Tempo di lettura: 4 minuti“Al primo posto a livello mondiale per crescita dell’export tra il 2021 e il 2023. È il traguardo raggiunto dall’industria farmaceutica in Italia grazie a imprese, internazionali e nazionali, che continuano a investire nel Paese”. Sono i dati ricordati da Marcello Cattani, Presidente di Farmindustria, appena riconfermato alla presidenza, nel corso dell’Assemblea di Farmindustria conclusa oggi a Roma.
“Nella proposta di riforma della legislazione europea sui farmaci ci sono degli aspetti positivi e negativi, sui quali siamo intervenuti: è chiaro che occorre rimettere al centro l’innovazione e la competititività senza limitare gli investimenti dell’industria farmaceutica”. Lo ha detto nel corso del suo intervento il ministro della Salute, Orazio Schillaci. “Dobbiamo rendere più attrattivi gli investimenti in Europa – ha aggiunto – e dobbiamo investire per avere nuovi farmaci per malattie complesse e l’antibiotico resistenza. Ma bisogna anche accelerare l’accesso a tutti i farmaci innovativi da parte dei pazienti”. Secondo Schillaci “il mondo globalizzato non può lasciare ai margini l’Europa che deve tornare ad essere un terreno fertile per gli investimenti”.
Settore dell’industria farmaceutica strategico per il Paese
“È l’export che traina la produzione e che fa registrare record su record – ha proseguito Cattani. Farmaci e vaccini sono il secondo settore made in Italy per saldo estero, 17 miliardi di euro nel 2023. La quota dell’export farmaceutico sul totale manifatturiero è passata dal 3,8% all’8,3% in 20 anni.
La nostra industria conferma di essere un settore hi-tech strategico per la Nazione. La produzione ha toccato i 52 miliardi di euro nel 2023, con oltre 49 di export, nonostante le difficoltà causate dall’aumento dei costi del 30% rispetto al 2021. Gli investimenti sul territorio sono di 3,6 miliardi, di cui 2 in R&S. Gli addetti sono 70.000 (+2% nel 2023 e +9% in 5 anni), con un incremento di quasi il 20% di under 35 negli ultimi 5 anni, e con un’elevata presenza di donne, il 45% del totale. Industria che ha un welfare aziendale all’avanguardia ed è il primo settore tra quelli manifatturieri, secondo Istat, per competitività, con il più alto valore aggiunto per addetto, parametro di produttività per cui siamo migliori degli altri Big UE. E che guarda al futuro con progetti di responsabilità sociale, anche con l’alternanza scuola-lavoro, nelle scuole superiori e negli ITS per formare gli studenti e sviluppare le competenze necessarie alle imprese. Proprio con questo obiettivo è stato recentemente firmato un Protocollo d’Intesa con l’Egitto, nell’ambito del Piano Mattei, per la partnership tra imprese e per la formazione, attraverso scambi accademici e professionali di docenti e studenti”.
Brevetti: domande + 35%
“Senza dimenticare – ha proseguito – che negli ultimi 5 anni la crescita delle domande di brevetto farmaceutico nel Paese è stata del 35%, rispetto al +23% dei Big UE.
Un segnale della straordinaria accelerazione scientifica e tecnologica che stiamo vivendo. Intelligenza artificiale, data driven industry, ricerca nello spazio, nuovi modelli di trial clinici, nuove frontiere di R&S consentono sempre più la personalizzazione delle terapie.
Cure “disegnate” sui singoli pazienti con tecnologie all’avanguardia arriveranno nei prossimi anni per trattare molte malattie e correggere difetti del genoma, in una prospettiva One Health di rispetto della salute delle persone e del pianeta.
A inizio 2024 è stato raggiunto un record storico, per i farmaci in sviluppo nel mondo, 23.000, con investimenti in R&S da parte delle imprese farmaceutiche di oltre 1.700 miliardi di dollari tra il 2023 e il 2028”.
Scenario globale sempre più competitivo
“Ma la competizione globale corre sempre di più – ha proseguito Cattani. Ecco perché essere veloci, attrarre investimenti e offrire innovazione deve diventare il must delle politiche dell’Unione Europea e dell’Italia. Non possiamo avere una realtà a due velocità: un mondo che cambia rapidissimamente e assetti decisionali e regolatori fermi a venti anni fa. Serve voltare pagina per tenere il passo di altri Paesi in un contesto globale sempre più complesso.
Ora è il momento di accelerare con determinazione, giocando su due tavoli.
In Europa per ricominciare a porre al centro il tema della competitività, dell’attrattività per gli investimenti, dell’autonomia strategica e delle catene di approvvigionamento. Bisogna poi avere il coraggio di rivedere completamente la proposta di revisione della legislazione farmaceutica che indebolisce la proprietà intellettuale. Proprio mentre USA, Cina, Singapore, Emirati Arabi, Arabia Saudita mettono in campo politiche per rafforzare la propria struttura industriale. Basti pensare che il gap di investimenti in R&S tra UE e USA è passato in 20 anni da 2 miliardi di dollari a 25. Con il 60% dei nuovi lanci di medicinali che avviene negli USA mentre in UE è meno del 30%. Secondo recenti dati Efpia, la Cina nel 2023 ha superato l’Europa come area di origine di nuovi farmaci: su 90 molecole a livello globale 28 arrivano dagli Usa, 25 dalla Cina, 17 dall’UE. Cina che in R&S cresce a ritmi 3 volte superiori a quelli del nostro Continente. Non bisogna perdere ulteriore terreno con scelte sbagliate che penalizzano l’attrattività e ci espongono a dipendenze strategiche. Si consideri che già oggi il 74% dei principi attivi di uso più consolidato dipende infatti da produzioni in Cina o in India così come il 60% dell’alluminio, materia prima fondamentale per le nostre imprese.
Cattani: cambiare in fretta la rotta e la prospettiva
“Recuperare competitività significa cambiare in fretta la rotta e la prospettiva: la salute deve diventare prioritaria ed essere considerata un investimento che genera anche risparmi sociali ed economici evitando altri costi. E l’industria farmaceutica deve essere percepita come un’alleata su cui contare perché trasforma le conquiste scientifiche in cure per i cittadini.
In Italia è indispensabile una governance farmaceutica davvero moderna, con regole nuove, chiare, adatte alla rapidità dell’innovazione, superando il sistema del payback, tassa iniqua e aggiuntiva che grava sulle aziende per quasi 2 miliardi nel 2024.
Riforme da accompagnare a una semplificazione per la ricerca clinica e a regole per consentire l’uso del dato clinico per necessità di Ricerca, nel rispetto della privacy.
Fondamentale è anche ridurre i tempi di accesso all’innovazione per i cittadini, ancora troppo lunghi – 14 mesi a livello nazionale, ulteriormente aggravati da quelli a livello regionale – con evidenti differenze sul territorio, che generano disuguaglianza e disomogeneità.
Occorre riconoscere il valore dell’innovazione e rivalorizzare alcuni farmaci di grande diffusione e a basso costo, per garantire così la sostenibilità industriale messa in difficoltà a causa di un aumento strutturale dei costi. Con un finanziamento basato sulle reali esigenze di salute.
Su Europa e Italia molto positiva è l’azione del Governo che ha dimostrato di credere nell’innovazione. Bisogna proseguire nel dialogo tra Istituzioni e industria collaborando nell’ottica di una visione condivisa dell’interesse nazionale.
Perché solo insieme è possibile vincere in Europa e nel mondo”, ha concluso Cattani.
Assemblea Farmindustria: settore strategico per l’Europa. Schillaci: UE rimetta al centro competitività
News“Al primo posto a livello mondiale per crescita dell’export tra il 2021 e il 2023. È il traguardo raggiunto dall’industria farmaceutica in Italia grazie a imprese, internazionali e nazionali, che continuano a investire nel Paese”. Sono i dati ricordati da Marcello Cattani, Presidente di Farmindustria, appena riconfermato alla presidenza, nel corso dell’Assemblea di Farmindustria conclusa oggi a Roma.
“Nella proposta di riforma della legislazione europea sui farmaci ci sono degli aspetti positivi e negativi, sui quali siamo intervenuti: è chiaro che occorre rimettere al centro l’innovazione e la competititività senza limitare gli investimenti dell’industria farmaceutica”. Lo ha detto nel corso del suo intervento il ministro della Salute, Orazio Schillaci. “Dobbiamo rendere più attrattivi gli investimenti in Europa – ha aggiunto – e dobbiamo investire per avere nuovi farmaci per malattie complesse e l’antibiotico resistenza. Ma bisogna anche accelerare l’accesso a tutti i farmaci innovativi da parte dei pazienti”. Secondo Schillaci “il mondo globalizzato non può lasciare ai margini l’Europa che deve tornare ad essere un terreno fertile per gli investimenti”.
Settore dell’industria farmaceutica strategico per il Paese
“È l’export che traina la produzione e che fa registrare record su record – ha proseguito Cattani. Farmaci e vaccini sono il secondo settore made in Italy per saldo estero, 17 miliardi di euro nel 2023. La quota dell’export farmaceutico sul totale manifatturiero è passata dal 3,8% all’8,3% in 20 anni.
La nostra industria conferma di essere un settore hi-tech strategico per la Nazione. La produzione ha toccato i 52 miliardi di euro nel 2023, con oltre 49 di export, nonostante le difficoltà causate dall’aumento dei costi del 30% rispetto al 2021. Gli investimenti sul territorio sono di 3,6 miliardi, di cui 2 in R&S. Gli addetti sono 70.000 (+2% nel 2023 e +9% in 5 anni), con un incremento di quasi il 20% di under 35 negli ultimi 5 anni, e con un’elevata presenza di donne, il 45% del totale. Industria che ha un welfare aziendale all’avanguardia ed è il primo settore tra quelli manifatturieri, secondo Istat, per competitività, con il più alto valore aggiunto per addetto, parametro di produttività per cui siamo migliori degli altri Big UE. E che guarda al futuro con progetti di responsabilità sociale, anche con l’alternanza scuola-lavoro, nelle scuole superiori e negli ITS per formare gli studenti e sviluppare le competenze necessarie alle imprese. Proprio con questo obiettivo è stato recentemente firmato un Protocollo d’Intesa con l’Egitto, nell’ambito del Piano Mattei, per la partnership tra imprese e per la formazione, attraverso scambi accademici e professionali di docenti e studenti”.
Brevetti: domande + 35%
“Senza dimenticare – ha proseguito – che negli ultimi 5 anni la crescita delle domande di brevetto farmaceutico nel Paese è stata del 35%, rispetto al +23% dei Big UE.
Un segnale della straordinaria accelerazione scientifica e tecnologica che stiamo vivendo. Intelligenza artificiale, data driven industry, ricerca nello spazio, nuovi modelli di trial clinici, nuove frontiere di R&S consentono sempre più la personalizzazione delle terapie.
Cure “disegnate” sui singoli pazienti con tecnologie all’avanguardia arriveranno nei prossimi anni per trattare molte malattie e correggere difetti del genoma, in una prospettiva One Health di rispetto della salute delle persone e del pianeta.
A inizio 2024 è stato raggiunto un record storico, per i farmaci in sviluppo nel mondo, 23.000, con investimenti in R&S da parte delle imprese farmaceutiche di oltre 1.700 miliardi di dollari tra il 2023 e il 2028”.
Scenario globale sempre più competitivo
“Ma la competizione globale corre sempre di più – ha proseguito Cattani. Ecco perché essere veloci, attrarre investimenti e offrire innovazione deve diventare il must delle politiche dell’Unione Europea e dell’Italia. Non possiamo avere una realtà a due velocità: un mondo che cambia rapidissimamente e assetti decisionali e regolatori fermi a venti anni fa. Serve voltare pagina per tenere il passo di altri Paesi in un contesto globale sempre più complesso.
Ora è il momento di accelerare con determinazione, giocando su due tavoli.
In Europa per ricominciare a porre al centro il tema della competitività, dell’attrattività per gli investimenti, dell’autonomia strategica e delle catene di approvvigionamento. Bisogna poi avere il coraggio di rivedere completamente la proposta di revisione della legislazione farmaceutica che indebolisce la proprietà intellettuale. Proprio mentre USA, Cina, Singapore, Emirati Arabi, Arabia Saudita mettono in campo politiche per rafforzare la propria struttura industriale. Basti pensare che il gap di investimenti in R&S tra UE e USA è passato in 20 anni da 2 miliardi di dollari a 25. Con il 60% dei nuovi lanci di medicinali che avviene negli USA mentre in UE è meno del 30%. Secondo recenti dati Efpia, la Cina nel 2023 ha superato l’Europa come area di origine di nuovi farmaci: su 90 molecole a livello globale 28 arrivano dagli Usa, 25 dalla Cina, 17 dall’UE. Cina che in R&S cresce a ritmi 3 volte superiori a quelli del nostro Continente. Non bisogna perdere ulteriore terreno con scelte sbagliate che penalizzano l’attrattività e ci espongono a dipendenze strategiche. Si consideri che già oggi il 74% dei principi attivi di uso più consolidato dipende infatti da produzioni in Cina o in India così come il 60% dell’alluminio, materia prima fondamentale per le nostre imprese.
Cattani: cambiare in fretta la rotta e la prospettiva
“Recuperare competitività significa cambiare in fretta la rotta e la prospettiva: la salute deve diventare prioritaria ed essere considerata un investimento che genera anche risparmi sociali ed economici evitando altri costi. E l’industria farmaceutica deve essere percepita come un’alleata su cui contare perché trasforma le conquiste scientifiche in cure per i cittadini.
In Italia è indispensabile una governance farmaceutica davvero moderna, con regole nuove, chiare, adatte alla rapidità dell’innovazione, superando il sistema del payback, tassa iniqua e aggiuntiva che grava sulle aziende per quasi 2 miliardi nel 2024.
Riforme da accompagnare a una semplificazione per la ricerca clinica e a regole per consentire l’uso del dato clinico per necessità di Ricerca, nel rispetto della privacy.
Fondamentale è anche ridurre i tempi di accesso all’innovazione per i cittadini, ancora troppo lunghi – 14 mesi a livello nazionale, ulteriormente aggravati da quelli a livello regionale – con evidenti differenze sul territorio, che generano disuguaglianza e disomogeneità.
Occorre riconoscere il valore dell’innovazione e rivalorizzare alcuni farmaci di grande diffusione e a basso costo, per garantire così la sostenibilità industriale messa in difficoltà a causa di un aumento strutturale dei costi. Con un finanziamento basato sulle reali esigenze di salute.
Su Europa e Italia molto positiva è l’azione del Governo che ha dimostrato di credere nell’innovazione. Bisogna proseguire nel dialogo tra Istituzioni e industria collaborando nell’ottica di una visione condivisa dell’interesse nazionale.
Perché solo insieme è possibile vincere in Europa e nel mondo”, ha concluso Cattani.
Pet therapy, così la cagnolina Kia ha salvato la piccola Zoe
Bambini, NewsLa storia di Zoe, una bambina di 8 anni, e del suo inseparabile amico a quattro zampe, Kia, sta commuovendo il web. Esempio di come l’amicizia e la pet therapy possano fare la differenza in un momento di difficoltà. Ricoverata qualche settimana fa al Meyer di Firenze con un quadro neurologico complesso e una temporanea perdita della capacità visiva, Zoe ha trovato in Kia, cagnolino della squadra di Pet therapy dell’ospedale, un compagno insostituibile.
L’inizio di un’amicizia speciale
Durante il suo ricovero, Zoe ha stretto un legame profondo con Kia, che le ha fatto visita quotidianamente fino alle dimissioni. Questo rapporto ha giocato un ruolo cruciale nel rendere più sopportabile la degenza ospedaliera della bambina, permettendole di affrontare con maggiore serenità le sfide quotidiane. La presenza costante e affettuosa di Kia ha rappresentato una fonte di conforto e supporto emotivo per Zoe, dimostrando ancora una volta il potere terapeutico degli animali.
Un ponte tra casa e ospedale
La storia di Zoe non si conclude con il miglioramento delle sue condizioni fisiche. Grazie al progetto “Scuola in Ospedale” attivo al Meyer, Zoe ha potuto infatti continuare la sua istruzione senza interruzioni, frequentando la seconda classe della scuola primaria. Un “ponte” virtuoso creato dalle maestre della scuola Don Milani di Casinalbo, in provincia di Modena, e dalla maestra Susy del Meyer ha permesso ai suoi compagni di classe di restare in contatto con lei.
Il sostegno della classe
Attraverso videochiamate, foto e racconti, i compagni di Zoe hanno potuto conoscere Kia e seguire le sue avventure, integrandolo nelle loro lezioni e attività scolastiche. Questo scambio ha portato una ventata di normalità nella vita di Zoe, trasformando l’ospedale in un luogo di apprendimento e connessione. Temi, disegni, racconti e persino un piccolo libro digitale sono stati i frutti di questa straordinaria collaborazione, dimostrando che l’amicizia e la solidarietà possono abbattere qualsiasi barriera.
Condividere emozioni e speranze
La mamma di Zoe ha condiviso con emozione la loro esperienza: “È stata una prova davvero difficile, abbiamo vissuto momenti di paura e di grande incertezza, ma sin dal primo momento ci è stato chiaro di trovarci nel posto migliore per Zoe. All’indiscutibile competenza del team medico si unisce il fatto che siamo stati presi per mano da tante figure che ci hanno accompagnato lungo il percorso, rendendolo meno difficile, donandogli un volto diverso.” Queste parole sottolineano l’importanza del supporto umano e dell’approccio olistico adottato dal Meyer, dove ogni figura professionale contribuisce a creare un ambiente accogliente e rassicurante per i piccoli pazienti e le loro famiglie.
La pet therapy al Meyer
La pet therapy è una delle attività di play therapy attiva al Meyer da oltre vent’anni, grazie al sostegno della Fondazione Meyer. I protagonisti sono i cani e i loro conduttori dell’associazione Antropozoa, esperta in interventi assistiti con gli animali. Insieme a Kia, altri cani come Cecco, Gala e Nina aiutano quotidianamente i piccoli pazienti del Meyer ad affrontare la permanenza in ospedale. Questi interventi non solo migliorano il benessere emotivo dei bambini, ma contribuiscono anche al loro recupero fisico, dimostrando l’efficacia della pet therapy come complemento alle cure mediche tradizionali.
Il progetto Scuola in Ospedale
Il progetto di Scuola in Ospedale prosegue al Meyer da vent’anni, con l’obiettivo di garantire il diritto all’educazione e all’istruzione, la continuità educativa e la tutela psicofisica dello studente in terapia. Grazie a un servizio di scuola ospedaliera e di istruzione domiciliare, gli alunni di ogni ordine e grado ricoverati al Meyer possono continuare a studiare senza interruzioni. Regolato da un protocollo d’intesa tra vari enti, il servizio coinvolge insegnanti volontari dell’associazione Amici del Meyer, la Fondazione Meyer e l’Azienda Usl Toscana Centro. La Scuola del Meyer è collegata all’Istituto comprensivo Poliziano di Firenze, garantendo una rete di supporto che va ben oltre le mura dell’ospedale.
Affetto e solidarietà
La storia di Zoe e Kia è un esempio splendido di come l’umanità, l’amicizia e la cooperazione possano trasformare esperienze difficili in opportunità di crescita e di scoperta. Grazie alla pet therapy e al progetto Scuola in Ospedale, Zoe ha trovato non solo il supporto necessario per il suo recupero, ma anche una rete di affetto e solidarietà che l’ha accompagnata in ogni passo del suo percorso.
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Medici a scuola di sicurezza sul lavoro
Prevenzione, NewsDalle corsie e dalle sale operatorie alle aule di formazione per affermare il concetto che la sicurezza sul lavoro è tutto. Proprio in questi giorni si è tenuta presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli la prima edizione del corso di formazione generale destinato al personale dipendente che completa le attività formative in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.
La partnership con Inail
Aspetto del tutto inedito, la Direzione Strategica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria ha voluto realizzare questo corso avvalendosi della collaborazione tecnico-scientifica dell’Inail (Direzione regionale Campania) attraverso la stipula di una convenzione sottoscritta dal Direttore Generale Ferdinando Russo e dal Direttore regionale dell’Istituto, Daniele Leone. Il gruppo degli esperti dell’Inail, composto da Adele Pomponio (Direttrice regionale vicaria della Campania) da Carmine Piccolo (ricercatore Inail Campania) e dai funzionari del processo formazione e comunicazione, ha evidenziato il ruolo fondamentale che assume la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, valorizzando il processo educativo attraverso il quale è possibile trasferire ai lavoratori conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, riduzione e gestione dei rischi.
Primi in Campania
“La nostra è la prima azienda sanitaria della Campania con la quale l’Inail collabora in forma attiva e diretta – spiega Ferdinando Russo -. L’Istituto è da sempre impegnato nel contrastare il tragico fenomeno delle morti sul lavoro e ci è sembrato, quindi, naturale richiedere all’Inail di avvalerci della collaborazione tecnico-scientifica per attività di studio, progettazione ed erogazione di percorsi formativi con standards qualitativi elevati, nella sua funzione primaria di tutela del lavoro e della riduzione del fenomeno infortunistico impegnato a promuovere e attivare specifici interventi volti a migliorare le condizioni di sicurezza dei lavoratori”.
La cultura della prevenzione
Dalla Direzione Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria arriva non solo il ringraziamento per la disponibilità ricevuta dalla Direzione regionale Inail Campania, ma anche e soprattutto il riconoscimento del fatto che questa cooperazione sarà un elemento determinante non solo per implementare le conoscenze, ma anche un fondamentale per alimentare la cultura delle persone nel contesto sanitario e di conseguenza assicurare rilevanza e capacità di rispondere alle aspettative dei pazienti, contribuendo ad affermare una nuova identità della formazione, intesa come pieno sviluppo delle proprie qualità e potenzialità.
Promuovere la sicurezza sul lavoro
Per Daniele Leone «L’impegno dell’Inail è quello di diffondere la cultura della salute e sicurezza nei luoghi di vita, casa lavoro e in quest’ottica ci muoviamo sul territorio attraverso una rete di partner costruita nel corso degli anni con il convincimento che solo mettendo in campo le diverse competenze, professionalità ed esperienze possiamo puntare ad una drastica diminuzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, e l’intesa con l’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli va proprio nella direzione da noi tracciata».
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Declino cognitivo: colpisce 2 milioni di anziani, ma si può prevenire
NewsIl declino cognitivo è una progressiva perdita dell’autonomia cerebrale. Si manifesta con perdita di memoria e una graduale riduzione di funzioni, come la capacità progettuale e di relazione con le persone. La malattia spesso evolve fino alla demenza conclamata e grave e alla perdita di autonomia anche motoria, della capacità di auto conoscersi e di conoscere gli altri. Un fenomeno non facile da quantificare esattamente in termini numerici. In Italia, di demenza diagnosticata soffrono tra 1 milione e 1,5 milioni di persone circa, ma molte sono i casi ancora non diagnosticati.
A questi numeri, si aggiungono poi quelli delle persone con disturbo cognitivo lieve, ancora più difficili da quantificare, ma importanti per indirizzare la prevenzione. Secondo i dati di “Diagnosi e trattamento di demenza e Mild Cognitive Impairment” (Sistema nazionale per le linee guida – Istituto Superiore di Sanità, 2024) nel nostro paese sono circa due milioni le persone con demenza o con una forma di declino cognitivo (Mild Cognitive Impairment, MCI) e circa quattro milioni sono i loro familiari.
Il libro per sensibilizzare sulla vecchiaia in salute e prevenire il declino cognitivo
La salute cognitiva nell’invecchiamento, gli aspetti clinici, i fattori determinanti e il ruolo della genetica, l’importanza degli stili di vita. Sono questi alcuni dei temi al centro del volume, “Vecchiaia e salute cognitiva. Un impegno umano, clinico e sociale”, curato dal Prof. Marco Trabucchi ed edito da Il Mulino, presentato di recente nella Regione Lazio. L’evento, organizzato da Apertamente Srl in collaborazione con Fondazione Longevitas e con il contributo non condizionante di Biodemia, è stato l’occasione per riflettere sui temi della salute cognitiva delle persone e di quell’insieme complesso di fattori, soprattutto psico-sociali, che concorrono a determinarla.
«L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che appare inarrestabile nel nostro paese – dichiara il Prof. Marco Trabucchi, Past President AIP – Associazione Italiana Psicogeriatria. In questo scenario è fondamentale che l’impegno comune, sul piano clinico, sociale e culturale, sia in grado di governare il sistema in modo che questo fenomeno non pesi sul singolo, con un carico di sofferenza, sul nucleo familiare, e allo stesso tempo sulla collettività.
La medicina – prosegue – è in questo momento al servizio di una grande idea, cioè quella di fare in modo che gli anziani vivano sempre meglio e che il fenomeno dell’invecchiamento non danneggi la comunità, ma la migliori. Rispetto al declino cognitivo, il rischio genetico può essere ampiamente controllato in molte persone (anche se non nella totalità dei casi) da una serie di atteggiamenti clinico-culturali. È la clinica che ha il compito di governare questi aspetti, che devono essere considerati aspetti propriamente clinici: oggi un medico che curi gli anziani, senza preoccuparsi delle sue relazioni e della sua attività fisica, è come se non si occupasse della sua dieta e del suo cuore».
Fonte: Fondazione Longevitas
Solitudine tra i fattori di rischio
Il libro illustra come prevenire in maniera realistica la comparsa del disturbo cognitivo. La solitudine, di cui spesso sono vittime gli anziani, rappresenta un fattore di rischio importantissimo (per molti il principale). Altrettanto determinanti appaiono aspetti dello stile di vita, come l’attività fisica, l’attitudine relazionale in genere, e l’alimentazione, che dovrebbe andare nella direzione di contrastare l’eccesso di peso e la disidratazione, riducendo il più possibile alcol e grassi, e allo stesso tempo la sarcopenia, cioè la riduzione del muscolo e della sua forza.
Non meno importante però è anche la cura e prevenzione di tutte quelle malattie che possono contribuire a loro volta alla comparsa del declino cognitivo, che, sebbene avendo sempre una base di tipo genetico, è fortemente governata da fattori psico-sociali e, appunto, clinici, ovvero malattie come quelle cardiovascolari, il diabete, la bpco. A questi fattori si aggiungono poi altri determinanti sociali, come le condizioni socio-economiche (la povertà è un forte elemento strettamente interconnesso agli altri), e il contesto urbano.
Superare pregiudizi
«Quello del declino cognitivo, e dei fattori connessi, è un fenomeno che impatta gravemente sulla prospettiva, che dobbiamo promuovere, di un invecchiamento in salute – dichiara Eleonora Selvi, Presidente della Fondazione Longevitas – È un insieme complesso e carico di interazioni, che va governato in modo coordinato, con un approccio che veda l’accompagnamento alla vecchiaia delle persone come un insieme non segmentabile di aspetti clinici, sociali e culturali.
Questo ci richiama a un’idea di salute e di invecchiamento che non ha a che fare solo con aspetti strettamente sanitari, ma con l’idea di una convergenza di diversi ambiti d’impegno, dove è un insieme di pratiche a promuovere una terza e quarta età in salute, dalla prevenzione, alla promozione dell’invecchiamento attivo, dell’attività fisica a ogni età, dei sani stili di vita, dell’alfabetizzazione sanitaria, del contrasto a tutti quei pregiudizi nei confronti degli anziani, noti come ‘ageismo’, che ne limitano il ruolo politico e sociale e il contributo alla comunità»
Diabete, Regione Lazio estende accesso gratuito a monitoraggio con sensori
Associazioni pazienti, News, News, PrevenzioneLa Regione Lazio garantisce gratuitamente il dispositivo tecnologico per l’auto monitoraggio istantaneo glicemico portando ad una svolta nell’offerta sanitaria regionale. È il frutto dell’alleanza tra la Società Italiana di Diabetologia (SID) e l’Associazione Medici Diabetologi (AMD) insieme a Federdiabete Lazio che hanno lavorato insieme alla Regione ad un documento per l’estensione dei criteri di rimborso dei nuovi dispositivi per l’automonitoraggio del glucosio per tutte le persone con diabete di tipo 2 trattate con insulina (qualsiasi dosaggio o numero di iniezioni) e ad iniziare a estendere l’ uso dei sensori (2 per anno) ai pazienti ad alto rischio cardio-vascolare.
Il provvedimento è stato adottato attraverso una determinazione di Andrea Urbani, Direttore della Direzione Salute e Integrazione Sociosanitaria della Regione Lazio su proposta di Marzia Mensurati, Dirigente dell’Area Farmaci e Dispositivi. Una risposta che va incontro ai bisogni di salute specifici delle persone con diabete mettendo a loro disposizione strumenti innovativi ed efficaci. Il provvedimento certifica la rilevanza di garantire la distribuzione capillare dei presidi in tutta la Regione e sostituisce la precedente Det. G01660 del 2013. Hanno presentato la novità i rappresentanti di SID, AMD, Regione Lazio e Federdiabete Lazio in una conferenza stampa a Roma.
L’utilizzo di un sensore che monitora i livelli glicemici ha mostrato benefici su più fronti: dal compenso glicemico alla prevenzione delle complicanze sino ad un miglioramento della qualità della vita grazie alla maggiore libertà, accuratezza e maneggevolezza dei dispositivi. Sottolinea il Prof. Nicola Napoli, Presidente SID Lazio: “si tratta di un obiettivo importante, raggiunto grazie alla collaborazione e la sinergia tra le società scientifiche, i pazienti e la Regione Lazio in particolare la dottoressa Marzia Mensurati. I benefici per i pazienti sono concreti: dal minor rischio di ipoglicemie, in particolare per coloro che presentano un più alto rischio vascolare, alla qualità della vita generale”.
Il documento stabilisce i tetti massimi dei dispositivi per il monitoraggio in continuo della glicemia. Il gruppo di lavoro ha stabilito il target di pazienti che possono trarre il massimo beneficio in un’ottica di equilibrio rispetto ai costi.
“Grazie al lavoro sinergico svolto insieme alle Associazioni pazienti e alla Regione Lazio, abbiamo oggi a disposizione strumenti di supporto alla terapia per il diabete che consentono di adottare un approccio innovativo per la gestione della patologia”, aggiunge Vincenzo Fiore, Presidente regionale AMD Lazio. “Come Società Scientifiche il nostro obiettivo è promuovere l’accesso equo a questi nuovi strumenti per una sempre migliore gestione quotidiana della malattia. È importante sfruttare questa opportunità, trasformando il primato normativo raggiunto dalla Regione Lazio in un vantaggio clinico e in un nuovo approccio gestionale a beneficio della salute delle persone con diabete”.
“La nuova determina regionale che estende l’utilizzo dei sensori per la glicemia a tutte le persone con diabete di tipo 2 a prescindere dal numero di somministrazioni di insulina ed anche a coloro sempre affetti da diabete tipo 2 che abbiano un elevato rischio cardiovascolare rappresenta un significativo passo in avanti nella cura del diabete. La Società Italiana di Diabetologia” afferma il Presidente eletto Prof.ssa Raffaella Buzzetti “apprezza l’operato delle rappresentanze SID ed AMD regionali che collaborando attivamente con la regione Lazio sono giunti a questo rilevante risultato anche grazie all’impegno delle associazioni pazienti. La regione Lazio si pone, quindi, tra le regioni certamente più all’avanguardia nel processo di cura del diabete nell’ottica della prevenzione delle sue complicanze”.
“Gli strumenti per il monitoraggio della glicemia in tempo reale rappresentano degli utili e innovativi alleati per tenere sotto controllo le glicemie ed eventualmente modificare stili di vita, alimentazione e terapia”, dichiara il Prof. Riccardo Candido, Presidente nazionale AMD. “I dati della letteratura sui benefici di questi devices per le persone con diabete tipo 2 – a terapia non insulinica – sono ancora pochi: l’auspicio è che dall’esperienza pilota della Ragione Lazio possano essere raccolti dati utili alla pratica clinica, affinché anche altre Regioni possano seguire l’esempio laziale”.
La prescrizione dei dispositivi e del materiale di consumo sarà effettuata esclusivamente dagli specialisti in endocrinologia diabetologica abilitati sulla piattaforma (web-care) e sottoposta a verifica del farmacista ospedaliero, a fronte della stesura di un piano terapeutico. I sistemi ‘in continuo’ misurano il glucosio che circola nel fluido interstiziale sottocutaneo. A seconda della durata del sensore è indicato il numero massimo di sensori prescrivibili, senza tetti alla rimborsabilità.
Bambino Gesù, i chirughi volano in Giordania
NewsL’impegno dell’Ospedale Bambino Gesù nelle sue missioni a Karak, Giordania, non è solo un contributo simbolico, ma rappresenta un vero e proprio sostegno essenziale per molte famiglie. Suor Adele Brambilla e suor Alessandra Fumagalli, durante un collegamento video con il professor Tiziano Onesti, hanno sottolineato come le famiglie percorrano anche 300-400 chilometri solo per ottenere un consulto, trovando risposte che altrove non riescono a ricevere.
La collaborazione del Bambino Gesù con la Giordania
La collaborazione tra l’Ospedale Bambino Gesù e l’Ospedale Italiano di Karak (OIK), gestito dalle suore missionarie comboniane, ha avuto inizio nel 2013. Questa partnership è nata grazie a un appello radiofonico che offriva consulenze gratuite da parte degli specialisti di neuropsichiatria e neuroriabilitazione pediatrica del Bambino Gesù. La risposta è stata immediata: 150 famiglie si sono presentate fin da subito. Da allora, più di 800 bambini sono stati curati e sono state effettuate circa 2300 visite.
Il ruolo delle suore missionarie comboniane
Le suore missionarie comboniane gestiscono l’OIK dal 1939, quattro anni dopo la sua fondazione. Karak, situata a circa 140 km dalla capitale Amman, accoglie tantissimi profughi siriani e iracheni e le suore sono impegnate a mantenere l’ospedale come luogo di dialogo interreligioso, accogliendo e curando persone di diverse fedi, con un’attenzione particolare ai più poveri ed esclusi.
La missione a Karak
Dal 20 al 28 giugno, gli specialisti del Bambino Gesù, tra cui i neuropsichiatri Fabio Quarin e Giovanni Valeri, hanno visitato 45 pazienti a Karak, di cui 30 in follow-up. Durante la missione, hanno anche svolto attività di formazione con due terapiste locali. Il progetto si basa su tre criteri fondamentali: intervento centrato sulla famiglia, intervento basato sulle risorse della comunità e capacity building per genitori e terapisti locali. Questi principi hanno reso il progetto un modello per l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che lo ha scelto come progetto pilota per la salute mentale infantile in Giordania.
I tre criteri fondamentali
Le prospettive future
Durante il video collegamento, il presidente Onesti ha garantito che il progetto continuerà e sarà ampliato. È prevista una maggiore strutturazione del programma di formazione e l’utilizzo della telemedicina per migliorare l’accesso alle cure. Una nuova missione dedicata alla neuroriabilitazione è già programmata dal 9 al 15 luglio.
Il sostegno dell’Associazione Alessandro Parini
La missione a Karak ha ricevuto il supporto dell’Associazione Alessandro Parini, nata in memoria del giovane avvocato scomparso in un attentato a Tel Aviv. Enzo Parini, presidente dell’Associazione, ha affermato che il loro impegno mira a fornire supporto sanitario e sviluppare competenze essenziali per la cura dei bambini. Questo intervento in Giordania è il primo in memoria di Alessandro, che aveva visitato e amato profondamente il Paese.
Verso un futuro migliore
Le missioni dell’Ospedale Bambino Gesù a Karak sono molto più di una semplice goccia nell’oceano. Offrono un sostegno vitale a molte famiglie che, altrimenti, non avrebbero accesso a cure specializzate. La collaborazione tra l’Ospedale della Santa Sede e l’Ospedale Italiano di Karak rappresenta un esempio tangibile di come la solidarietà e l’impegno possano migliorare concretamente la vita delle persone più vulnerabili. Con l’ampliamento del progetto e il continuo supporto di associazioni come l’Associazione Alessandro Parini, il futuro per molte famiglie a Karak appare più luminoso e promettente.
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Salva dalla Sma con la terapia genica
News, News, Pediatria, Ricerca innovazioneMartina è il nome di fantasia (a tutela della sua privacy) protagonista di una storia che apre alla speranza per tante mamme e tanti papà. La piccola nata a Palermo, a soli 27 giorni, è stata sottoposta ad una terapia genica per combattere l’atrofia muscolare spinale (Sma). A curare la bimba sono stati i medici del policlinico G. Martino di Messina e, se tutto proseguirà come si pensa, fra qualche giorno Martina lascerà l’ospedale.
Un traguardo importante
La piccola Martina è la prima bimba asintomatica ad essere trattata con terapia genica in un’età così precoce. La diagnosi precoce è stata possibile grazie alla presenza della malattia nel fratellino di due anni, il quale aveva già beneficiato della terapia genica a 11 mesi. La diagnosi, eseguita presso l’unità di Terapia Intensiva Pediatrica del Policlinico di Palermo, ha permesso alla piccola di essere immediatamente indirizzata al Centro Malattie Neurodegenerative di Messina. Qui, nel giro di pochi giorni, le è stata somministrata una preziosa infusione della durata di 60 minuti.
Terapia genica per la Sma: una speranza concreta
La terapia genica rappresenta un approccio innovativo che permetterà alla bambina di evitare lo sviluppo dei sintomi di una malattia che, altrimenti, avrebbe gravemente limitato le sue abilità motorie, respiratorie, e la capacità di deglutire, riducendo drasticamente la sua aspettativa di vita. L’unità di Malattie Neurodegenerative ad elevata complessità assistenziale, diretta dalla Professoressa Sonia Messina, e l’Unità di Patologia e Terapia Intensiva Neonatale, diretta da Eloisa Gitto, sono state determinanti in questo trattamento.
L’importanza della ricerca
“La storia di mia figlia è la testimonianza di quanto sia importante la ricerca – dice la mamma di Martina – e di quanto sia fondamentale investire sugli studi e le nuove sperimentazioni. Senza la ricerca, i miei figli non avrebbero avuto una possibilità. Come famiglia, abbiamo colto nella tempesta una positività che deriva dal valore intrinseco della vita e della salute, perché nulla è scontato e noi vogliamo cogliere la bellezza di tutto ciò che oggi per noi ha ancora più significato”.
Una scelta coraggiosa
A sottolineare il grande coraggio dei genitori, che hanno deciso di affrontare l’eventuale malattia dopo il parto, sono stati i medici. “Questo coraggio è ancora più significativo considerando che non tutti i pazienti rispondono in egual modo alla terapia. In passato, i bimbi con la forma severa di atrofia muscolare spinale riuscivano al massimo ad acquisire il controllo del capo, ma non del tronco, e avevano una dipendenza dal ventilatore e dalla nutrizione artificiale, con un’aspettativa di vita media poco oltre l’anno. Oggi, invece, se la somministrazione del farmaco avviene nei primi giorni di vita, si può assistere a un radicale cambiamento della storia della malattia”.
Verso uno screening neonatale universale
“La Regione Sicilia ha manifestato grande sensibilità sul tema, tanto che è in corso di attivazione lo screening neonatale per la SMA,” hanno aggiunto i medici dell’ospedale. “Si tratta di un passaggio fondamentale che ci permetterà di allinearci alla quasi totalità delle regioni italiane in cui è già presente. Speriamo che questa storia possa essere di ulteriore stimolo per rendere lo screening presto disponibile. Più neonati riusciremo a intercettare alla nascita, maggiore è la probabilità di evitare che possano sviluppare sintomi.”
La storia di Martina è certamente un grande esempio dei passi in avanti che si sono fatti nella lotta contro le malattie neurodegenerative e offre una speranza concreta per un futuro migliore per molti altri bambini. La diagnosi precoce e la ricerca scientifica sono un fari di speranza per le famiglie che affrontano queste difficili sfide.
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Chirurgia robotica vertebrale per le malattie degenerative della colonna
News, NewsLe malattie degenerative della colonna colpiscono il 27% degli over 65. Il dolore alla schiena continuerà a crescere con l’invecchiamento della popolazione e la diffusione di stili di lavoro sempre più sedentari. Attualmente, le patologie degenerative della colonna vertebrale colpiscono più di 5mila persone ogni 100mila abitanti in Europa – oltre 51 milioni di persone – e un numero equivalente negli Stati Uniti. L’intervento di ‘fusione spinale’ è considerato il gold-standard nel trattamento delle patologie degenerative lombari lì dove le terapie conservative non abbiano avuto effetto, e consiste nella connessione permanente di due vertebre attraverso viti e supporti per restituire la stabilità primaria alla colonna.
“Sono molti anni che si parla di robotica nella chirurgia ginecologica e urologica ma, al momento, solo il 2 per cento dei centri di chirurgia vertebrale impiega piattaforme robotizzate. L’Italia è leader europeo per competenze e sistemi installati in quest’ambito all’avanguardia, già sviluppato negli Stati Uniti e destinato a crescere esponenzialmente anche in Europa – spiega il Professor Salvatore Massimo Cardali, Direttore dell’Unità Operativa di Neurochirurgia del Papardo di Messina che ha già superato i 100 interventi il software a guida robotizzata specializzato nella chirurgia vertebrale prodotto da Medtronic.
“Il primo, grande vantaggio per il chirurgo è raggiungere un’ideale corrispondenza tra pianificazione ed esecuzione. Con il software Mazor™, infatti, abbiamo un dispositivo che ci permette non solo di pianificare in maniera approfondita l’intervento, ma anche di realizzare con grande precisione quanto pianificato”.
“È sempre il chirurgo a pianificare, guidare e decidere ogni azione – aggiunge il Professor Cardali – ma il braccio robotico garantisce una precisione senza precedenti, difficile da eguagliare a mano libera”.
“L’impiego del braccio robotico e del suo software di pianificazione aumentano significativamente la sicurezza e l’efficacia nel posizionamento delle viti riducendo, di conseguenza, il rischio di incorrere in complicanze associate all’intervento tradizionale” sottolinea il Professore. Tre le diverse patologie che richiedono la stabilizzazione della colonna vertebrale, le più frequenti sono: ernia del disco, stenosi del canale, spondilolistesi, scoliosi e fratture vertebrali.
“Grazie all’impiego di tecnologie all’avanguardia siamo divenuti uno dei centri di riferimento in Italia – conclude il Professor Salvatore Massimo Cardali -. Un risultato particolarmente gratificante per Messina e la Sicilia, dato che il nostro Paese parte da un livello di qualità nella chirurgica vertebrale già molto alto e diffuso nei territori. Ancora troppo spesso, i cittadini della Sicilia danno per scontato di doversi spostare quando, in realtà, possono ricevere le cure più appropriate vicino a casa”.
Tra i vantaggi per i pazienti, anche una minore esposizione alle radiazioni, una minore perdita di sangue, incisioni più piccole e un tempo di recupero e convalescenza più breve. “Abbiamo ridotto la degenza media da 5,5 a 3,8 giorni, il che ci ha permesso di quadruplicare il numero di persone che possiamo curare all’anno”.
Morto per aver mangiato un’insalata
Alimentazione, NewsAncora oggi, nel 2024 si può morire per aver mangiato un’insalata che era contaminata – si scoprirà in seguito – da Escherichia coli (E. coli). È successo in Inghilterra dove nelle scorse settimane si è diffusa un’infezione causata da batteri contenuti nelle foglie di insalata vendute all’interno di panini nei supermercati. La notizia è stata data dal sito della Bbc News, dove è stato riportato che la persona è deceduta lo scorso mese e soffriva di una patologia pregressa.
I test sull’insalata
Le maggiori catene della grande distribuzione avevano rimosso fin dal primo allarme alcuni dei loro prodotti dagli scaffali. In tutti i casi di infezioni confermate finora, 275, i sintomi, relativi all’apparato urinario o intestinale, si erano sviluppati prima del 4 giugno, e circa la metà delle persone colpite ha avuto bisogno di cure ospedaliere. I test di laboratorio realizzati su pazienti ricoverati a partire dal 25 maggio scorso avevano suggerito “un unico focolaio”, secondo gli specialisti. E quindi l’ipotesi di una singola partita di alimenti contaminata.
I contagi accertati
I contagi sono stati registrati in particolare in Inghilterra, ma sparsi a livello geografico a raggio piuttosto vasto, tra varie località e regioni. Le infezioni in questione sono provocate dal batterio di Escherichia coli che già a fine 2023 aveva dato luogo a un focolaio nel Regno, provocando in un singolo caso censito a dicembre il decesso d’una persona in Scozia, ricondotto negli esami post-mortem al consumo di formaggio contaminato dai batteri.
Perché l’E. coli è pericoloso?
L’E. coli è un batterio che si trova comunemente nell’intestino degli esseri umani e degli animali. Sebbene la maggior parte dei ceppi di E. coli siano innocui, alcuni possono causare gravi malattie, tra cui diarrea, crampi addominali, e in casi più gravi, insufficienza renale. Come detto, il batterio può essere presente in alimenti contaminati, compresa la frutta e la verdura cruda.
Passaggi per un lavaggio sicuro
Qualche attenzione in più
Questi consigli sono utilissimi a mettersi al sicuro da eventuali batteri che possono essere presenti nell’insalata , più in generale, su frutta e verdura fresca. È anche utile separare i prodotti, vale a dire evitare di mettere in contatto frutta e verdura cruda con carne, pollame o pesce crudi. Lavare la frutta prima di sbucciarla, per evitare che i batteri dalla buccia si trasferiscano alla polpa e infine, lavare anche i prodotti pre-lavati: Anche se l’etichetta indica che il prodotto è stato pre-lavato, è buona norma lavarlo nuovamente a casa.
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Nanoprismi d’oro per guarire le ferite
News, Ricerca innovazioneGrazie a nanoprismi d’oro sarà possibile rigenerare i tessuti. Ma, facciamo un passo indietro: la medicina rigenerativa ha sempre cercato risposte innovative per promuovere la guarigione delle ferite e il ripristino delle funzionalità dei tessuti danneggiati. Una delle domande più affascinanti in questo campo è se sia possibile utilizzare la luce per guarire una ferita. La risposta arriva da uno studio all’avanguardia condotto dall’Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti “Eduardo Caianiello” del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pozzuoli (Cnr-Isasi).
L’innovazione dei nanoprismi d’oro
Il gruppo di ricerca Nanobiomolecular del Cnr-Isasi ha dimostrato che è possibile promuovere il processo di rigenerazione tissutale attraverso l’uso di nanoprismi di oro, attivati dalla luce nel vicino infrarosso (NIR). Questo studio rivoluzionario, pubblicato su Advanced Functional Materials, è stato realizzato in collaborazione con l’Instituto de Nanociencia y Materiales de Aragón (Saragozza, Spagna).
Come funziona la rigenerazione con i nanoheaters
La ricerca ha evidenziato che piccole quantità di calore generate dai nanoprismi di oro, quando illuminati da luce infrarossa, possono favorire la rigenerazione cellulare. Questo avviene tramite l’attivazione delle cellule staminali. Claudia Tortiglione, ricercatrice del Cnr-Isasi e coordinatrice del gruppo italiano, spiega: “Uno degli obiettivi della medicina rigenerativa è riattivare le cellule staminali nel tessuto lesionato, promuovendo processi che portano alla rigenerazione del tessuto piuttosto che al semplice riparo, che raramente riesce a ripristinare la morfologia e la funzionalità originali”.
Stimoli fisici e rigenerazione delle ferite
In tutti gli organismi viventi, la rigenerazione è influenzata da fattori genetici e biochimici a livello cellulare. Tuttavia, è anche regolata da stimoli fisici come calore, campi elettrici e luce. Questi stimoli giocano un ruolo fondamentale nel coordinare un grande numero di cellule nel processo di guarigione delle ferite. “L’effetto dell’esposizione alla luce o al calore nel favorire la rigenerazione è ben noto, e nella nostra quotidianità applichiamo impacchi caldi o cerotti termici per ridurre l’infiammazione, alleviare il dolore e migliorare la circolazione sanguigna”, continua Tortiglione.
Esperimenti su hydra vulgaris
Per dimostrare l’efficacia dei nanoheaters, il team ha concentrato i propri studi su esemplari di Hydra vulgaris, un organismo invertebrato noto per il suo elevato potenziale di rigenerazione tessutale. Gli esperimenti hanno rivelato che il trattamento con nanoheaters aumenta la velocità di rigenerazione della testa, la capacità riproduttiva e il tasso di proliferazione delle cellule staminali dell’animale.
Implicazioni per la medicina umana
“Lo studio delinea i meccanismi molecolari alla base dell’aumentata efficienza di rigenerazione, identificando i geni chiave dello sviluppo e i geni coinvolti nella risposta allo stress termico che vengono riattivati grazie all’illuminazione dei nanoprismi”, aggiunge Tortiglione. Inoltre, mediante analisi termografica, è stata stimata la quantità di calore prodotta dai nanoheaters intracellulari, rivelando Hydra come un termometro vivente per testare le prestazioni di questi materiali innovativi.
Una nuova frontiera della medicina rigenerativa
I risultati di questa ricerca, situati tra nanofotonica e biologia rigenerativa, evidenziano una nuova funzione dei nanoheaters nel controllo dei meccanismi molecolari alla base della staminalità cellulare. Questo apre nuove strategie in medicina rigenerativa, offrendo la possibilità di utilizzare la luce per la guarigione delle ferite.
Prospettive future
La possibilità di guarire una ferita con la luce non è più solo una visione futuristica, ma una concreta prospettiva grazie ai recenti sviluppi nel campo dei nanomateriali e della medicina rigenerativa. Le scoperte fatte dal Cnr-Isasi in collaborazione con l’Instituto de Nanociencia y Materiales de Aragón rappresentano un passo avanti significativo, avvicinando sempre più la luce a diventare uno strumento terapeutico di primaria importanza nella guarigione delle ferite.
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