Tempo di lettura: 2 minutiNegli ultimi mesi, comprensibilmente, il Covid ha monopolizzato l’informazione anche in fatto di salute. Uno dei timori più grandi dei medici, e anche uno degli allarmi più frequenti, riguarda la possibilità più che concreta che in questi mesi di drammatica emergenza l’assistenza a pazienti affetti da altre patologie possa venire meno.
Un fenomeno che esiste non solo per la riduzione dell’offerta sanitaria in regioni più colpite, ma anche per la paura che i pazienti hanno di recarsi a visita a causa del virus.
Un esempio di come l’assistenza possa andare avanti nonostante la pandemia arriva dalle parole della Professoressa Roberta Lanzillo, neurologa del Centro per la Sclerosi Multipla dell’Università Federico II di Napoli, intervenuta questo sabato ai microfoni di Radio Kiss Kiss nell’abito degli appuntamenti organizzati dal network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute.
«La continuità assistenziale – ha spiegato Lanzillo – viene garantita tramite percorsi protetti. Noi lavoriamo sulle situazioni di emergenza – urgenza e sulle terapie di seconda linea. Per i pazienti che hanno forme più lievi adoperiamo la telemedicina. Al Policlinico Federico II, non c’è stata alcuna interruzione, riusciamo a garantire una continuità assistenziale basata sull’impiego della tecnologia e sull’implementazione di percorsi protetti». L’obiettivo, sia per i pazienti affetti da sclerosi multipla che da altre patologie, è quello di impedire che la pandemia possa lasciare cicatrici sui pazienti».
Lanzillo ha anche spiegato che la sclerosi multipla è una patologia molto più frequente di quanto si possa pensare. «Una patologia piuttosto imprevedibile, tra le più frequenti cause di disabilità nel giovane adulto. Può dare sintomi molto differenti, che il neurologo sa riconoscere».
La professoressa poi ha chiarito che non esistono evidenze rispetto ad una maggiore possibilità per i pazienti affetti da sclerosi multipla di contrarre il Covid, ma di certo «ci può essere una maggiore fragilità legata ad alcune terapie più aggressive o a uno stato della malattia avanzato». Dunque è compito dei clinici valutare la fragilità individuale caso per caso.
Ascolta qui l’intervista: