Tempo di lettura: 3 minutiSei milioni di italiani convivono con l’emicrania. Si tratta dell’11% della popolazione, ma ad essere più colpite sono le donne (con una frequenza tre volte maggiore). Il malessere spesso viene sottovalutato, non diagnosticato e quindi non riceve trattamento.
Emicrania, invalidante e al femminile
L’emicrania, la forma di cefalea che colpisce metà della testa, può causare anche e spesso nausea, vomito e sensibilità per suoni e luci. Il disturbo provoca ripercussioni sul lavoro, sulle relazioni familiari e sociali; oltre ad avere pesanti risvolti psicologici. Secondo i numeri, il 58% di chi ne soffre vive nel timore continuo di un attacco improvviso. Quattro volte su 10 chi ne è affetto teme di essere un peso per la famiglia e di non riuscire far comprendere a capi, colleghi e familiari che è una vera e propria malattia e non il sintomo di qualcos’altro (come cervicale o stile di vita). In effetti il disturbo ha basi biologiche e può anche essere cronico, arrivando a procurare oltre 14 attacchi al mese.
Una vita con il mal di testa. Lo studio del CENSIS
L’emicrania è dolorosa. Il Censis ha scelto di realizzare una ricerca su questo tema, dal titolo: “Vivere con l’emicrania”, per indagare a fondo il malessere degli italiani. La ricerca è stata realizzata su un campione di 695 pazienti dai 18 ai 65 anni ed è stata presentata mercoledì 26 giugno a Roma. Il Censis ha realizzato in collaborazione con le società scientifiche e le associazioni e con il supporto di tre aziende farmaceutiche un tracciato della quotidianità di chi ne soffre. Le vittime sono colpite tre volte di più rispetto agli uomini (15,8% contro il 5%). Inoltre le donne, ne risentono di più della patologia: il 34% delle emicraniche definisce infatti “scadente” il proprio stato di salute, contro il 15% dei pazienti maschi. E sono sempre le donne ad avvertire prima i sintomi: se per la maggioranza dei pazienti l’esordio dell’emicrania avviene intorno ai 22 anni oltre il 42% delle donne fa risalire gli attacchi a prima dei 18 anni. Spesso si tende a minimizzare e un esordio precoce non corrisponde a una altrettanto precoce diagnosi, infatti in media arriva dopo 7 anni. Gli stessi pazienti spesso tardano a riconoscere la malattia. Il 41.1 % del campione ha aspettato più di un anno prima di andare dal medico, e oltre il 20% ha aspetto 5 anni. Il 18,8% si è rivolto a un medico nel corso dei primi 12 mesi di sintomatologia e solo un po’ più del 13% si è rivolto a un dottore non appena ha avvertito i sintomi. Il motivo dell’attesa è la tendenza a minimizzare. Solo il 36.7% dei pazienti considera l’emicrania una vera e propria patologia, gli altri la associano a un sintomo: il 16,2 la ascrive a disturbi ormonali, il 12,1 a disturbi oculistici, a patologie dei seni paranasali e alla cervicale, l’8.7 a un disagio psicologico, e l’8,2 a uno stile di vita scorretto.
I farmaci e i centri cefalee
Si ricorre soprattutto a farmaci analgesici/antiemicranici da prescrizione (82,3%), in quasi la metà dei casi si tratta di triptani. Il 31,8% utilizza prodotti da banco. Il 61% dei pazienti si affida invece a trattamenti che prevengono gli attacchi, nel 71,8% dei casi si tratta di pazienti cronici. La maggior parte dei farmaci prescrivibili vengono ottenuti tramite il Servizio sanitario nazionale, ma solo per il 19,5% in modo totalmente gratuito, mentre per il 42,7% attraverso il pagamento del ticket. C’è un 37,8% che invece paga di tasca propria. Meno di un paziente su tre è seguito da un centro specialistico per il trattamento delle cefalee e solo il 15,4% considera il Centro cefalee come il punto di riferimento, mentre il 55% vede lo specialista come il proprio interlocutore, che nel 20% è un neurologo del Servizio sanitario nazionale, nel il 19,7% un neurologo privato, e nel 25,5% il proprio medico di medicina generale.
Il dolore e il forte condizionamento sulla vita
La durata media per singolo attacco, se non debitamente trattato, nel 46% dei casi è pari a 24-48 ore. Nell’ultimo mese il 44,3% dei pazienti ha contato tra i 6 e i 15 giorni accompagnati dal dolore, che è segnalato da circa l’80% come l’aspetto più penalizzante. Il 69,9% non riesce a fare nulla durante l’attacco, il 58% vive nella costante paura dell’insorgenza dei sintomi. Per quasi il 28% dei pazienti (il 26% degli uomini, il 28,4% delle donne, il 38,1% dei cronici) l’emicrania ha inciso sulla propria attività professionale, per il 18% sul percorso di studi. Quasi il 90% denuncia il fatto che la malattia è sottovalutata socialmente. Simile è la percentuale (95,3%) dei pazienti con cefalea a grappolo che la pensano allo stesso modo. Si tratta di una patologia fortemente condizionante, che richiede tempi lunghi di diagnosi (mediamente 6 anni) e su cui è necessario diffondere informazioni. Tra le priorità segnalate dai pazienti vi è il miglioramento della formazione dei medici su questa specifica patologia (61,2%).