Tempo di lettura: 3 minutiDegli 8 mila utenti con disturbi alimentari, presi in carico dal SSN (quindi non rappresenta i casi totali), il 59% degli utenti hanno tra i 13 e 25 anni di età, il 6% hanno meno di 12 anni. La diagnosi più frequente è l’anoressia nervosa che rappresenta il 42,3% dei casi, la bulimia nervosa il 18,2% e il disturbo di binge eating il 14,6%. L’utenza in carico è prevalentemente femminile 90% rispetto al 10% di maschi. I casi emergono dalla piattaforma online, interattiva e aggiornabile in tempo reale, dove sono censiti tutti i centri dedicati alla cura dei DCA, disturbi del comportamento alimentare. Si tratta di un risultato raggiunto grazie al progetto MA.NU.AL che il Ministero della Salute ha affidato al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità. Il primo censimento in Italia dei servizi ambulatoriali, residenziali e semi-residenziali appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale, dal 2022 coinvolgerà anche le strutture del privato accreditato. I dati saranno presentati oggi 25 gennaio in occasione del webinar “La Mappatura territoriale dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione”.
Al 31 dicembre 2021 la mappatura conta 91 strutture su tutto il territorio nazionale: 48 centri al Nord (di cui 16 in Emilia Romagna), 14 al Centro Italia e 29 tra Sud e Isole. Sono 963 i professionisti che lavorano nei centri, tutti formati e aggiornati: soprattutto psicologi (24%), psichiatri o neuropsichiatri infantili (17%), infermieri (14%) e dietisti (11%). Sono inoltre presenti gli educatori professionali (8%), i medici di area internistica e pediatri (5%), i medici specialisti in nutrizione clinica e scienza dell’alimentazione (5%), i tecnici della riabilitazione psichiatrica (3%), gli assistenti sociali (2%) ed infine i fisioterapisti (1%) e gli operatori della riabilitazione motoria (1%). Il censimento in continua evoluzione è importante soprattutto per conoscere informazioni sull’utenza assistita. Risultano in carico al 65% dei Centri censiti oltre 8000 utenti. Poco meno di tremila sono in carico da più di 5 anni e soltanto nell’ultimo anno di riferimento (2020) hanno effettuato una prima visita circa 4700 pazienti.
Disturbi alimentari: con pandemia numeri in aumento
Lo strumento diagnostico più utilizzato è il DSM5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali): 87%. I percorsi offerti all’utenza vedono l’integrazione di diverse tipologie di intervento: psicoterapeutico (100%), psicoeducativo (99%), nutrizionale (99%), farmacoterapico (99%), di monitoraggio della condizione psichico-fisico-nutrizionale (99%) e di abilitazione o riabilitazione fisica e sociale (62%). Gli interventi psicoterapeutici comprendono approcci individuali (98%), familiari (78%) e di gruppo (66%), spesso co-presenti. L’accesso presso i servizi avviene solitamente in modalità diretta, su richiesta del paziente (83%). Le prestazioni vengono generalmente erogate dietro pagamento del ticket sanitario (78%) ma possono essere fornite anche gratuitamente (29%) o essere erogate in regime di intramoenia (9%). Quasi tutti i Servizi censiti rilevano l’esordio della patologia (98%), il tempo trascorso tra l’esordio e la presa in carico del paziente (97%) ed eventuali trattamenti pregressi (98%). I Centri censiti propongono percorsi terapeutici multimodali, i livelli di assistenza sono a carattere prevalentemente ambulatoriale di tipo specialistico (92%) ma anche intensivi ambulatoriali o semiresidenziali (62%), mentre la riabilitazione intensiva residenziale è offerta nel 17% delle strutture.
“Il progetto – dice Roberta Pacifici responsabile del Centro Nazionale Dipendenze e doping dell’ISS – nasce con lo scopo di offrire ai cittadini affetti da tali patologie, alle loro famiglie e agli operatori sanitari che se ne occupano una mappa delle risorse presenti sul territorio e della loro offerta assistenziale, per facilitarne conoscenza ed accesso”. L’emergenza pandemica, inoltre, ha avuto effetti pesanti sulle persone che soffrono di disturbi alimentari, amplificando la problematica nel suo insieme per una serie di concause.
“Il contesto emergenziale COVID-19 non ha, però, fermato la lotta ai DCA – continua la dott.ssa Pacifici -. Un simile scenario ha sollecitato un forte ed efficace impegno comune per indirizzare le strategie politiche e di intervento pubblico verso nuove forme di governance. Per questo motivo, consapevoli degli ulteriori disagi che tale emergenza sanitaria ha causato ai pazienti e ai loro familiari, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità hanno ritenuto più che mai di fondamentale importanza la disponibilità di un “primo riferimento” e, a tal fine, hanno fortemente sostenuto la mappatura territoriale dei Centri dedicati alla cura dei DNA al fine di garantire ai cittadini affetti da tali patologie e alle loro famiglie i migliori livelli di accesso e appropriatezza dell’intervento”.