Tempo di lettura: 4 minutiLa sanità rappresenta circa il 9% del PIL dei Paesi europei. La corruzione e le frodi sono i pericoli maggiori. Per avere un confronto sul tema e mettere insieme strategie comuni, in questi giorni si sono riuniti, per la prima volta in Italia, circa 50 delegati di 14 Paesi europei in un summit internazionale organizzato da EHFCN – European HealthCare Fraud & Corruption Network.
Nel corso dell’incontro è stato presentato il volume “Healthcare Fraud, Corruption and Waste in Europe” contenente l’analisi di dettaglio di diversi Paesi relativi a frode, sprechi e abusi nell’assistenza sanitaria. All’interno del registro, l’Italia ha pubblicato – insieme a Belgio, Francia, Regno Unito, Polonia, Portogallo, Paesi Bassi, Lituania e Slovenia – il proprio “Rapporto Nazionale su Corruzione e Frode in Sanità”, fenomeno che solo nella Penisola manda in fumo, secondo i dati dell’Istituto per la promozione dell’etica in sanità, circa 6 miliardi di denaro pubblico.
Dall’analisi dei differenti Rapporti nazionali dei Paesi europei si evidenzia come i tipi di frode più diffusi siano soprattutto la non conformità alle regole di fatturazione e, più in particolare, la fatturazione di servizi sanitari mal o mai erogati. Per esempio, solo nel Regno Unito, 4.819 episodi di frodi sono state registrate a danno del sistema sanitario dalle autorità competenti, nel biennio 2014-2015. Una media di 402 casi al mese, laddove per ‘frode’ si intende abuso d’ufficio, corruzione e illeciti economici (bribery, corruption and illegal economic crimes). In Francia, l’attività anticorruzione di Stato dell’Assurance Maladie ha recuperato 220 milioni di euro a favore delle casse d’oltralpe nel 2016 e nell’anno precedente, circa 231.5 milioni. In Belgio, l’autorità d’ispezione sanitaria governativa – il MEID – ha individuato ben 1.225.585 infrazioni, nel 2015.
“Va sottolineato che i dati contenuti nel HealthCare Fraud, Corruption and Waste in Europa sono difficili da confrontare a causa di differenti metodi di valutazione vigenti– ha dichiarato Renè Jansen, Presidente EHFCN – Al fine di uniformare i criteri di analisi e controllo della corruzione a livello europeo, EHFCN ha messo a punto la ‘matrice di tipologia degli sprechi’ un importante strumento d’analisi per la segnalazione della frode sanitaria, che consente standard uniformi e di cui auspichiamo la diffusione nei Paesi del Network Europeo.”
“Il Rapporto OCSE ha evidenziato di recente che tra sprechi, inefficienze e corruzione i sistemi sanitari sprecano un quinto delle risorse. L’analisi del rapporto EHFCN presentato oggi, fa emergere che nella maggior parte dei sistemi sanitari europei si registra la diffusione di frodi, mentre, in Italia, il fenomeno corruttivo ha assunto ormai una dimensione strutturale. – ha dichiarato Francesco Macchia, Presidente di Ispe-Sanità – Questo, in ragione della differente natura dei rispettivi servizi, finanziati in prevalenza dalla fiscalità generale nei Paesi del Sud dell’Europa e su base soprattutto assicurativa nel Nord Europa. A impostazioni differenti, corrispondono, quindi, reati differenti. Infatti, in molti dei Paesi nordeuropei sono sotto osservazione le irregolarità contabili, seguite da quei casi legati a frode su procedure d’acquisto e appalti pubblici nel settore sanitario, mentre nel Sud Europa prevalgano gli episodi di corruzione e favoreggiamento. In ogni caso, in un contesto di crescente integrazione europea, solo l’elaborazione di strategie che partono dal confronto dei sistemi nazionali può fornire soluzioni generali per difendere il sistema sanitario europeo, che rappresenta circa il 9% del PIL dei Paesi europei”.
Il confronto ha messo in luce i punti comuni e gli elementi di differenza, le opportunità di miglioramento e gli ostacoli da superare per mettere in campo politiche e strumenti operativi condivisi a livello europeo, con lo scopo di contrastare efficacemente il fenomeno diffuso della corruzione, delle frodi e degli sprechi in Sanità. Più in dettaglio, sono stati riconosciuti dai rappresentanti dei 14 Paesi, i punti di forza delle organizzazioni anticorruzione e frode – sia istituzionali che non governative – l’acquisita capacità organizzativa concentrata sui controlli e sull’attività delle unità antifrode a vario livello. Ugualmente, si è sottolineata la grande capacità di sensibilizzare il pubblico, promuovendo il sostegno dei cittadini all’azione antifrode in sanità.
Allo stesso modo, sono stati individuati gli elementi critici comuni ai Paesi riuniti da EHFCN nella lotta alla corruzione e alle frodi in sanità. In primo luogo, la mancanza di una cultura antifrode e anticorruzione che sia positiva ed efficace nell’ambito della sanità, seguita da una certa complessità e incertezza delle normative antifrode e anticorruzione. Poi, spicca la mancanza di finanziamenti strutturali e di risorse umane; l’eccessiva dispersione di compiti tra le parti interessate – stakeholder – e l’esigenza imperativa di una comunicazione tra queste organizzazioni più puntuale ed efficace; l’insufficienza di strumenti per analizzare i dati digitali e la mancanza di dati digitalizzati nella formazione del processo decisionale o durante la fase di supervisione; infine, la natura del sistema DRG (pay per performance) può rappresentare un incentivo potenziale al sovra-consumo di servizi sanitari.
Le principali opportunità da sviluppare per migliorare nella lotta comune e coordinata alle frodi e alla corruzione invece si concentrano sul ruolo di una più ampia collaborazione internazionale, come lo scambio d’informazioni, metodi e best practices da condividere, per facilitare e professionalizzare le attività anti-frode e promuovere l’uso efficiente dei servizi sanitari pubblici. Seguono: una più approfondita professionalizzazione dei principali stakeholder, specialmente riguardo le unità di controllo e anti-frode; lo sviluppo della sanità digitale e la semplificazione dei sistemi di pagamento digitalizzati; l’attuazione di piani nazionali per combattere la corruzione e promuovere in modo appropriato la trasparenza, come accade in Italia attraverso ANAC; riforme legislative e miglioramento nella trasparenza in materia di diritti dei pazienti e nelle procedure d’acquisto.
Infine, è percepito come rischio comune a tutti i Paesi, pur nelle differenze, la potenziale caduta del sostegno pubblico e politico che può portare ad un rallentamento delle riforme organizzative, istituzionali o legislative necessarie.
“Un’osservazione finale, ampiamente citata nei 9 Rapporti nazionali raccolti da EHFCN – conclude Paul Vincke, managing director di EHFCN – riguarda i pazienti. Aumentare la consapevolezza dei cittadini, avvicinando loro comprensibilità e reperibilità delle informazioni e migliorando la trasparenza dei servizi sanitari, rafforzerà la posizione del paziente come stakeholder chiave nella prevenzione di frode, abusi e corruzione in materia di assistenza sanitaria, nel prossimo futuro”.
A conclusione dell’incontro, il presidente EHFCN ha dichiarato che “EHFCN continuerà a sviluppare standard uniformi per la segnalazione della frode sanitaria, consentendo un confronto e un benchmarking sostanziali tra tutte le organizzazioni dei 14 Paesi coinvolti. EHFCN continuerà ad essere anche una piattaforma per lo scambio tra i servizi contro la frode ai fini della condivisione delle migliori pratiche e informazioni pertinenti in merito all’individuazione degli autori di frode e delle pratiche fraudolente.”
*dati relativi al 2014, con errori rilevati in prima istanza e successivamente corretti durante il processo di pagamento
Lavoro flessibile: alla lunga fa male alla salute
PrevenzioneIl lavoro precario alla lunga provoca effetti dannosi per la salute. A questa conclusione sono arrivati gli studiosi di Aberdeen che hanno analizzato la vita lavorativa di 2.300 lavoratori inglesi per capire se periodi prolungati di precarietà incidano sul benessere fisico. «I risultati sono impressionanti e coerenti», scrivono. È emerso che – per ogni parametro di salute esaminato – più tempo un lavoratore ha trascorso con un contratto flessibile più ha avuto problemi, in una percentuale decisamente superiore a quella dei lavoratori con contratto stabile.
Insomma, il lavoro iperflessibile non è sinonimo di benessere e Ioannis Theodossiou e Keith Bender dell’università di Aberdeen lo hanno provato scientificamente nel loro studio The Unintended Consequences of Flexicurity: The Health Consequences of Flexible Employment.
L’ufficio nazionale di statistica ha calcolato che in Inghilterra più di 900 mila persone ormai lavorano con i cosiddetti zero-hours contracts, i contratti a zero ore, che non prevedono nemmeno un minino orario settimanale. Introdotti per andare incontro alle esigenze di flessibilità delle imprese, stanno diventando la forma più diffusa di nuova occupazione, tema molto discusso anche durante l’ultima campagna elettorale.
L’incertezza a cui sono sottoposti questi lavoratori provoca forti livelli di stress, con conseguenze negative sul loro stato di salute.
I risultati
A partire dall’ottavo anno di occupazione, le persone che hanno lavorato per almeno il 50% del tempo con contratti flessibili, hanno manifestato un peggioramento generale delle loro condizioni di salute. Per i ricercatori, le conseguenze sulla salute pubblica dell’incremento esponenziale della precarietà lavorativa potrebbero essere costose e molto deleterie per tutta la società.
Secondo gli studiosi, l’iperflessibilità comporta un alto prezzo in termini di aumento della spesa pubblica per la sanità e il crollo della produttività.
Internet della salute. L’economia e i nuovi pericoli
Nuove tendenzeInternet e la tecnologia ridisegnano l’economia e la struttura di ogni settore, incluso quello sanitario. Tramite telefonino, con un’app si ha accesso a servizi per la salute di ogni tipo: dalle semplici informazioni mediche alle consulenze specialistiche e si possono addirittura gestire le cronicità.
A seconda della funzione viene chiamata: telemedicina, ehealth o sanità digitale. I medici dall’altra parte hanno accesso a una banca dati immensa e possono collaborare a una ricerca in remoto, partecipare a teleconferenze e scambiarsi consulti. È stato stimato che a parità d’investimento si avrebbe un risparmio di oltre 7 miliardi nella spesa sanitaria annua, il 65% dei cittadini infatti è stato calcolato che sia favorevole alla “e-medicine”.
Al di là dell’economia, ci sono poi gli aspetti negativi. Spesso i pazienti si affidano al web per avere pareri medici e fare diagnosi. Viene definita cybercondria, ad esempio, la tendenza delle persone a cercare i sintomi di malattie e convincersi di averli. Il 35% degli italiani ricorrono al dottor Google prima di consultare un medico. Dalle ricerche emerge che tra gli argomenti più citati nei principali motori di ricerca ci sono quelli relativi a: medicina, terapie, effetti collaterali e sintomi. Uno dei rischi maggiori è quello di imbattersi in blog, forum o siti di opinionisti e sostenitori di terapie prive di attendibilità. La rete tende ad amplificare ogni tendenza e da internet nasce il discusso fenomeno delle “health fake news” guidato spesso da gruppi di contestatori della medicina ufficiale. Un caso tra i più noti è la nascita degli “antivaccinisti”. Infatti la disinformazione su internet può correre anche più velocemente della corretta informazione.
Tra i pericoli ci sono anche le cyber-sette che inneggiano all’anoressia o altri disturbi e proponendo diete e metodi per peggiorare la malattia. La rete in questo caso unisce in maniera pericolosa utenti affetti dallo stesso disturbo. Per non parlare poi dei seguaci delle cure naturali per il cancro e per il diabete. In generale, le persone fragili e toccate da situazioni personali difficili possono diventare preda di fanatici e truffatori.
Le conseguenze , come riporta la cronaca, possono essere in certi casi drammatiche.
I piccoli ospedali sono pericolosi per l’emergenza
News PresaI piccoli ospedali? Non andrebbero mai scelti per le emergenze. A dare questo indirizzo è la Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM), particolarmente impegnata nel suggerire una proposta di dislocazione dei presidi che tenga conto dei tempi di percorrenza di tutti i cittadini residente nella regione, in modo che possano raggiungere entro 1 ora (la cosiddetta «Golden Hour») un presidio ospedaliero dotato di attrezzature adeguate e personale sempre presente h24- 365gg. Un ospedale nel quale il paziente possa essere trattato con tempestività e in maniera completa. Dopo un’ora, infatti, la metà dei pazienti non è più salvabile. Questo è un modello sul quale si sta lavorando ad esempio in Toscana e Sicilia.
Più vicino non significa migliore
«I pronto soccorso nei piccoli ospedali non possono, per loro natura, garantire tutte le assistenze specialistiche – dice Roberto Grassi, ordinario dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli – molto spesso costringono i pazienti a successivi trasferimenti in ospedali più attrezzati. ll paziente in emergenza non deve essere trasportato al più vicino pronto soccorso, dove non sono sempre garantite né attrezzature né professionalità sufficienti, ma nell’ospedale che realmente possa offrire tutte le cure necessarie. E quest’ultimo deve essere raggiungibile entro un’ora, in modo che qualsiasi tipo di urgenza, ictus, emergenza cardiaca, trauma addominale, riceva assistenza adeguata e certezza della presa in carico. In Toscana, ad esempio, 5 presidi sono sufficienti a garantire alla popolazione una vera rete per l’emergenza. I piccoli ospedali devono essere assegnati a funzioni diversa dalla emergenza. È questo il modello che la Toscana, fra le prime regioni a farsene carico, ha disposto con proprie deliberazioni, per conseguire un solo obiettivo: garantire per le emergenze la migliore assistenza possibile per ogni tipo necessità. Bando ai lacciuoli elettorali e si vada diritto verso una vera riorganizzazione che tuteli i pazienti e non i voti dei politici locali». Solo quando si riducono al minimo «i tempi morti», evitando la perdita di minuti preziosi e portando il paziente negli ospedali che realmente hanno le competenze mediche specialistiche e tecnologiche adeguate, possono evitarsi esiti drammatici. La speranza è che per ogni regione d’Italia possano essere individuati gli ospedali realmente dedicati all’emergenza e si individuino gli assi viari maggiori secondo i quali possano essere calcolati i tempi necessari ad ogni paziente per potere raggiungere il centro più idoneo alle cure.
Le mappe isocrone
A confermare le problematiche dovute alla persistenza di attività di pronto soccorso nei piccoli ospedali periferici è il dottor Carmelo Privitera, presidente SIRM. «Nei piccoli ospedali – spiega – l’assenza degli specialisti di supporto come radiologi interventisti, chirurghi vascolari, neurochirurghi e tanti altri, genera un disagio grande. E’ necessario riorganizzare tempestivamente la rete dell’emergenza sul territorio». La SIRM si è fatta carico di elaborare delle mappe «isocrone» per ogni regione, nelle quali sono individuati i presidi funzionalmente adatti alla rete dell’emergenza e le aree servite. Il colore rosso individua i quartieri o i comuni che lo raggiungono entro 15 minuti, il rosa entro mezz’ora ed il rosso entro un’ora. Una proposta che vuole suggerire un metodo per individuare in modo oggettivo dove è auspicabile allocare le unità di radiologia interventistica, sempre aperte, con personale in guardia attiva e con attrezzature adeguate al numero di accessi, per trattare tempestivamente ed indifferentemente tutte le urgenze neuro, cardio o addominali.
Campania, una sanità allo sbando?
News PresaFormiche e scarafaggi in ospedale. E’ questo lo stato di salute della sanità campana? A leggere le notizie che da giorni ormai sono su tutti i quotidiani e le Tv non solo locali, ma anche nazionali, è così. L’immagine che passa è quella di una donna stesa nel proprio letto di degenza e sopraffatta da un plotone di formiche. Oppure di ospedali come il San Giovanni Bosco «invasi di zanzare», con blatte in ogni angolo pronte a precipitarsi sui pazienti al calar delle tenebre. Insomma di una Campania in ginocchio.
Come in Ben Venuti al Sud
Qualcuno ricorderà il fortunatissimo film Benvenuti al Sud, diretto da Luca Miniero, remake del film francese del 2008 Giù al Nord. Nel film vengono rappresentati con brillante ironia gli stereotipi che da sempre dividono il Paese. E allora Alberto Colombo (Claudio Bisio) si ritrova a “scendere” nel profondo Sud con un giubbotto antiproiettile per evitare di restarci secco nelle perenni sparatorie alle quali i meridionali sono abituati. Salvo scoprire che la Campania, dove certo ci sono moltissimi problemi, non è esattamente come rappresentata da Tv e giornali. Né tanto meno è come disegnata da stereotipi e pregiudizi. Insomma, l’errore è voler fare di tutta l’erba un fascio.
Responsabilità politiche
Ciò che sorprende, e non in maniera positiva, è l’assoluta incapacità dei politici di fare politica (nel senso alto del termine – ammesso che ne esista ancora uno). Al diritto, anzi al dovere, di denunciare quanto accade si dovrebbe accompagnare anche la capacità di incoraggiare un dibattito costruttivo, alimentare un circolo virtuoso di idee e progetti. Vogliamo esagerare? Servirebbe la capacità di fare nell’interesse della gente. Assistiamo invece a livello regionale alla celebrazione di quello che è divenuto ormai uno sport nazionale, chi ha la maggioranza governa e le opposizioni stanno sedute sulla sponda del fiume in attesa che passi il cadavere. Invece di dimostrare di saper fare, si vuole dimostrare che l’altro non è capace di fare. Del resto così è più comodo.
Il Caso San Paolo
Senza voler tornare ancora una volta sul fatto di cronaca, che è vergognoso, si deve però riflettere sulle circostanze che hanno permesso ad una condizione simile di verificarsi. Un rimpallo di responsabilità, il classico muro di gomma, fatto di cambi della guardia, paura di assumere decisioni impopolari e voglia di sfuggire alle responsabilità. Fortunatamente la Campania, e la sanità campana, non è solo questo. E’ moltissimo altro, fatta di gente che ha voglia di riscatto, ha voglia di fare e di cambiare. La cosa migliore che possa succedere in questa regione è che ci si riesca a liberare per sempre di persone che «io non c’ero, e se c’ero non ho visto e se ho visto non ho pensato che toccasse a me intervenire».
Rischio demenza aumenta se a mezza età si lavora di notte
AnzianiLe persone di mezza età che lavorano su turni o che passano a un impiego notturno sarebbero più a rischio di soffrire di demenza. Lo ha dimostrato uno studio presentato a SLEEP 2017, l’incontro annuale dell’American Academy of Sleep Medicine e della Sleep Research Society, che si è svolto a Boston. I risultati sono stati riportati da Reuters Health.
La ricerca
Un gruppo di ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma,coordinati da Kathleen Bokenberge, ha esaminato la relazione tra il lavoro su turno e la demenza in due gruppi di pazienti: lo Swedish Twin Registry (STR) e lo Screening Across the Lifespan Twin (SALT). Il primo, STR-1973, comprende 13.283 partecipanti nati tra il 1926 e il 1943. Questi avevano almeno 30 anni nel 1973, quando hanno ricevuto un questionario che richiedeva informazioni sul tipo di lavoro che svolgevano e da quanti anni. Nel secondo gruppo, invece, ci sono 41.610 partecipanti nati tra il 1900 e il 1958. Questi, tra il 1998 e il 2002 sono stati intervistati telefonicamente sulla storia e la durata del lavoro notturno che svolgevano. I ricercatori hanno quindi consultato i registri nazionali svedesi sulla salute pubblica per cercare i casi con diagnosi di demenza che coinvolgevano i partecipanti.
Il follow-up medio per il gruppo STR-1973 è stato di 41 anni, mentre per il campione SALT è stato di 14, durante i quali i ricercatori hanno identificato, rispettivamente, 983 (7,4%) e 2.033 (5%) casi di demenza. Dall’analisi dei dati è emerso che l’incidenza della demenza sarebbe associata al lavoro su turni, con un tasso di rischio di 1,4, e al lavoro notturno, con un rapporto di 1,13. Inoltre, non sarebbe la durata nel lavoro su turni o notturno a determinare un aumento del rischio di demenza nelle persone di mezza età.
Secondo Camilo Ruiz, portavoce dell’American Academy of Sleep Medicine di Darien, “questi risultati non sono sorprendenti e sono coerenti con la teoria secondo la quale il lavoro notturno è in conflitto con i nostri ritmi circadiani”.
Medici dritti «al cuore del diabete»
PrevenzionePronti ad andare «Al cuore del diabete». Lo slogan è un gioco di pare con il quale si celebra la quindicesima ed ultima tappa del progetto supportato da Boehringer Ingelheim Italia e Eli Lilly Italia, nato con l’obiettivo di mettere in luce l’importanza della correlazione tra diabete e rischio cardiovascolare. Di scena oggi a Napoli, il progetto di formazione rivolto ai medici ha previsto un tour itinerante che si è mosso dal Piemonte alla Sardegna. Un messaggio importante per affrontare un tema importante. Basti pensare che nel mondo una persona su due con diabete di tipo 2 muore per un evento cardiovascolare. Nei diabetici, infatti, il rischio di malattia cardiovascolare è da 2 a 4 volte superiore rispetto a chi non è affetto da questa patologia.
Nuove armi
Oggi la comunità medico-scientifica ha a disposizione un’opzione terapeutica – un inibitore del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 -SGLT2 – in grado di coniugare l’azione antidiabetica con i benefici dimostrati sulla riduzione della mortalità e morbilità cardiovascolare. La tappa di Napoli prevede la sosta in Piazza Dante di un mezzo mobile “Cell Explorer” che ospiterà al proprio interno aule didattiche preposte a sessioni formative, rivolte a medici specialisti. Un gazebo esterno, invece, accoglierà i volontari delle Associazioni Fand Campania e ANIAD Campania, impegnati nel fornire al pubblico materiale formativo e informativo. Sia nel capoluogo campano, che nelle altre tappe del progetto, sono state coinvolte le associazioni pazienti locali.
Gestire la malattia
«Ridurre il rischio cardiovascolare è un aspetto prioritario nella gestione del diabete – spiega il professor Antonio Ceriello del Gruppo MultiMedica di Milano – e oggi abbiamo a disposizione un’opzione terapeutica in più per farlo. Per la prima volta, possiamo trattare i nostri pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare con una terapia antidiabetica che riduce il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari. Senza tralasciare, poi, il fatto che la riduzione degli eventi cardiovascolari (infarto miocardico non fatale, ictus non fatale e morte cardiovascolare) e delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, comporta un impatto positivo anche sulla sostenibilità del sistema sanitario nazionale»
Artrite Reumatoide: intervista al Prof. Caporali
PodcastSalute mentale e assistenza: gravi disuguaglianze tra regioni
Associazioni pazientiIn Italia esistono gravi disuguaglianze nell’accessibilità ai servizi da parte delle persone con disturbi psichiatrici. Infatti, a seconda della regione, variano le risorse umane, strutturali ed economiche destinate alla salute mentale.
L’analisi delle strutture e delle attività dei Dipartimenti di salute mentale è stata fatta dalla Società italiana di epidemiologia psichiatrica che ha redatto un focus inserito poi in una pubblicazione presentata di recente a Bologna dalla Siep, la Società italiana di epidemilogia psichiatrica. Fabrizio Starace, presidente Siep spiega: “Il principale nodo da sciogliere? Sono le disuguaglianze regionali. Differenze intollerabili”.
“Abbiamo analizzato i dati diffusi dal Ministero secondo due principi ordinatori – ha spiegato Fabrizio Starace, presidente Siep – prendendo in considerazione, per 26 indicatori, le variazioni nelle diverse Regioni e rappresentando, per ciascuna Regione, il posizionamento dei singoli indicatori, assumendo come riferimento il valore medio nazionale”.
Il lavoro, accessibile dal sito, liberamente scaricabile, vuole render conto, delle attività svolte, delle risorse impegnate e degli obiettivi raggiunti, a tutti coloro che hanno un interesse specifico (ad es. operatori, familiari, utenti) o generale (cittadini attenti al funzionamento della cosa pubblica ed al buon uso delle risorse) .
Un dato tra i più preoccupanti è quello sulla capacità di presa in carico delle persone con diagnosi di schizofrenia, secondo Fabrizio Starace, promotore e coautore del rapporto. I soggetti con psicosi schizofreniche in trattamento presso i Dsm italiani, infatti, sono in media 308 x 100 mila abitanti adulti, ma i dati regionali variano da un minimo di 130 in Toscana a un massimo di 437 in Sicilia.
“Non è verosimile che esistano sul territorio nazionale variazioni così smisurate nella diffusione della schizofrenia – ha detto Starace – dobbiamo pertanto ritenere che le differenze siano attribuibili alla diversa capacità dei Dsm di intercettare il bisogno di assistenza”. E questo dipende dalla presenza, accessibilità e credibilità del sistema di cura per la Salute mentale nelle Regioni.
Il Rapporto fornice anche una radiografia dei punti di forza e di debolezza dei Dsm in ciascuna Regione, individuando le criticità che dovranno essere affrontate in sede di programmazione locale. “Si confermano purtroppo le previsioni che avevamo segnalato in un precedente intervento, e riprese nell’Appello Siep per la Salute mentale, sottoscritto dalle maggiori Società scientifiche di settore, dai sindacati, da tutte le Associazioni di familiari e utenti, dai direttori dei Dsm italiani che è stato inviato a Ministero della Salute, alla Conferenza Stato-Regioni e a tutti i Presidenti delle Regioni.
“Spiace osservare – ha concluso Starace – che questi documenti rimangano tuttora inascoltati e che nulla sia stato fatto per creare spazi di confronto, accessibili e partecipati, sull’azione, oggi finalmente verificabile, dei servizi pubblici per la salute mentale. Il tutto per fare in modo che le decisioni di politica sanitaria siano generatrici di valore per la comunità. Compito straordinariamente attuale, se si considera il periodo di razionalizzazione delle risorse e la necessità di coniugare sostenibilità economica, equità di accesso e qualità dell’assistenza. Le politiche per la Salute Mentale in Italia hanno più che mai bisogno di competenze scientifiche, sensibilità non episodica, capacità di programmazione a partire da dati concreti, disponibilità al confronto. Di passare finalmente dalle parole ai fatti”.
Corruzione: 14 Paesi riuniti a Roma per difendere il “sistema sanitario europeo”
Economia sanitariaLa sanità rappresenta circa il 9% del PIL dei Paesi europei. La corruzione e le frodi sono i pericoli maggiori. Per avere un confronto sul tema e mettere insieme strategie comuni, in questi giorni si sono riuniti, per la prima volta in Italia, circa 50 delegati di 14 Paesi europei in un summit internazionale organizzato da EHFCN – European HealthCare Fraud & Corruption Network.
Nel corso dell’incontro è stato presentato il volume “Healthcare Fraud, Corruption and Waste in Europe” contenente l’analisi di dettaglio di diversi Paesi relativi a frode, sprechi e abusi nell’assistenza sanitaria. All’interno del registro, l’Italia ha pubblicato – insieme a Belgio, Francia, Regno Unito, Polonia, Portogallo, Paesi Bassi, Lituania e Slovenia – il proprio “Rapporto Nazionale su Corruzione e Frode in Sanità”, fenomeno che solo nella Penisola manda in fumo, secondo i dati dell’Istituto per la promozione dell’etica in sanità, circa 6 miliardi di denaro pubblico.
Dall’analisi dei differenti Rapporti nazionali dei Paesi europei si evidenzia come i tipi di frode più diffusi siano soprattutto la non conformità alle regole di fatturazione e, più in particolare, la fatturazione di servizi sanitari mal o mai erogati. Per esempio, solo nel Regno Unito, 4.819 episodi di frodi sono state registrate a danno del sistema sanitario dalle autorità competenti, nel biennio 2014-2015. Una media di 402 casi al mese, laddove per ‘frode’ si intende abuso d’ufficio, corruzione e illeciti economici (bribery, corruption and illegal economic crimes). In Francia, l’attività anticorruzione di Stato dell’Assurance Maladie ha recuperato 220 milioni di euro a favore delle casse d’oltralpe nel 2016 e nell’anno precedente, circa 231.5 milioni. In Belgio, l’autorità d’ispezione sanitaria governativa – il MEID – ha individuato ben 1.225.585 infrazioni, nel 2015.
“Va sottolineato che i dati contenuti nel HealthCare Fraud, Corruption and Waste in Europa sono difficili da confrontare a causa di differenti metodi di valutazione vigenti– ha dichiarato Renè Jansen, Presidente EHFCN – Al fine di uniformare i criteri di analisi e controllo della corruzione a livello europeo, EHFCN ha messo a punto la ‘matrice di tipologia degli sprechi’ un importante strumento d’analisi per la segnalazione della frode sanitaria, che consente standard uniformi e di cui auspichiamo la diffusione nei Paesi del Network Europeo.”
“Il Rapporto OCSE ha evidenziato di recente che tra sprechi, inefficienze e corruzione i sistemi sanitari sprecano un quinto delle risorse. L’analisi del rapporto EHFCN presentato oggi, fa emergere che nella maggior parte dei sistemi sanitari europei si registra la diffusione di frodi, mentre, in Italia, il fenomeno corruttivo ha assunto ormai una dimensione strutturale. – ha dichiarato Francesco Macchia, Presidente di Ispe-Sanità – Questo, in ragione della differente natura dei rispettivi servizi, finanziati in prevalenza dalla fiscalità generale nei Paesi del Sud dell’Europa e su base soprattutto assicurativa nel Nord Europa. A impostazioni differenti, corrispondono, quindi, reati differenti. Infatti, in molti dei Paesi nordeuropei sono sotto osservazione le irregolarità contabili, seguite da quei casi legati a frode su procedure d’acquisto e appalti pubblici nel settore sanitario, mentre nel Sud Europa prevalgano gli episodi di corruzione e favoreggiamento. In ogni caso, in un contesto di crescente integrazione europea, solo l’elaborazione di strategie che partono dal confronto dei sistemi nazionali può fornire soluzioni generali per difendere il sistema sanitario europeo, che rappresenta circa il 9% del PIL dei Paesi europei”.
Il confronto ha messo in luce i punti comuni e gli elementi di differenza, le opportunità di miglioramento e gli ostacoli da superare per mettere in campo politiche e strumenti operativi condivisi a livello europeo, con lo scopo di contrastare efficacemente il fenomeno diffuso della corruzione, delle frodi e degli sprechi in Sanità. Più in dettaglio, sono stati riconosciuti dai rappresentanti dei 14 Paesi, i punti di forza delle organizzazioni anticorruzione e frode – sia istituzionali che non governative – l’acquisita capacità organizzativa concentrata sui controlli e sull’attività delle unità antifrode a vario livello. Ugualmente, si è sottolineata la grande capacità di sensibilizzare il pubblico, promuovendo il sostegno dei cittadini all’azione antifrode in sanità.
Allo stesso modo, sono stati individuati gli elementi critici comuni ai Paesi riuniti da EHFCN nella lotta alla corruzione e alle frodi in sanità. In primo luogo, la mancanza di una cultura antifrode e anticorruzione che sia positiva ed efficace nell’ambito della sanità, seguita da una certa complessità e incertezza delle normative antifrode e anticorruzione. Poi, spicca la mancanza di finanziamenti strutturali e di risorse umane; l’eccessiva dispersione di compiti tra le parti interessate – stakeholder – e l’esigenza imperativa di una comunicazione tra queste organizzazioni più puntuale ed efficace; l’insufficienza di strumenti per analizzare i dati digitali e la mancanza di dati digitalizzati nella formazione del processo decisionale o durante la fase di supervisione; infine, la natura del sistema DRG (pay per performance) può rappresentare un incentivo potenziale al sovra-consumo di servizi sanitari.
Le principali opportunità da sviluppare per migliorare nella lotta comune e coordinata alle frodi e alla corruzione invece si concentrano sul ruolo di una più ampia collaborazione internazionale, come lo scambio d’informazioni, metodi e best practices da condividere, per facilitare e professionalizzare le attività anti-frode e promuovere l’uso efficiente dei servizi sanitari pubblici. Seguono: una più approfondita professionalizzazione dei principali stakeholder, specialmente riguardo le unità di controllo e anti-frode; lo sviluppo della sanità digitale e la semplificazione dei sistemi di pagamento digitalizzati; l’attuazione di piani nazionali per combattere la corruzione e promuovere in modo appropriato la trasparenza, come accade in Italia attraverso ANAC; riforme legislative e miglioramento nella trasparenza in materia di diritti dei pazienti e nelle procedure d’acquisto.
Infine, è percepito come rischio comune a tutti i Paesi, pur nelle differenze, la potenziale caduta del sostegno pubblico e politico che può portare ad un rallentamento delle riforme organizzative, istituzionali o legislative necessarie.
“Un’osservazione finale, ampiamente citata nei 9 Rapporti nazionali raccolti da EHFCN – conclude Paul Vincke, managing director di EHFCN – riguarda i pazienti. Aumentare la consapevolezza dei cittadini, avvicinando loro comprensibilità e reperibilità delle informazioni e migliorando la trasparenza dei servizi sanitari, rafforzerà la posizione del paziente come stakeholder chiave nella prevenzione di frode, abusi e corruzione in materia di assistenza sanitaria, nel prossimo futuro”.
A conclusione dell’incontro, il presidente EHFCN ha dichiarato che “EHFCN continuerà a sviluppare standard uniformi per la segnalazione della frode sanitaria, consentendo un confronto e un benchmarking sostanziali tra tutte le organizzazioni dei 14 Paesi coinvolti. EHFCN continuerà ad essere anche una piattaforma per lo scambio tra i servizi contro la frode ai fini della condivisione delle migliori pratiche e informazioni pertinenti in merito all’individuazione degli autori di frode e delle pratiche fraudolente.”
*dati relativi al 2014, con errori rilevati in prima istanza e successivamente corretti durante il processo di pagamento
Più basso è il livello di istruzione, maggiore sarà il tasso di mortalità. I nuovi dati ISTAT
PrevenzionePer chi ha la sola licenza elementare l’indice di mortalità è di 99,65 ogni 10mila morti contro i 75,38 ogni 10mila dei laureati.
I nuovi dati Istat, sul rapporto tra mortalità e istruzione, parlano chiaro. E per alcune malattie il gap è ancora più marcato, come per cirrosi ed epatite cronica dove gli uomini con la sola licenza elementare hanno un indice di mortalità per queste patologie superiore di ben 3,5 volte rispetto a quello di chi ha una laurea. Insomma, il livello di istruzione incide non solo sulla speranza di vita (5 anni di vita in meno per chi non ha titolo di studio), ma anche sui tassi di mortalità. L’istat ha fatto una ricerca standardizzata per titolo di studio, genere, ripartizione territoriale e cause di morte riferiti al periodo 2012-2014.
Nella popolazione fra i 25 e gli 89 anni, la mortalità per chi ha conseguito al massimo la licenza elementare è di 99,65 decessi ogni 10mila residenti (137,4 per gli uomini e 77 per le donne), contro un indice di 75,38 per i laureati (88,1 per gli uomini e 57,1 per le donne). L’andamento si conferma per quasi tutte le cause di morte. L’impatto dello svantaggio sociale è alto soprattutto per cirrosi ed epatite cronica, ma la mortalità per queste patologie è contenuta (con un tasso medio nazionale di 1,6 ogni 10.000 uomini e 0,8 ogni 10.000 donne). Nello specifico, l’incremento di mortalità è di 3,5 volte per gli uomini con un basso titolo di studio rispetto a chi ha una laurea e di 2,3 tra le donne. Lo svantaggio tra le donne con basso titolo di studio, invece, è più pronunciato nel Sud (mortalità 3,4 volte maggiore rispetto alle laureate), mentre nel Nord-est i differenziali sociali sono meno accentuati.
Fa eccezione il diabete per il quale si osserva tra le donne con basso titolo di studio una mortalità quasi 2,6 volte superiore rispetto alle coetanee laureate, mentre tra gli uomini il valore non raggiunge il doppio (1,8). Lo svantaggio della mortalità per diabete ha un picco nelle aree meridionali tra le donne con livello di istruzione più basso con una mortalità che nelle Isole arriva ad essere 3,6 volte maggiore rispetto alle laureate della stessa zona (rispettivamente 5,2 e 1,4 decessi per 10.000 donne con corrispondente livello di istruzione). Anche le malattie croniche dell’apparato respiratorio non fanno eccezione, con un tasso di 10,6 decessi per 10.000, quasi due volte superiore a quello dei laureati (5,2). Tra le donne, che hanno tassi di mortalità per questo complesso di cause molto più bassi, il differenziale è invece più contenuto (1,4 volte). La situazione, in questo caso, è simile in tutto il Paese.
Anche per i tumori si osservano tra le donne differenziali per titolo di studio più bassi (1,1) rispetto agli uomini (1,5). Sia per gli uomini che per le donne, sono molto pronunciati soprattutto i differenziali sociali nella mortalità per il tumore allo stomaco.