Tempo di lettura: 3 minutiSono 74 i ragazzi, sotto i 19 anni, morti sul lavoro negli ultimi cinque anni. In Italia il lavoro minorile è in aumento. Nel 2022 erano 69.601 i lavoratori minorenni tra i 15 e i 17 anni in Italia. Si tratta di numeri in crescita rispetto ai 51.845 del 2021 e ai 35.505 del 2020. La posizione di “dipendente” raccoglie la maggiore percentuale di lavoratori, seguita da “operai agricoli” e “voucher”. Invece osservando la fascia di età entro i 19 anni nel 2021 i lavoratori erano 310.258, in aumento rispetto ai 243.856 del 2020. I numeri del 1° rapporto statistico sono stati presentati oggi, in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile da UNICEF Italia.
Lavoro minorile e infortuni
Tra il 2017 e il 2021 le denunce di infortunio di minorenni sotto i 19 anni presentate all’Inail a livello nazionale sono 352.140. Tra queste 223.262 riguardano minorenni fino a 14 anni (erano 31.857 nel 2021 e 18.534 nel 2020) e 128.878 nella fascia di età 15-19 anni (erano 18.923 nel 2021 e 11.707 nel 2020).
Il rapporto esamina i dati sul lavoro minorile e gli infortuni da lavoro in Italia nel quinquennio 2017-2021, distribuiti per età, regione e genere. È stato realizzato sulla base di dati elaborati a partire da report e database presenti su portali nazionali dell’Inail e dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS).
Il rapporto – realizzato nell’ambito delle attività dell’Osservatorio UNICEF per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile – coordinato dal Prof. Domenico Della Porta – è stato curato dal “Laboratorio di Sanità Pubblica per l’analisi dei bisogni di Salute delle Comunità” del Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria “Scuola Medica Salernitana”- Università degli Studi di Salerno-responsabile Scientifico: Prof. Francesco De Caro; funzionarie psicologhe: Dott.ssa Francesca Malatesta, Dott.ssa Nadia Pecoraro; con il contributo scientifico della Prof.ssa Giuseppina Cersosimo.
“Proponiamo oggi una riflessione pubblica sui dati, grazie alla collaborazione avviata con l’Università di Salerno nell’ambito dell’Osservatorio UNICEF per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile”- sottolinea Carmela Pace, Presidente dell’UNICEF Italia – “Al fine di garantire un’attenzione particolare ai minorenni che lavorano, favorendo la diffusione di una cultura della prevenzione, nello scorso mese di febbraio abbiamo firmato un Protocollo con il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali per unire le forze nel perseguimento di questo importante obiettivo. Già nel giugno 2022 avevamo dato vita all’Osservatorio UNICEF per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile, proprio allo scopo di contrastare lo sfruttamento degli adolescenti e tutelare la legalità, a partire dalla realizzazione di studi, analisi e proposte da rivolgere alle Istituzioni competenti”
Le regioni con più lavoro minorile
Le cinque regioni con il maggior numero di ragazzi fino a 19 anni occupati complessivamente nell’arco dei cinque anni presi in esame sono rispettivamente: Lombardia (240.252), Veneto (155.987), Emilia Romagna (134.694), Lazio (119.256) e Puglia (108.867). Dei 310.287 minorenni fino a 19 anni coinvolti nel lavoro nel 2021, 193.138 sono maschi e 117.149 sono femmine – in aumento rispetto ai 154.194 maschi e le 89.674 femmine nel 2020.
Donne più istruite, ma meno possibilità di impiego
Il maggiore impiego di lavoratori di sesso maschile entro i 19 anni rispetto a lavoratrici di sesso femminile, mostra la tendenza delle donne a essere più istruite degli uomini. Il 65,3% delle donne ha almeno un diploma (rispetto al 60,1% degli uomini); le laureate arrivano al 23,1% (rispetto al 16,8% degli uomini) (ISTAT, 2022). Si può osservare che il divario di genere nel tasso di occupazione (55,7% contro 75,8%) si riduce al crescere del livello di istruzione (31,7 punti per i titoli bassi, 20,3 per i medi e 7,3 punti per gli alti) (ISTAT, 2022). Inoltre, per le giovani donne che decidono di abbandonare gli studi, ottenendo al più un titolo secondario inferiore, le possibilità di occupazione rispetto ai loro coetanei maschi sono di gran lunga minori (20,8% rispetto a 41,9%) (ISTAT, 2022).
Le morti sul lavoro
Le regioni con le percentuali più alte di denunce totali di infortunio nel quinquennio (2017-2021) dei lavoratori sotto i 19 anni sono: Lombardia (76.942), Emilia Romagna (40.000), Veneto (39.810) e Piemonte (31.997) che da sole ricoprono più del 50% delle denunce di infortunio nazionali.
Tra il 2017 e il 2021 sono stati 7 i morti sul lavoro sotto i 14 anni e 67 per la fascia di età 15-19 anni. Sebbene il numero di denunce di infortunio sia stato maggiore nella fascia di età sotto i 14 anni, gli infortuni con esito mortale sono fortemente sbilanciati verso la fascia di età 15-19 anni. La Regione Veneto è la regione con il più alto numero di morti di minori sul lavoro. Abruzzo, Basilicata, Sardegna, la Provincia autonoma di Trento e la Valle d’Aosta non registrano nessun infortunio con esito mortale nel quinquennio preso in esame.
Rimosso un tumore di 30 chili, il più grande in Europa
News PresaAd un paziente di 52 anni è stato asportato un tumore di 30 chili. È una storia ai limiti dell’incredibile quella che arriva dall’Irccs Policlinico Sant’Orsola di Bologna, un intervento che in letteratura non ha precedenti. Il paziente, di origini sarde, era affetto da un tumore di 65 centimetri di diametro. Un lipo-sarcoma retro peritoneale nato dal tessuto molle del rene destro, molto raro e dalle dimensioni mai viste prima in Europa. Per fortuna un tumore non metastatico e, quindi, possibile da operare.
L’INTERVENTO
Estremamente complessa la procedura chirurgica che ha coinvolto un’equipe multidisciplinare e che è stata determinante per curare ed eradicare la malattia, evitando stomie e dialisi. L’uomo era già seguito in Sardegna per un’altra patologia toracica, un tumore del timo, ma nel corso delle analisi gli è stata scoperta anche una massa all’addome completamente asintomatica, cresciuta esponenzialmente in pochi mesi. Di qui la decisione di traferire l’uomo presso un centro di altissima specializzazione.
SFIDA AL LIMITE
Unica struttura a dare l’ok, il Sant’Orsola di Bologna. «Quando ci è stato riferito il caso del paziente e i suoi esami diagnostici eravamo impressionati», il racconto del professor Matteo Cescon, direttore unità operativa chirurgia epatobiliare e dei trapianti dell’Irccs Policlinico Sant’Orsola. «Mai visto niente del genere. Sapevamo che altri centri in Italia non avevano dato disponibilità a operare, nonostante questo abbiamo voluto provare».
LE DIMISSIONI
Il paziente era in condizioni di forte disagio soprattutto nei movimenti; è rimasto al Sant’Orsola per quasi due mesi con un decorso post operatorio impegnativo: durante l’intervento è stato possibile asportare il rene destro e metà del colon di destra insieme all’appendice, contestualmente è stato ricostruito l’intestino. Da poche settimane è rientrato a casa, nella provincia di Cagliari, e presto tornerà a Bologna per essere operato anche per il tumore del timo.
Nutrizione clinica poco considerata ma determinante. I dati
News PresaLa nutrizione clinica, secondo gli studi, gioca un ruolo determinante nel percorso di cura, con un risparmio di costi sanitari, sociali e di vite umane. Lo hanno ribadito gli specialisti riuniti nel Forum Nutrendo, a distanza di cinque anni dalla prima edizione del 2018, da cui erano nati i Fogli di Roma. Il documento realizzato da oltre 100 esperti – riuniti in sei tavoli tematici: associazioni pazienti, società scientifiche, formazione, SSN, industria e comunicazione – è stato il punto di partenza per un cambiamento. A distanza di cinque anni gli esperti, i clinici, istituzioni e industrie si sono riuniti per capire che cosa è cambiato.
Il Forum Nutrendo
Durante la prima edizione del Forum Nutrendo le proposte più urgenti sono state, tra le altre, rendere obbligatorio nei reparti ospedalieri e nelle residenze sanitarie assistenziali lo screening nutrizionale per tutti i pazienti al momento del ricovero. Dal punto di vista normativo invece è emerso come manchi una legge nazionale sulla nutrizione artificiale domiciliare che permetta una equità di trattamento in tutte le Regioni. L’inclusione della Nutrizione Clinica nei percorsi di cura, a fronte della sua dimostrata costo-efficacia, è ancora molto limitata ed è spesso del tutto assente all’interno della maggior parte dei PDTA per malattie croniche, anche per quelle per le quali è stato riconosciuto un forte impatto nutrizionale.
“Formazione universitaria, inserimento della nutrizione clinica nei PDTA delle malattie croniche, implementazione delle terapie nutrizionali nei LEA (tra cui quelli dei malati oncologici), nuove Unità Operative, sono alcuni degli interventi identificati da tutti gli stakeholders della Nutrizione Clinica come importanti ed urgenti” sottolinea il Professor Maurizio Muscaritoli Presidente della Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo (SINuC) e ideatore del Forum NUTRENDO® “abbiamo ancora molta strada da fare, se pensiamo che nella pratica clinica in Italia, durante il Primo Forum Nutrendo®, il livello di soddisfacimento dei bisogni nutrizionali dei pazienti, è stato valutato 5.98 nella scala di valori da 0 (nessun soddisfacimento) a 10 (massimo soddisfacimento).
Nutrizione clinica poco conosciuta
“In Italia più dell’80% delle risorse del SSN sono destinate alle malattie croniche, proprio quelle associate ad uno stato di malnutrizione, per le quali però non esiste una adeguata formazione né PDTA dedicati. La nutrizione clinica è una specialità medica ancora poco ancora conosciuta, eppure dalla sua implementazione è dimostrato possa derivare un consistente risparmio in termini di costi sanitari, sociali e di vite umane” prosegue Muscaritoli che aggiunge come “numerosi studi, come l’italiano PreMiO (Prevalence of malnutrition in patients at first medical oncology visit: the PreMiO study), hanno dimostrato come la perdita di peso che si manifesta in più del 50% dei pazienti oncologici, può determinare l’interruzione o la sospensione della terapia e una peggiore prognosi”.
Per ciò che riguarda la formazione, la prima edizione del Forum ha messo in luce come l’insegnamento della Nutrizione Clinica è, secondo gli specialisti, del tutto insufficiente o non previsto nei corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia e delle Professioni Sanitarie.
In particolare sottolineano l’importanza di mappare le Unità Operative che erogano le prestazioni di Nutrizione Clinica e promuovere l’istituzione di nuove negli Ospedali e sul territorio. Oltre alla creazione di infrastrutture informatiche a supporto delle prestazioni diagnostiche e terapeutiche di Nutrizione Clinica.
Una dieta che aiuta il cuore e l’ambiente
Alimentazione, News Presa, Stili di vitaUna dieta capace di prevenire il rischio cardiovascolare e, al tempo stesso, di salvare la salute del pianeta. Benché sembri troppo bello per essere vero, il piano alimentare è stato presentato in occasione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana e promette di salvaguardare il cuore e ridurre le emissioni di gas serra, legate agli attuali consumi europei.
IL RAFFRONTO
Mettendo in relazione i dati di consumo di diversi alimenti e il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari è stato possibile definire questo modello alimentare ideale. Un piano che guarda alle frequenze e alle quantità di consumo ottimali di ciascun alimento per la prevenzione cardiovascolare. Questo piano alimentare settimanale è stato confrontato con la dieta abituale della popolazione europea ed è stata, quindi, valutata l’adeguatezza nutrizionale e l’impatto sul clima in termini di emissioni di gas serra dei due modelli alimentari.
DI TUTTO UN PO’
I risultati hanno mostrato che la dieta ottimale per la prevenzione cardiovascolare non prevede l’esclusione di alcun alimento, ma li assortisce tutti nelle frequenze e nelle quantità appropriate, secondo i dati disponibili in letteratura (vegetali freschi, cereali integrali e yogurt ogni giorno, legumi e pesce fino a 4 volte a settimana, uova, formaggi e carni bianche non più di 3 volte a settimana, carni rosse, cereali ad alto indice glicemico o patate non più di una volta a settimana, carni processate occasionalmente).
IL PREMIO
La ricerca, sviluppata dall’Unità di Ricerca su Nutrizione, Diabete e Metabolismo dell’Università Federico II di Napoli, con la collaborazione di ricercatrici indipendenti e di altre afferenti al Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici e al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, ha ricevuto il Premio Barba, come migliore ricerca scientifica condotta nel campo della nutrizione umana da un ricercatore iscritto alla SINU di età inferiore ai 35 anni.
NUTRIENTI
Rispetto alla dieta degli europei, quella desiderabile per la prevenzione cardiovascolare include un maggior consumo di frutta e verdura, cereali integrali, cereali raffinati a basso indice glicemico come la pasta, frutta secca a guscio, legumi e pesce, a scapito di carne bovina, burro, cereali ad alto indice glicemico, patate e zucchero. Questo modello alimentare è in grado di assicurare l’assunzione di tutti i macro e micro nutrienti nelle quantità raccomandate dall’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) e di migliorare il profilo nutrizionale della dieta attuale della popolazione europea. E cosa che non guasta di certo, lo studio ha dimostrato che la dieta sviluppata per l’ottimizzazione del rischio cardiovascolare è in grado di ridurre del 48.6% le emissioni di gas serra legate agli attuali consumi europei.
Lavoro minorile aumenta in Italia, 74 morti in 5 anni. I dati Unicef
Adolescenti, Benessere, News Presa, PrevenzioneSono 74 i ragazzi, sotto i 19 anni, morti sul lavoro negli ultimi cinque anni. In Italia il lavoro minorile è in aumento. Nel 2022 erano 69.601 i lavoratori minorenni tra i 15 e i 17 anni in Italia. Si tratta di numeri in crescita rispetto ai 51.845 del 2021 e ai 35.505 del 2020. La posizione di “dipendente” raccoglie la maggiore percentuale di lavoratori, seguita da “operai agricoli” e “voucher”. Invece osservando la fascia di età entro i 19 anni nel 2021 i lavoratori erano 310.258, in aumento rispetto ai 243.856 del 2020. I numeri del 1° rapporto statistico sono stati presentati oggi, in occasione della Giornata mondiale contro lo sfruttamento del lavoro minorile da UNICEF Italia.
Lavoro minorile e infortuni
Tra il 2017 e il 2021 le denunce di infortunio di minorenni sotto i 19 anni presentate all’Inail a livello nazionale sono 352.140. Tra queste 223.262 riguardano minorenni fino a 14 anni (erano 31.857 nel 2021 e 18.534 nel 2020) e 128.878 nella fascia di età 15-19 anni (erano 18.923 nel 2021 e 11.707 nel 2020).
Il rapporto esamina i dati sul lavoro minorile e gli infortuni da lavoro in Italia nel quinquennio 2017-2021, distribuiti per età, regione e genere. È stato realizzato sulla base di dati elaborati a partire da report e database presenti su portali nazionali dell’Inail e dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS).
Il rapporto – realizzato nell’ambito delle attività dell’Osservatorio UNICEF per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile – coordinato dal Prof. Domenico Della Porta – è stato curato dal “Laboratorio di Sanità Pubblica per l’analisi dei bisogni di Salute delle Comunità” del Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria “Scuola Medica Salernitana”- Università degli Studi di Salerno-responsabile Scientifico: Prof. Francesco De Caro; funzionarie psicologhe: Dott.ssa Francesca Malatesta, Dott.ssa Nadia Pecoraro; con il contributo scientifico della Prof.ssa Giuseppina Cersosimo.
“Proponiamo oggi una riflessione pubblica sui dati, grazie alla collaborazione avviata con l’Università di Salerno nell’ambito dell’Osservatorio UNICEF per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile”- sottolinea Carmela Pace, Presidente dell’UNICEF Italia – “Al fine di garantire un’attenzione particolare ai minorenni che lavorano, favorendo la diffusione di una cultura della prevenzione, nello scorso mese di febbraio abbiamo firmato un Protocollo con il Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali per unire le forze nel perseguimento di questo importante obiettivo. Già nel giugno 2022 avevamo dato vita all’Osservatorio UNICEF per la prevenzione dei danni alla salute da lavoro minorile, proprio allo scopo di contrastare lo sfruttamento degli adolescenti e tutelare la legalità, a partire dalla realizzazione di studi, analisi e proposte da rivolgere alle Istituzioni competenti”
Le regioni con più lavoro minorile
Le cinque regioni con il maggior numero di ragazzi fino a 19 anni occupati complessivamente nell’arco dei cinque anni presi in esame sono rispettivamente: Lombardia (240.252), Veneto (155.987), Emilia Romagna (134.694), Lazio (119.256) e Puglia (108.867). Dei 310.287 minorenni fino a 19 anni coinvolti nel lavoro nel 2021, 193.138 sono maschi e 117.149 sono femmine – in aumento rispetto ai 154.194 maschi e le 89.674 femmine nel 2020.
Donne più istruite, ma meno possibilità di impiego
Il maggiore impiego di lavoratori di sesso maschile entro i 19 anni rispetto a lavoratrici di sesso femminile, mostra la tendenza delle donne a essere più istruite degli uomini. Il 65,3% delle donne ha almeno un diploma (rispetto al 60,1% degli uomini); le laureate arrivano al 23,1% (rispetto al 16,8% degli uomini) (ISTAT, 2022). Si può osservare che il divario di genere nel tasso di occupazione (55,7% contro 75,8%) si riduce al crescere del livello di istruzione (31,7 punti per i titoli bassi, 20,3 per i medi e 7,3 punti per gli alti) (ISTAT, 2022). Inoltre, per le giovani donne che decidono di abbandonare gli studi, ottenendo al più un titolo secondario inferiore, le possibilità di occupazione rispetto ai loro coetanei maschi sono di gran lunga minori (20,8% rispetto a 41,9%) (ISTAT, 2022).
Le morti sul lavoro
Le regioni con le percentuali più alte di denunce totali di infortunio nel quinquennio (2017-2021) dei lavoratori sotto i 19 anni sono: Lombardia (76.942), Emilia Romagna (40.000), Veneto (39.810) e Piemonte (31.997) che da sole ricoprono più del 50% delle denunce di infortunio nazionali.
Tra il 2017 e il 2021 sono stati 7 i morti sul lavoro sotto i 14 anni e 67 per la fascia di età 15-19 anni. Sebbene il numero di denunce di infortunio sia stato maggiore nella fascia di età sotto i 14 anni, gli infortuni con esito mortale sono fortemente sbilanciati verso la fascia di età 15-19 anni. La Regione Veneto è la regione con il più alto numero di morti di minori sul lavoro. Abruzzo, Basilicata, Sardegna, la Provincia autonoma di Trento e la Valle d’Aosta non registrano nessun infortunio con esito mortale nel quinquennio preso in esame.
Tecnologia e salute, binomio inscindibile
SpecialiTorna puntuale lo speciale che il network editoriale PreSa dedica ai temi della prevenzione e della salute in partnership con Il Mattino. In questo numero si parla di innovazione tecnologica e nuove terapie, in particolare contro il mieloma. Ampio spazio, in apertura, è dedicato infatti all’impatto che le tecnologie hanno sulle nostre vite.
CONFERENZA
Tra queste tecnologie ci sono i dispositivi medici, determinanti sia sotto il profilo clinico, sia dal punto di vista socio-economico. A mettere i maggiori esperti italiani a un tavolo, per valutare lo stato dell’arte e tracciare le migliori traiettorie per lo sviluppo futuro, è stata la Fondazione Medicina Sociale e Innovazione Tecnologica (Mesit). E proprio dalla Conferenza nazionale sui Dispositivi medici (organizzata in collaborazione con l’Altems dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il Ceis di Tor Vergata, l’Università di Tor Vergata e l’Università di Roma Tre) sono emerse luci e ombre di un settore che ha enormi potenzialità.
BENESSERE
Inoltre, l’innovazione tecnologica è un «generatore di benessere che ha rivoluzionato la vita dei cittadini». Lo spiega a chiare lettere il presidente della Fondazione Mesit Marco Trabucco Aurilio. Fondamentale, quindi, è anche il contributo offerto dai modelli organizzativi e finanziari, «che ci possono aiutare a reinterpretare la spesa sanitaria non come costo, ma come investimento strategico».
MIELOMA
Tra le malattie che più di altre hanno beneficiato dei progressi della tecnologia e delle terapie c’è il mieloma multiplo. Ogni anno sono circa 4.500 i nuovi casi diagnosticati nel nostro Paese. In generale, la maggior parte dei pazienti ha più di 50 anni e sono rarissimi i casi prima dei 40. La prevalenza maggiore è dopo i 65 anni. Oggi, circa il 42 per cento dei malati è vivo a distanza di cinque anni dalla diagnosi proprio perché, grazie ai progressi della scienza, per chi soffre di mieloma multiplo l’aspettativa di vita oggi è molto migliorata. Uno speciale tutto da leggere. Come sempre, pensato per offrire spunti di riflessione chiavi di lettura che possano aiutarci a comprendere meglio temi a volte complessi ma centrali nella vita di ciascuno.
Analizzare la voce per individuare fattori di rischio
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa frequenza della voce può svelare molto sulla salute e sulla predisposizione genetica a determinate malattie. È un vero e proprio vaso di pandora quello scoperchiato da una ricerca pubblicata sulla rivista Science Advances, voluta e realizzata della Amgen (azienda leader mondiale nelle biotecnologie). A quanto pare, il tono della voce è scritto nei geni, e sono questi in ultima analisi a definire se avremo una voce profonda o squillante.
MUTAZIONI
Ma c’è di più. Aver compreso che mutazioni del gene ABCC9 influenzano l’intonazione ha consentito anche di andare oltre. Gli scienziati hanno infatti scoperto che queste varianti di ABCC9 sono associate a un tono di voce più alto sia negli uomini sia nelle donne e che queste varianti di sequenza sono anche collegate a un aumento della pressione del polso, un fattore di rischio cardiovascolare, evidenziando i legami tra l’intonazione della voce e i tratti legati alla salute.
LO STUDIO
Per arrivare a comprendere in che modo le mutazioni di questo gene influenzano il nostro tono di voce, gli scienziati hanno incrociato le registrazioni vocali di quasi 13.000 islandesi con i dati della sequenza del genoma. In questo modo hanno identificato mutazioni comuni nel gene ABCC9 che sono associate a una voce più acuta. Oltre all’intonazione della voce, lo studio ha analizzato la genetica dell’acustica delle vocali.
EREDITARIETÀ
Sebbene i suoni vocali siano influenzati dalla cultura e dal contesto, gli scienziati hanno scoperto che contengono anche una componente ereditabile, probabilmente legata alla forma del tratto vocale e al suo effetto sui suoni delle vocali. Comprendere questi meccanismi potrà risultare molto utile per individuare relazioni oggi sconosciute tra mutazioni genetiche ed eventuali patologie o fattori di rischio, arrivando a fare vere e proprie diagnosi predittive.
Infezioni resistenti agli antibiotici, 214 mila neonati morti per sepsi
Bambini, Farmaceutica, Pediatria, PrevenzioneNel mondo è ancora alta la mortalità dei neonati per sepsi. Secondo uno studio osservazionale molti neonati muoiono perché gli antibiotici usati per curare le infezioni stanno perdendo la loro efficacia. Lo studio a livello globale è stato condotto tra il 2018 e il 2020.
La sepsi è un’infezione del sangue potenzialmente letale. Ogni anno colpisce 3 milioni di bambini in tutto il mondo. I neonati che muoiono sono 214.000 all’anno, a causa di sepsi resistente agli antibiotici. Succede in particolare nei Paesi a basso e medio reddito.
Lo studio sull’efficacia degli antibiotici
Lo studio ha coinvolto più di 3200 neonati con sepsi in 19 ospedali di 11 diversi Paesi del mondo. I risultati sono stati pubblicati su Plos Medicine. Alla ricerca ha partecipato un gruppo di oltre 80 ricercatori provenienti da quattro diversi continenti.
Per l’Europa, l’ospedale pediatrico Bambino Gesù ha partecipato come struttura di controllo in termini di qualità rispetto ai Paesi in via di sviluppo inclusi nella ricerca, dove è stata rilevata un’alta mortalità tra i neonati con emocolture positive (in media quasi 1 su 5) e un alto livello di resistenza agli antibiotici.
Lo studio è stato condotto dalla Global Antibiotic Research and Development Partnership (Gardp). Hanno collaborato: l’Università St George’s di Londra, Penta – Child Health Research (rete di ricerca scientifica indipendente sulla salute materno-infantile, con sede a Padova), il Medical Research Council Clinical Trials Unit dell’University College London e l’Università di Anversa.
“Questo studio è stato fondamentale per comprendere meglio il tipo di infezioni che colpiscono i neonati negli ospedali, i germi che le causano, i trattamenti utilizzati e il motivo per cui si registra un così alto numero di decessi. Lo studio ci ha fornito informazioni preziose che ci aiuteranno a progettare meglio gli studi clinici e, in ultima analisi, a migliorare le cure e i risultati clinici dei neonati con sepsi”, ha dichiarato Manica Balasegaram, direttore esecutivo di Gardp. Allo studio hanno partecipato gli specialisti degli ospedali di Bangladesh, Brasile, Cina, Grecia, India, Italia, Kenya, Sudafrica, Thailandia, Vietnam e Uganda.
Infezioni resistenti agli antibiotici
Il batterio più comune è il Klebsiella pneumoniae, solitamente contratto in ambiente ospedaliero. “Se un antibiotico non funziona, spesso il bambino muore. Questa situazione deve cambiare con urgenza. Abbiamo bisogno di antibiotici che coprano tutte le infezioni batteriche”, ha dichiarato Sithembiso Velaphi, primario di pediatria presso il Chris Hani Baragwanath Academic Hospital di Johannesburg, Sudafrica.
Gli scienziati hanno anche sviluppato due strumenti da utilizzare negli studi clinici e nelle unità di terapia intensiva neonatale di tutto il mondo. Il primo è il NeoSep Severity Score, basato su 10 segni e sintomi clinici, che i medici potranno utilizzare per identificare i neonati più ad alto rischio e garantire loro le cure necessarie. Il secondo è il NeoSep Recovery Score, che utilizzando molti degli stessi segni e sintomi clinici, fornirà ai medici informazioni chiave sull’opportunità di intensificare le cure.
“Ci auguriamo che NeoObs sia il primo passo per progettare nel prossimo futuro studi clinici volti a identificare nuovi biomarcatori di sepsi e studiare sicurezza ed efficacia nel tempo di nuovi agenti attivi contro i batteri multiresistenti“, ha sottolineato Maia de Luca, pediatra infettivologa del Bambino Gesù. Lo studio servirà ad aggiornare le linee guida dell’Oms sul trattamento della sepsi nei neonati. I risultati dello studio sono stati utilizzati per progettar NeoSEP1, un trial clinico strategico per trovare trattamenti migliori per le infezioni neonatali nel contesto della crescente resistenza ai trattamenti esistenti.
Alzheimer, un test del sangue per capire chi è a rischio
Anziani, Ricerca innovazioneUno studio ha identificato un nuovo biomarcatore nel sangue che sarebbe in grado di predire l’Alzheimer in una fase preclinica, quindi in assenza di sintomi. I risultati sono stati pubblicati su Nature Medicine e aprono a nuove possibilità nella ricerca e la messa a punto di nuovi farmaci.
In generale, molte persone possono avere un cervello pieno di placche di proteina β-amiloide, tuttavia non tutte si ammalano di Alzheimer, ma solo alcune. La motivazione alla base dell’insorgenza della malattia è stata indagata dagli scienziati dell’Università di Pittsburgh, i quali hanno scoperto che oltre all’accumulo di proteina β-amiloide, tipicamente associato all’Alzheimer, perché ci si ammali deve esserci anche l’attivazione degli astrociti, le cellule del sistema immunitario a forma di stella che circondano e proteggono i neuroni cerebrali.
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce principalmente le persone anziane e causa progressiva perdita di memoria e demenza. Si tratta della forma di demenza più frequente. Circa il 5-6 % delle persone sopra i 65 anni hanno un decadimento cognitivo e su 10 persone che hanno un decadimento mentale circa 6 hanno la patologia. In Italia sono almeno 1 milione le persone con Alzheimer.
“Il nostro studio sostiene che il test per la presenza di amiloide cerebrale insieme ai biomarcatori ematici della reattività degli astrociti è lo screening ottimale per identificare i pazienti che sono più a rischio di progredire verso la malattia di Alzheimer”, ha detto l’autore senior Tharick Pascoal, professore associato di psichiatria e neurologia alla University of Pittsburgh School of Medicine. “Questo pone gli astrociti al centro come regolatori chiave della progressione della malattia, sfidando l’idea che l’amiloide sia sufficiente a scatenare la malattia di Alzheimer”, ha continuato Pascoal.
Mieloma multiplo, Car-t già dalla prima recidiva. I risultati da Asco23
News Presa, Ricerca innovazioneLa terapia Car-T ha aperto nuove prospettive per una parte di malati gravi di tumori del sangue. Oggi è approvata per pazienti che hanno già ricevuto un trattamento e nonostante questo abbiano una recidiva. Si tratta di un trattamento è impegnativo, per questo i pazienti devono anche essere in relative buone condizioni. Secondo i risultati dello studio Cartitude-4, presentati al congresso americano di oncologia medica (Asco) appena concluso a Chicago, la terapia può essere anticipata, usandola già a partire dalla prima volta in cui la malattia ritorna. I dati hanno dimostrato come nei pazienti adulti con mieloma multiplo che abbiano ricevuto prima anche solo una terapia, ciltacabtagene autoleucel (cilta-cel) riduca del 74 per cento il rischio di progressione della malattia o di morte rispetto ai due regimi di trattamento standard.
«I risultati di questo studio sono molto incoraggianti in quanto mostrano un significativo miglioramento della sopravvivenza libera da progressione e dei tassi di risposta, oltre a una riduzione del rischio di morte, con il trattamento a base di cilta-cel rispetto alle terapie standard esistenti. Questi dati confermano il potenziale di questa terapia cellulare nel diventare un’opzione terapeutica chiave per pazienti con mieloma multiplo in linee di trattamento sempre più precoci, dove la necessità di nuove terapie rimane ancora insoddisfatta», dichiara Professor Jesús San Miguel, Director of Clinical & Translational Medicine, Universidad de Navarra, Spain.
Il mieloma multiplo
Il mieloma multiplo è un tumore del sangue ad oggi incurabile che parte da una tipologia di globuli bianchi, le plasmacellule, che si trovano nel midollo osseo. Nel mieloma multiplo, queste cellule subiscono delle mutazioni genetiche che ne causano una proliferazione senza controllo. In Europa, nel 2020 sono state diagnosticate oltre 50.900 persone con mieloma multiplo e sono morti oltre 32.500 pazienti. Alcuni pazienti con mieloma multiplo non presentano alcun sintomo iniziale. La maggior parte, invece, viene diagnosticata proprio a causa dei sintomi che possono includere fratture o dolore alle ossa, riduzione dei globuli rossi, stanchezza, aumento dei livelli di calcio, o insufficienza renale.
I risultati dello studio CARTITUDE-4, presentati di recente al Congresso Asco 2023 (Abstract #LBA106) e pubblicati in contemporanea sul The New England Journal of Medicine, saranno anche oggetto di una sessione plenaria durante il Congresso della European Hematology Association (EHA), che si terrà dall’8 all’11 giugno a Francoforte. Si tratta delprimo studio randomizzato sull’efficacia di una terapia cellulare per il trattamento del mieloma multiplo a partire dalla prima recidiva.
Una scoperta del Cnr apre a nuove speranze di cura per il carcinoma della tiroide
News Presa, Ricerca innovazioneContro il carcinoma della tiroide potrebbe arrivare presto una nuova arma. La scoperta che apre a nuove speranze è di un gruppo di ricerca del Cnr di Napoli, che ha lavorato sotto il coordinamento del dottor Valerio Costa. I ricercatori hanno individuato un punto debole del tumore nel metabolismo delle cellule che lo compongono. La chiave è in un “oncogene” chiamato BRAF, responsabile della produzione di un enzima che controlla la proliferazione delle cellule e, quindi, la crescita del tumore.
SITEMA ENDOCRINO
Il carcinoma della tiroide è il frequente tra le forme di cancro che colpiscono il sistema endocrino. La sua particolarità è nella sua stessa mutevolezza. Infatti, si tratta di un tumore che presenta enormi variazioni sia istologiche e molecolari. Quindi, nonostante la diagnosi si faccia con una valutazione istologica e morfologica, è sempre essenziale procedere anche ad un’analisi molecolare dettagliata. Soprattutto quando ci si trova ad affrontare tumori che rispondono poco o nulla quando sono attaccati con i protocolli terapeutici convenzionali.
NUOVE SPERANZE
I ricercatori hanno osservato che mutazioni nell’oncogene BRAF determinano in genere una maggiore aggressività del carcinoma e una ridotta risposta alla terapia farmacologica. Pertanto, comprendere gli effetti della riprogrammazione metabolica sulle proprietà tumorali delle cellule e individuare nuovi trattamenti più efficaci e specifici sono priorità per la cura di questi tumori. Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista British Journal of Cancer, è stato possibile grazie al sostegno di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro e al programma operativo POR FESR Campania 2014-2020. I risultati di questo studio potrebbero quindi avere particolare rilevanza per il trattamento di queste forme di cancro.