Tempo di lettura: 4 minutiIn Europa, secondo il report OMS 2022, più di un adulto su 2 e più di un bambino su 3 convivono con sovrappeso o obesità. Almeno 2,8 milioni di adulti muoiono ogni anno a causa di questa patologia e delle sue conseguenze. Inoltre l’obesità è causa di morte prematura ed è collegata ad almeno 200 complicanze tra cui diabete di tipo 2, tumori, ipertensione, dislipidemia, malattia coronarica e apnee ostruttive. Comparati a soggetti normopeso, gli individui obesi hanno 12 volte il rischio di sviluppare quattro o più malattie correlate.
Nonostante i numeri e la minaccia crescente che rappresenta per la sostenibilità socio-sanitaria ed economica del Paese, per molto tempo la malattia non è stata riconosciuta come una patologia prioritaria nelle agende politiche.
Obesità, emergenza globale
L’obesità è una delle principali sfide sanitarie globali con tassi di crescita e impatti tanto allarmanti da portare l’Organizzazione Mondiale della Sanità a coniare il termine “Globesità”. Il fenomeno è in sensibile aumento e riguarda più dell’11% della popolazione, mentre il 33% dei cittadini risulta in sovrappeso.
Si tratta di un problema sociale e sanitario in rapida crescita, specie nei Paesi a medio-alto reddito. Nel mondo un miliardo di persone convive con l’obesità. Le proiezioni ipotizzano al 2035 che metà della popolazione mondiale ne sarà affetta.
Percezione della patologia
L’85% degli italiani la considera una patologia complessa, associata a molteplici cause (genetiche, endocrino-metaboliche, ambientali, comportamentali) e non semplicemente una conseguenza di alimentazione e stili di vita scorretti. Il 73% la ritiene una delle malattie più diffuse e una delle principali cause di mortalità. Circa la metà degli italiani (49%) è consapevole che è una malattia cronica e un fattore di rischio per altre patologie, meno di un terzo (29%) la reputa conseguenza di cattive abitudini e solo il 4% un mero problema estetico.
Sono alcuni dei dati che emergono dal documento “Obesità in Italia. Percezioni, costi e sfide per il futuro” realizzato da IPSOS, I-COM e Università del Piemonte Orientale (UPO) con il contributo incondizionato di Lilly, presentati a Venezia nel corso dell’evento “Obesità: percezioni, ostacoli e strategie – Il modello Italia tra scienza e politica”, a margine del Congresso Europeo sull’Obesità – ECO 2024.
Ruolo degli stereotipi
Negli anni si sono consolidate due visioni opposte nell’opinione pubblica riguardo alla patologia. La prima è orientata a ritenerla esclusiva responsabilità dell’individuo, l’altra a riconoscerla come vera e propria malattia altamente complessa e per questo meritevole di cure e servizi. Il prevalere della prima ha prodotto un fiorire di stereotipi, radicati nel comune sentire, che minano il riconoscimento della malattia come reale stato patologico e colpevolizzano le persone con obesità, alimentando lo stigma sociale e clinico.
La ricerca rivela che sono le stesse persone con obesità ad avere ancora più radicate certe convinzioni negative. Infatti, nel 74% delle persone che si definiscono obese prevale la percezione di non riuscire a controllare l’appetito, mentre il 66% di esse si addossa la responsabilità personale dell’eccesso di grasso.
La consapevolezza dell’impatto della patologia appare unanime anche tra le Istituzioni, che esprimono forte consenso per possibili investimenti mirati in prevenzione, sensibilizzazione e cura, che potrebbero ridurre l’incidenza, con un impatto positivo sulla spesa pubblica attraverso la riduzione di costi diretti e indiretti ad essa associati.
Impatto economico
Si stima che ridurre il tasso della patologia del solo 5% porterebbe ad una riduzione annuale del 5,2% nei costi economici globali tra il 2020 e il 2060.
“L’obesità in termini di impatto clinico e spesa medica per il trattamento, rappresenta una sfida che se non affrontata finirà per condizionare le generazioni future con importanti ricadute negative sulla società e sul servizio sanitario nazionale – sottolinea Umberto Agrimi, Direttore del Dipartimento Sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria dell’Istituto Superiore di Sanità. Si prevede che l’impatto economico dell’obesità raggiungerà, in media, l’8,4% della spesa sanitaria totale nei paesi OCSE nel 2050. I costi sanitari diretti dell’obesità, secondo l’European Health Interview Survey (EHIS), si attestano tra il 2,4% e il 4,8% della spesa sanitaria complessiva nei Paesi ad alto reddito.
In Italia i costi totali ammontano a 13,34 miliardi di euro nel 2020 (0,8% del PIL) di cui 59% di costi sanitari diretti e 41% di costi indiretti, con un contributo simile imputabile ad assenteismo e presenteismo e conseguente perdita di produttività. Il costo medio dei farmaci per le persone in sovrappeso o obese rispettivamente è da 2 a 2,5 volte superiore al costo sostenuto per persone normopeso. Il costo medio annuo di una persona con obesità ammonta a 1.166.52 euro. L’obesità ha quindi un peso economico significativo e comporta un aumentato ricorso a beni e servizi sanitari; inoltre, l’obesità comporta un pesante costo individuale in termini di deterioramento della qualità di vita”.
Obesità e presa in carico
L’indagine rileva che il 72% degli italiani attribuisce un grado di responsabilità alle Istituzioni per il vuoto legislativo presente e il 42% riconosce responsabilità imputabili anche ai medici. Occorre una strategia nazionale coraggiosa e integrata che consideri l’obesità una priorità per l’agenda pubblica non solo sanitaria ma anche politica.
Cappellacci: obesità impatta su aspettativa di vita
“L’obesità è una malattia potenzialmente mortale e capace di ridurre in modo considerevole l’aspettativa di vita attraverso complicanze severe di varia natura – commenta Ugo Cappellacci, Presidente Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati – in questi anni recenti è cresciuta la sensibilità e l’attenzione dei decisori politici su questa patologia, grazie anche alla collaborazione con esperti nazionali e internazionali e le Associazioni dei pazienti.
Al momento è in esame alla Camera Dei Deputati una proposta di legge che ha la finalità di riconoscere l’obesità come grave malattia cui dedicare attenzione e risorse, per garantire una strategica ed efficace azione di prevenzione, contrasto e cura. L’iter è complesso ma i rappresentanti dei diversi schieramenti politici sono impegnati in uno sforzo collaborativo e partecipativo inteso a migliorare la qualità di vita delle persone con obesità. Auspichiamo che l’intenso lavoro porti in tempi brevi risultati concreti”.
Monti: incoraggiare esercizio fisico
“L’obesità è un fenomeno in crescita nel nostro Paese, soprattutto tra i giovani. Corretta informazione, sensibilizzazione e campagne per educare ad adottare abitudini alimentari sane, incoraggiare l’esercizio fisico e promuovere politiche che rendano più accessibili le scelte alimentari salutari, soprattutto tra le fasce più a rischio di popolazione, sono azioni assolutamente prioritarie – aggiunge Emanuele Monti, Presidente Commissione Welfare Regione Lombardia, e chiude – come ricordato anche dall’Onorevole Cappellacci, massima attenzione e grande impegno delle istituzioni in questo senso per rispondere alla sfida e ai bisogni di salute delle persone”.
Obesità, nel 2035 interesserà metà popolazione
Alimentazione, PrevenzioneIn Europa, secondo il report OMS 2022, più di un adulto su 2 e più di un bambino su 3 convivono con sovrappeso o obesità. Almeno 2,8 milioni di adulti muoiono ogni anno a causa di questa patologia e delle sue conseguenze. Inoltre l’obesità è causa di morte prematura ed è collegata ad almeno 200 complicanze tra cui diabete di tipo 2, tumori, ipertensione, dislipidemia, malattia coronarica e apnee ostruttive. Comparati a soggetti normopeso, gli individui obesi hanno 12 volte il rischio di sviluppare quattro o più malattie correlate.
Nonostante i numeri e la minaccia crescente che rappresenta per la sostenibilità socio-sanitaria ed economica del Paese, per molto tempo la malattia non è stata riconosciuta come una patologia prioritaria nelle agende politiche.
Obesità, emergenza globale
L’obesità è una delle principali sfide sanitarie globali con tassi di crescita e impatti tanto allarmanti da portare l’Organizzazione Mondiale della Sanità a coniare il termine “Globesità”. Il fenomeno è in sensibile aumento e riguarda più dell’11% della popolazione, mentre il 33% dei cittadini risulta in sovrappeso.
Si tratta di un problema sociale e sanitario in rapida crescita, specie nei Paesi a medio-alto reddito. Nel mondo un miliardo di persone convive con l’obesità. Le proiezioni ipotizzano al 2035 che metà della popolazione mondiale ne sarà affetta.
Percezione della patologia
L’85% degli italiani la considera una patologia complessa, associata a molteplici cause (genetiche, endocrino-metaboliche, ambientali, comportamentali) e non semplicemente una conseguenza di alimentazione e stili di vita scorretti. Il 73% la ritiene una delle malattie più diffuse e una delle principali cause di mortalità. Circa la metà degli italiani (49%) è consapevole che è una malattia cronica e un fattore di rischio per altre patologie, meno di un terzo (29%) la reputa conseguenza di cattive abitudini e solo il 4% un mero problema estetico.
Sono alcuni dei dati che emergono dal documento “Obesità in Italia. Percezioni, costi e sfide per il futuro” realizzato da IPSOS, I-COM e Università del Piemonte Orientale (UPO) con il contributo incondizionato di Lilly, presentati a Venezia nel corso dell’evento “Obesità: percezioni, ostacoli e strategie – Il modello Italia tra scienza e politica”, a margine del Congresso Europeo sull’Obesità – ECO 2024.
Ruolo degli stereotipi
Negli anni si sono consolidate due visioni opposte nell’opinione pubblica riguardo alla patologia. La prima è orientata a ritenerla esclusiva responsabilità dell’individuo, l’altra a riconoscerla come vera e propria malattia altamente complessa e per questo meritevole di cure e servizi. Il prevalere della prima ha prodotto un fiorire di stereotipi, radicati nel comune sentire, che minano il riconoscimento della malattia come reale stato patologico e colpevolizzano le persone con obesità, alimentando lo stigma sociale e clinico.
La ricerca rivela che sono le stesse persone con obesità ad avere ancora più radicate certe convinzioni negative. Infatti, nel 74% delle persone che si definiscono obese prevale la percezione di non riuscire a controllare l’appetito, mentre il 66% di esse si addossa la responsabilità personale dell’eccesso di grasso.
La consapevolezza dell’impatto della patologia appare unanime anche tra le Istituzioni, che esprimono forte consenso per possibili investimenti mirati in prevenzione, sensibilizzazione e cura, che potrebbero ridurre l’incidenza, con un impatto positivo sulla spesa pubblica attraverso la riduzione di costi diretti e indiretti ad essa associati.
Impatto economico
Si stima che ridurre il tasso della patologia del solo 5% porterebbe ad una riduzione annuale del 5,2% nei costi economici globali tra il 2020 e il 2060.
“L’obesità in termini di impatto clinico e spesa medica per il trattamento, rappresenta una sfida che se non affrontata finirà per condizionare le generazioni future con importanti ricadute negative sulla società e sul servizio sanitario nazionale – sottolinea Umberto Agrimi, Direttore del Dipartimento Sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria dell’Istituto Superiore di Sanità. Si prevede che l’impatto economico dell’obesità raggiungerà, in media, l’8,4% della spesa sanitaria totale nei paesi OCSE nel 2050. I costi sanitari diretti dell’obesità, secondo l’European Health Interview Survey (EHIS), si attestano tra il 2,4% e il 4,8% della spesa sanitaria complessiva nei Paesi ad alto reddito.
In Italia i costi totali ammontano a 13,34 miliardi di euro nel 2020 (0,8% del PIL) di cui 59% di costi sanitari diretti e 41% di costi indiretti, con un contributo simile imputabile ad assenteismo e presenteismo e conseguente perdita di produttività. Il costo medio dei farmaci per le persone in sovrappeso o obese rispettivamente è da 2 a 2,5 volte superiore al costo sostenuto per persone normopeso. Il costo medio annuo di una persona con obesità ammonta a 1.166.52 euro. L’obesità ha quindi un peso economico significativo e comporta un aumentato ricorso a beni e servizi sanitari; inoltre, l’obesità comporta un pesante costo individuale in termini di deterioramento della qualità di vita”.
Obesità e presa in carico
L’indagine rileva che il 72% degli italiani attribuisce un grado di responsabilità alle Istituzioni per il vuoto legislativo presente e il 42% riconosce responsabilità imputabili anche ai medici. Occorre una strategia nazionale coraggiosa e integrata che consideri l’obesità una priorità per l’agenda pubblica non solo sanitaria ma anche politica.
Cappellacci: obesità impatta su aspettativa di vita
“L’obesità è una malattia potenzialmente mortale e capace di ridurre in modo considerevole l’aspettativa di vita attraverso complicanze severe di varia natura – commenta Ugo Cappellacci, Presidente Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati – in questi anni recenti è cresciuta la sensibilità e l’attenzione dei decisori politici su questa patologia, grazie anche alla collaborazione con esperti nazionali e internazionali e le Associazioni dei pazienti.
Al momento è in esame alla Camera Dei Deputati una proposta di legge che ha la finalità di riconoscere l’obesità come grave malattia cui dedicare attenzione e risorse, per garantire una strategica ed efficace azione di prevenzione, contrasto e cura. L’iter è complesso ma i rappresentanti dei diversi schieramenti politici sono impegnati in uno sforzo collaborativo e partecipativo inteso a migliorare la qualità di vita delle persone con obesità. Auspichiamo che l’intenso lavoro porti in tempi brevi risultati concreti”.
Monti: incoraggiare esercizio fisico
“L’obesità è un fenomeno in crescita nel nostro Paese, soprattutto tra i giovani. Corretta informazione, sensibilizzazione e campagne per educare ad adottare abitudini alimentari sane, incoraggiare l’esercizio fisico e promuovere politiche che rendano più accessibili le scelte alimentari salutari, soprattutto tra le fasce più a rischio di popolazione, sono azioni assolutamente prioritarie – aggiunge Emanuele Monti, Presidente Commissione Welfare Regione Lombardia, e chiude – come ricordato anche dall’Onorevole Cappellacci, massima attenzione e grande impegno delle istituzioni in questo senso per rispondere alla sfida e ai bisogni di salute delle persone”.
5 milioni di italiani senza aiuto psicologico per motivi economici
Adolescenti, PsicologiaSono cinque milioni gli italiani che non accedono all’aiuto psicologico per motivi economici. Per quanto riguarda i giovani, sette su dieci non ricevono il sostegno di cui avrebbero bisogno, con pesanti ricadute sul presente e sul futuro.
Oggi inizia la settimana dedicata alla salute mentale. Il presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, David Lazzari, ha espresso preoccupazione, in occasione del convegno sui 35 anni dalla legge della professione psicologica. Nonostante la crescita della comunità professionale in Italia, con oltre 130 mila psicologi, esiste una grave mancanza di risposta ai bisogni della popolazione, ha spiegato.
Mancato accesso all’aiuto psicologico
Secondo i dati, circa 5 milioni di italiani non possono accedere alle cure psicologiche a causa di motivi economici. Questo si traduce in un accesso limitato ai servizi essenziali per la salute mentale, con conseguenze pesanti sul benessere individuale e sociale.
Carenze nei servizi pubblici
L’assenza di una rete psicologica pubblica ostacola la prevenzione e l’intervento precoce nei confronti dei disturbi mentali. La mancanza di psicologi nelle scuole, nelle cure primarie e negli ospedali contribuisce all’aggravarsi delle situazioni, generando costi sanitari e sociali elevati.
Psicologia in Italia
Lazzari sottolinea l’importanza di considerare la psicologia non solo come un costo, ma come un investimento nella salute e nel benessere della società. I dati del bonus psicologico, emersi dal Progetto PsyCare, dimostrano i benefici economici degli interventi psicologici, evidenziando il ruolo centrale della professione psicologica nel contesto nazionale. Lazzari ha denunciato l’approccio “miope e classista” che limita l’accesso alla psicologia solo a coloro che possono permettersela, promuovendo invece un’equa distribuzione dei servizi psicologici per tutti i cittadini.
Pelle e psoriasi: 90% pazienti soffre di stress e peggiora malattia
NewsSono oltre due milioni gli italiani affetti dalla psoriasi: la patologia della pelle in un terzo dei casi evolve e diventa di grado severo. Si tratta di una malattia infiammatoria che si manifesta con arrossamenti e squame (psoriasi a placche). Nel 90% dei pazienti le prime chiazze arrivano a seguito di un evento stressante: lo stress nervoso, dunque, può essere un fattore scatenante. Non si tratta solo di un effetto psicologico, esiste un profondo legame tra sistema nervoso centrale e pelle, documentato da diverse ricerche: lo stress può attivare l’infiammazione della malattia psoriasica e accentuarne i sintomi. Ci sono altri fattori che aggravano la malattia, come il fumo, l’obesità e la concomitanza di altre patologie. Il manifestarsi di psoriasi, è un segnale esagerato di difesa del sistema immunitario che provoca un aumento della proliferazione delle cellule della pelle, che iniziano così a produrre squame e chiazze rosse. Le chiazze possono comparire in qualunque parte del corpo, anche se le zone più colpite dalla malattia sono il cuoio capelluto, i gomiti, i palmi delle mani e la pianta dei piedi, le unghie e le ginocchia. Chi ne è affetto spesso non conosce i sintomi e non si reca tempestivamente dallo specialista, questo provoca un ritardo nella diagnosi e nell’inizio delle cure che potrebbero rallentare l’evoluzione della malattia. Secondo gli studi epidemiologici più recenti, in Italia ne soffre circa il 3 per cento della popolazione (il dato include dalle forme più lievi fino a quelle molto gravi). La psoriasi si manifesta in uomini e donne in uguale misura e nella maggior parte dei casi compare in età adulta, in alcuni casi ha carattere ereditario, quindi può colpire più membri della stessa famiglia.
Psoriasi, risvolti psicologici
La maggior parte dei malati sottovaluta i sintomi iniziali e non si rivolge ai centri di riferimento, dove invece i pazienti sono seguiti con terapie personalizzate, anche in considerazione del rischio di malattie concomitanti che fanno della psoriasi una malattia sistemica e non solo cutanea. Insieme, infatti, possono sorgere ad esempio artrite, depressione, obesità, diabete, ipertensione e malattie cardiovascolari. Inoltre il supporto psicologico è fondamentale, affinché i pazienti non si scoraggino e non abbandonino le cure: nell’80 per cento dei casi la depressione è in agguato.
Tante varianti
Ci sono diverse varianti di psoriasi: la più diffusa è quella «a placche» che riguarda l’80-90% dei casi. Altre forme meno comuni includono quella «invertita», che si manifesta con chiazze rosse non desquamate sotto le ascelle, sui genitali e sull’addome di chi è in sovrappeso, fino al solco sottomammario. Tra gli adolescenti è molto diffusa la «psoriasi guttata». In Italia ne soffrono in più di 500mila ragazzi, si presenta con piccole chiazze desquamate su tronco, braccia, gambe e cuoio capelluto. Esistono poi le varianti «pustolosa» ed «eritrodermica»: la prima si presenta con pustole anche molto localizzate, mentre nella seconda la pelle appare infiammata e arrossata, provoca prurito o bruciore ed è tra le forme più gravi.
Le cure
Oggi sono disponibili molte cure per ogni caso. Si va da quelle topiche (come creme, lozioni, gel o spray in mousse) da applicare direttamente sulla pelle, ai trattamenti sistemici tradizionali (come ciclosporina e methotrexate). Inoltre, ci sono ormai diversi farmaci biologici che hanno un ottimo profilo di sicurezza e consentono di ottenere una cute completamente ‘pulita’ nei casi di psoriasi o artrite psoriasi più severi che non abbiano risposto o per i quali siano controindicate le terapie standard. Nel frattempo, la ricerca continua a fare passi da gigante e nuovi medicinali hanno dato promettenti risultati nelle fasi più avanzate di sperimentazione.
Neuralink, risultati straordinari dopo i primi 100 giorni
Ricerca innovazioneSono trascorsi 100 giorni dall’impianto del primo chip Neuralink nel cervello di Noland Arbaugh, paziente zero per la tecnologia che consente all’essere umano di connettersi ai computer attraverso il pensiero. Il paziente arruolato nello studio Prime ha ricevuto un impianto di 1.024 elettrodi distribuiti su 64 fili altamente flessibili e ultrasottili per registrare l’attività neurale. Un sistema hi-tech che nei primi 100 giorni dentro il cervello di Noland ha regalato traguardi da record, ma ha costretto anche gli ingegneri e i ricercatori a risolvere intoppi. Incidenti di percorso, poi risolti.
Velocità di trasmissione Neuralink
Il problema si è verificato “nelle settimane successive all’intervento – hanno raccontato gli esperti di Neuralink nel loro resoconto – alcuni “fili” del chip “si sono ritirati dal cervello, determinando una netta diminuzione del numero di elettrodi efficaci. Ciò ha portato a una riduzione dei valori di bit al secondo (Bps)”, l’unità di misura con cui sono state valutate le performance dell’impianto.
Algoritmo
In risposta a questo cambiamento – hanno spiegato ancora gli esperti – abbiamo modificato l’algoritmo di registrazione per renderlo più sensibile ai segnali della popolazione neurale, migliorato le tecniche per tradurre questi segnali in movimenti del cursore e migliorato l’interfaccia utente”. Queste modifiche “hanno prodotto un miglioramento rapido e duraturo del valore Bps, che ora ha superato la performance iniziale di Noland”.
Sessioni di lavoro
Nei giorni feriali, Noland è impegnato in sessioni di ricerca per un massimo di 8 ore al giorno. Nei fine settimana, l’uso personale e ricreativo dell’impianto può superare le 10 ore al giorno. Recentemente il paziente zero ha utilizzato il dispositivo per un totale di 69 ore in una sola settimana: 35 di sessioni strutturate e ulteriori 34 di uso personale. Le sessioni permettono di valutare le performance del device.
I punteggi
Più sono alti i valori Bps, migliore è il controllo delNeuralink nel cervello di Noland Arbaugh, paziente zero per la tecnologia che consente all’essere umano di connettersi ai computer attraverso il pensiero. Successivamente ha raggiunto 8 Bps e attualmente sta cercando di battere i punteggi degli ingegneri Neuralinkbattere i punteggi degli ingegneri Neuralink utilizzando un mouse”.
Salute mentale: 13% di bambini e giovani europei con disturbi
Adolescenti, Bambini, PsicologiaCirca 11,2 milioni di bambini e giovani entro i 19 anni nell’Unione Europea (il 13%) soffrono di un problema di salute mentale. In particolare, tra i ragazzi di età compresa tra i 15 e i 19 anni, circa l’8% soffre di ansia e il 4% di depressione. Il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani europei nella stessa fascia di età.
Settimana della salute mentale
In occasione della Settimana europea della salute mentale (13-19 maggio), l’UNICEF ricorda i numeri della pubblicazione “Child and adolescent mental health – The State of Children in the European Union 2024”. Nell’Unione Europea il 13% dei giovani soffre di un problema di salute mentale. Circa 5,9 milioni di maschi e 5,3 milioni di femmine fino a 19 anni soffrono di disturbi. Nel 2020, circa 931 giovani sono morti per suicidio nell’UE, equivalenti alla perdita di circa 18 vite a settimana. La prevalenza del suicidio è diminuita nel corso del tempo nell’UE, con il 20% dei suicidi in meno nel 2020 rispetto al 2011. Circa il 70% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni nell’UE che muoiono per suicidio sono maschi.
In Italia
In Italia, tra i ragazzi tra i 15 e i 19 anni che hanno perso la vita intenzionalmente tra il 2011 e il 2020 il 43% erano ragazzi e circa il 36% ragazze.
Circa la metà (48%) di tutti i problemi di salute mentale a livello globale si manifesta entro i 18 anni, eppure molti casi rimangono non individuati e non trattati. Nell’Unione Europea i dati sull’accesso ai servizi per la salute mentale da parte dei bambini sono limitati, ma le evidenze indicano che, nel 2022, per quasi la metà dei giovani adulti (tra i 18 e i 29 anni) i bisogni di assistenza per la salute mentale non erano soddisfatti.
I livelli di alta soddisfazione della vita tra i quindicenni sono scesi da circa il 74% nel 2018 al 69% nel 2022 nei 23 Paesi per i quali sono disponibili i dati. Ciò equivale a oltre 220.000 ragazzi di 15 anni in meno in 23 Paesi dell’UE con un’alta soddisfazione di vita nel 2022 rispetto al 2018.
Azioni per promuovere la salute mentale
Secondo l’UNICEF, nonostante la maggiore attenzione dopo la pandemia, nei Paesi dell’UE gli investimenti nei servizi per la salute mentale sono esigui rispetto a quelli per la salute fisica. “È necessario porre maggiore enfasi sull’affrontare le cause profonde dei problemi di salute mentale attraverso iniziative di prevenzione e la promozione di una salute mentale e di un benessere positivi”.
Prevenzione in Italia
Lo scorso 6 marzo, una delegazione dell’UNICEF Italia e dell’Ufficio Regionale UNICEF per l’Europa e l’Asia Centrale hanno incontrato il Ministro della Salute Orazio Schillaci, al quale sono state consegnate le oltre 21 mila adesioni raccolte per la petizione UNICEF “Salute per la mente di bambini e adolescenti” per chiedere azioni a sostegno del benessere psicosociale e della salute mentale di bambine, bambini e adolescenti.
L’UNICEF Italia ha realizzato una serie di materiali per sensibilizzare sul tema:
Altre iniziative
Tra le altre iniziative dell’Ufficio UNICEF per l’Europa e l’Asia centrale in Italia, rivolte al gruppo di minori stranieri non accompagnati in Italia, anche:
A 73 anni operata in ossigenazione extracorporea
News, Ricerca innovazioneLuisa (nome di fantasia a tutela della privacy) ha un solo polmone e a 73 anni è stata operata in ossigenazione extracorporea. La donna ha infatti rischiato di morire soffocata quando un tumore le ha ostruito la trachea. La storia di questa paziente ha fatto scalpore perché è stata salvata grazie ad un intervento straordinario, mai tentato prima in un caso tanto complesso.
Urgenza
Lo straordinario intervento è stato pianificato dall’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Toracica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli. “Se non avessimo asportato velocemente il tumore – spiega il professor Alfonso Fiorelli, direttore della Chirurgia Toracica – la paziente sarebbe morta per soffocamento”. Un compito non semplice, visto che Luisa era già stata sottoposta cinque anni prima all’asportazione del polmone sinistro a causa di un’altra neoplasia. “Operarla in queste condizioni sarebbe stato un grosso rischio – prosegue il chirurgo – un solo polmone poteva non essere sufficiente ad assicurare l’ossigenazione del sangue”.
Collaborazione multidisciplinare
Di qui l’esigenza di pianificare un intervento mai realizzato prima, coinvolgendo diverse specialità dell’Azienda Ospedaliera Universitaria: la Cardiochirurgia diretta dalla professoressa Marisa De Feo, la Pneumologia diretta dal professor Andrea Bianco e l’Anestesia diretta dalla professoressa Maria Caterina Pace. Il team multidisciplinare è stato coordinato dal professor Ludovico Docimo, direttore del dipartimento di Medico-Chirurgico ad Alta Specialità, mentre la dottoressa Diana Mancino ha coordinato l’attività infermieristica operatoria e il professor Ferraro le fasi dell’anestesia in corso di intervento.
Ossigenazione extracorporea a membrana
Tra gli aspetti straordinari dell’operazione c’è l’impiego del sistema di Ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO), che ha permesso al professor Fiorelli l’asportazione endoscopica del tumore con il laser. Questa tecnologia supporta le funzioni vitali mediante la circolazione extracorporea, aumentando l’ossigenazione del sangue, riducendo i valori ematici di anidride carbonica, incrementando la gittata cardiaca e agendo sulla temperatura corporea.
Verso il trapianto di polmone
Grazie a questo intervento, è stato possibile dimettere Luisa dopo due giorni, affidandola cure degli oncologi per i successivi trattamenti. Interventi come quello che ha salvato la vita di Luisa sono resi possibili dall’alta specializzazione dei professionisti a lavoro presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria, ma anche dall’innovazione tecnologica fortemente voluta dal direttore generale Ferdinando Russo, con il supporto del magnifico rettore Francesco Nicoletti. Innovazione che aiuta sensibilmente a ridurre la migrazione sanitaria. “Questo – conclude il professor Fiorelli – è il punto di partenza verso il raggiungimento di nuovi traguardi, non ultimo il trapianto di polmone”.
Malattie Rare: nuovo speciale PreSa
SpecialiMadri penalizzate da stereotipi e welfare, genitorialità in Italia
Genitorialità, Madri-padri, NewsEssere madri in Italia rappresenta ancora un sfida. I dati mostrano come il benessere delle donne venga messo a rischio dopo la nascita di un figlio. La maternità impatta sul percorso professionale, fino a determinare in molti casi l’abbandono del posto di lavoro, a causa di stereotipi di genere che vedono la donna come principale responsabile della cura. Una tendenza che impatta negativamente sulla salute delle donne e sulla natalità del Paese che si trova a fare i conti con un minimo storico di nascite. I temi sono stati affrontati nel primo evento organizzato da Winning Women Institute che ha messo al centro il divario salariale di genere e la gestione della genitorialità. Da queste due sfide dipende l’equità di genere nel contesto lavorativo italiano.
Gender Pay Gap in Italia
Il Gender Pay Gap, ossia la differenza retributiva tra uomini e donne a parità di lavoro, rimane una realtà diffusa in Italia. Con un divario del 7,8%, il nostro Paese si colloca al 14° posto su 27 nell’Unione Europea. Un dato che evidenzia la persistenza di disuguaglianze retributive di genere e l’urgenza di interventi mirati.
Sfide della genitorialità nel mercato del lavoro
La genitorialità è un’ulteriore sfida per la parità di genere. Le donne continuano a svolgere la maggior parte dei compiti di cura dei figli e della famiglia, con ripercussioni negative sulla loro carriera lavorativa. Le difficoltà nel conciliare vita professionale e familiare spingono molte donne a rinunciare al lavoro o a sacrificare opportunità di crescita professionale.
Paola Corna Pellegrini, Presidente di Winning Women Institute, ha sottolineato l’importanza strategica della parità di genere anche dal punto di vista economico. Le aziende che investono nella parità di genere diventano più competitive e resilienti, stimolando l’innovazione e l’inclusione.
Enrico Gambardella, Managing Director di Winning Women Institute, ha evidenziato la necessità di un impegno concreto da parte delle aziende per colmare il Gender Pay Gap. Questo non solo per una questione di equità, ma anche per attrarre e trattenere talenti e rimanere competitivi sul mercato.
Sonia Malaspina, Presidente del Comitato Scientifico di Winning Women Institute, ha sottolineato l’importanza del supporto alla genitorialità come pilastro fondamentale per ottenere la certificazione per la parità di genere. Le aziende devono investire in politiche e programmi che favoriscano un migliore equilibrio tra vita lavorativa e vita familiare.
Madri in Italia. Report di Save the Children
In occasione della festa della mamma è stata diffusa la nona edizione del rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia” di Save the Children. La pubblicazione mette in luce le sfide che le donne in Italia affrontano quando diventano madri. Una difficoltà che impatta sul benessere delle donne e che è responsabile del calo delle nascite e un tasso di fecondità in diminuzione. Il mercato del lavoro infatti sconta ancora un forte gap di genere, con un tasso di occupazione femminile del 52,5%, ben al di sotto della media dell’UE.
Occupazione femminile fa aumentare natalità
Il calo della natalità è strettamente legato a un mercato del lavoro che sconta ancora un gap di genere fortissimo. I dati, infatti, rivelano che più aumenta la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, più aumenta il tasso di fecondità. In Italia il tasso di occupazione femminile (età 15-64 anni) è stato del 52,5% nel 2023, un valore più basso della media dell’Unione Europea (65,8%) di ben 13 punti percentuali.
La differenza tra il tasso di occupazione degli uomini e delle donne nel nostro Paese, nello stesso anno, era di 17,9 punti percentuali, ben più marcata rispetto alle differenze osservate a livello EU27 (9,4 punti percentuali) e seconda, di pochissimo, solo alla Grecia, dove la differenza è di 18 punti percentuali. Il principale ostacolo per le donne è riuscire a bilanciare tra lavoro e famiglia, per chi svolge un lavoro di cura non retribuito.
Ruolo degli stereotipi di genere
Gli stereotipi di genere fanno scivolare sulle madri tutta la responsabilità della cura. Le donne così affrontano enormi difficoltà nel conciliare impegni familiari e lavorativi. Come dimostra il numero di donne occupate di età compresa tra i 25 e i 54 anni. A fronte di un tasso di occupazione femminile del 63,8%, le donne senza figli che lavorano raggiungono il 68,7%, mentre solo poco più della metà di quelle con due o più figli minori ha un impiego (57,8%). Per gli uomini della stessa età, invece, i numeri seguono la tendenza opposta dopo la nascita di un figlio. Il tasso di occupazione totale per gli uomini è dell’83,7%, con una variazione che va dal 77,3% per coloro senza figli, fino al 91,3% per chi ha un figlio minore e al 91,6% per chi ne ha due o più.
Disparità territoriali e dimissioni volontarie
Le disparità territoriali nel mercato del lavoro penalizzano le donne del Sud Italia, con un tasso di occupazione significativamente più basso rispetto al Nord e al Centro. Le dimissioni volontarie post genitorialità, principalmente delle madri, mostrano come la nascita di un figlio influenzi il lavoro femminile. La nuova legge di bilancio 2024 introduce interventi mirati per sostenere le lavoratrici madri, inclusi esoneri contributivi e bonus asilo nido. Tuttavia, alcune decisioni peggiorative, come l’aumento dell’IVA su prodotti per la prima infanzia, sollevano dubbi sulla coerenza delle politiche.
Il rapporto evidenzia la necessità di interventi strutturali e politiche concrete per affrontare le sfide delle madri nel mercato del lavoro italiano. L’esperienza di altri Paesi europei dimostra come è possibile gestire il cambiamento demografico con politiche che mettano al centro le esigenze dei neo-genitori e trattengano le donne nel mercato del lavoro.
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Diabete tipo 2: nei giovani più aggressivo e in aumento
Adolescenti, Prevenzione, Stili di vitaOgni anno nell’Unione Europea muoiono oltre 686 mila persone a causa del diabete o di patologie correlate. Secondo le stime entro il 2030, la patologia interesserà 33,2 milioni di europei. Inoltre aumenta il numero di persone che sviluppano il diabete di tipo 2 in giovane età, quando la malattia è più aggressiva. La patologia impatta sulla sostenibilità dei sistemi sanitari, infatti il 75 per cento dei costi correlati sarebbe potenzialmente evitabile. A fare la differenza è la diagnosi precoce.
Come prevenire il diabete
La prevenzione del diabete di tipo 2 inizia da un sano stile di vita. Praticare attività fisica aerobica moderata 20-30 minuti al giorno o 150 minuti alla settimana, associato alla perdita del 10% del peso corporeo, riduce l’incidenza della patologia del 60%.
La dieta è un altro fattore determinante: un’alimentazione ricca di acidi grassi saturi (grassi animali) aumenta il rischio di sviluppare il diabete; mentre, la parziale sostituzione di questi ultimi con acidi grassi insaturi lo riduce (omega 3).
Per richiamare l’attenzione della politica sulla patologia è stata rivolta una lettera all’Unione Europea, firmata dal Prof. Stefano Del Prato, Presidente European Diabetes Forum (EUDF) e dal Prof. Agostino Consoli, Coordinatore European Diabetes Forum Italia (EUDF Italia), in occasione della Giornata dell’Europa. La lettera segue l’appello, già diffuso da EUDF e EUDF Italia con il Documento di impegno della comunità diabetologica rivolto ai candidati delle prossime elezioni europee del 2024. Oggi, mentre l’appuntamento elettorale europeo è sempre più vicino, l’appello di EUDF e EUDF Italia si rinnova.
Diabete sempre più diffuso tra i giovani
Nell’area europea cresce il numero di persone giovani con diabete di tipo 2 e adolescenti con tipo 1, in totale sono 295 mila. “Se non interveniamo – sottolinea la lettera – centinaia di migliaia di persone moriranno prematuramente nei prossimi anni”.
Infatti, se non diagnosticato o gestito in maniera inadeguata, può portare a gravi complicanze, nonché a una riduzione della qualità di vita e delle attività socio-economiche. Inoltre il 75 per cento dei costi sanitari associati alla malattia è imputabile a complicanze potenzialmente evitabili. Di conseguenza, le politiche che promuovono una diagnosi precoce e una buona gestione della malattia possono abbattere i costi e contribuire alla resilienza e sostenibilità dei sistemi sanitari. “La crescente pressione su medici e operatori sanitari – si legge nella lettera – minaccia di lasciare sole sempre più le persone nella gestione della propria patologia. Le persone non scelgono di vivere con il diabete o qualsiasi altra malattia. Questa patologia può colpire chiunque, anche i bambini e le donne in gravidanza e lo sviluppo del diabete può essere influenzato da fattori sia genetici che sociali”.
Ruolo delle tecnologie digitali
“L’adozione di efficaci strategie di prevenzione primaria e secondaria – prosegue la lettera – abbinate ad approcci di gestione moderni quali strumenti e tecnologie di salute digitale può migliorare le prospettive delle persone con diabete, nonché dei soggetti a rischio, consentendo loro di condurre una vita appagante”. “È essenziale – prosegue – che l’Unione europea sviluppi un quadro europeo di supporto che assista gli Stati Membri nell’implementazione di politiche efficaci”.
Diabete e dolori agli arti, segnali da riconoscere
NewsI piedi possono dare segnali della presenza di diabete: sintomi come dolore, bruciore o intorpidimento a piedi e gambe dovrebbero far scattare i sospetti. Eppure non sempre vengono considerati e a lungo andare possono portare a gravi complicanze. Nasce da questo presupposto la campagna “Ascolta i tuoi piedi” promossa dalle Società Italiana di Diabetologia (SID) e della Associazione Medici Diabetologi (AMD), contributo incondizionato di Theras. L’obiettivo è generare consapevolezza su una delle complicanze croniche del diabete, la polineuropatia diabetica (PND).
“L’approccio moderno alla diagnosi e cura della polineuropatia diabetica, soprattutto della forma dolorosa, necessita di un nuovo modello. Si parte dall’engagement e dall’acquisizione di consapevolezza del paziente al centro – interviene Maria Sambataro, Responsabile Unità Semplice “Gestione Ambulatoriale del Paziente Diabetico Complesso” presso UOC di Malattie Endocrine, del Metabolismo e della Nutrizione, Ospedale Ca’ Foncello di Treviso, Azienda Ulss 2 Marca trevigiana, Veneto – fino alla diagnosi precoce e la finalità preventiva delle cure farmacologiche e non farmacologiche da parte degli operatori sanitari. Creare rete in diabetologia sulla polineuropatia diabetica vuol dire espandere e concretizzare l’expertise dei centri specialistici mettendo la persona con diabete al centro del processo decisionale”.
Diabete e prevenzione
La campagna ha coinvolto 40 centri di diabetologia in tutta Italia, pari al 70% delle regioni italiane. Lo scopo della campagna è generare consapevolezza sulle complicanze legate in particolare alle polineuropatia diabetica sia nella classe medica dei diabetologi sia nelle persone con diabete.
Al fine di promuovere il dialogo tra le persone con diabete e il proprio team clinico, soprattutto in termini di trattamento del dolore e di prevenzione attiva, il board scientifico ha ideato e sviluppato un leaflet informativo che per 1 anno ha popolato gli studi di 40 centri di diabetologia italiani.
Il documento ricalca un percorso di consapevolezza attraverso informazioni sulla patologia, suggerimenti rispetto alle domande da fare a sé stessi e al diabetologo, oltre ad una tabella per valutare la scala del dolore.
Informazioni ancora insufficienti
Sono stati veicolati sul territorio ben 25 mila leaflet informativi sviluppati seguendo le indicazioni ottenute dalle interviste ad un campione di persone con neuropatia diabetica.
Oltre ad importanti indicazioni sulla patologia, il leaflet conteneva anche una serie di domande a cui veniva chiesto di rispondere e commentare con il proprio diabetologo.
Diabete e arti. I risultati del questionario
Dall’elaborazione delle risposte ottenute, emerge che oltre il 90% dei centri che hanno aderito alla campagna ha ricevuto da parte dei propri assistiti richieste di informazioni in riferimento alla polineuropatia diabetica. Inoltre, circa il 60% delle persone con diabete raggiunte dal leaflet informativo ha affermato di aver aumentato la propria consapevolezza in riferimento alla patologia.
Complicanza dolorosa del diabete
La polineuropatia diabetica è una delle complicanze croniche più̀ comuni a lungo termine del diabete mellito. L’iperglicemia causa danni alle cellule nervose, compromettendo la funzione dei nervi.
Interessa circa il 30% della popolazione diabetica e nel 50% dei casi è di tipo doloroso, ma nonostante la sua frequenza, spesso la neuropatia diabetica non viene diagnosticata o trattata adeguatamente. Può interferire sul benessere perché́ provoca dolore a gambe e piedi, formicolii, forti fitte, rigidità̀ alle gambe, forte senso di calore, bruciori, costrizione ai piedi, ulcere che provocano difficoltà a camminare o a stare a lungo in piedi. È una complicanza che porta a conseguenze invalidanti sulla qualità di vita delle persone che vi convivono, e raddoppia il tasso di mortalità per cause cardiovascolari in chi ne è affetto. La presenza di polineuropatia conferisce al paziente, soprattutto se esposto a lesioni, ischemie ed infezioni nei casi più gravi, un rischio di amputazione talora maggiore dell’arto. La mortalità a cinque anni delle persone con diabete che vengono sottoposte ad amputazione del piede è compresa tra il 30 ed il 70%, anche se non è noto quale sia il ruolo attivo della polineuropatia diabetica (PND).
La mortalità per cause cardiovascolari nei soggetti con PND raddoppia rispetto ai soggetti che non ne sono affetti, probabilmente perché’ individua un cluster più a rischio.