Tempo di lettura: 3 minutiViene definita come la sindrome post-Covid-19. Tra i sintomi vi è una stanchezza estrema che accompagna i reduci dal coronavirus per settimane, se non addirittura per mesi dopo la guarigione. In una research letter, appena pubblicata sulla rivista scientifica internazionale JAMA, è stata analizzata da un gruppo di geriatri della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e dell’Università Cattolica, campus di Roma.
Stanchezza estrema: lo studio
Lo studio, firmato da Angelo Carfì, UOC Continuità assistenziale Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Francesco Landi, docente di Medicina interna e geriatria all’Università Cattolica e direttore UOC Medicina Fisica e Riabilitazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, e Roberto Bernabei, ordinario Medicina interna e geriatria all’Università Cattolica e direttore Dipartimento Scienze dell’invecchiamento, neurologiche e della testa–collo del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, è stato condotto presso il Day Hospital post-Covid della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS a partire dal 21 aprile scorso. Su 143 pazienti, seguiti fino alla fine di maggio, a distanza di oltre due mesi dalla diagnosi di Covid-19, solo 1 su 10 non presentava sintomi correlabili alla malattia iniziale. La maggior parte (87%) riferiva infatti la persistenza di almeno un sintomo, soprattutto stanchezza intensa (53,1%) e affanno (43,4%). Il 27,3% lamentava dolore alle articolazioni e uno su 5 dolore toracico. La qualità di vita, valutata con apposite scale, è risultata infine peggiorata in tutti i pazienti.
Dal controllo clinico e dei sintomi, alla ‘riattivazione’ post-Covid
Tutti i pazienti che hanno avuto Covid-19, soprattutto nelle forme più gravi (in cui è stato necessario il ricovero in rianimazione o l’ossigenoterapia), devono essere sottoposti a controlli multi-organo nel tempo, ha spiegato il professor Francesco Landi, responsabile del Day Hospital post-Covid. Inoltre, va osservata la persistenza di alcuni sintomi. Trattandosi di una malattia nuova, è infatti importante individuare eventuali danni a breve o a lungo termine. “Per fortuna – ha sottolineato il professor Landi – la maggior parte dei pazienti non presenta quei danni d’organo che temevano a livello di polmoni, occhi, cuore, fegato. Quello che stiamo riscontrando è invece una frequente persistenza di sintomi, anche soggettivi come quello della ‘stanchezza’, che meritano di essere presi in considerazione. Questo è importante per individuare e al tempo stesso supportare questi pazienti con un programma di ‘rieducazione’ fatto di ginnastica supervisionata, educazione alimentare e tutto quanto già contenuto nel progetto SPRINTT (Sarcopenia and Physical Railty IN older people: multi-componenT Treatment strategies) di cui Gemelli e Università Cattolica sono capofila. Si tratta di un progetto europeo – spiega il professor Landi – nato alcuni anni fa per contrastare la disabilità negli anziani, ma che abbiamo adattato con successo a questi pazienti. Un protocollo di esercizi modulabile sui singoli pazienti offre l’opportunità di uscire dalla sedentarietà, attraverso una ginnastica controllata. Importante anche la gestione dei disturbi della sfera psichica di questi pazienti, molti dei quali (fino al 20%) presentano un vero e proprio disturbo post-traumatico da stress. Fondamentale, infine, ripristinare una corretta alimentazione; molti pazienti presentano ancora disturbi dell’appetito, altri hanno una franca perdita di massa muscolare (sarcopenia)”.
I sintomi del COVID-19 in tutte le fasi
Durante la fase acuta dell’infezione da nuovo coronavirus i sintomi sono tosse, febbre, dispnea, sintomi muscolo scheletrici (mialgie, dolori articolari, fatigue), sintomi gastrointestinali, disturbi dell’olfatto e del gusto. Nella lunga fase di convalescenza, invece, ci sono una serie di sintomi ancora poco noti, ma che come dimostra il lavoro appena pubblicato su JAMA, sono diffusi e soprattutto invalidanti. A pesare maggiormente sui pazienti è una stanchezza estrema: una condizione talmente evidente nella maggior parte dei pazienti, da sembrare un’epidemia di sindrome da stanchezza cronica. Il problema è che non ci sono ancora basi scientifiche per poter definire con certezza quanto sia destinata a persistere. C’è chi fa fatica anche a respirare perché i muscoli della respirazione non hanno la forza sufficiente a svolgere la loro funzione. In questo stato di debilitazione, anche semplici gesti quotidiani come alzarsi dal letto risultano faticosi. La lunga convalescenza pesa sia livello fisico che psicologico. Il problema riguarda tutto il mondo e non risparmia nessuna età, tant’è che all’estero si sono attrezzati, mettendo in piedi dei gruppi di auto-sostegno.