Tempo di lettura: 4 minutiLa funzionalità della tiroide influenza la fertilità, eppure questo aspetto viene spesso trascurato. L’associazione GAT, Gruppo Aiuto Tiroide, ha raccolto le evidenze scientifiche più aggiornate, dando vita a un progetto divulgativo, sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD, con l’obiettivo di diffondere conoscenza e supportare le donne.
Tiroide e gravidanza
Questa ghiandola gioca un ruolo cruciale anche durante la gravidanza ed eventuali problemi possono complicare la gestazione. Annunziata Bellavista, presidente dell’associazione GAT, sottolinea l’importanza di focalizzarsi su questi temi. Ogni anno l’associazione svolge attività nelle scuole ed emerge ancora la necessità di informare meglio su tiroide, fertilità e gravidanza.
Medicina di genere: le alterazioni ormonali
«La fertilità femminile», chiarisce Francesco Giorgino, Ordinario di Endocrinologia Direttore U.O. complessa di Endocrinologia Policlinico di Bari, «è garantita dalla complessa interazione tra fattori ormonali, ginecologici e anatomici, che insieme assicurano la regolarità del ciclo mestruale e dell’ovulazione e la creazione di un ambiente uterino idoneo all’impianto e alla crescita dell’embrione. Alterazioni ormonali possono rompere questo equilibrio e compromettere la fertilità e il prosieguo della gravidanza. In particolare, gli ormoni tiroidei T3 e T4 sono implicati nella regolazione di numerose funzioni nell’organismo, inclusa la regolazione del ciclo mestruale e dell’ovulazione».
Gli ormoni nelle diverse fasi della vita
«Gli ormoni tiroidei», prosegue Rossella Nappi, Odinario di Ostetricia e Ginecologia Responsabile S.S.D. Ostetricia e Ginecologia 2 – PMA Ospedale San Matteo Pavia, «sono fondamentali per la donna partendo dall’adolescenza fino alla menopausa. Gli estrogeni sono in grado di modulare la funzione della ghiandola, fondamentale per la riproduzione umana. Spesso il ginecologo si trasforma nel medico di prima linea nell’intercettare le disfunzioni e, in sinergia con l’endocrinologo, le cura.
Nell’adolescenza l’uso, ad esempio, della pillola estroprogestinica può avere un impatto sulla funzionalità di questa ghiandola, poiché induce alterazioni, se pur modeste, delle quote libere degli ormoni tiroidei. Tuttavia, il periodo della vita della donna in cui una valutazione della sua funzionalità è importante è la fase pre-concezionale e peri-concezionale perché molti studi hanno dimostrato che una funzione non ottimale è responsabile di irregolarità delle mestruazioni e di problemi dell’ovulazione».
Impatto delle terapie ormonali e rischi nella gravidanza
«In senso generale – prosegue Nappi – la prescrizione di terapie ormonali siano esse contraccettive o della fertilità dovrebbe associarsi a un monitoraggio della funzione tiroidea, in particolare nelle pazienti con patologia tiroidea nota. Anche una donna con un ciclo mestruale regolare, fertile, ovulatorio, ma con una tiroide non perfettamente in squadra può riportare un maggior rischio di aborto e di fallimenti riproduttivi per meccanismi ancora in parte da chiarire».
«Un’attenzione particolare», prosegue la ginecologa, «deve essere data a gravidanze che iniziano con una funzione normale ma con un profilo di infiammazione, quindi di autoanticorpi, la cosiddetta tiroidite di Hashimoto. Questa condizione può comportare un inizio non ottimale della gravidanza con il rischio di formare una futura placenta meno efficiente. Questo può comportare non soltanto un maggiore rischio di aborto ma anche il rischio di sviluppare una vera e propria insufficienza placentare che può associarsi a ipertensione arteriosa, parto prematuro, bambino di basso peso. È per questo che la misurazione del TSH pre concepimento, degli anticorpi base, i cosiddetti TPO, è consigliata per intervenire tempestivamente in caso di gravidanza. Nei centri di fecondazione assistita, talvolta, si correggono preventivamente, con bassissime dosi di ormone tiroideo, le pazienti che si sottopongono a stimolazione ovarica sulla base di importanti studi che confermano la validità di questo intervento».
Prevenzione, il ruolo dello iodio
«Come sempre», continua Francesco Giorgino, «la prevenzione è fondamentale e questa può essere fatta attraverso l’assunzione di iodio. Un’adeguata assunzione di iodio, infatti, è fondamentale per garantire il corretto funzionamento, poiché lo iodio è un componente necessario per la sintesi degli ormoni tiroidei. Pertanto, la iodo-profilassi può influenzare la salute tiroidea e di concerto la fertilità delle donne prevenendo le disfunzioni e il miglioramento della fertilità.
Un adeguato apporto di iodio è necessario per prevenire la carenza iodica, che è tra le principali cause di disturbi, come l’ipotiroidismo e il gozzo. Il mantenimento di livelli appropriati di iodio promuove una funzione ottimale, che contribuisce a migliorare la fertilità. Ma non solo, riesce anche ridurre il rischio di complicanze durante la gravidanza. La iodo-profilassi può ridurre il rischio di complicanze derivanti dalla carenza di iodio durante la gravidanza, come l’ipotiroidismo o il ritardo mentale nel feto. Questo può contribuire a una gravidanza più sana e a una migliore salute materno-fetale e neonatale. Ed infine la iodo-profilassi può contribuire a ridurre il rischio di aborti spontanei.
Dannoso anche l’eccesso, negli uomini e nelle donne
Anche l’eccesso di iodio può essere dannoso, tanto quanto la sua carenza. Pertanto, è essenziale mantenere un equilibrio nell’assunzione di iodio e non eccedere le dosi raccomandate, specialmente durante la gravidanza e l’allattamento. Pertanto, le donne in età fertile dovrebbero consultare il proprio medico riguardo alla necessità di integrare lo iodio. Va detto che la profilassi con iodio può influenzare la salute tiroidea e la fertilità maschile in modo simile a quanto avviene nelle donne, sebbene gli effetti siano meno chiari e meno esplorati nell’uomo», continua l’esperto.
«La sorveglianza dello stato di nutrizione iodica è un’azione concreta a favore del benessere della popolazione generale e delle donne pugliesi in particolare» aggiunge Daniela Agrimi, responsabile dell’ORPG, Osservatorio regionale per la prevenzione del gozzo-Puglia, con cui il GAT ha una stretta e proficua collaborazione.
Terapie oncologiche e tossicità
«Un ultimo aspetto», conclude Francesco Giorgino, «è quello della relazione tra terapie oncologiche e tiroide. Le terapie oncologiche di ultima generazione hanno dimostrato una buona efficacia in molti tipi di tumore, tanto che il loro utilizzo è stato approvato per la terapia di diverse neoplasie (melanomi, carcinoma del polmone, del rene e neoplasie del sangue). Uno dei principali problemi legati all’uso di queste classi di farmaci è la tossicità endocrina, che si manifesta con una riduzione o un eccesso della funzionalità ormonale della ghiandola endocrina colpita. Sebbene qualsiasi ghiandola possa essere oggetto di tale tossicità, la tiroide è l’organo più frequentemente interessato (circa il 15 per cento dei casi), con un quadro clinico che spesso consiste in una ridotta produzione di ormoni, cioè nell’ipotiroidismo. Tale quadro si presenta in genere 1-3 mesi dopo l’inizio della terapia e può essere preceduto da un periodo transitorio di ipertiroidismo, dovuto al rilascio eccessivo di ormoni nel sangue da parte della tiroide colpita. Inoltre, anche ipofisi, surreni e pancreas endocrino possono essere colpiti».
La menopausa
«Infine», conclude Rossella Nappi, «c’è ancora tanto da studiare per supportare la donna nelle fasi della vita perché anche la menopausa è un momento in cui la ghiandola va in riserva. Vediamo molto ipotiroidismo di tipo sub-clinico che contribuisce allo stato di malessere della donna nel momento menopausale, quindi, correggere la funzione tiroidea e studiarla è importante anche nelle donne che non sono più fertili».
Infezioni ospedaliere: 11mila decessi l’anno in Italia, come prevenire
NewsLe infezioni ospedaliere o meglio note come Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA), sono provocate da germi multiresistenti agli antibiotici e rappresentano una nuova pandemia. L’Italia è uno dei Paesi con le peggiori performance, con 11mila decessi l’anno, un terzo di quelli che si verificano in tutta Europa. Secondo l’ultimo report dell’ECDC, le infezioni contratte in ospedale in Italia sono almeno 430mila, mentre l’incidenza è tra le maggiori in Europa (8.2 persone con una Infezione Correlata all’Assistenza ogni 100 ricoverati).
“Lo scenario italiano in tema di infezioni Correlate all’Assistenza rende indispensabile una appropriatezza prescrittiva della terapia antibiotica e una sua rapida applicazione per incrementare la possibilità di sopravvivenza del paziente – sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – Numerosi studi confermano che l’appropriatezza prescrittiva realizzata con una efficace consulenza infettivologica può ridurre in maniera significativa la mortalità dei pazienti con infezioni gravi. Altrettanto importante è la rapidità dei tempi: in un paziente con sepsi, passate sei ore, la somministrazione della corretta terapia antibiotica riduce rischio di mortalità ogni ora dell’8%”.
Infezioni ospedaliere, distanza tra domanda e offerta nella consulenza infettivologica
In Italia, le strutture sanitarie dotate di una Unità Operativa di Malattie Infettive sono poche e questo è un limite alla lotta all’antimicrobico resistenza e alle infezioni ospedaliere. Molte strutture stipulano convenzioni per la consulenza infettivologica, spesso attraverso mezzi inadeguati. Da questa esigenza è nata la piattaforma CADIS di Nomos che consente una consulenza in tempo reale, con la possibilità di scambiare dati, immagini e referti, tra il medico che gestisce il paziente e il consulente infettivologo. Il dispositivo medico certificato CE, inoltre, assicura la sicurezza dei dati e la privacy.
“La piattaforma CADIS – commenta Andreoni – offre l’opportunità di una consulenza infettivologica anche in quei centri non dotati di specialisti di malattie infettive, colmando un gap frequente, visto che questi reparti sono presenti in poco più del 30% degli ospedali italiani”.
“La valutazione in tempo reale dei dati analitici generati dai laboratori di microbiologia clinica rappresenta un momento cruciale nella gestione del paziente critico – evidenzia Paolo Fazii, Componente del Direttivo Nazionale dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani – Poiché la possibilità di un evento settico è molto alta, in questi casi bisogna intervenire con un’adeguata terapia antimicrobica nel più breve tempo possibile. Il management dei dati microbiologici trova nell’infettivologo il professionista dotato di maggiore expertise in ambito sanitario. Per tale motivo, ben vengano iniziative come quella della CADIS con l’obiettivo comune e condiviso del miglioramento degli outcome, della riduzione dei microrganismi multiresistenti e, non ultimo, della diminuzione delle spese sanitarie generate dalle complicanze infettive”.
Medici di Napoli, “ora basta polemiche”
NewsQuasi come fosse una soap estiva, le elezioni del Consiglio Direttivo dell’Ordine dei Medici Chirurgi ed Odontoiatri di Napoli e provincia si sono protratte tra polemiche e frecciatine. Ad infuocare gli animi stato un commissariamento deciso dalla CCEPS – Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, una questione di cavilli e di procedure più che di sostanza, che però ha interrotto bruscamente il quadriennio di presidenza di Bruno Zuccarelli rimescolando le carte. Alla fine, la nuova tornata elettorale – alla quale si è presentato anche Emilio Montemarano (figlio dell’ex assessore Angelo Montemarano) ha visto la conferma della lista Etica (quella che già aveva vinto le precedenti elezioni poi annullate).
La polemica dei medici “sconfitti”
Il risultato delle urne non ha però decretato la fine delle accuse e degli scontri a colpi di dichiarazioni. In ordine di tempo, il j’accuse mosso a Zuccarelli & Co. da alcuni dei medici che non sono riusciti ad ottenere sufficienti voti è stato quello di aver beneficiato di un sistema elettorale che ha penalizzato l’entrata in Consiglio di candidati delle liste avversarie che pure avevano ricevuto un numero considerevole di voti.
La replica degli odontoiatri
Non si sono fatte attendere le repliche. La prima è arrivata dal presidente Bruno Zuccarelli, che ha chiarito come i voti espressi abbiano definitivamente chiuso la questione. Poi è stata la volta del nuovo presidente della Commissione Albo Odontoiatri Pietro Rutigliani: “Più che una riforma elettorale per l’Ordine dei Medici di Napoli, a giudicare da come qualcuno legge i dati, servirebbe qualche ripetizione di matematica”, ha detto con una battuta. “Nonostante l’altissima percentuale di votanti odontoiatri in presenza (oltre 1.200), come non mai nella storia del nostro Ordine, alcuni dei medici candidati e risultati sconfitti nella competizione elettorale evidentemente vogliono negare la realtà”.
Il sistema di voto
Dati alla mano, il presidente della Commissione Albo Odontoiatri sottolinea come vada considerato per queste valutazioni espresse sull’organo di governo dell’Ordine dei Medici ed Odontoiatri di Napoli anche il voto degli odontoiatri e chiarisce, così come già fatto dal presidente Bruno Zuccarelli, il meccanismo elettorale: «Le preferenze vanno alla persona, non alla lista, e solo per comodità i colleghi hanno potuto esprimere 15 preferenze indicando semplicemente il nome della lista.
Il presidente CAO Pietro Rutigliani
Se un candidato di una lista alternativa alla nostra avesse raggiunto un numero sufficiente di preferenze sarebbe entrato nel Consiglio Direttivo. Se poi si considera il voto espresso dall’insieme di medici ed odontoiatri napoletani visibile chiaramente nelle preferenze e nelle percentuali raggiunte per le elezioni dei revisori si può facilmente vedere che si supera il 50% dei voti per la lista Etica. Sembra che i colleghi che fanno polemica – prosegue Rutigliani – provino a ignorare il voto degli odontoiatri quando forse dovrebbero provare a ragionare su un’elezione che è suonata per alcuni come una netta bocciatura».
La speranza di un chiarimento definitivo
Rutigliani ha infine voluto ringraziare i colleghi odontoiatri che «sono stati coerenti su un voto di preferenza della lista». Una presa di posizione netta, quella del neoeletto presidente della Commissione Albo Odontoiatri che vuole anche essere un definitivo chiarimento per rasserenare gli animi con un riconoscimento pieno degli odontoiatri come già ampiamente dimostrato dai numeri, ma che purtroppo «necessita ancora di uno sforzo importante anche nelle menti». Chissà se ora si potrà mettere la parola fine a questa soap estiva o se si proseguirà a colpi di comunicati anche durante il caldo mese di agosto.
Sinner ko, nessuno se lo aspettava
News, SportAlla fine è stata una tonsillite ad avere la meglio sul numero 1 al mondo del tennis Jannik Sinner. Nessuno se lo aspettava, ma il campione italiano ha dovuto arrendersi ed è stato costretto a rinunciare al sogno di essere a Parigi. Una sconfitta bruciante che non arriva sui campi in terra rossa, dove il golden boy era il favorito. La tonsillite che colpito Sinner è un’infezione della gola, che può essere virale o batterica, è una delle cause più comuni del mal di gola nei bambini e, qualche volta, può colpire anche gli adulti.
Differenza tra tonsillite, faringite e faringotonsillite.
Anche se spesso ci limitiamo a pensare che un mal di gola sia solo un mal di gola, esistono importanti differenze. Importanti soprattutto per i rimedi ai quali si può ricorrere. Semplificando il più possibile: se l’infezione attacca prevalentemente le tonsille, si parla di tonsillite. Se colpisce soprattutto la gola viene chiamata faringite. Quando colpisce entrambi, si parla di faringotonsillite. Il trattamento per faringite e tonsillite dipende dalla causa. Se l’infiammazione è causata da un virus, la cura migliore è nel riposo, nell’idratazione e nell’uso di farmaci da banco che puntano ad alleviare i sintomi. Se la causata è un batterio, è necessario un trattamento antibiotico.
La delusione di Sinner e i sintomi
Per il campione azzurro questa è stata una delle delusioni più grandi degli ultimi tempi. I sintomi all’inizio avevano lasciato penare al Covid e, quando il tampone è risultato negativo, Jannik aveva tirato un sospiro di sollievo. Tuttavia, quei sintomi nascondevano altro. Il mal di gola, spiega il sito del Bambino Gesù, è causato nella maggior parte dei casi dai virus del raffreddore come i Rhinovirus e dai virus influenzali come i virus dell’influenza e i virus della parainfluenza.
Soltanto in 3 bambini su 10 il mal di gola è causato da un batterio, lo Streptococco di gruppo B. I sintomi più comuni della faringite e della tonsillite sono: mal di gola; deglutizione dolorosa; febbre; tonsille ingrossate e arrossate, spesso con zaffi biancastri di pus; piccole macchie rosse sulla volta del palato; linfonodi del collo ingrossati.
La cura con antibiotico
Tuttavia, non sempre le cose sono semplici e spesso è difficile anche per il medico stabilire con la visita soltanto se la faringotonsillite è causata da un virus o da un batterio. La diagnosi si basa anzitutto sulla raccolta della storia clinica e su una visita attenta. Ma è spesso necessario praticare un tampone faringeo con test rapido per stabilire se la faringotonsillite è causata dallo Streptococco di gruppo B. La cura con antibiotico ha tre obiettivi: abbrevia la durata dei sintomi; previene le complicazioni e in particolare la malattia reumatica; riduce il rischio di trasmettere lo Streptococco in famiglia, a scuola e in comunità.
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Scampia, sale a 3 il numero delle vittime
NewsIl crollo avvenuto nella Vela Celeste a Scampia ha prodotto una terza vittima. Non ce l’ha fatta Patrizia Della Ragione che era stata ricoverata per un politrauma dopo aver riportato anche la frattura della milza e del bacino. Le condizioni della donna (53 anni) erano apparse da subito disperate, tanto da essere immediatamente accolta nel reparto di rianimazione del padiglione di Emergenza dell’ospedale Cardarelli di Napoli. Attualmente lo stesso reparto accoglie una seconda donna giunta in ospedale a seguito del crollo; si tratta della paziente R.M. che, pur presentando un quadro estremamente grave, si trova in una condizione stabile. Sempre al Cardarelli è ricoverata nel Trauma Center anche un’altra paziente C.M. le cui condizioni – dicono i medici – sono soddisfacenti e il quadro clinico è in miglioramento rispetto alle 24 ore precedenti.
Lotta tra la vita e la morte
Restano gravissime le condizioni di due delle bimbe precipitate nel vuoto. L’ultimo bollettino dell’Ospedale Pediatrico Santobono di Napoli parla di un ricovero in rianimazione con prognosi riservata. Le piccole pazienti, A. P. e B. M, rispettivamente di 7 e 4 anni, restano stabili pur nell’estrema gravità. Le altre tre piccole pazienti: B.M., B. S., A.A., rispettivamente di 10, 2 e 9 anni, ricoverate in ortopedia, sono state sottoposte tutte e tre ad intervento chirurgico, una per frattura di femore esposta, un’altra per frattura chiusa del terzo distale dell’omero sinistro, l’ultima per frattura omero sinistro scomposta prossimale.
Lesioni multiple
Una delle tre bambine ricoverate in ortopedia B.M, che aveva riportato anche frattura infossata della sinfisi mandibolare, sarà successivamente sottoposta ad intervento di chirurgia maxillofacciale non appena sarà risolto lo pneumtorace riportato sempre in conseguenza del crollo.
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Le tre bambine sono al momento stabili. Le ultime due, A.G. e A. A., rispettivamente di 2 e 4 anni, ricoverate in chirurgia di urgenza, sono stabili ed in osservazione, A.G. ha cominciato ad alimentarsi, A.A. con lesioni multiple continua a non presentare al momento indicazioni chirurgiche, ma è sotto stretto monitoraggio.
Cordoglio dei medici per il crollo a Scampia
“La città di Napoli vive ore di grande tristezza e di profondo lutto”, dice il neo eletto presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri di Napoli e provincia Bruno Zuccarelli. “A nome mio e di tutto il Consiglio Direttivo un sentimento di cordoglio nei confronti delle tante famiglie coinvolte dal crollo avvenuto alla Vela Celeste di Scampia e allo stesso tempo voglio ringraziare i tantissimi colleghi medici che per ore si sono spesi senza mai arrendersi per prestare soccorso e salvare le vite di quanti sono stati investiti dal crollo. Il nostro pensiero – conclude Zuccarelli – va ai feriti e ai bimbi che in queste ore stanno lottando per la vita. Sappiamo con certezza che tutto ciò che si potrà fare sarà fatto per evitare che altre vittime si aggiungano a questo bilancio già così pesante”.
Stenosi valvolare aortica in aumento, 50% non accede a TAVI
Anziani, News, Prevenzione, Ricerca innovazioneIn Italia, la stenosi valvolare aortica rappresenta la valvulopatia più diffusa che richiede interventi chirurgici o transcatetere. La sua incidenza sta rapidamente aumentando, principalmente a causa della degenerazione calcifica che colpisce una parte significativa della popolazione anziana. Senza trattamento, circa il 50% dei pazienti affetti muore entro due anni.
L’introduzione della valvola aortica transcatetere (TAVI) è stata inizialmente concepita come alternativa alla sostituzione valvolare aortica mediante cardiochirurgia tradizionale. Tuttavia, i risultati positivi e la minore invasività della procedura hanno notevolmente ampliato il numero di pazienti candidati: attualmente, l’indicazione si estende ai pazienti di età superiore ai 75 anni, e a quelli con significative comorbidità. È probabile che questo bacino si allargherà ulteriormente e che il numero di interventi TAVI raggiungerà e supererà a breve quelli tradizionali.
Per promuovere la formazione continua sulle tecniche interventistiche più recenti e sulle tecnologie più innovative è nata la campagna rivolta ai professionisti sanitari nel campo della cardiologia strutturale. All’interno dell’unità mobile “Your Heart Matters”, cardiologi e infermieri specializzati hanno ampliato le proprie competenze sulla terapia TAVI, partecipando a simulazioni e workshop pratici che hanno riprodotto fasi essenziali del percorso diagnostico e terapeutico per i pazienti affetti da stenosi aortica (SA) severa.
Stenosi valvolare aortica, malattia degenerativa. Le tappe della formazione
Da Pisa a Lecce, passando per Bologna, Torino, Brescia e Napoli: queste sono state le tappe del roadshow “Your Heart Matters”, appena conclusa. L’iniziativa europea, per migliorare l’assistenza pazienti, è stata promossa da Medtronic, in collaborazione con le strutture ospedaliere e universitarie aderenti.
La prima tappa a Pisa, presso la Scuola Superiore S. Anna, nell’area del CNR, è stata organizzata insieme al Dott. Sergio Berti, Direttore della Cardiologia Diagnostica e Interventistica dell’Ospedale Monasterio di Massa, che ha spiegato: “La stenosi valvolare aortica sta emergendo come una patologia significativa, principalmente a causa della sua natura degenerativa e dell’invecchiamento della popolazione. Attualmente, la sua prevalenza è leggermente superiore al 3% nella popolazione over 75 anni. Non tutti i pazienti necessitano di un intervento; le indicazioni riguardano quelli con stenosi valvolare aortica severa sintomatica.
Secondo l’Haute Autorité de Santé francese, la necessità di terapia è di circa 400 interventi per milione di abitanti. L’intervento TAVI viene eseguito in anestesia locale, ed è il risultato di una rigorosa pianificazione e di una minuziosa simulazione personalizzata in fase pre-operatoria della procedura, che minimizza il margine di errore, e della formazione degli operatori che la svolgono. Questo approccio ha portato ai risultati attuali, caratterizzati da una bassa incidenza di complicanze e tempi di dimissione entro la prima o seconda giornata post-intervento”.
La tappa a Torino
A Bologna, durante il congresso mondiale di cardiochirurgia delle patologie cardiache congenite e del congresso SICP – Società Italiana Cardiologia Pediatrica, è stato invece organizzato un workshop pratico in Interventional Cardiology con il Prof. Massimo Chessa, rivolto a giovani cardiologi interventisti e cardiochirurghi.
La terza tappa si è svolta nell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino, in collaborazione con il Dr. Giuseppe Musumeci, che ha spiegato: “è stata un’esperienza estremamente positiva che ci ha consentito di crescere insieme e di valutare un’innovazione che fa bene al paziente. La procedura TAVI sta crescendo costantemente nel corso degli anni, questo perché è efficace. È stata valutata in tutte le categorie di rischio, partendo dai pazienti inoperabili fino a quelli a basso rischio, con risultati sempre paragonabili o superiori rispetto alla cardiochirurgia tradizionale. Quest’anno in Italia sono state eseguite più di 13 mila TAVI, il che indica chiaramente che la procedura è efficace e benefica per il paziente”.
In Italia, il 50% dei pazienti non accede alle cure.
La quarta tappa si è svolta in collaborazione con la Dott.ssa Marianna Adamo, presso l’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale degli Spedali Civili di Brescia. “La stenosi aortica – ha spiegato la specialista – è una patologia rilevante e, grazie alla TAVI, abbiamo rivoluzionato la storia della malattia e la storia dei pazienti con stenosi aortica severa. Tuttavia, in Italia, il 50% dei pazienti non accede alle cure. Dobbiamo colmare questo divario potenziando i percorsi intra ed extra ospedalieri e i rapporti tra il centro di riferimento e i centri periferici, per garantire una cura adeguata al paziente.
La TAVI è una procedura efficace e le protesi utilizzate hanno una lunga durata nel tempo: i dati recentemente pubblicati dimostrano che, soprattutto alcune protesi con un disegno sovra-anulare, hanno risultati eccellenti anche a lungo termine. A dieci anni, la sopravvivenza dei pazienti che si sottopongono alla TAVI è equivalente a quella di coloro che fanno chirurgia, e la percentuale di degenerazione di alcune protesi sovra-anulari è addirittura inferiore a quella della chirurgia. Questi dati ci incoraggiano a espandere questa terapia anche ai pazienti più giovani, con un’aspettativa di vita più lunga” ha spiegato la Dott.ssa Marianna Adamo.
Garantire migliori terapie possibili
La quinta tappa del roadshow si è svolta in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Federico II” di Napoli. “È fondamentale garantire ai pazienti non solo un accesso tempestivo alle cure, ma anche le migliori terapie possibili, sia dal punto di vista farmacologico che chirurgico, come nel caso della stenosi aortica. L’innovazione della TAVI semplifica i procedimenti grazie alle moderne tecnologie che guidano l’intera operazione. Inoltre, è importante evidenziare le modalità di simulazione utilizzate per potenziare le performance degli operatori. Questo non solo migliora significativamente l’assistenza grazie al supporto tecnologico, ma rappresenta anche una sicurezza aggiuntiva per i nostri cittadini, contribuendo a migliorare la loro qualità della cura” ha commentato il Dott. Giuseppe Longo, DG AOU Federico II Napoli.
L’iniziativa itinerante si è conclusa presso l’Ospedale Vito Fazzi di Lecce. “Quando si parla di innovazione tecnologica, uno dei primi problemi sollevati riguarda la sostenibilità nelle aziende sanitarie e come queste nuove innovazioni possano conciliarsi con questo tema. Dai dati raccolti emerge in modo chiaro quella che è la sostenibilità della procedura TAVI. Quello che è auspicabile è che questa innovazione possa essere monitorata nel tempo con una riproducibilità tecnica e scientifica che ne confermi l’importanza e ne favorisca la sua diffusione” ha concluso la Dott.ssa Maria Nacci, direttrice sanitaria dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce.
Covid, ecco cosa sta succedendo
Covid, News, NewsIl Covid è tornato? Se lo chiedono i tantissimi che in questi giorni stanno – inaspettatamente – facendo i conti con un tampone positivo e – ancor peggio – che sono a casa con sintomi che pensavamo facessero ormai parte del passato. Diciamolo subito, non ci sono allarmi e non si prospetta nulla di quell’incubo che è stata la pandemia. C’è però da registrare un forte aumento dei casi con sintomi che vanno dalla febbre al mal di gola, e nei casi più seri possono richiedere persino un ricovero ospedaliero.
I dati del Covid in Italia
Nella settimana tra l’11 e il 17 luglio, sono stati registrati quasi 9.000 casi (8.942) , il 62% in più rispetto ai 7 giorni precedenti quando i casi erano 5.503. I morti sono 40, contro i 33 della settimana precedente (il 21% in più). Questo quanto riportato dal bollettino aggiornato del ministero della Salute sull’andamento di Covid nel Paese
Cos’è l’immunoevasività
Una delle caratteristi che più colpisce di questa nuova variante che circola e che sta causando la recrudescenza dei casi è la cosiddetta immunoevasività, fortunatamente solo parziale. A spiegare di che si tratta è il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore della Scuola di specializzazione in Igiene e medicina preventiva dell’università Statale di Milano. “Circola una variante con caratteristiche di immunoevasività – ha detto – cioè in grado di schivare questa nostra capacità di risposta. Da qui l’aumento dei casi. Per fortuna nella gran parte degli episodi l’infezione si dimostra meno problematica che in passato per la salute. Da un lato noi siamo un po’ più attrezzati; dall’altro il virus è un po’ più ‘buono’, di conseguenza la gran parte dei casi scivola via senza complicanze, anche se non mancano manifestazioni abbastanza importanti dal punto di vista della sintomatologia, un po’ stile inizio del Covid, anche per i più giovani”.
Mascherine e gel disinfettanti
A fare il punto su una situazione complicata non solo dal Covid, ma anche dall’aumento di altre virosi, è il segretario generale di Fimmg – e medico di famiglia – Silvestro Scotti. È proprio lui a denunciare che gli ambulatori dei medici di base sono pieni di casi Covid, ma anche gastroenteriti, raffreddori e otiti. Scotti ha segnalato come nelle ultime settimane si siano moltiplicati gli accessi e le segnalazioni anche telefoniche da parte dei pazienti. Un’estate, quella stiamo vivendo, nella quale siamo chiamati a difenderci da gasteoenteriti e da questa variante Kp3 del Covid che è molto diffusiva e con sintomi quasi uguali a quelli dell’influenza. Per questo il segretario Fimmg consiglia di tornare a mettere le mascherine, in particolare se si viaggia e se si hanno contatti con altre persone e lavarsi spesso le mani con gli igienizzanti.
Anche Sinner con la febbre
Nelle ultime ore la febbre ha colpito anche il campione di tennis Jannik Sinner, che ha dovuto annullare la sua partenza per Parigi. Nonostante sia stato escluso che Sinner sia stato colpito da Covid, alla fine il campione ha dovuto rinunciare a partecipare al torneo a causa di una severa tonsillite. Il torneo comincia sabato e si giocherà sulla terra rossa. Una competizione che vedeva il nostro campione tra i favoriti, e che ora il nostro campione potrà ricordare solo come un grande rimpianto.
Il Covid e le Olimpiadi
La squadra australiana giunta a Parigi per i Giochi è stata la prima a segnalare un caso di positività al Covid, nell’ambito delle squadre di pallanuoto. L’atleta è stato immediatamente isolato. Tutte le persone venute a contatto sono monitorate e testate, ma l’intera squadra si allenerà come previsto, ha riferito in conferenza stampa la responsabile della missione olimpica australiana, Anna Meares. “Devo sottolineare che stiamo trattando il Covid come faremmo con una influenza. Questa non è Tokyo – ha detto Meares – L’atleta non sta particolarmente male e si sta ancora allenando, ma dorme in una stanza singola. Ieri sera era tardi quando ha presentato i sintomi e la cosa buona è che avere la nostra attrezzatura per i test significa che possiamo ottenere tali informazioni molto, molto rapidamente e intervenire sia nella diagnosi che nel trattamento”.
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Giornata Mondiale delle Epatiti: gli italiani non le conoscono
News, PrevenzioneQuasi 1 italiano su 3 (32,1%) afferma di sapere poco o niente delle epatiti. Tra coloro che dichiarano di conoscere almeno qualcosa sulle epatiti, oltre 1 su 2 non sa esattamente come ci si può ammalare (57,3%), 6 su 10 non conoscono i vari tipi di epatite né gli effetti sulla salute o le condizioni di vita di un paziente. Solo 7 su 10 sanno che i virus possono essere causa delle epatiti (il 58,7% indica i batteri, il 41,5% i parassiti). Meno di 3 su 10, infine, sono informati sulle possibilità di trattamento e cura.
Questo il quadro delineato dall’indagine demoscopica “Italiani ed epatiti” condotta da AstraRicerche per Gilead Sciences su un campione di 1000 italiani i cui risultati vengono divulgati in vista della Giornata Mondiale delle Epatiti che si celebra ogni anno il 28 luglio. Dati che evidenziano la necessità di maggiore informazione sul tema, per questo riparte “Epatite C. Mettiamoci un punto”, la campagna multicanale che ha inaugurato il suo viaggio a Milano con il Tram della sensibilizzazione, in concomitanza con il Congresso EASL, e che arriva a Roma in questi giorni, sugli schermi dei principali snodi ferroviari della capitale, con l’obiettivo di diffondere una maggiore conoscenza dell’epatite C e delle sue modalità di trasmissione, invitando la popolazione a eseguire il test di screening.
La campagna in linea con gli obiettivi OMS 2030 di eradicazione delle epatiti
La campagna accende i riflettori su un problema di salute pubblica che coinvolge migliaia di persone che convivono con il virus HCV, responsabile dell’epatite C, e non lo sanno, trattandosi di una malattia che può rimanere silente anche per molti anni. Un’attività che si inserisce in un più ambizioso progetto di lotta alle epatiti virali, per contribuire al raggiungimento degli obiettivi OMS 2030 di eradicazione delle epatiti.
In particolare, a partire dal 2015: ridurre del 90% le nuove infezioni di epatite B e C; ridurre del 65% i decessi correlati all’epatite per cirrosi epatica e cancro; garantire che almeno il 90% delle persone con virus dell’Epatite B e C venga diagnosticato; e che almeno l’80% degli eleggibili al trattamento, lo riceva.
“Epatite C. Mettiamoci un punto” ha il patrocinio di 7 Associazioni pazienti – Anlaids Sezione Lombarda ETS, Anlaids Onlus, EpaC – ETS, Associazione Milano Check Point, Cooperativa Sociale Open Group Bologna, Plus Roma, Fondazione Villa Maraini – CRI, di 3 Società Scientifiche – AISF (Associazione Italiana Studio del Fegato), SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie), SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) e della Città Metropolitana di Milano.
Cittadini poco informati: poco più di 1 su 10 sa che l’epatite C può essere silente
Sebbene il livello generale di conoscenza evidenziato sia piuttosto basso, è chiaro agli intervistati (coloro che affermano di conoscere almeno qualcosa delle epatiti) che si tratta di infezioni potenzialmente gravi: per 8 su 10 (79,4%) possono avere come conseguenza l’insufficienza epatica, per il 72,2% la cirrosi, per il 69,1% la morte prematura, e per il 67,5% il tumore al fegato. Accanto a questa conoscenza persiste però una falsa credenza: per 7 Italiani su 10 le epatiti danno sintomi visibili; solo poco più di 1 su 10 sa che l’epatite C può essere silente.
“L’infezione da HCV può rimanere silente anche per molti anni, danneggiando progressivamente le funzionalità del fegato, senza che se ne abbia consapevolezza. Diffondere una corretta informazione sulle epatiti è parte integrante del piano per il raggiungimento degli obiettivi OMS 2030, tra i quali si inserisce l’eradicazione dell’epatite C, patologia oggi curabile per la quale c’è ancora un’importante quota di sommerso”.
Lo sottolinea Stefano Fagiuoli, Direttore Unità Complessa di Gastroenterologia, Epatologia e Trapiantologia ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo; Gastroenterologia, Dipartimento di Medicina Università Milano Bicocca. “Aumentare la consapevolezza sulle modalità di trasmissione dei virus è una strategia di successo per favorire l’accesso ai test di screening e promuovere un percorso di diagnosi e trattamento più precoci. Un risparmio in termini sanitari ed economici, con evidenti ricadute sulla salute”.
Prevenzione e stigma
Su un punto gli intervistati per la ricerca “Italiani ed epatiti” sono (quasi tutti) d’accordo: le analisi del sangue sono il modo per accertare l’epatite (83,3%). Con l’obiettivo di far emergere il “sommerso”, in Italia è attivo un programma nazionale di screening gratuito dell’epatite C per i nati tra il 1969 e il 1989 e per alcune categorie di persone considerate “a rischio”.
“Informazione, consapevolezza e azione – spiega Roberta D’Ambrosio, Specialista in Gastroenterologia; Epatologa presso la Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano – sono le parole chiave per una strategia di successo di eradicazione delle epatiti. Mettere un punto alle epatiti e fermare il contagio è un obiettivo comune, che riguarda tutti. Per questo è importante conoscere le modalità di trasmissione delle epatiti, essere consapevoli dell’importanza di fare il test anche in assenza di sintomi o di comportamenti definiti “a rischio”. Basti pensare che l’esposizione a procedure medico-chirurgiche prima degli anni Novanta – quando il virus ancora non era stato scoperto – rappresenta il più importante fattore di rischio per l’infezione da HCV”.
Un’infezione che non è dunque confinata a categorie particolari di persone, nonostante le epatiti siano ancora avvolte dallo stigma: circa un italiano su 10 (10,8% di chi conosce le epatiti) afferma che sono da evitare i contatti con persone che vivono con le infezioni.
Screening dell’epatite C
“Conoscenza e sensibilizzazione – afferma Ivan Gardini, Presidente di EpaC ETS – sono azioni necessarie per combattere stigma e falsi miti, ancora diffusi tra gli italiani, oltre che per fermare il contagio. In occasione della Giornata Mondiale delle Epatiti sottolineo l’importanza di informarsi e accedere allo screening nazionale dell’epatite C, gratuito per le persone 35-55enni, un’opportunità non ancora colta pienamente da tutte le Regioni che viaggia a differenti velocità lungo l’Italia. Eppure, fare un semplice test è il primo passo verso la cura, ed evitare cirrosi, tumore del fegato e trapianto”.
A promuovere una corretta informazione sul tema, veicolando i messaggi della campagna di sensibilizzazione “Epatite C. Mettiamoci un punto” ci sono anche due influencer: Diego Passoni, conduttore radiofonico, e Luca Trapanese, scrittore, attivista e fondatore dell’Associazione “A ruota libera”. È inoltre online www.epatitecmettiamociunpunto.it, un sito per conoscere l’epatite C e le sue modalità di trasmissione a partire da quattro storie di persone comuni che grazie al test hanno scoperto e curato l’infezione.
Carcinoma polmonare, un nuovo farmaco ha risultati mai visti prima
Ricerca innovazione, NewsIl tumore al polmone potrebbe non essere più così letale come è oggi, la speranza arriva dai risultati di uno studio che ha valutato gli effetti di un nuovo farmaco sul tumore al polmone non a piccole cellule con mutazione del gene Alk. In particolare, questo nuovo farmaco, ha fatto registrare, rispetto al trattamento alternativo, una riduzione del rischio di progressione o di morte dell’81%, con quasi due terzi dei casi, il 60%, sopravvissuti per cinque anni senza progressione della malattia.
Risultati straordinari
Per comprende a pieno il risultato senza precedenti vale la pena sottolineare che i pazienti in vita senza progressione della malattia dopo cinque anni sono il 60%, contro l’8% raggiunto in coloro trattati con le terapie standard. Si è osservata una riduzione del rischio di progressione di malattia o di morte dell’81%. Così come è ridotto il rischio di sviluppare una progressione intracranica in una percentuale che sfiora il 94%. Lo studio è stato condotto tra in 23 Paesi in tutto il mondo con un 296 pazienti maggiorenni, una parte dei quali ha ricevuto il farmaco e l’altra il placebo.
Carcinoma polmonare
Ma cos’ è il tumore al polmone avanzato non a piccole cellule, o Nsclc (non-small cell lung cancer)? È la forma più comune di carcinoma polmonare. Rappresenta l’85-90% dei casi, ma solo nel 3-5% di essi è presente la proteina di fusione Eml4-Alk. Questa rara mutazione (Nsclc avanzato Alk-positivo) colpisce soprattutto pazienti giovani, di età inferiore ai 55 anni di età, e non fumatori. Il processo tumorale è molto rapido, e circa il 25-40% può sviluppare metastasi cerebrali entro due anni dalla diagnosi iniziale.
Efficacia
Le proteine tirosin-chinasi (Tki) sono enzimi che regolano diversi processi cellulari. Alcune mutazioni possono, influenzandone l’attività, portare a leucemia e altri tipi di cancro. Filippo de Marinis, direttore divisione di Oncologia toracica all’Istituto europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, Presidente Aiot (Associazione italiana di oncologia toracica) e membro dello Steering committee Crown spiega che la molecola ha già ricevuto pubblicazioni nel 2020 e nel 2023, e ha già dimostrato di essere molto più efficace delle terapie tradizionali.
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Tiroide, come incide sulla fertilità, ruolo dello iodio
Benessere, News, PrevenzioneLa funzionalità della tiroide influenza la fertilità, eppure questo aspetto viene spesso trascurato. L’associazione GAT, Gruppo Aiuto Tiroide, ha raccolto le evidenze scientifiche più aggiornate, dando vita a un progetto divulgativo, sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD, con l’obiettivo di diffondere conoscenza e supportare le donne.
Tiroide e gravidanza
Questa ghiandola gioca un ruolo cruciale anche durante la gravidanza ed eventuali problemi possono complicare la gestazione. Annunziata Bellavista, presidente dell’associazione GAT, sottolinea l’importanza di focalizzarsi su questi temi. Ogni anno l’associazione svolge attività nelle scuole ed emerge ancora la necessità di informare meglio su tiroide, fertilità e gravidanza.
Medicina di genere: le alterazioni ormonali
«La fertilità femminile», chiarisce Francesco Giorgino, Ordinario di Endocrinologia Direttore U.O. complessa di Endocrinologia Policlinico di Bari, «è garantita dalla complessa interazione tra fattori ormonali, ginecologici e anatomici, che insieme assicurano la regolarità del ciclo mestruale e dell’ovulazione e la creazione di un ambiente uterino idoneo all’impianto e alla crescita dell’embrione. Alterazioni ormonali possono rompere questo equilibrio e compromettere la fertilità e il prosieguo della gravidanza. In particolare, gli ormoni tiroidei T3 e T4 sono implicati nella regolazione di numerose funzioni nell’organismo, inclusa la regolazione del ciclo mestruale e dell’ovulazione».
Gli ormoni nelle diverse fasi della vita
«Gli ormoni tiroidei», prosegue Rossella Nappi, Odinario di Ostetricia e Ginecologia Responsabile S.S.D. Ostetricia e Ginecologia 2 – PMA Ospedale San Matteo Pavia, «sono fondamentali per la donna partendo dall’adolescenza fino alla menopausa. Gli estrogeni sono in grado di modulare la funzione della ghiandola, fondamentale per la riproduzione umana. Spesso il ginecologo si trasforma nel medico di prima linea nell’intercettare le disfunzioni e, in sinergia con l’endocrinologo, le cura.
Nell’adolescenza l’uso, ad esempio, della pillola estroprogestinica può avere un impatto sulla funzionalità di questa ghiandola, poiché induce alterazioni, se pur modeste, delle quote libere degli ormoni tiroidei. Tuttavia, il periodo della vita della donna in cui una valutazione della sua funzionalità è importante è la fase pre-concezionale e peri-concezionale perché molti studi hanno dimostrato che una funzione non ottimale è responsabile di irregolarità delle mestruazioni e di problemi dell’ovulazione».
Impatto delle terapie ormonali e rischi nella gravidanza
«In senso generale – prosegue Nappi – la prescrizione di terapie ormonali siano esse contraccettive o della fertilità dovrebbe associarsi a un monitoraggio della funzione tiroidea, in particolare nelle pazienti con patologia tiroidea nota. Anche una donna con un ciclo mestruale regolare, fertile, ovulatorio, ma con una tiroide non perfettamente in squadra può riportare un maggior rischio di aborto e di fallimenti riproduttivi per meccanismi ancora in parte da chiarire».
«Un’attenzione particolare», prosegue la ginecologa, «deve essere data a gravidanze che iniziano con una funzione normale ma con un profilo di infiammazione, quindi di autoanticorpi, la cosiddetta tiroidite di Hashimoto. Questa condizione può comportare un inizio non ottimale della gravidanza con il rischio di formare una futura placenta meno efficiente. Questo può comportare non soltanto un maggiore rischio di aborto ma anche il rischio di sviluppare una vera e propria insufficienza placentare che può associarsi a ipertensione arteriosa, parto prematuro, bambino di basso peso. È per questo che la misurazione del TSH pre concepimento, degli anticorpi base, i cosiddetti TPO, è consigliata per intervenire tempestivamente in caso di gravidanza. Nei centri di fecondazione assistita, talvolta, si correggono preventivamente, con bassissime dosi di ormone tiroideo, le pazienti che si sottopongono a stimolazione ovarica sulla base di importanti studi che confermano la validità di questo intervento».
Prevenzione, il ruolo dello iodio
«Come sempre», continua Francesco Giorgino, «la prevenzione è fondamentale e questa può essere fatta attraverso l’assunzione di iodio. Un’adeguata assunzione di iodio, infatti, è fondamentale per garantire il corretto funzionamento, poiché lo iodio è un componente necessario per la sintesi degli ormoni tiroidei. Pertanto, la iodo-profilassi può influenzare la salute tiroidea e di concerto la fertilità delle donne prevenendo le disfunzioni e il miglioramento della fertilità.
Un adeguato apporto di iodio è necessario per prevenire la carenza iodica, che è tra le principali cause di disturbi, come l’ipotiroidismo e il gozzo. Il mantenimento di livelli appropriati di iodio promuove una funzione ottimale, che contribuisce a migliorare la fertilità. Ma non solo, riesce anche ridurre il rischio di complicanze durante la gravidanza. La iodo-profilassi può ridurre il rischio di complicanze derivanti dalla carenza di iodio durante la gravidanza, come l’ipotiroidismo o il ritardo mentale nel feto. Questo può contribuire a una gravidanza più sana e a una migliore salute materno-fetale e neonatale. Ed infine la iodo-profilassi può contribuire a ridurre il rischio di aborti spontanei.
Dannoso anche l’eccesso, negli uomini e nelle donne
Anche l’eccesso di iodio può essere dannoso, tanto quanto la sua carenza. Pertanto, è essenziale mantenere un equilibrio nell’assunzione di iodio e non eccedere le dosi raccomandate, specialmente durante la gravidanza e l’allattamento. Pertanto, le donne in età fertile dovrebbero consultare il proprio medico riguardo alla necessità di integrare lo iodio. Va detto che la profilassi con iodio può influenzare la salute tiroidea e la fertilità maschile in modo simile a quanto avviene nelle donne, sebbene gli effetti siano meno chiari e meno esplorati nell’uomo», continua l’esperto.
«La sorveglianza dello stato di nutrizione iodica è un’azione concreta a favore del benessere della popolazione generale e delle donne pugliesi in particolare» aggiunge Daniela Agrimi, responsabile dell’ORPG, Osservatorio regionale per la prevenzione del gozzo-Puglia, con cui il GAT ha una stretta e proficua collaborazione.
Terapie oncologiche e tossicità
«Un ultimo aspetto», conclude Francesco Giorgino, «è quello della relazione tra terapie oncologiche e tiroide. Le terapie oncologiche di ultima generazione hanno dimostrato una buona efficacia in molti tipi di tumore, tanto che il loro utilizzo è stato approvato per la terapia di diverse neoplasie (melanomi, carcinoma del polmone, del rene e neoplasie del sangue). Uno dei principali problemi legati all’uso di queste classi di farmaci è la tossicità endocrina, che si manifesta con una riduzione o un eccesso della funzionalità ormonale della ghiandola endocrina colpita. Sebbene qualsiasi ghiandola possa essere oggetto di tale tossicità, la tiroide è l’organo più frequentemente interessato (circa il 15 per cento dei casi), con un quadro clinico che spesso consiste in una ridotta produzione di ormoni, cioè nell’ipotiroidismo. Tale quadro si presenta in genere 1-3 mesi dopo l’inizio della terapia e può essere preceduto da un periodo transitorio di ipertiroidismo, dovuto al rilascio eccessivo di ormoni nel sangue da parte della tiroide colpita. Inoltre, anche ipofisi, surreni e pancreas endocrino possono essere colpiti».
La menopausa
«Infine», conclude Rossella Nappi, «c’è ancora tanto da studiare per supportare la donna nelle fasi della vita perché anche la menopausa è un momento in cui la ghiandola va in riserva. Vediamo molto ipotiroidismo di tipo sub-clinico che contribuisce allo stato di malessere della donna nel momento menopausale, quindi, correggere la funzione tiroidea e studiarla è importante anche nelle donne che non sono più fertili».
Denti, un’iniezione li farà ricrescere
Ricerca innovazione, NewsPoter far ricrescere i denti è stato a lungo un sogno di molti, presto potrebbe diventare realtà. In meno di 6 anni basterà una siringa per dire definitivamente addio a impianti e protesi. Dietro questa promessa c’è la tecnologia sviluppata da una start-up dell’università di Kyoto, la Toregem Biopharma, che sta sviluppando un farmaco anticorpale descritto come “il primo al mondo per la ricrescita dei denti”.
Al via la sperimentazione sull’uomo
Nel mese di settembre dovrebbero iniziare i test clinici sull’uomo. Fino ad oggi i test sugli animali hanno dato risultati incredibili e nessun effetto collaterale di rilievo. Un sogno che si realizza per la presidente di Toregem Biopharma Honoka Kiso legata al farmaco da un’esperienza personale che condivide sul sito dell’azienda: “Quando ero alle scuole superiori – racconta – ho perso 2 denti per una patologia dell’osso mandibolare e ho subito un intervento chirurgico. Quell’esperienza mi ha spinto a diventare dentista e quando andavo all’università mi sono sottoposta a un impianto dentale”.
Anticorpo monoclonale per nuovi denti
Il farmaco che promette questo cambiamento epocale è un anticorpo monoclonale che punta a inibire la proteina Usag-1, quella che dice al nostro corpo di non rigenerare il dente. In un articolo pubblicato su Science Advances si legge che una singola somministrazione dell’anticorpo si è rivelata sufficiente per stimolare la formazione e la crescita di un intero dente in un topo sano e di favorire la formazione di denti in topi portatori di specifiche mutazioni che causano agenesia dentale.
Nuove speranze
A questo nuovo trial si legano insomma le speranze di moltissimi pazienti che ad oggi soffrono per la mancanza di denti, costretti quindi a usare protesi o impianti. Se la sperimentazione dovesse risultare efficace e sicura, il prossimo step sarebbe quello di provare l’efficacia del farmaco su un gruppo di bambini con carenze congenite di denti, condizioni che possono causare difficoltà masticatorie e fonatorie, oltre a problemi di malocclusione. Sul lungo periodo, l’obiettivo è quello di rendere disponibile l’anticorpo per l’uso clinico entro il 2030. Non resta che aspettare e stare a vedere se in un futuro non lontano basterà un’iniezione per ritrovare il sorriso.
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