Tra meno di un mese arriverà in Europa il vaccino Johnson & Johnson, approvato le scorse settimane da Ema e Aifa. Si tratta del quarto siero anti covid che sbarca in Ue dopo Pfizer, Moderna e AstraZeneca, ma a differenza degli altri vaccini è un monodose e non ha bisogno di richiamo. Il 19 aprile sbarcherà nel territorio europeo e all’Italia – stando agli accordi europei – spettano 7,3 milioni di dosi nel secondo trimestre e 15,9 nel terzo (una parte della produzione è prevista anche ad Anagni nella Catalent).
Vaccino Johnson & Johnson: quali differenze
Il 1 marzo era stato già approvato negli Usa, dove l’Fda aveva confermato “la sicurezza e l’efficacia della dose singola del vaccino contro il coronavirus di Johnson & Johnson, in particolare contro i casi gravi”.
Già a luglio 2020, uno studio pubblicato su ‘Nature’ aveva dimostrato come il vaccino, basato su vettori derivati da adenovirus di serotipo 26 (Ad26), un virus “del raffreddore” delle scimmie inattivato, fosse in grado di indurre una “forte risposta immunitaria”. In base a questi dati era stato poi avviato un trial clinico su volontari sani negli Stati Uniti e in Belgio. Lo scorso gennaio sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine i dati dello studio di fase 1/2a che hanno mostrato come, dopo una singola vaccinazione, gli anticorpi neutralizzanti contro COVID-19 siano stati rilevati in oltre il 90% dei partecipanti allo studio al 29° giorno e nel 100% dei partecipanti di età compresa tra i 18 e i 55 anni al 57° giorno.
Nell’ultimo studio clinico di Fase 3 ENSEMBLE, i risultati hanno rilevato una riduzione del 67% del numero di casi di COVID-19 sintomatici dopo 2 settimane nelle persone che hanno ricevuto il vaccino (116 casi su 19.630 persone) rispetto alle persone a cui è stato somministrato placebo (348 su 19.691). In conclusione, quindi, il vaccino ha avuto un’efficacia del 67% .
Il vaccino utilizza un virus “del raffreddore” delle scimmie (l’adenovirus), inattivato, per trasportare nell’organismo le informazioni genetiche utili a sviluppare la difesa contro le spike, ossia le “coroncine” che il virus utilizza per attaccare le cellule. L’adenovirus trasmette il gene SARS-CoV-2 nelle cellule della persona vaccinata. Le cellule possono quindi utilizzare il gene per produrre la proteina spike.
Il sistema immunitario della persona riconoscerà la proteina spike come estranea e produrrà anticorpi e attiverà le cellule T (globuli bianchi) per bersagliarla. Di conseguenza, se la persona vaccinata entra in contatto con il virus SARS-CoV-2, il sistema immunitario sarà pronto a riconoscere la proteina spike e a difendersi.
La produzione
Il quartier generale della multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson è a New Brunswick, nella piana industriale dello Stato del New Jersey, a meno di 80 chilometri da New York, ma è tra Massachusetts e Europa che il vaccino è nato. In particolare, nel centro di ricerca Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, i ricercatori hanno lavorato in sinergia con quelli del centro vaccini Janssen Pharmaceutical di Beerse, in Belgio, e del Centro biologico Janssen di Leiden, in Olanda, a cinquanta chilometri da Amsterdam.
In questo triangolo si sono concentrate le tre fasi obbligatorie di sperimentazioni del vaccino sui volontari. Ma la seconda fase, quella operativa, ha visto l’allargamento della rete di produzione. Per aumentare la produzione l’azienda americana ha stretto dal 2020 una partnership con la Catalent, che ha sede in New Jersey.
L’accordo prevede che una parte della produzione dei vaccini venga fatta in Usa e in Italia, nello stabilimento di Anagni della Catalent, in provincia di Frosinone. Un altro accordo, per la produzione quinquennale di vaccini, è stato siglato con la Emergent BioSolutions, i cui stabilimenti si trovano in Maryland.
La società farmaceutica francese Sanofi ha inoltre offerto a J&J il proprio stabilimento di Marcy l’Etoile per la produzione del vaccino Janseen (controllata J&J) ad un ritmo di 12 milioni di dosi al mese.