Tempo di lettura: 3 minutiLe epatiti virali sono un problema di salute globale. Si stima siano 300 milioni i casi di epatite B, almeno 55 milioni quelli di Epatite C (HCV). A questi si aggiunge anche il virus dell’epatite Delta, che in Italia coinvolge dai 6 ai 12 mila pazienti secondo le stime.
Queste epatiti possono restare latenti a lungo, ma possono essere altresì evolutive portando a complicanze anche fatali come cirrosi ed epatocarcinoma. A Caserta si incontrano specialisti da tutto il mondo per creare una strategia comune nella lotta alle epatiti.
Epatiti: cure innovative e screening
Sono gli epatologi ospedalieri sparsi sul territorio ad avere un ruolo centrale nei progetti di micro-macroeliminazione dell’epatite C. In quest’ottica i risultati del “modello Caserta” hanno avuto un riconoscimento internazionale. “Oggi si dispone di importanti strumenti – sottolinea Antonio Izzi, Presidente CLEO e Dirigente Medico Presidio Ospedaliero Cotugno, Napoli.
L’epatite B può essere prevenuta con il vaccino, mentre nuove terapie emergenti come il Bepirovirsen possono silenziare il virus aumentando la percentuale di soggetti che perdono l’antigene di superficie (HBsAg) e potenziando l’azione degli attuali farmaci che ne sopprimono la replicazione. L’HCV, grazie ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs), si può eradicare definitivamente in oltre il 98% dei pazienti, in tempi rapidi e senza significativi effetti collaterali.
Per l’epatite Delta è recentemente stato approvato da AIFA un nuovo farmaco, Bulevirtide, che impedisce al virus di penetrare negli epatociti e rappresenta in atto l’unica concreta speranza per una malattia orfana seria che altrimenti porta inesorabilmente verso la cirrosi epatica. Restano gli ostacoli degli screening per far emergere il sommerso e del linkage-to-care. Per questo gli epatologi ospedalieri si candidano a un nuovo ruolo, che può rivelarsi determinante. La nostra missione è duplice: da un lato fornire un elevato livello assistenziale sul territorio e dall’altro fornire una solida base di aggiornamento scientifico finalizzata ad una best clinical practice, sempre con il paziente al centro”.
Il convegno internazionale a Caserta
Caserta ospita il 26-27 giugno il convegno internazionale del CLEO – Club Epatologi Ospedalieri “VIII International Viral Hepatitis. Update and Clinical Practice”. Saranno a confronto alcuni tra i maggiori esperti nazionali ed internazionali per discutere su come eliminare l’epatite C, curare l’epatite B e trattare l’epatite Delta.
L’appuntamento, nato nel 2014, è dedicato alla memoria del Prof. Antonio Ascione, primo fondatore di un reparto di Epatologia Ospedaliera in Italia, già Segretario AISF, scomparso lo scorso gennaio. Tra gli oltre cento specialisti presenti, vi sono ricercatori e scienziati internazionali.
Campania incidenza più alta di malattie del fegato
La Campania è una delle aree d’Europa a maggiore prevalenza di malattie di fegato correlate a virus. Da questo dato negativo, a Caserta è nato un modello virtuoso, improntato alla semplificazione nell’accesso alla terapia. “Quando nel 2017 è stato pubblicato il primo report della Regione Campania in cui si confrontavano gli arruolamenti alla terapia eradicante HCV in base ai genotipi ci si è resi conto che i soggetti tossicodipendenti non arrivavano alla terapia, nonostante il 60% dei soggetti affetti da HCV ha o abbia avuto una storia di tossicodipendenze e l’80% delle nuove infezioni siano dovute a tossicodipendenza – evidenzia Vincenzo Messina, dirigente medico, Responsabile del Centro Prescrittore dei Farmaci Innovativi per la cura dell’epatite C presso le la UOC Malattie Infettive della AORN di Caserta.
»Da qui è partito un accurato lavoro sul territorio: sono stati contattati il Dipartimento delle Dipendenze e le sue UOC, SerD e la UOC Tutela della salute in carcere della ASL Caserta e si è definito, in accordo con la AORN Caserta, un percorso semplificato, che permette un accesso immediato alla terapia senza liste d’attesa. Abbiamo avviato un rigoroso percorso di formazione e informazione delle strutture del territorio come carceri e SerD, insegnando ai colleghi a fare lo screening del 100% della popolazione sotto la loro gestione, al fine di capire quale prevalenza del virus vi fosse in queste popolazioni, per proporre una diagnosi, un’offerta terapeutica immediata ed un monitoraggio continuo.
I risultati sono nei numeri: se in Italia, a fine maggio, risultano trattate 251mila persone con HCV, in Campania poco più di 30mila, presso la UOC Malattie Infettive della AORN Caserta sono più di 2500 persone. Nessun altro centro in Italia può vantare numeri del genere, sostenuti da un solo specialista. Il percorso di cura per un comune cittadino richiede fino a sei mesi per ottenere una diagnosi e l’accesso alla terapia e può arrivare fino a 18 mesi nel caso dei detenuti.
Attualmente a Caserta e provincia si impiega dallo screening alla terapia un massimo di due settimane per i pazienti dei SerD e di 30 giorni per i detenuti a partire dal prelievo. Nel 2020, il Boston Consulting Group ha considerato il “Caserta Model” come uno dei migliori modelli assistenziali al mondo per l’Epatite C. Alcune aree geografiche sia regionali che extra regionali limitrofe o nazionali hanno applicato la stessa metodologia, a dimostrazione di come sia un modello replicabile su diversi territori per realizzare una macro-eradicazione”.
Epatiti, cure innovative ma diagnosi fino a sei mesi. A Caserta il modello più efficiente
Associazioni pazienti, Farmaceutica, PrevenzioneLe epatiti virali sono un problema di salute globale. Si stima siano 300 milioni i casi di epatite B, almeno 55 milioni quelli di Epatite C (HCV). A questi si aggiunge anche il virus dell’epatite Delta, che in Italia coinvolge dai 6 ai 12 mila pazienti secondo le stime.
Queste epatiti possono restare latenti a lungo, ma possono essere altresì evolutive portando a complicanze anche fatali come cirrosi ed epatocarcinoma. A Caserta si incontrano specialisti da tutto il mondo per creare una strategia comune nella lotta alle epatiti.
Epatiti: cure innovative e screening
Sono gli epatologi ospedalieri sparsi sul territorio ad avere un ruolo centrale nei progetti di micro-macroeliminazione dell’epatite C. In quest’ottica i risultati del “modello Caserta” hanno avuto un riconoscimento internazionale. “Oggi si dispone di importanti strumenti – sottolinea Antonio Izzi, Presidente CLEO e Dirigente Medico Presidio Ospedaliero Cotugno, Napoli.
L’epatite B può essere prevenuta con il vaccino, mentre nuove terapie emergenti come il Bepirovirsen possono silenziare il virus aumentando la percentuale di soggetti che perdono l’antigene di superficie (HBsAg) e potenziando l’azione degli attuali farmaci che ne sopprimono la replicazione. L’HCV, grazie ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAAs), si può eradicare definitivamente in oltre il 98% dei pazienti, in tempi rapidi e senza significativi effetti collaterali.
Per l’epatite Delta è recentemente stato approvato da AIFA un nuovo farmaco, Bulevirtide, che impedisce al virus di penetrare negli epatociti e rappresenta in atto l’unica concreta speranza per una malattia orfana seria che altrimenti porta inesorabilmente verso la cirrosi epatica. Restano gli ostacoli degli screening per far emergere il sommerso e del linkage-to-care. Per questo gli epatologi ospedalieri si candidano a un nuovo ruolo, che può rivelarsi determinante. La nostra missione è duplice: da un lato fornire un elevato livello assistenziale sul territorio e dall’altro fornire una solida base di aggiornamento scientifico finalizzata ad una best clinical practice, sempre con il paziente al centro”.
Il convegno internazionale a Caserta
Caserta ospita il 26-27 giugno il convegno internazionale del CLEO – Club Epatologi Ospedalieri “VIII International Viral Hepatitis. Update and Clinical Practice”. Saranno a confronto alcuni tra i maggiori esperti nazionali ed internazionali per discutere su come eliminare l’epatite C, curare l’epatite B e trattare l’epatite Delta.
L’appuntamento, nato nel 2014, è dedicato alla memoria del Prof. Antonio Ascione, primo fondatore di un reparto di Epatologia Ospedaliera in Italia, già Segretario AISF, scomparso lo scorso gennaio. Tra gli oltre cento specialisti presenti, vi sono ricercatori e scienziati internazionali.
Campania incidenza più alta di malattie del fegato
La Campania è una delle aree d’Europa a maggiore prevalenza di malattie di fegato correlate a virus. Da questo dato negativo, a Caserta è nato un modello virtuoso, improntato alla semplificazione nell’accesso alla terapia. “Quando nel 2017 è stato pubblicato il primo report della Regione Campania in cui si confrontavano gli arruolamenti alla terapia eradicante HCV in base ai genotipi ci si è resi conto che i soggetti tossicodipendenti non arrivavano alla terapia, nonostante il 60% dei soggetti affetti da HCV ha o abbia avuto una storia di tossicodipendenze e l’80% delle nuove infezioni siano dovute a tossicodipendenza – evidenzia Vincenzo Messina, dirigente medico, Responsabile del Centro Prescrittore dei Farmaci Innovativi per la cura dell’epatite C presso le la UOC Malattie Infettive della AORN di Caserta.
»Da qui è partito un accurato lavoro sul territorio: sono stati contattati il Dipartimento delle Dipendenze e le sue UOC, SerD e la UOC Tutela della salute in carcere della ASL Caserta e si è definito, in accordo con la AORN Caserta, un percorso semplificato, che permette un accesso immediato alla terapia senza liste d’attesa. Abbiamo avviato un rigoroso percorso di formazione e informazione delle strutture del territorio come carceri e SerD, insegnando ai colleghi a fare lo screening del 100% della popolazione sotto la loro gestione, al fine di capire quale prevalenza del virus vi fosse in queste popolazioni, per proporre una diagnosi, un’offerta terapeutica immediata ed un monitoraggio continuo.
I risultati sono nei numeri: se in Italia, a fine maggio, risultano trattate 251mila persone con HCV, in Campania poco più di 30mila, presso la UOC Malattie Infettive della AORN Caserta sono più di 2500 persone. Nessun altro centro in Italia può vantare numeri del genere, sostenuti da un solo specialista. Il percorso di cura per un comune cittadino richiede fino a sei mesi per ottenere una diagnosi e l’accesso alla terapia e può arrivare fino a 18 mesi nel caso dei detenuti.
Attualmente a Caserta e provincia si impiega dallo screening alla terapia un massimo di due settimane per i pazienti dei SerD e di 30 giorni per i detenuti a partire dal prelievo. Nel 2020, il Boston Consulting Group ha considerato il “Caserta Model” come uno dei migliori modelli assistenziali al mondo per l’Epatite C. Alcune aree geografiche sia regionali che extra regionali limitrofe o nazionali hanno applicato la stessa metodologia, a dimostrazione di come sia un modello replicabile su diversi territori per realizzare una macro-eradicazione”.
HIV ignorato e challenge pericolose. Le conversazioni social degli adolescenti
Adolescenti, PrevenzioneSu web e social i giovani non parlano di virus HIV e AIDS, ma si lanciano sfide pericolosissime. Il quadro emerge da una ricerca realizzata da SocialCom, che attraverso la piattaforma SocialData, ha analizzato per Anlaids Lazio le conversazioni degli ultimi dodici mesi.
HIV e AIDS grandi assenti nelle conversazioni
Lo studio ha messo a confronto le menzioni e le interazioni sull’HIV/AIDS con altre malattie rilevanti. Dai risultati emerge come il Covid-19 (1,9 milioni di mentions) sia ancora la malattia più discussa, seguito dal cancro (757K mentions) e dall’influenza (356K mentions). “L’HIV/AIDS ha registrato un numero significativamente inferiore di menzioni e interazioni”, viene fatto notare nel documento riassuntivo dell’analisi, dove si legge che “questo dato solleva preoccupazione riguardo allo stato dell’informazione sulla prevenzione dell’HIV, poiché è ancora spesso associato a pregiudizi, stigma e discriminazione”.
La ricerca mostra come i giovani della fascia di età 18-34 anni tendano a discutere dell’HIV/AIDS su TikTok e Instagram, mentre le fasce d’età più adulte su piattaforme come Twitter e Facebook. Tuttavia, nei social network più popolari tra i giovani, come Instagram e TikTok, non sembra essere un argomento di tendenza.
Complessivamente, il sentiment generale nelle discussioni sull’HIV/AIDS è più negativo (54%) che positivo (33%). Le emozioni prevalenti riguardano la preoccupazione, la paura, la disapprovazione, ma anche la compassione e il sostegno.
Le parole più utilizzate nelle conversazioni sull’HIV/AIDS indicano un forte interesse nella comprensione della malattia, dei suoi effetti e dei progressi della ricerca. Le discussioni riguardano anche l’efficacia dei trattamenti esistenti, la ricerca di nuove terapie, la prevenzione attraverso i vaccini e il vissuto delle persone affette da HIV, inclusi i problemi sociali e personali che devono affrontare.
Sex roulette e rischi ignorati
Sono stati eseguiti anche due focus. Il primo sui temi della Sex Roulette, la nuova pericolosa challenge che spopola sui social, il secondo sul test rapido per l’Hiv. Nel primo caso si registrano oltre 250K interazioni (commenti, condivisioni, reactions ai post). L’analisi ha interessato Tik Tok, uno dei canali usato dai giovanissimi, la sfida prevede di avere un rapporto non protetto con uno sconosciuto senza rimanere incinta.
Il rischio di malattie sessuali è un grande assente. L’analisi del flusso sul test per l’Hiv è davvero esiguo (solo 4,7K mentions), a dimostrazione del fatto che c’è poca conoscenza degli strumenti che la comunità mette a disposizione per prevenire evoluzione difficili dell’infezione.
I dati dimostrano che “la rete è uno straordinario strumento di analisi sociologica e sociale”, commenta Luca Ferlaino, founder di SocialCom. “Oggi non solo possiamo anticipare e fotografare le tendenze, le opinioni e le preoccupazioni delle persone, ma contribuire in qualche modo a creare una strategia comune per risolvere problemi rilevanti e prevenire l’evoluzione di fenomeni socialmente pericolosi, come la challenge della Sex Roulette, attraverso campagne informative ad hoc, targettizzate su pubblici di riferimento”.
Francesco Saverio Mennini: Un valore non ancora riconosciuto
Economia sanitaria, Ricerca innovazione, RubricheNella stagione post Covid ci vediamo accompagnati dalla consapevolezza, acquisita a caro prezzo, dell’importanza degli Investimenti in Sanità. I dispositivi medici (DM) rappresentano una parte importante dell’innovazione tecnologica: attraverso un decisivo miglioramento dei percorsi di diagnosi e cura, essi permettono non solo di incrementare la qualità di vita (QoL) dei pazienti, ma anche di ridurre i costi a carico del Sistema Sanitario Nazionale, e dunque del sistema sociale nel suo complesso. Un piano finanziario e programmatico stabile, che guardi cioè non soltanto al criterio d’emergenza nel breve periodo, e che sappia coordinare l’azione di tutti gli attori del sistema, è il solo modo per garantire uno sviluppo positivo e proattivo del settore, permettendo quindi un miglioramento della QoL della popolazione, di attrarre investimenti da parte del settore industriale e di aumentare l’occupazione. Per fare questo, occorre innanzitutto riconoscere che il Valore di una tecnologia non coincide con il suo prezzo, ma con l’utilità che deriva dal suo utilizzo: un valore terapeutico, economico e sociale, che consideri anche i benefici non circoscritti, come l’eliminazione di costi indiretti quali la disabilità dei pazienti, la perdita di produttività, la spesa previdenziale e la spesa sociale. Una programmazione lungimirante che sappia coniugare innovazione, sostenibilità e governance, garantendo, mediante l’utilizzo di strumenti adeguati (HTA), l’accesso alle nuove tecnologie, e quindi anche a DM efficaci e sicuri, a tutti coloro che ne avranno bisogno.
di Francesco Saverio Mennini
Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 11 giugno 2023 con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute
Diagnosi precoce decisiva contro il cancro al seno
Prevenzione, RubrichePer il tumore al seno si è riusciti negli anni a far passare forte e chiaro il messaggio sul valore della prevenzione. Nonostante questo, in Italia, circa 55.000 donne (1 su 8) devono fare i conti con una diagnosi. Un dato che si traduce in una dura realtà: il carcinoma mammario è la prima causa di morte per tumore nel sesso femminile.
«Nonostante questi dati allarmanti, possiamo comunque constatare che la mortalità è in calo grazie alla diagnosi precoce e ai più innovativi trattamenti terapeutici», spiega Marcella Montemarano (radiologa e senologa responsabile del centro di screening mammario I e II Livello dell’ASL Napoli 1 Centro). Con la diagnosi precoce, infatti, la percentuale di guarigione a 5 anni è circa del 90%. Ma le cose cambiano drasticamente se c’è un ritardo diagnostico.
«In quel casi – prosegue – si passa da una sopravvivenza a 5 anni prossima al 100% in caso di stadio I (diagnosi molto precoce, ndr) a circa il 30% in caso di stadio IV (diagnosi tardiva con metastasi, ndr)». Ma come si fa prevenzione secondaria? In realtà basta uno screening mammario, tanto semplice quanto importante.
Tutte le donne asintomatiche nella fascia d’età compresa tra i 50 e i 69 anni (in Campania già a partire dai 45 anni), prosegue la specialista, dovrebbero sottoporsi gratuitamente a una mammografia ogni due anni, con lo scopo, scientificamente dimostrato, di ridurre la mortalità per cancro al seno. Montemarano avverte però che esiste un altro grosso limite dello screening mammografico: «Non si può considerare l’età come unico fattore di rischio, mettendo tutte le donne sullo stesso piano.
In realtà ci sono altri fattori di rischio importanti che devono essere presi in considerazione, come ad esempio l’elevata densità mammaria o la familiarità per questa patologia». Questo segnica che occorre creare dei percorsi di screening personalizzati, adatti a stratificare le donne in fasce di rischio basso, intermedio o elevato. «Solo in questo modo si può disegnare un percorso diagnostico adeguato da parte figure professionali dedicate e altamente specializzate come quelle presenti nei Centri di Screening». Un altro problema da affrontare è l’adesione delle donne ai programmi di screening.
In alcune regioni d’Italia, specie al Sud, e la Campania non fa eccezione, la partecipazione delle donne risulta ancora troppo bassa e le diagnosi tardive sono all’ordine del giorno. «È necessario incrementare le campagne di sensibilizzazione, di prevenzione primaria e secondaria – conclude la specialista – attraverso mass media, pagine social e App dedicate. Dobbiamo in tutti i modi arrivare a quante più donne possibile, anche le più giovani, per educarle alla cura di sé a partire dalla cosa più importante. Vale a dire la salute».
Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 21 maggio 2023 con la collaborazione del network editoriale Presa – Prevenzione e Salute
Dalla diagnosi alla cura, quanto costa l’Hi-Tech
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, Eventi d'interesseDalla diagnosi alla cura, le tecnologie hanno un enorme impatto nelle nostre vite; tra queste anche i dispositivi medici, sia sotto il profilo clinico, quanto sotto l’aspetto socio-economico. A mettere i maggiori esperti italiani a un tavolo, per valutare lo stato dell’arte e tracciare le migliori traiettorie per lo sviluppo futuro, è stata la Fondazione Medicina Sociale e Innovazione Tecnologica (Mesit). E proprio dalla Conferenza Nazionale sui Dispositivi Medici (organizzata in collaborazione con l’Altems dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, il Ceis –di Tor Vergata, l’Università di Tor Vergata e l’Università di Roma Tre) sono emerse luci e ombre di un settore che ha enormi potenzialità: un valore complessivo di 17,3 miliardi di euro tra export e mercato interno, 119 mila dipendenti e 4.500 imprese; ma purtroppo anche una visione programmatica non sempre al passo, e che necessita di nuovi modelli di governance.
CAMBIO DI PARADIGMA
Del resto, come ha spiegato il ministro della Salute Orazio Schillaci «la diagnostica e la terapia non possono prescindere dall’impiego dei dispositivi medici di sicurezza ed efficacia comprovate. Basti pensare all’impiego della telemedicina e delle terapie digitali, che sono suscettibili di enormi sviluppi. Una prova di maturità che richiede decisione, competenza e fiducia». L’invito è quindi a un cambio di paradigma. Francesco Saverio Mennini, Research Director EEHTA del Ceis di Tor Vergata e presidente SIHTA, ha messo in luce l’esigenza di porre «regole chiare e condivise, che definiscano e tutelino l’innovazione, accompagnate anche da nuovi modelli organizzativi e finanziari, ma soprattutto supportate da una governance lungimirante e propositiva», sottolineando la la necessità di valutare con anticipo le condizioni ottimali affinché l’innovazione trovi spazio nei sistemi pubblici, e misurando la sua capacità di assicurare valore.
GOVERNANCE
Un punto di vista che si sposa con quello di Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari della Cattolica. Per Cicchetti «la dinamica dell’innovazione tecnologica nel mondo dei dispositivi medici impone una governance in grado di catturare le esigenze che emergono in tutte le fasi del ciclo di vita della tecnologia». Ed è dunque necessario promuovere l’innovazione attraverso la collaborazione pubblico-privato nella ricerca, valutare tempestivamente, in ogni fase, la sicurezza, l’efficacia, gli impatti economici, sociali e organizzativi sul sistema sanitario. «Tutti questi elementi insieme permetteranno di superare il modello attuale e le storture indotte dall’uso del pay-back».
ASPETTI NORMATIVI
La spesa sanitaria nel suo totale ammonta a 167,7 miliardi di euro – di cui il 71,6% è spesa sanitaria pubblica. In questo contesto la spesa pubblica in dispositivi medici e servizi ammonta a 9 miliardi di euro (il 7% del totale). È evidente quanto sia centrale il ruolo delle aziende attive nel settore. Per Fernanda Gellona (direttore generale di Confindustria dispositivi medici), queste aziende presidiano due diritti costituzionali: quello alla salute, fornendo dispositivi ormai essenziali, e quello alla libertà di impresa. Il punto è dunque comprendere se il Paese desideri continuare a tutelare questi diritti. «Auspichiamo una ulteriore proroga al payback in modo da avere, fino alla fine dell’anno, il tempo per ragionare, trovare altri finanziamenti per coprire la seconda tranche del payback (tra 2019 al 2022) e trovare le soluzioni alternative», la conclusione di Gellona, nelle more della richiesta che in futuro la norma venga abrogata.
Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 11 giugno 2023 a firma di Marcella Travazza con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute
Dermatite atopica, i falsi miti
Farmaceutica, RubricheNonostante sia una patologia della quale oggi si parla molto, sulla dermatite atopica sopravvivono molti falsi miti che contribuiscono a creare un vero e proprio stigma sociale nei confronti dei pazienti. «Un falso mito da sfatare è che si tratti di una malattia contagiosa», spiega Cataldo Patruno, professore di Malattie cutanee e veneree all’università Magna Grecia di Catanzaro.
«La dermatite atopica è una patologia infiammatoria cronica della pelle, dovuta essenzialmente a un’alterazione dei sistemi di difesa della cute. Queste alterazioni sono genetiche – prosegue – e rendono i pazienti più sensibili ai fattori ambientali, inducendo una risposta infiammatoria eccessiva». In altre parole, la pelle poco protetta scatena come forma di difesa una forte risposta immunitaria che si manifesta come dermatite. Ma quali sono i campanelli d’allarme ai quali si deve prestare attenzione? Patruno non ha dubbi: «Il primo e più importante tra i sintomi è il prurito. Un prurito intenso e persistente. Visivamente, la patologia si presenta come eczema, caratterizzato nelle fasi iniziali da arrossamento, con la successiva formazione di vescicole e desquamazione».
La dermatite atopica è la malattia più frequente dell’età infantile. Può esordire con gli aspetti della cosiddetta crosta lattea, per poi localizzarsi in altre sedi. Con la crescita, infatti, si manifesta spesso nelle pieghe di gomiti e ginocchia, ma può interessare anche altre aree, compreso il viso. Il professor Patruno aggiunge che la gran parte delle forme infantili di dermatite atopica guariscono spontaneamente, grazie a una maturazione dei sistemi di protezione della pelle. Altre forme, più gravi, si manifestano lungo tutta la vita del paziente o, talvolta, compaiono direttamente in età adolescenziale o in età adulta.
Si tratta di una «malattia multifattoriale, nella quale i fattori ambientali giocano un ruolo fondamentale». Basti pensare che la malattia spesso peggiora in inverno, per migliorare in estate dopo l’esposizione al sole. Ma, soprattutto, esiste un fil rouge (la cosiddetta marcia atopica) che lega la dermatite atopica con altre malattie atopiche. «Oltre alla dermatite atopica, fanno parte di queste malattie l’asma, l’allergia alimentare, la rinocongiuntivite allergica e l’esofagite eosinofila. In altri termini, un paziente con dermatite atopica può sviluppare altre patologie atopiche, perché il suo sistema immunitario iperattivo sviluppa allergie più facilmente ».
Per i pazienti affetti da forme gravi di dermatite atopica esistono centri specializzati, all’interno delle cliniche universitarie o di ospedali, che possono prescrivere terapie innovative. «Oggi – conclude Patruno – abbiamo a disposizione nuove terapie particolarmente efficaci. Fino a pochi anni fa l’unica arma era quella degli immunosoppressori, che però hanno effetti collaterali importanti e che si possono adoperare per un tempo limitato. Gli anticorpi monoclonali e gli inibitori di JAK hanno cambiato la storia naturale della dermatite atopica e garantiscono anche ai pazienti affetti da forme gravi di poter condurre una vita normale».
Articolo a firma di Marcella Travazza pubblicato su IL MATTINO il giorno 21 maggio 2023 con la collaborazione del network editoriale Presa – Prevenzione e Salute
Nutrizione incide su percorso di cura. I dati sulla formazione
Alimentazione, PrevenzioneLa nutrizione incide sulla salute e il percorso di cura, ma è anche correlata allo sviluppo economico e sociale. Per le Nazioni Unite il periodo 2016-2025 è un decennio d’azione globale per il contrasto a tutte le forme di malnutrizione, anche quelle per eccesso.
Gli specialisti hanno analizzato la formazione dei medici nel nostro Paese. “I medici rappresentano una figura indispensabile per assicurare cure e terapie nutrizionali, tuttavia, potrebbero sentirsi impreparati a causa della mancanza di formazione” spiega il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC e ideatore del Forum Nutrendo. “L’analisi svolta dal nostro gruppo di studio, ha mostrato, in generale, che gli argomenti che attengono alla formazione della nutrizione clinica sono trattati in media da poco meno della metà dei rispondenti: questo significa che i medici non sviluppano la sensibilità a riconoscere uno stato di malnutrizione che agisce come fattore prognostico negativo. Un paziente malnutrito è debole, fragile e ha meno strumenti per sopportare la tossicità di alcune terapie”.
Il rischio è che i clinici non riescano ad affrontare gli aspetti nutrizionali di malattie come cancro, obesità e diabete e altre rilevanti malattie croniche e acute nei loro pazienti. Gli esperti sottolineano l’importanza della formazione in Nutrizione Umana e Clinica per dare al paziente le migliori cure.
Nutrizione nella cura
Il gruppo di lavoro “Nutrizione Clinica e Formazione” ha condotto un’analisi sullo stato dell’insegnamento di Nutrizione Umana e Clinica all’interno dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia (CLM-MC) in Italia.
La sintesi dei risultati:
“Il Rapporto – si legge nella nota – dimostra come sia urgente e doveroso rivedere i curricula dei CLM-MC includendovi in modo più ampio, approfondito e strutturato l’insegnamento della Nutrizione Umana e Clinica”.
Mieloma, sfida da vincere e nuove terapie
News PresaIl mieloma multiplo è una neoplasia del sangue che colpisce le cellule del midollo osseo, ossia le plasmacellule. Quest’ultime hanno la funzione di produrre gli anticorpi del sistema immunitario. Ogni anno sono circa 4.500 i nuovi casi diagnosticati nel nostro Paese. In generale, la maggior parte dei pazienti ha più di 50 anni e sono rarissimi i casi prima dei 40. La prevalenza maggiore è dopo i 65 anni. Circa il 42% dei malati è vivo a cinque anni dalla diagnosi, infatti, grazie ai progressi della scienza, per chi soffre di mieloma multiplo, l’aspettativa di vita oggi è molto migliorata, come ci spiega il dott. Stefano Rocco, ematologo dell’ospedale Cardarelli di Napoli. «Probabilmente il Mieloma è la malattia che più sta beneficiando di farmaci innovativi basati sulla immunoterapia». Tuttavia, non è ancora curabile, in quanto, purtroppo, quasi tutti i pazienti vanno incontro a ricadute.
IL GIUSTO APPROCCIO
«Oltre alla notizia della diagnosi, uno dei momenti più difficili è comunicare al paziente una recidiva – continua il dottor Rocco – per questo diventa importante il dialogo medico-paziente». In particolare «è importante essere chiari con il paziente già dalla diagnosi, spiegando che ad oggi non è prevista una guarigione, ma un controllo della malattia per lunghi periodi». Il mieloma multiplo nasce dal midollo osseo ma può colpire vari organi: «è un tumore tra i più variegati, può erodere le ossa (lesioni osteolitiche), dare anemia (con conseguente astenia, cioè una grande stanchezza) o colpire i reni. La malattia è proteiforme, oltre ad essere sistemica, predispone alle infezioni e necessita di un approccio multidisciplinare per gestire le complicanze». Il mieloma multiplo può, infatti, manifestarsi con sitomi aspecifici come dolore osseo, anemia e quindi stanchezza, ipercalcemia o insufficienza renale. Questo rende difficile la diagnosi precoce: non a caso, spesso la patologia è diagnosticata a seguito di esami fatti per altri motivi, per esempio le analisi del sangue o delle urine o la biopsia del midollo osseo. Per completare l’indagine si ricorre a radiografie o altri esami di diagnostica per immagini (come la risonanza magnetica per immagini e la tomografia).
LE TERAPIE
Non essendo noti fattori di rischio riconosciuti, e quindi strategie specifiche di prevenzione, diventa fondamentale il ricorso alle nuove terapie: «oggi abbiamo farmaci innovativi da sfruttare in associazione tra loro in modo tale da bersagliare contemporaneamente più vie metaboliche, attivando il sistema immunitario». In particolare, spiega lo specialista: «le nuove combinazioni di farmaci comprendono, ad esempio, anticorpi monoclonali e inibitori di vie metaboliche alterate dalle cellule tumorali. Se fino a meno di vent’anni fa la letteratura scientifica riportava una sopravvivenza mediana di 3-5 anni, oggi l’efficacia delle terapie è molto migliorata, portando la sopravvivenza mediana tra i 10 e i 15 anni».
QUALITÀ DI VITA
Dal punto di vista del paziente, il percorso di cura può essere impegnativo, considerando che le terapie più efficaci non sempre sono le più comode. Il mieloma multiplo ha un impatto pesante sulla vita quotidiana del paziente. Oltre l’impegno e le spese per assistenza, farmaci e visite si aggiungono i giorni di lavoro persi e la minore produttività. Talvolta, infatti, le cure richiedono diversi accessi in ospedale, «ma è importante chiarire con il paziente che questo impegno può tradursi in un beneficio a lungo termine, anche in prospettiva di terapie successive». Lo scenario di trattamento del mieloma è in continua evoluzione e «nel breve periodo saranno disponibili altre nuove terapie che consentiranno di guardare con cauto ottimismo al futuro di questa malattia».
Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 11 giugno 2023 con la collaborazione del network editoriale Presa – Prevenzione e Salute
Innovazione passa dalla capacità di attrarre investimenti. La sfida Healthcare
Economia sanitaria, Eventi d'interesse, Eventi PreSa-Mesit, Farmaceutica, Medicina SocialeGarantire il diritto alle cure innovative ai cittadini passa anche per la capacità di competere su uno scenario globale sempre più aggressivo. Centrale è quindi il tema della competitività e degli investimenti. In altre parole: incentivare le aziende a investire nel vecchio continente, rendendolo veloce e rapido a creare un ecosistema favorevole, affinché non scelgano altri mercati. Il tema è stato affrontato a “La sfida Healthcare. Innovazione e attrattività del settore per la competitività in Europa”, promosso dalla Fondazione Mesit – Medicina Sociale e Innovazione Tecnologica e dal network PreSa. L’evento, tenutosi ieri a Roma, ha visto la partecipazione di esponenti politici, dell’industria e del mondo accademico. Nel dibattito è stata sottolineata la centralità dell’industria farmaceutica, come settore strategico per mantenere e accrescere il valore dell’industria italiana. Sono emerse forti criticità sulle proposte avanzate dall’Europa, tra cui le minori tutele per i brevetti, con il rischio di perdita di competitività.
Paesi come Stati Uniti, Cina, Emirati Arabi, Singapore e Arabia Saudita stanno spingendo l’acceleratore sugli investimenti: “Le potenze mondiali si stanno muovendo per erodere i nostri primati”, ha sottolineato Isabella Tovaglieri, eurodeputata del Parlamento Europeo. “L’Europa ha perso il primato per il deposito brevetti”, ha aggiunto Tovaglieri, e la situazione può peggiorare. “La proposta della Commissione di ridurre la durata della protezione brevettuale mette l’industria in una posizione di grande incertezza nello sviluppo di nuove terapie, in particolare nel campo malattie rare e mette a rischio la competitività europea”, ha concluso.
“Come mi sono battuto per sostenere la direttiva europea sul diritto d’autore – ha sottolineato il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri – credo nella necessità di tutelare la ricerca, l’innovazione, gli investimenti e anche la tempistica della protezione, che è un tema fondamentale”.
“La riforma dell’AIFA non può che spingere questo ente verso l’innovazione”, ha dichiarato Giorgio Palù – presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA). «La riforma – ha aggiunto – dovrà instaurare un dialogo diretto con l’industria che non sia precluso da pregiudizi di tipo ideologico”. Poi ha aggiunto: “L’AIFA potrà giocare un ruolo nelle sperimentazioni. Significa finanziare sperimentazione clinica ma anche ciò che è connesso con la ricerca di base”. Inoltre ha sottolineato l’esigenza di competenze altamente specializzate, quindi personale di altissimo profilo.
“La sanità non va vista come un costo ma come un investimento – ha ribadito Ugo Cappellacci, presidente della Commissione Affari Sociali della Camera. Oggi c’è una nuova consapevolezza sulla centralità della salute, ha affermato: «nelle ultime indagini demoscopiche il bisogno di salute è al primo posto, superando quello del lavoro che storicamente era al primo posto”.
Poi ha ribadito: “al di là dei casi di malasanità e delle lunghe liste d’attesa, di cui si sente spesso parlare, il Servizio sanitario nazionale italiano è un’eccellenza nel mondo, che garantisce un’assistenza universale. C’è ancora molto da lavorare, dobbiamo essere attenti a investire al meglio tutte le risorse disponibili”, ha concluso.
“L’Italia ha preso una posizione molto strategica nei confronti della proposta di legislazione europea sui farmaci che attacca il brevetto, dicendo sostanzialmente che siamo fuori strada – ha dichiarato il presidente di Farmindustria Marcello Cattani. “Noi siamo con il Governo nell’interesse del Paese e dei cittadini – ha proseguito – ma abbiamo bisogno di un Governo che prenda queste posizioni forti in Europa e cambi alcune regole: l’accesso più veloce in Italia e la disomogeneità nelle regole di accesso a livello regionale”. Oggi – ha sottolineato – ci sono differenze che i cittadini non possono più tollerare”. “Auspichiamo – ha proseguito – che questa legislazione possa essere rivista da un prossimo Parlamento europeo meno ideologico, che abbia a cuore la salute dei cittadini e la capacità dell’industria, tutta, di tornare a essere competitiva”.
Poi Cattani ha ribadito la necessità di interventi sulla governance della spesa sanitaria, sul tema del payback: “l’anno prossimo toccherà gli 1,8 miliardi, impattando sulla capacità di attrarre investimenti e dare innovazione al Paese”.
Zanzare, in Italia aumentano le malattie tropicali
News Presa, PrevenzioneUn clima ormai tropicale, con forti ondate di calore, afa e tassi di umidità alle stelle, sta portando a grandi ricadute in termini di salute. I cambiamenti climatici ci stanno infatti mettendo a confronto con malattie che sino ad oggi erano diffuse solo nei paesi tropicali, ma che ora possono diventare un serio problema anche da noi. Bisogna dunque abituarsi a nomi come west Nile, chikungunya, dengue e zika
BASTA UNA PUNTURA
Intervistato al Tg5, il professor Nicola Petrosillo (infettivologo al Campus Biomedico di Roma) ha spiegato infatti che tutte queste malattie sono trasmesse dalla puntura di zanzare, alcune relativamente nuove e ormai diffuse in tutta Italia. Alcune di queste zanzare sono dunque in grado di trasmettere il virus con la puntura. La più diffusa è la febbre west Nile, che le zanzare prendono dagli uccelli migratori e poi trasmettono all’uomo con la puntura.
PREVENZIONE
Non esistono né vaccini né terapie specifiche contro queste malattie. Esiste solo la prevenzione, che si può realizzare con comportamenti avveduti e bonifiche ambientali, utilizzando abiti chiari, uso di repellenti, coprendo gambe e braccia e adoperando in casa zanzariere e zampironi.
SINTOMI
Fortunatamente, il più delle volte i sintomi sono comparabili a quelli di una banale influenza, con febbre, cefalee e dolore alle ossa. Solo in alcuni casi più rari possono esserci sintomi neurologici gravi o complicanze. Tra i virus trasmessi con le punture c’è però anche il virus Zika e nelle regioni colpite dall’infezione è stato anche osservato un aumento dei casi di sindrome di Guillain-Barré, una poliradicolonevrite acuta (neuropatia, sindrome del sistema nervoso) sostenuta da meccanismi autoimmuni che si manifesta con paralisi progressiva agli arti (in genere prima le gambe e poi le braccia) e che spesso fa seguito a un’infezione batterica o virale. Inoltre, è stato registrato un aumento delle nascite di bambini con microcefalia congenita.