Tempo di lettura: 2 minutiL’ansia, la depressione e persino l’insonnia possono essere una minaccia per la salute del cuore, aumentando il rischio di ictus e infarto. È quanto emerge da uno studio condotto da Eue-Keun Choi della Seoul National University College of Medicine, in Corea del Sud, e pubblicato sull’European Journal Of Preventive Cardiology. L’analisi, che si basa sui dati del National Health Insurance Service coreano, che copre l’intera popolazione del paese, ha coinvolto ben 6.557.727 individui di età compresa tra i 20 e i 39 anni.
I DATI
I risultati hanno evidenziato che circa il 13,1% dei partecipanti presentava almeno uno dei disturbi analizzati. La maggioranza di coloro che soffrivano di disturbi mentali presentava ansia (47,9%), seguita da depressione (21,2%) e insonnia (20%). Durante il follow-up, che è durato in media 7,6 anni fino a dicembre 2018, si sono registrati 16.133 casi di infarto e 10.509 casi di ictus.
L’INFARTO
È emerso che i partecipanti affetti da uno dei disturbi mentali presi in considerazione avevano un rischio di infarto superiore del 58% rispetto a quelli privi di disturbi, oltre a un rischio di ictus superiore del 42%. In particolare, il rischio di infarto si è rivelato elevato per tutti i disturbi studiati, con valori che variavano da 1,49 a 3,13 volte maggiori rispetto ai soggetti senza disturbi. Nel dettaglio, il rischio di infarto è risultato 3,13 volte più alto per il disturbo post-traumatico, 2,61 volte più alto per la schizofrenia, 2,47 volte più alto per il disturbo da uso di sostanze, 2,40 volte più alto per il disturbo di personalità, 1,97 volte più alto per i disturbi alimentari, 1,73 volte più alto per l’insonnia, 1,72 volte più alto per la depressione e 1,53 volte più alto per l’ansia. Per quanto riguarda l’ictus, il rischio è risultato più di tre volte maggiore per il disturbo di personalità, 2,95 volte maggiore per la schizofrenia, 2,64 volte maggiore per il disturbo bipolare, 2,44 volte maggiore per il disturbo da uso di sostanze, 1,60 volte maggiore per la depressione e 1,45 volte maggiore per l’insonnia.
FARE PREVENZIONE
I risultati dello studio mettono in luce l’importanza di affrontare e trattare i disturbi mentali per preservare la salute cardiovascolare. Prendersi cura della propria salute mentale potrebbe rappresentare una strategia efficace per ridurre il rischio di ictus e infarto.
Tumore al colon in under 50. I sintomi precoci
Prevenzione, Ricerca innovazioneAlcuni segnali sono associati alla presenza di un tumore del colon retto soprattutto nelle persone con meno di 50 anni. Si tratta di: dolore addominale, sanguinamento, diarrea e livelli di ferro bassi. A metterlo in evidenza è uno studio della Washington University School of Medicine di St. Louis. I risultati sono pubblicati sul Journal of the National Cancer Institute.
Il cancro del colon-retto non è una malattia che colpisce solo le persone anziane, spiegano gli esperti. Dai dati emerge come molti pazienti più giovani arrivino con la malattia più avanzata al momento della diagnosi rispetto alle persone anziane che vengono sottoposte a screening regolarmente. Da qui nasce il lavoro dei ricercatori, proprio per mettere in evidenza i sintomi significativi.
Cancro al colon retto, quali sintomi
Il team ha analizzato oltre 5 mila diagnosi di cancro al colon retto in under-50. I sintomi precoci di malattia, comparsi tra due anni e tre mesi prima della diagnosi, erano: dolore addominale, sanguinamento, diarrea e livelli di ferro bassi. L’obiettivo della ricerca è rendere i giovani adulti consapevoli, affinché “agiscano in base a questi segni e sintomi potenzialmente molto significativi “, afferma in una nota il coordinatore dello studio Yin Cao. Questi disturbi erano presenti nella quasi totalità dei pazienti. I ricercatori hanno stimato che il rischio di tumore raddoppia in presenza di uno solo di questi sintomi, con due in contemporanea il rischio sale di 3,59 volte e con tre il rischio aumenta di 6,52 volte.
Infezioni chirurgiche: 1,6 ogni 100 interventi in EU. I numeri
Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneSono quasi 19.680 le infezioni chirurgiche su oltre 1,2 milioni di interventi che riguardano 13 Paesi europei tra il 2018 e il 2020. La media dell’Italia è invece più bassa.
A indicarlo è il nuovo Rapporto del Centro Europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie che ha analizzato le infezione del sito chirurgico (ISC). Si tratta delle più frequenti infezioni ospedaliere e si verificano dopo un intervento chirurgico nella stessa parte del corpo sottoposta a chirurgia.
Infezioni chirurgiche in Italia
Se la media europea è di 1,6 casi, quella italiana si ferma a 1,2 casi su 100 interventi chirurgici effettuati. Queste infezioni, oltre ad allungare le degenze ospedaliere e richiedere procedure chirurgiche, in alcuni casi possono portare a sepsi, ricovero in terapia intensiva e decesso. Per questo vengono monitorate dall’Ecdc.
Il report ha analizzato oltre 2.500 ospedali che fanno parte della rete di sorveglianza, Sono stati inclusi gli esiti di 9 tipi di procedure chirurgiche: protesi del ginocchio, dell’anca, bypass coronarico, colecistectomia a cielo aperto e laparoscopica, chirurgia del colon a cielo aperto e laparoscopica, taglio cesareo e laminectomia.
La percentuale di infezione post operatoria varia a seconda del tipo di procedura chirurgica: dallo 0,6% da quella per la protesi del ginocchio al 9,5% nella chirurgia del colon aperto. Quasi un terzo dei casi sono stati diagnosticati in ospedale e i patogeni più frequenti son stati gli enterococchi (17,6%), l’escherichia coli (17,2%) e lo stafilococco aureo (15,2%).
Rispetto al 2018-2019, nel 2020 c’è stata una diminuzione del numero annuo di procedure chirurgiche segnalate e dei paesi che partecipano alla sorveglianza riportando i propri dati. Il motivo è che la pandemia di Covid-19 ha ridotto la raccolta di dati per molte attività di sorveglianza di sanità pubblica.
Ansia e depressione, un rischio per il cuore
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneL’ansia, la depressione e persino l’insonnia possono essere una minaccia per la salute del cuore, aumentando il rischio di ictus e infarto. È quanto emerge da uno studio condotto da Eue-Keun Choi della Seoul National University College of Medicine, in Corea del Sud, e pubblicato sull’European Journal Of Preventive Cardiology. L’analisi, che si basa sui dati del National Health Insurance Service coreano, che copre l’intera popolazione del paese, ha coinvolto ben 6.557.727 individui di età compresa tra i 20 e i 39 anni.
I DATI
I risultati hanno evidenziato che circa il 13,1% dei partecipanti presentava almeno uno dei disturbi analizzati. La maggioranza di coloro che soffrivano di disturbi mentali presentava ansia (47,9%), seguita da depressione (21,2%) e insonnia (20%). Durante il follow-up, che è durato in media 7,6 anni fino a dicembre 2018, si sono registrati 16.133 casi di infarto e 10.509 casi di ictus.
L’INFARTO
È emerso che i partecipanti affetti da uno dei disturbi mentali presi in considerazione avevano un rischio di infarto superiore del 58% rispetto a quelli privi di disturbi, oltre a un rischio di ictus superiore del 42%. In particolare, il rischio di infarto si è rivelato elevato per tutti i disturbi studiati, con valori che variavano da 1,49 a 3,13 volte maggiori rispetto ai soggetti senza disturbi. Nel dettaglio, il rischio di infarto è risultato 3,13 volte più alto per il disturbo post-traumatico, 2,61 volte più alto per la schizofrenia, 2,47 volte più alto per il disturbo da uso di sostanze, 2,40 volte più alto per il disturbo di personalità, 1,97 volte più alto per i disturbi alimentari, 1,73 volte più alto per l’insonnia, 1,72 volte più alto per la depressione e 1,53 volte più alto per l’ansia. Per quanto riguarda l’ictus, il rischio è risultato più di tre volte maggiore per il disturbo di personalità, 2,95 volte maggiore per la schizofrenia, 2,64 volte maggiore per il disturbo bipolare, 2,44 volte maggiore per il disturbo da uso di sostanze, 1,60 volte maggiore per la depressione e 1,45 volte maggiore per l’insonnia.
FARE PREVENZIONE
I risultati dello studio mettono in luce l’importanza di affrontare e trattare i disturbi mentali per preservare la salute cardiovascolare. Prendersi cura della propria salute mentale potrebbe rappresentare una strategia efficace per ridurre il rischio di ictus e infarto.
Festa della mamma, un’azalea è il miglior regalo
Associazioni pazienti, Madri-padri, PrevenzioneDomenica, per la festa della mamma, il più bel regalo è un’azalea della ricerca. Nelle piazze d’Italia tornano infatti i volontari della Fondazione Airc, che attraverso questi splendidi fiori puntano a sostenere i ricercatori impegnati in diagnosi sempre più precoci e trattamenti più efficaci per i tumori che colpiscono le donne. Il messaggio che Airc punta a trasmettere e quello della forza delle donne e della forza dei legami autentici. Una forza che parte dalla ricerca, arriva alle pazienti e si moltiplica grazie al sostegno delle persone che sono loro vicine e se ne prendono cura ogni giorno.
PREVENZIONE
Ventimila volontari tornano in oltre 3600 piazze domenica 14 maggio a distribuire l’azalea, a fronte di una donazione di 18 euro, per sostenere il lavoro dei ricercatori Airc. Inoltre, insieme alla pianta verrà consegnata una guida con informazioni sulla prevenzione nelle varie fasce d’età. In 39 anni l’iniziativa ha permesso di raccogliere oltre 290milioni di euro. È possibile fare una sorpresa alla mamma anche ordinando l’azalea su Amazon.
I DATI
Lo scorso anno nel nostro Paese sono stati stimati oltre 185.000 nuovi casi di tumore nella popolazione femminile, circa 10.000 in più rispetto al 2019. I tumori più frequenti sono stati quelli della mammella (55.700), colon-retto (20.100), polmone (14.600), utero (10.200) e tiroide (8.700). Oggi, gli screening, proposti gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale per alcune patologie e ad alcune fasce della popolazione, consentono di individuare lesioni precancerose oppure la presenza di un tumore quando è ancora allo stadio iniziale, ma l’adesione in Italia è ancora troppo bassa, secondo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom).
IMMUNOTERAPIA
Insieme agli screening, la principale alleata delle pazienti è la ricerca. Negli ultimi anni la sopravvivenza delle donne a 5 anni dalla diagnosi di cancro ha raggiunto il 65% grazie agli importanti risultati ottenuti dagli studiosi. Alberto Bardelli, Direttore Scientifico di Ifom, l’istituto di oncologia molecolare di Fondazione Airc, con il suo gruppo di ricerca ha recentemente individuato attraverso studi preclinici una strategia terapeutica che potrebbe rendere sensibili all’immunoterapia i tumori del colon in fase metastatica, che nel 95% dei casi non rispondono a questo tipo di trattamento.
Mieloma multiplo, arriva il primo anticorpo bispecifico in Italia
Farmaceutica, News PresaIl mieloma multiplo è un tumore del sangue raro che ha origine nel midollo osseo e colpisce ogni anno circa 4.500 persone. È causato dalla proliferazione senza controllo delle plasmacellule. Ora arriva in Italia il primo anticorpo bispecifico per il trattamento.
La cura è indicata per i pazienti adulti affetti da mieloma multiplo recidivato e refrattario che abbiano ricevuto almeno tre linee precedenti di terapia, e che abbiano evidenziato durante l’ultima, una progressione della malattia.
Il mieloma multiplo
Il mieloma multiplo è un tumore del sangue raro che ha origine nel midollo osseo ed è causato dalla proliferazione senza controllo delle plasmacellule; coinvolge ogni anno circa 4.500 persone. Si tratta di una malattia che colpisce principalmente persone di età superiore ai 70 anni. Secondo le stime, infatti, il 38 per cento delle diagnosi riguarda questa fascia anagrafica e solo il 2 per cento individui al di sotto dei 40 anni. La storia clinica dei pazienti affetti da mieloma multiplo è caratterizzata da fasi di remissione indotta dalle terapie anti-mieloma e fasi di malattia attiva causate dalla resistenza ai farmaci acquisita dalle cellule tumorali. La disponibilità di numerosi farmaci attivi contro il mieloma ha permesso di estendere molto la sopravvivenza dei pazienti.
«Nel mieloma, la qualità della vita dei pazienti è strettamente legata al controllo della malattia e quindi all’efficacia dei trattamenti, che consentono di eliminare quei sintomi che tendono a esacerbarsi durante la fase acuta della malattia» commenta Elena Zamagni, Professore Associato di Ematologia dell’Istituto di Ematologia ‘L. e A. Seràgnoli’ dell’IRCCS AOU S. Orsola-Malpighi di Bologna.
La ricerca
La ricerca scientifica oggi permette da un lato di diagnosticare la malattia in una fase precoce e, di conseguenza, trattare i pazienti in modo più efficace, migliorandone anche la prospettiva di vita, dall’altro di avere sempre più a disposizione nuovi farmaci che cambiano l’approccio terapeutico, permettendo ai medici di orientare la scelta terapeutica per ciascun paziente non solo sulla base dell’efficacia, ma anche su altri fattori come ad esempio la praticità della via di somministrazione», dichiara Roberto Mina, ematologo e ricercatore presso la divisione di Ematologia della Città della salute e della scienza di Torino e ricercatore universitario presso Università degli studi di Torino.
La nuova cura
Si tratta di un anticorpo bispecifico umanizzato e pronto all’uso, diretto contro l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA) e i recettori CD3 presenti sui linfociti T. Il farmaco, con somministrazione per via sottocutanea, è indicato in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti affetti da mieloma multiplo recidivato e refrattario che abbiano ricevuto almeno tre precedenti terapie, tra cui un agente immunomodulatore, un inibitore del proteasoma e un anticorpo anti-CD38, e che abbiano evidenziato una progressione della malattia durante l’ultima terapia.
Ascierto: primi al mondo per la cura dei tumori della pelle
Eventi d'interesse, News Presa«Siamo i primi al mondo per la cura dei tumori della cute e per l’immunoterapia. In questa regione si possono fare cose straordinarie». Lo ha detto Paolo Ascierto in occasione della cerimonia del Giuramento di Ippocrate prestato da più di 600 medici ed odontoiatri di Napoli e provincia. Una cerimonia solenne che, come di consueto, ha alternato momenti di grande commozione a veri e propri colpi di teatro.
LA COMMEMORAZIONE
Commuovente è stato, ad esempio, il ricordo della psichiatra Barbara Capovani, assassinata da un paziente nelle scorse settimane al termine del proprio orario di lavoro. In piedi, tutti i presenti al teatro Augusteo di Napoli hanno osservato un minuto di silenzio. Un tema, quello della violenza nei confronti dei medici e del personale sanitario, che è ancora oggi un problema per l’intero paese, da Nord a Sud, senza particolari differenze geografiche.
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ATTENTI ALLE IA
A spronare i ragazzi ci ha pensato il presidente dell’Ordine dei Medici, Bruno Zuccarelli. «Mettete sempre in ogni cosa che fate tutto il vostro entusiasmo. Fate in modo che andare in altre regioni, o all’estero, sia solo un passaggio del vostro percorso di crescita. Tornate a lavorare qui in Campania e mettete la vostra professionalità al servizio dei pazienti che ne avranno bisogno. Una riflessione, infine, sull’esplosione del fenomeno delle intelligenze artificiali. «Siate sempre al passo con le nuove tecnologie e lottate per affermare il primato dell’intelligenza biologica su quella artificiale. La tecnologia deve essere uno strumento al servizio della competenza e dell’empatia umana».
STANDING OVATION
Una vera e propria standing ovation, poi, quella tributata a Massimo Ranieri. «La medicina è anche medicina dell’anima – le parole dell’artista – e per tutti coloro che salgono su un palco, riuscire ad emozionare è qualcosa di unico». Poi un ricordo personale: «Un anno fa sono caduto dal palco, mi sono fratturato la cuffia dell’omero, un polso e mi sono rotto quattro costole. Devo ringraziare quello che allora era il direttore generale del Cardarelli, Giuseppe Longo, dove ho trovato dei medici straordinari. Mi sono sentito protetto, coccolato e amato e la stessa cura viene offerta ogni giorno a tutti i pazienti».
ODONTOIATRIA SOCIALE
Importante è stato il richiamo della presidente Sandra Frojo (Commissione Albo Odontoiatri) ad un maggiore impegno per promuovere l’odontoiatria sociale che «è pari al 7% dell’odontoiatria totale e non riesce minimamente a rispondere al fabbisogno della popolazione, tantomeno in Campania dove le famiglie che rinunciano alle cure sono moltissime». All’evento hanno preso parte, tra gli altri, il rettore dell’Università Federico II Matteo Lorito; i presidenti delle Scuole di Medicina Maria Triassi (Federico II) e Salvatore Cappabianca in vece di Francesco Catapano (Università Vanvitelli), e in Odontoiatria Gilberto Sammartino (Federico II); Gregorio Laino, delegato di Letizia Perillo (Università Vanvitelli – corso di Odontoiatria).
Asma grave, intervista alla Dott.ssa Francesca Puggioni
PodcastSecondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’asma grave colpisce oltre 339 milioni di persone in tutto il mondo e può causare gravi attacchi respiratori e danni polmonari permanenti, se non diagnosticata per tempo e trattata adeguatamente.
Aggressiva e con un impatto importante sulla qualità di vita dei pazienti, l’asma è una patologia complessa, associata a un’infiammazione delle vie aeree che rende difficoltosa la respirazione.
Ne ha parlato la Dott.ssa Francesca Puggioni, Capo Sezione Immuno Center, Humanitas Hospital di Milano, nella nuova pillola di salute a cura di PreSa – Prevenzione Salute, trasmessa su Radio Kiss Kiss la mattina di Sabato 6 Maggio.
Ascolta il Podcast:
“Contenuto realizzato da Radio KissKiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
L’impatto dell’asma grave sul nostro organismo
News Presa, Partner, Podcast, Prevenzione«Sono molte le persone affette da asma e, tra queste, tante fanno i conti con una forma grave. Purtroppo, non abbiamo dati precisi, perché c’è chi ancora oggi per le cure sceglie “il fai da te”, ma le statistiche ci dicono che un numero tra i l 5 e il 10 per cento della popolazione Italiana ne soffre. Quindi dai 3 ai 5 milioni di persone, con un 10 per cento (almeno 300.000 persone colpite da asma grave». A parlare è la dottoressa Francesca Puggioni (capo sezione Immuno Center, Humanitas Hospital di Milano) intervenuta ai microfoni di Radio Kiss Kiss in occasione delle pillole di salute volute e organizzate dal network editoriale PreSa Prevenzione e Salute.
QUALITÀ DI VITA
Un aspetto sottovalutato della malattia è l’impatto che questa ha sulla qualità di vita. «Ci si deve immaginare di vivere in apnea perenne», prosegue Puggioni. «È evidente il perché di un impatto enorme sull’attività sociale, sulla vita lavorativa, sul tempo libero e sul sonno. Si vive nella perenne sensazione di non riuscire a respirare». Un’esperienza terribile, perché si devono assumere molti farmaci e in ogni momento potrebbe essere necessario correre al pronto soccorso. Questo significa non poter programmare serenamente la propria vita.
INFIAMMAZIONE DI TIPO 2
Alla base di questa malattia un’infiammazione definita di Tipo 2. «Un nome difficile per spiegare una cosa semplice», prosegue la specialista. «Identifichiamo con questo nome una parte del sistema immunitario che ha origine dai linfociti di Tipo 2 e che coinvolge una serie di cellule come eosinofili e citochine». La buona notizia è che questa infiammazione è molto vulnerabile alle nuove terapie. Questo significa che il 70 per cento della popolazione che soffre di asma grave può essere trattata efficacemente con i nuovi farmaci biologici. «Una grande soddisfazione – conclude la dottoressa Puggioni – perché la ricerca ci consente oggi di migliorare molto la vita dei pazienti affetti da asma grave. Vederli tornare ad una vita normale ci sta dando grandi soddisfazioni». Grazie ad una ricerca che va sempre avanti, molto presto saranno disponibili farmaci innovativi anche per quelle forme di asma grave che oggi non rispondono alle terapie. La promessa è insomma quella di poter consentire anche a questi pazienti una vita del tutto normale.
“Contenuto realizzato da Radio KissKiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Obesità infantile e sovrappeso: in Italia 8 bambini su 11 a rischio
Alimentazione, Bambini, PrevenzioneIl contrasto dell’obesità infantile è tra le azioni più urgenti che riguardano soprattutto l’Italia. Nel nostro Paese il rischio di sovrappeso e obesità per i bambini è molto alto. Si stima infatti che 8 bambini/adolescenti su 11 , secondo la WOF, e 6 adulti su 10 saranno affetti da sovrappeso/obesità. I dati dell’ultimo rapporto “Childhood Obesity Surveillance Initiative” dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, collocano l’Italia al quarto posto in Europa per prevalenza di sovrappeso e obesità con numeri appena al di sotto del 40%, superata solo da Cipro, Grecia e Spagna. Per la prevalenza della sola obesità, invece, il nostro Paese è al secondo posto.
Obesità e diabete strettamente correlate
In vista del 2025 e alla luce degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU e del WHO, l’attenzione è rivolta ai sistemi alimentari e sanitari. Un bambino obeso ha il 75-80% di probabilità di diventare un adulto obeso ad alto rischio di diabete. Le due patologie sono infatti strettamente correlate al punto da esser definite con il solo termine di ‘diabesità’.
Per contrastare il fenomeno, oltre all’alimentazione equilibrata, è importante un’attività fisica quotidiana. Anche in questo caso l’Italia non brilla: secondo il rapporto OMS, tra gli adulti il 44,8% in Italia non pratica un adeguato livello di attività fisica. La percentuale raggiunge addirittura il 94,5% nei bambini, ultimo Paese OCSE.
La prevenzione fin da piccoli
La Società Italiana di Diabetologia ha appena aderito alla World Obesity Federation, è la prima società scientifica di diabetologia a far parte del network internazionale. “La presenza di obesità, particolarmente quella severa – sottolinea il presidente SID, Angelo Avogaro – si associa nella stragrande maggioranza dei casi all’insorgenza di diabete mellito. Per questo è stato coniato il termine “Diabesità”, proprio per mettere in evidenza che questa accoppiata di malattie croniche non trasmissibili, non solo peggiora la qualità della vita ma ne riduce anche l’aspettativa”. Infine ribadisce l’urgenza di avviare dei programmi di prevenzione “primordiale”, in cui emerga la necessità di seguire stili di vita sani sin da bambini.
“Il sovrappeso e l’obesità insieme al diabete mellito – dichiara il presidente eletto di SID, Raffaella Buzzetti – rappresentano, non solo nel mondo occidentale, una vera è propria pandemia. Se non si appronteranno misure adeguate di prevenzione si stima che le prevalenze rispettive aumenteranno in maniera esponenziale nei prossimi anni”. Di conseguenza aumenterebbe anche il rischio delle complicanze cardio-nefro vascolari che sono una tra le prime cause di mortalità nei soggetti obesi e affetti da diabete.
Demenza: avere un confidente riduce fino a metà il rischio. Lo studio
AnzianiAvere una persona con cui confidarsi riduce il rischio di demenza. Invece, essere coniugati o in una relazione non produce effetti allo stesso modo. Lo riferisce uno studio australiano che ha dimostrato i benefici di avere una persona con cui parlare apertamente di tutto.
Lo studio sul rischio demenza
La scienza aveva già sottolineato da tempo come le relazioni siano importanti non solo per la salute emotiva, ma anche per quella fisica del cervello. Però non era mai stato chiarito se il tipo di relazione e il livello di interazione avessero un’influenza.
Lo studio dell’University of New South Wales a Sydney dimostra che per allungare la vita è più importante essere impegnati nella comunità.
Nel lavoro, pubblicato sul Journal of the Alzheimer Association, i ricercatori hanno condotto una meta-analisi di 13 studi longitudinali da diversi Paesi del mondo. Hanno esaminato i dati di oltre 39 mila persone di età da 65 anni in su. Non solo è risultata importante la frequenza delle interazioni, ma soprattutto la possibilità di aprirsi completamente.
I risultati: è importante il tipo di relazione
Dopo aver analizzato il tipo di relazione e la frequenza delle interazioni, gli scienziati si sono accorti che incontrare amici o familiari almeno una volta al mese può ridurre fino a metà il rischio di demenza.
Avere una persona con cui confidarsi è un fattore molto potente per ridurre il rischio di demenza, spiega il principale autore dello studio Suraj Samtani, psicologo clinico e ricercatore del Centro per un sano invecchiamento del cervello dell’University of New South Wales.