In tempi di “stretta al portafogli” riuscire a generare risparmio (tanto più in sanità) è quasi un miracolo. Non meraviglia dunque che il tema di questi giorni sia quello dell’impiego di farmaci biosimilari, associati soprattutto al “caso Emilia Romagna”. Andiamo con ordine. La notizia che sta facendo drizzare le antenne a tutti gli addetti ai lavoro e ai cosiddetti “decision maker” è che tra le regioni d’Italia l’Emilia-Romagna ha uno dei tassi più alti di impiego dei farmaci biosimilari, con un risparmio di oltre 10 milioni di euro nel solo 2017.
Economie di scala
Un dato destinato ad ampliarsi ulteriormente grazie all’arrivo di farmaci biosimilari di nuova generazione che offriranno più opportunità di cura, specie nel settore oncoematologico e nelle malattie su base autoimmune, soprattutto per le importanti economie che saranno in grado di generare. E’ quanto emerge dopo la giornata di confronto a Bologna sui farmaci biosimilari, organizzata dalla rivista di politica economica e sanitaria ‘Italian Health Policy Brief’ (Ihpb).
Sicurezza ed efficacia
Si tratta di medicinali simili per qualità, efficacia e sicurezza ai prodotti biologici originatori di riferimento per i quali è scaduta la copertura brevettuale, puntando quindi a salvaguardarne anche il processo produttivo a differenza del farmaco generico, ma che come quest’ultimo originano risparmio per pazienti e servizio sanitario. Uno studio promosso dall’Italian Biosimilar Group e realizzato in collaborazione con IQVIA ha ipotizzato che, a livello nazionale – sottolinea Ihpb – nel periodo 2017-2022, il risparmio complessivo della spesa sanitaria potrebbe assestarsi intorno ai 450 milioni di euro a seguito di una riduzione dei prezzi prevista intorno al 30%, considerando solo i prodotti di più largo impiego.