Tempo di lettura: 4 minutiUna guerra fatta di strategia, armamenti all’avanguardia e contromisure “tattiche”. È lo scenario nel quale sono impegnati i migliori medici e ricercatori nel tentativo di rendere sempre più inoffensivo un nemico temibile come il tumore al polmone. E tra coloro che sono in “trincea” ormai da una vita c’è senza dubbio Cesare Gridelli, direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia dell’Azienda Ospedaliera ”S.G. Moscati” di Avellino.
Come in tutte le guerre una delle esigenze è conoscere il proprio nemico. «Il tumore del polmone – spiega Gridelli – si divide essenzialmente in due grandi gruppi: il primo è quello del carcinoma polmonare non a piccole cellule, che racchiude circa l’80% dei tumori del polmone, mentre l’altro (il restante 20%) è invece costituito dal carcinoma polmonare a piccole cellule. Quest’ultimo un tumore molto aggressivo che non si può operare, ma che si può trattare sia con la chemioterapia, sia con la radioterapia e di recente anche con l’immunoterapia». I carcinomi polmonari non a piccole cellule si suddividono in altri tre sottogruppi: adenocarcinoma (il più frequente), carcinoma squamoso e carcinoma indifferenziato a grandi cellule. Tra i pazienti che si ammalano di questi tipi di tumore, solo un 20%, purtroppo, ha una forma in fase iniziale, e quindi operabile. Il 30% circa ha una malattia “localmente avanzata” che si cura con la chemioterapia combinata alla radioterapia, e ultimamente anche con l’immunoterapia di mantenimento, ma che difficilmente arriva all’intervento chirurgico. Nella restante 50% dei casi, quando la malattia è in fase avanzata, c’è il problema di combattere un tumore che è già inoperabile e con metastasi a distanza.
Ma in questa guerra, sino a qualche anno fa del tutto impari, i clinici hanno oggi nuove armi. «Si sono compresi meccanismi di sviluppo e di diffusione delle cellule tumorali – prosegue Gridelli – che ci hanno portato alla caratterizzazione genetica dei tumori. Oggi siamo in grado di intervenire con terapie biologiche, a bersaglio molecolare, proprio nei tumori che presentano delle specifiche alterazioni genetiche quali l’alterazione dei geni “EGFR”, “BRAF”, “ALK” o “ROS1”».
Nuove armi “intelligenti”, capaci di riconoscere il nemico e di aggredirlo in maniera mirata.
I tumori del polmone con alterazioni genetiche sulle quali oggi si può intervenire rappresentano, messi assieme, il 20% dei carcinomi non a piccole cellule; quindi l’obiettivo – e una delle sfide per il prossimo futuro – è quello di scoprire altre alterazioni sviluppando farmaci specifici.
Ma quali sono i vantaggi delle terapie a bersaglio molecolare rispetto alla tradizionale chemioterapia? Gridelli non ha dubbi: «Sono decisamente molto più efficaci e meno tossiche per l’organismo. Queste terapie hanno cambiato la prospettiva di sopravvivenza di molti pazienti, allungando l’orizzonte temporale anche di molti anni». I farmaci a bersaglio molecolare si sono rivelati molto utili anche nel contesto post-operatorio di pazienti con tumore con mutazione del gene EGFR, fase nella quale tradizionalmente si è sempre potuto usare solo la chemioterapia.
Altro grande capitolo di innovazione è l’immunoterapia, basata su farmaci che agiscono sul sistema immunitario. In questo senso, nel corso degli ultimi anni di sperimentazione si sono fatti passi in avanti straordinari. «In passato – chiarisce l’oncologo – si pensava che potenziando la risposta immunitaria con i vaccini si potesse avere la meglio sul tumore, ma quest’idea si è rivelata poi un fallimento per 50 anni. Solo di recente si è scoperto che il tumore, come in una vera e propria guerra chimica, si schermava dall’azione dei linfociti. Le cellule tumorali sono infatti capaci di esprimere un recettore che si chiama PD-L1 che si lega al recettore PD-1 dei linfociti, neutralizzandone l’azione». Il passo avanti è arrivato con la creazione di farmaci che neutralizzano le contromisure delle cellule tumorali, coprendo il recettore PD-L1 o PD-1 e creando quindi una breccia per l’azione dei linfociti.
I primi pazienti che hanno beneficiato di questo meccanismo sono stati quelli con melanoma, soprattutto quelli con forme ormai metastatiche le cui prospettive di sopravvivenza sono cambiate radicalmente. Vantaggi che si iniziano a vedere anche nel tumore del polmone non a piccole cellule, dove «cominciamo ad avere piccoli gruppi di pazienti che ormai avevano esaurito le chance e che ora invece hanno una speranza». Il passo successivo è stato quello di portare l’immunoterapia in prima linea, al posto della chemioterapia. Ovviamente non tutti i pazienti sono candidabili, è necessario che vi sia un’espressione maggiore o pari al 50% di questo recettore PD-L1. In presenza di questa iper-espressione si può usare l’immunoterapia da sola, mentre al di sotto del 50% si hanno risultati migliori combinando chemioterapia e immunoterapia. Riscontri importanti si stanno ottenendo anche con l’associazione di immunoterapici o di chemioterapia e doppio immunoterapico. In altre parole, uno scenario in continua evoluzione con scoperte importanti che si susseguono a ritmi sempre più serrati. Ma, al di là delle nuove terapie, a giocare un ruolo determinante è come sempre la prevenzione. «Da un lato – conclude Gridelli – prevenire significa ridurre i fattori di rischio, dall’altro bisogna procedere con screening mirati per intercettare la malattia al suo esordio». Anche se sembra superfluo ribadirlo, il 80% di tutti i tumori del polmone sono legati al fumo di sigaretta. La Campania dove si riscontrano circa 4100 casi l’anno, purtroppo, ancora oggi veste la maglia nera per numero di fumatori perché aumentano le donne che fumano (come accade nel resto d’Italia), ma non diminuiscono gli uomini (a differenza del dato statistico a livello nazionale). Altri fattori di rischio sono lo smog e il radon, un gas che si sprigiona dal sottosuolo. Per neutralizzare il radon è sempre buona norma areare i locali che si trovano al piano terra o al primo piano, aprire la finestra al mattino per almeno 30 minuti. Diversa la questione legata alla prevenzione secondaria, visto che per il tumore del polmone non esiste ancora uno screening istituzionalizzato, come ad esempio avviene per la mammella, per il colon e la cervice uterina. Il consiglio di Gridelli per i soggetti a rischio (fumatori ed ex fumatori) dopo i 55 anni è di fare una Tac a basse dosi di radiazioni al torace. Un esame specifico, in prevenzione già utilizzato negli USA, che consente di individuare la malattia nelle sue fasi iniziali, aumentando le possibilità di guarigione con un intervento.
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione