliore conoscenza di questa condizione che si può affrontare oggi grazie a tecnologie avanzatissime. Il dolore cronico, spesso banalizzato e quasi sempre “sottovalutato”, colpisce il 26% della popolazione italiana e tra il 16 e il 46% della popolazione europea (circa 100 milioni di persone). Tanto per fare qualche esempio, ci sono persone che non sono mai riuscite ad accavallare le gambe, non hanno mai preso in braccio i propri figli e hanno convissuto, per anni, con mal di schiena, emicrania, endometriosi, artrosi e così via. Con un impatto devastante sulla vita quotidiana. L’iniziativa promossa in occasione del Giro d’Italia si intitola «Prossima Tappa: sconfiggere il dolore» ed è voluta da Boston Scientific (società ai vertici del settore biomedicale) e Fondazione ISAL, nata dall’Istituto di Formazione e Ricerca in Scienze Algologiche.
Sport e salute
Come ricorda il presidente della Fondazione Isal, William Raffaeli: «Lo sport è l’emblema della vita sana, del benessere, dell’equilibrio psico-fisico. Tuttavia, le sollecitazioni muscolo-scheletriche sono spesso la causa di un dolore acuto o, più pericolosamente, di un dolore subdolo e persistente (borsiti, infiammazioni, tendinopatie etc.). L’obiettivo che ci proponiamo con la presenza al Giro è quello di sensibilizzare tutti, sportivi e non, sulla tematica del dolore, per individuare le corrette diagnosi preventive e le terapie da adottare per una migliore qualità di vita». Non c’è da stupirsi, quindi, che di dolore cronico si parli in un contesto di straordinaria vitalità e passione, di grandi campioni e atleti superallenati come il Giro d’Italia, uno degli eventi sportivi più amati dagli italiani. Con una vettura caratterizzata e riconoscibile, il Team di ISAL e Boston Scientific seguirà l’intero percorso del Giro per dare informazioni, offrire spunti di riflessione, fornire aggiornamenti sulle formidabili innovazioni del settore biomedicale, a fronte delle nuove scoperte in materia di diagnosi preventiva e terapie non invasive. Molta strada è ancora da fare ma, oggi, sono disponibili trattamenti mirati con dispositivi impiantabili, come la “neurostimolazione spinale”, una soluzione terapeutica adottata nei pazienti per i quali il trattamento farmacologico o l’intervento chirurgico non si siano dimostrati efficaci, indipendentemente dal fatto che siano o meno degli sportivi.
Dolore neuropatico
Il materiale informativo disponibile presso il Team presente al Giro d’Italia è ampio, aggiornato, arricchito da immagini, video e contributi “live”. A disposizione degli atleti, di tutti coloro che per venti giorni vivranno direttamente le emozioni della “Carovana a Due ruote” e dei milioni di persone (12,5 la scorsa edizione!!) che lungo le strade d’Italia festeggeranno gli eroi del pedale.
Un’iniziativa, insomma, che mira a sconfiggere il dolore cronico, sia mettendo a disposizione del Sistema Sanitario dispositivi impiantabili sempre più efficaci per il dolore neuropatico, sia formando medici, infermieri, personale ospedaliero, ricercatori, sulle più comuni patologie che hanno nel “dolore” il principale problema fisico e sociale. Per testimoniare come si possa combattere e superare la sofferenza, l’attività della Fondazione è supportata dalla preziosa esperienza della campionessa mondiale di Sci Nautico per Disabili 2015/2016 Sabrina Bassi: paraplegica dal 2004, grazie alle moderne metodiche non invasive sperimentate da ISAL, tra cui la neurostimolazione, Sabrina è riuscita a sconfiggere il dolore e a conquistare prestigiose medaglie mondiali.
Uniti contro il nevo melanocitico congenito gigante
News PresaSi chiama Nevo melanocitico congenito gigante e fa registrare un solo caso ogni 40mila nuovi nati. La stima è approssimativa, ma bisogna comprendere che si muove in un campo dove nulla sembra essere certo, se non la difficoltà delle famiglie che si trovano a lottare contro la malattia (e talvolta contro il Sistema sanitario nazionale). Per rendere questa battaglia meno dura nel 2007 è nata l’associazione Naevus Italia onlus, tre famiglie che in 10 anni sono diventate centinaia, e la voce di quei bambini è arrivata fino a Roma. Uno dei problemi più grandi, come detto, è che ad oggi la malattia non è stata riconosciuta come rara, perché priva di una componente squisitamente tumorale. In altre parole, sino ad oggi la risposta della politica è stata quella di limitarsi ad un’esenzione con il codice «048», vale a dire quello delle malattie croniche e invalidanti. Il 27 dicembre scorso, il presidente di Naevus Italia onlus Luca Patè e il vicepresidente Corrado Gianì hanno scritto al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, chiedendo una posizione ufficiale.
Burocrazia
La notizia di questa esclusione è suonata come un’amara beffa, anche perché l’Istituto superiore di sanità, negli anni passati aveva certificato qualcosa di ben diverso.«Il parere espresso – dice Gianì – parlava di una malattia che sia per la rarità che per l’impegno assistenziale, ha le caratteristiche per essere proposta tra le patologie da inserire nel D.M. 279/2001» e spiegava che «la richiesta sarebbe stata valutata dal Gruppo Tecnico Interregionale Permanente per il coordinamento e il monitoraggio delle attività assistenziali per le malattie rare presso la Conferenza Stato Regioni». Poi però le cose sono andate in maniera differente. Quanto all’assegnazione del codice di esenzione 048, l’associazione chiede se questa direttiva sia stata recepita da parte dei presidi ospedalieri regionali e se sia quindi uniforme su tutto il territorio nazionale. «Le famiglie con figli colpiti da questa malattia – spiega Corrado Gianì – sono ancora oggi costrette a estenuanti viaggi della speranza, o se vogliamo della disperazione. E’ difficile anche solo riuscire ad avere una diagnosi precoce, troppo spesso i medici non sanno neanche come instradare il paziente verso un percorso preciso».
Livelli essenziali di assistenza
Ecco perché la battaglia dell’Associazione è quella di riuscire ad ottenere il riconoscimento di questa malattia nei Lea, garantire ai piccoli pazienti tutte le tutele legate alla legge 104 e arrivare presto al riconoscimento di malattia rara «I nostri obiettivi – continua Gianì – sono molto pratici, chiediamo anche protocolli terapeutici uniformi sul territorio nazionale, così che non ci siano più differenze tra pazienti nati in regioni diverse. Obiettivi concreti servono anche a migliorare la vita di questi piccoli pazienti che spesso subiscono enormi pressioni psicologiche da parte di un mondo che spesso guarda alla diversità con diffidenza. Il nevo melanocitico congenito gigante (NMCG) è come un voluminoso neo, tanto grande da prendere gran parte del corpo. Il problema, però, non è solo estetico: la malattia ha anche una componente tumorale. La letteratura scientifica ipotizza un rischio di insorgenza di melanoma del 5-10% fino al dodicesimo anno di età e comunque dell’1-3% nel corso della vita, rispetto all’incidenza dei soggetti «sani».
La politica
Ecco perché la speranza è che presto possa arrivare una decisione della politica. «Ciò che abbiamo spiegato nella lettera inviata al ministro Lorenzin – conclude il vicepresidente dell’associazione – è che l’’assenza di centri ospedalieri riconosciuti a livello nazionale produce un’incertezza diagnostica e terapeutica e un nomadismo estenuante per i pazienti, inefficiente ed antieconomico per l’intero Sistema Sanitario Nazionale. Quindi la necessità di includere la patologia non si ferma all’eventuale esenzione connessa, ma significa soprattutto un’adeguata diagnosi in età neonatale e l’applicazione di protocolli terapeutici da parte di centri sanitari specializzati. L’assenza di riconoscimento della patologia comporta anche gravi problemi sul piano dei rapporti di lavoro, perché vengono a mancare tutele e diritti di norma connessi per quanti in età infantile devono essere assistiti dai genitori a seguito degli interventi medici per la riduzione del nevo».
Cancro, «affamarlo» con la dieta per rendere più efficaci le terapie
News Presa, Ricerca innovazioneMangiare sano riduce di molto il rischio di sviluppare alcune forme di cancro, ma addirittura l’alimentazione potrebbe aiutare chi contro un tumore ci sta già lottando. Il concetto alla base di uno studio svolto sugli animali presso il Cancer Research UK Beatson Institute e la University of Glasgow, e pubblicato sula rivista Nature, è quello di «affamare» le cellule tumorali eliminando in maniera altamente controllata cibi che contengono particolari amminoacidi. In particolare le sostanze da eliminare sono la «serina» e la «glicina», che non sono essenziali nel senso che il nostro corpo è capace di produrli da sé. Gli amminoacidi sono i mattoncini di base delle proteine e l’organismo umano non è in grado di produrli tutti, ma alcuni deve assumerli attraverso l’alimentazione. Questi sono detti amminoacidi essenziali. Questo meccanismo pare essere in grado di favorire il successo delle cure, rendendo la malattia più suscettibile alle terapie.
Verso i trial clinici
Non è questo il caso di serina e glicina che le cellule sane del nostro corpo sono in grado di produrre da sé, ma non quelle malate di certi tumori. Ecco perché togliendo tali amminoacidi si «affama» il cancro ma non le cellule sane. Gli esperti hanno studiato linfomi e tumori intestinali su topolini e li hanno alimentati con una dieta priva di serina e glicina vedendo che il tumore rallenta la sua crescita e diventava più suscettibile ai farmaci convenzionali oggi in uso. Il prossimo passo, spiegano gli autori della ricerca, sarà allestite dei tria clinici su pazienti per vedere se diete rigidamente controllate (preparate e gestite da medici esperti) e prive di questi amminoacidi possano conferire un qualche vantaggio terapeutico al paziente.
Dieta Mediterranea
Al di là di questi studi innovativi, da tempo è risaputo che i benefici della Dieta Mediterranea nella prevenzione del cancro sono molti. Diversi studi hanno dimostrato che uno stile alimentare ispirato ai princìpi della Dieta Mediterranea è in grado di ridurre il rischio di ammalarsi di cancro. La Dieta Mediterranea, grazie all’elevato contenuto di grassi insaturi, fibre, vitamine e oligoelementi, con azione anti-radicali liberi, ha un importante potere anti-infiammatorio e anti-ossidante.
Hpv: senza vaccino 85 volte più a rischio tumore
Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione“Il vaccino anti- hpv riduce del 70% l’insorgenza del tumore all’utero”: Massimo Andreoni, professore Ordinario di malattie Infettive della facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli studi di Roma Tor Vergata e Past President della Simit (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali), commenta i dati emersi dagli studi scientifici. Sugli effetti, spiega: “occorrerebbe capire la natura degli effetti a distanza di un vaccino. Nessuno può confermare che questi non sarebbero comunque insorti, anche senza la somministrazione”. Tra 8 mila donne vaccinate solo una si è ammalata di cancro. Tra un numero analogo di donne che hanno ricevuto placebo, e quindi non vaccinate, si sono registrati 85 casi di lesione precancerosa. Lo scopo è di fare chiarezza sul rapporto rischi-benefici, in occasione della Settimana mondiale dedicata proprio alle vaccinazioni.
“Non è chiaro cosa porti le persone a non vaccinarsi – ha aggiunto il professore – evidentemente c’è una colpa dei medici e delle strutture sanitarie nazionali che non riescono a far comprendere il reale valore di questi strumenti. Ma è grave che si sia più attenti a ciò che i mezzi di informazione riferiscono, a volte in maniera incongrua, come spesso accade su siti dalla dubbia validità giornalistica”. Poi continua: “sono bastate poche segnalazioni di manifestazioni post vaccinali, spesso difficilmente attribuibili allo stesso, per scatenare una sorta di gogna mediatica. Il vaccino per il papilloma virus (Hpv), occorre ricordarlo, è in grado di prevenire l’infezione, e di ridurre così il rischio di sviluppo del tumore dell’utero. Basti pensare che il 70% dei carcinomi uterini sono dovuti a dei virus per i quali il vaccino ci immunizza”. “Gli eventi avversi alla vaccinazione – conclude – sono mediamente eventi semplici: da un lieve rialzo febbrile ad un arrossamento nel punto dell’inoculazione del vaccino. Gli eventi gravi sono eccezionali, rarissimi, ma questo vale per qualsiasi somministrazione di un farmaco”.
Quando il cinema fa prevenzione sui problemi di coppia
News Presa, PrevenzioneDai campi di calcio alle sale cinematografiche: dopo le partite della campagna «L’Amore in gioco», che ha visto insieme andrologi e cantanti per la prevenzione e la solidarietà, la Società Italiana di Andrologia arriva al grande schermo. Il film ideato, diretto e interpretato da Gaetano Gennai (con la regia di Igor Buddai e distribuito dalla Cecchi Gori Home Video) racconta le peripezie dei 4 protagonisti, che dopo la morte di Carlo Conti, vengono convocati dal notaio che leggerà il testamento del conduttore. Scoprono così che le ultime volontà dell’amico defunto è che siano loro a realizzare un format tv dedicato alla comicità toscana. Da questo momento, tra casting improbabili e organizzazione dello show, ne combineranno di tutti i colori imbattendosi in una banda di svitati. La divertente pellicola si avvale della partecipazione amichevole dello stesso Carlo Conti e di Massimo Ceccherini, oltre a un nutrito cast di attori comici e delle musiche di Pinuccio Pirazzoli.
A lavoro per la prevenzione
«Da oltre 20 anni – spiega Alessandro Palmieri, presidente SIA – promuoviamo campagne di sensibilizzazione servendoci di strumenti e linguaggi sempre più attuali e vicini alle persone, dalla Tv ai social, dal web al calcio, per veicolare i messaggi di prevenzione e “parlare” agli uomini in modo semplice ed efficace. Oggi si presta per la prima volta a essere promossa nei cinema italiani attraverso il film Smile Factor, per migliorare la conoscenza dell’andrologo e far riflettere con umorismo e ironia sull’importanza di rivolgersi tempestivamente allo specialista se qualcosa non va sotto le lenzuola».
Medici e cinema
In questo contesto si inserisce la partecipazione dei due specialisti che interpretano rispettivamente il ruolo di un andrologo e quello di un paziente. La scena di cui sono protagonisti fotografa quello che quotidianamente succede negli studi degli andrologi. Palmieri, infatti, si trova alle prese con il paziente – tipo, interpretato da Mondaini, che impersona un marito con evidenti problemi legati alla sfera sessuale, ma che al tempo stesso li minimizza e li nega. «Come spesso avviene nella realtà, è la moglie che prende appuntamento con il medico e trascina l’uomo con sé», commenta Nicola Mondaini, consigliere nazionale SIA. «Attraverso questo piccolo ruolo, la Società Italiana di Andrologia si propone di stimolare gli uomini a superare il tabù del silenzio e della ritrosia nell’affrontare con il medico i problemi legati alla sfera sessuale che non solo sono sempre più frequenti ma possono essere curati facilmente, soprattutto se affrontati all’inizio della sintomatologia».
Niente tabù
«Questa nostra breve apparizione mira a far comprendere in modo semplice ed efficace quanto sia controproducente e dannoso illudersi di risolvere da soli il proprio disagio per l’imbarazzo o la vergogna di discuterne con il medico, e come sia invece essenziale e risolutivo il dialogo con l’esperto», precisa Palmieri «Purtroppo appena 1 italiano su 10 sa chi sia l’andrologo e di che cosa si occupi e mentre la donna decide in una settimana di rivolgersi al ginecologo per eseguire dei controlli l’uomo impiega anche 2-3 anni. E questa riluttanza è presente anche nei giovani: si stima, infatti, che il 25-30% degli under 18 abbia già un disturbo sessuale che può compromettere la fertilità e che sarebbe rimediabile facilmente, se riconosciuto in tempo. Speriamo che la breve scena di un film contribuisca a migliorare la comunicazione e il rapporto di fiducia tra medico e paziente e a far riflettere sorridendo»
Cannabis terapeutica, presto un’applicazione dermatologica
News PresaSi chiama cannabis terapeutica ed è né più né meno di quello che la parola lascia intendere, vale a dire cannabis utilizzata come terapia per alcune malattie. Un tema estremamente controverso, perché ad oggi c’è ancora chi non riesce a svincolarsi dall’idea che una droga, sebbene prescritta da un medico per ragioni ben precise, non possa essere considerata un medicinale. Comunque la si pensi, la cannabis viene già utilizzata per il trattamento della nausea, del dolore e delle infiammazioni, la notizia è che potrebbe avere un futuro anche come farmaco contro problemi della pelle come psoriasi e dermatite. A confermarne l’efficacia, uno studio pubblicato sul Journal of American Academy of Dermatology.
Azione antinfiammatoria
I ricercatori della University of Colorado School of Medicine, guidati da Robert Dellavalle, hanno esaminato le prove esistenti di questa associazione in letteratura scientifica. Il team ha osservato un legame tra l’iniezione con tetraidrocannabinolo (THC), il composto psicoattivo della cannabis, e una riduzione di malattie della pelle, tra cui la psoriasi, prurito, dermatite atopica e da contatto. Il ruolo positivo, concludono, deriverebbe dal fatto che l’infiammazione risponde positivamente alle note proprietà anti-infiammatorie della cannabis. Inoltre risultava ridotta anche la crescita del tumore nei topi con il melanoma, la forma più letale di tumore della pelle. La maggior parte degli studi inclusi nella revisione hanno coinvolto modelli animali, mentre, sottolineano gli autori, studi clinici su larga scala per valutare la sicurezza e l’efficacia dell’uso topico di cannabinoidi per la cura di malattie della pelle negli esseri umani devono ancora essere condotti. Tuttavia, concludono i ricercatori, nel frattempo i soggetti che non rispondono ad altri farmaci potrebbero beneficiare dall’uso di derivati del THC.
La battaglia
Sul tema della cannabis ad uso terapeutico si batte da tempo l’Associazione Luca Coscioni, che mira a promuovere l’accesso ai farmaci cannabinoidi sia attraverso un accesso gratuito ai farmaci che possono esser prescritti, sia attraverso la regolamentazione della coltivazione personale da parte del paziente-coltivatore. L’Associazione, insieme ad altre, conduce una battaglia politica perché il libero accesso ai farmaci cannabinoidi sia reso effettivo, sia attraverso un accesso immediato e gratuito ai farmaci, sia attraverso la regolamentazione dell’autocoltivazione, cioè della coltivazione ai fini esclusivi di utilizzo terapeutico da parte del paziente-coltivatore.
Sei stato uno scout? Avrai migliore salute mentale dopo i 50 anni
Bambini, News Presa, Prevenzione, Psicologia, SportChi da piccolo è stato uno scout, da grande avrà meno rischi di sviluppare malattie mentali una volta arrivato ai 50 anni. Sviluppare qualità come il saper contare su se stessi, riuscire a fare il lavoro di squadra, risolvere e desiderare di imparare e fare molte attività all’aperto pone le basi per un miglior benessere mentale oltre che fisico.
È la sintesi che emerge da uno studio dell’università di Edimburgo, pubblicato sul Journal of Epidemiology and Community Health.
I risultati, estrapolati da una vasta ricerca condotta su quasi 10.000 persone nate nel novembre 1958 nel Regno Unito, hanno mostrato che chi apparteneva agli scout da bambino aveva una migliore salute mentale a 50 anni. Circa un quarto dei partecipanti allo studio era stato negli scout e aveva il 15 per cento in meno di possibilità di soffrire di ansia e disturbi dell’umore rispetto agli altri.
La ragione è soprattutto nel fatto che le attività svolte grazie questo tipo di organizzazioni aiutano a sviluppare la capacità di recupero contro i comuni stress e aumentano le chance di avere più successo nella vita. Si tratta di esperienze capaci di ridurre le esperienze stressanti. “E’ abbastanza sorprendente riscontrare questi benefici nelle persone molti anni dopo che hanno terminato la loro esperienza negli scout”, commenta Chris Dibben, coordinatore dello studio.
Morbillo, dagli Stati Uniti un allarme per chi viaggia in Italia
News Presa, PrevenzioneMalattie infettive, l’Italia è entrata nella blacklist statunitense. Con una nota molto chiara, il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie di Atlanta(Cdc) raccomanda che «i viaggiatori in Italia si proteggano, facendo in modo a essere vaccinati contro il morbillo. Ottenere vaccino contro il morbillo è particolarmente importante per i neonati 6-11 mesi (1 dose di vaccino contro il morbillo) e bambini di 1 anno di età o più anziani (2 dosi di vaccino contro il morbillo). I medici dovrebbero considerare la possibilità di un’infezione da morbillo nel trattamento di pazienti con febbre ed eruzioni cutanee, soprattutto se il paziente ha recentemente viaggiato a livello internazionale». La nota del Cdc.
In campo con piani innovativi
Nella capitale per l’Achieving health through anti-infective defense, rappresentanti di istituzioni, autorità regolatorie, associazioni pazienti e clinici hanno fatto il punto sulle strategie di contrasto che il nostro Paese sta mettendo in campo contro le malattie infettive, mostrando una grande capacità di innovazione, grazie a scelte all’avanguardia in Europa, come il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, approvato all’inizio dell’anno, e il Piano contro la resistenza agli antibiotici, il cui varo è imminente.
Un allarme attuale non solo per il morbillo
«Le malattie infettive rappresentano tuttora un capitolo rilevante in termini di incidenza e mortalità in Italia», ha detto nell’occasione Walter Ricciardi, Presidente Istituto Superiore di Sanità (ISS). «L’Italia è maglia nera per quanto riguarda le resistenze di germi come le klebsielle e altri batteri Gram negativi nei confronti di diversi antibiotici, primi fra tutti i carbapenemi. Ma anche malattie virali prevenibili, come ad esempio l’influenza, possono causare indirettamente migliaia di decessi ogni anno, per complicanze batteriche o cardiovascolari. Le emergenze infettivologiche poi costituiscono un caso a parte, e il caso meningite in Toscana, solo uno dei tanti episodi che siamo costretti ogni anno a fronteggiare».
Cancro, il futuro delle cure è nei farmaci immuno-oncologici
News Presa, Ricerca innovazioneIn fatto di cura dei tumori l’ultima frontiera è quella dei farmaci immuno-oncologici. Ma cosa si intende per immunoterapia in oncologia? Lo spiega in maniera molto chiara Danilo Rocco, oncologo polmonare in forza all’Azienda ospedaliera dei Colli (e in particolare al Monaldi di Napoli). «Questa particolare terapia – dice – è esplosa nel momento in cui sono state scoperte molecole in grado di bloccare quelli che in gergo medico vengono definiti gli “immuno-check point”. Si tratta di meccanismi di controllo messi in atto dal tumore per eludere la risposta immunitaria. I progressi dell’immuno-oncologia stanno rivoluzionando i percorsi terapeutici nel trattamento del tumore polmonare. Si va sempre più concretizzando la possibilità di ridurre il ricorso alla chemioterapia e avere accesso a farmaci innovativi caratterizzati da una migliore tollerabilità».
Nuove prospettive
Non è un caso che già da un po’ di tempo l’immunoterapia sia considerata una strada privilegiata e il futuro della lotta al cancro. Anzi, la forma più incoraggiate – visti i risultati – della lotta al cancro. Ora l’immunoterapia, che in sostanza punta a rafforzare le difese del sistema immunitario contro il tumore, sta per scrivere nuovi capitoli dell’oncologia medica. Un esempio di quanto questa nuova frontiera possa garantire risultati sino a qualche tempo fa impensabili arriva dalla lotta al melanoma. In questo caso i risultati clinici parlano di una sopravvivenza raddoppiata nei pazienti metastatici.
Esperti a confronto
I farmaci immuno-oncologici, la strada verso il futuro per la cura di alcuni tipi di tumore al polmone. Per “Save the Date”, due giorni a Roma 19-20 Aprile, dedicati al polmone, una specie di stati generali italiani dell’immuno-oncologia. Nel corso della due giorni i migliori esperti del campo si confronteranno sulle nuove possibilità terapeutiche dando vita ad un confronto fondamentale per la condivisione di strade sempre più efficaci nella lotta ai tumori.