La solitudine è una delle sfide più difficili per chi convive con l’Alzheimer, e ancora di più per chi si occupa dell’assistenza. Secondo il Censis, un caregiver su cinque riferisce di non ricevere alcun aiuto, mentre il costo medio per paziente arriva a 72 mila euro all’anno. Il rapporto, presentato in occasione della Giornata Internazionale dell’Alzheimer, traccia un quadro preoccupante. L’Alzheimer colpisce soprattutto le donne: sono il 62,2% dei pazienti, e oltre il 70% dei caregiver è di sesso femminile. Molte di queste sono figlie che assistono madri longeve, vedove e sempre più sole.
La solitudine dei caregiver
Il rapporto del Censis sottolinea che il peso dell’assistenza ricade in larga parte sui caregiver familiari. Il 68,3% di loro afferma di sentirsi solo, mentre l’84,9% si considera utile, pur tra grandi difficoltà. La malattia non condiziona solo la vita del paziente, ma anche quella di tutta la famiglia. Più della metà dei caregiver riferisce tensioni familiari legate alla gestione della malattia. Il 41,1% delle famiglie si affida a una badante, ma sempre più spesso si opta per badanti non conviventi, una tendenza in crescita. La pandemia ha peggiorato la situazione, limitando le risorse e aumentando il senso di abbandono.
I costi economici per le famiglie
L’Alzheimer non è solo una tragedia umana, ma anche economica. I costi per assistere un malato di Alzheimer sono cresciuti negli ultimi anni. Il Censis stima che il costo medio per paziente è di 72.000 euro all’anno. Questo rappresenta un aumento del 15% rispetto al 2015. Quasi la metà di questi costi ricade direttamente sulle famiglie, che si trovano a dover gestire la malattia con un’assistenza pubblica limitata e spesso inadeguata.
Il 42,3% dei caregiver afferma che negli ultimi anni non ci sono stati miglioramenti nell’offerta di servizi per l’Alzheimer. Per il 29,8%, la situazione è addirittura peggiorata. Dopo la pandemia, la gestione della malattia sembra essere sempre più delegata alle famiglie, lasciando i caregiver a fronteggiare da soli i costi e le sfide dell’assistenza.
I pazienti con decadimento cognitivo lieve
Oltre ai pazienti già diagnosticati con Alzheimer, ci sono molti altri che si trovano in una fase precoce della malattia. Il Censis ha condotto un’indagine su persone con diagnosi di decadimento cognitivo lieve, o Mci (Mild Cognitive Impairment). Si tratta di pazienti relativamente giovani, con un’età media di 71 anni, e quasi la metà del campione ha meno di 70 anni. In questo gruppo non si riscontra una prevalenza femminile, come accade invece per l’Alzheimer.
Il 60% dei pazienti con meno di 70 anni ha consultato uno specialista entro sei mesi dalla comparsa dei sintomi. Tra chi ha più di 71 anni, però, la metà ha aspettato un anno o più. Questa differenza nei tempi di diagnosi riflette una certa tendenza alla sottovalutazione dei sintomi, soprattutto nei pazienti più anziani. In media, i pazienti con Mci impiegano due anni prima di ottenere una diagnosi.
La paura del peggioramento
La diagnosi di decadimento cognitivo lieve non è vissuta con leggerezza. Il 90% dei pazienti afferma di temere il peggioramento della propria condizione, e per l’88,2% i farmaci rappresentano l’unica speranza per affrontare il futuro. La diagnosi precoce è cruciale: il 42,2% dei pazienti ritiene che ottenere una diagnosi sia importante per iniziare a essere seguiti e rallentare il decorso della malattia. Con nuovi farmaci all’orizzonte, la speranza è che una diagnosi precoce permetta di accedere a terapie innovative che potrebbero fare la differenza.
La mancanza di servizi di assistenza
Patrizia Spadin, Presidente dell’Aima (Associazione Italiana Malattia di Alzheimer), ha sottolineato la condizione delle famiglie colpite dall’Alzheimer. La malattia continua a rappresentare una sfida enorme, e il sistema di assistenza pubblica non è all’altezza. Nonostante anni di richieste e appelli da parte delle associazioni, la politica e le istituzioni sembrano non riuscire a dare risposte concrete. Il sistema di assistenza è bloccato su misure insufficienti, mentre le famiglie restano sole a fronteggiare una malattia devastante, ribadisce la presidente.
Il problema è particolarmente grave per chi ha una forma lieve di deterioramento cognitivo. Spadin sottolinea che queste persone, che rappresentano una vasta parte della popolazione, devono essere individuate e seguite. Tuttavia, il sistema non ha le risorse necessarie per prendersi cura di un numero crescente di pazienti.
La sfida della diagnosi e della presa in carico
Ketty Vaccaro, Responsabile della Ricerca Biomedica e Salute del Censis, ha evidenziato la staticità della condizione dei pazienti e dei loro caregiver. Nonostante i progressi nella ricerca, le famiglie continuano a fronteggiare grandi difficoltà: dalla diagnosi, che richiede in media due anni, alla mancanza di servizi di assistenza domiciliari adeguati. I pazienti e le loro famiglie devono affrontare un percorso lungo e faticoso, in cui la solitudine è una costante.
La diagnosi precoce è fondamentale per rallentare il decorso della malattia e accedere ai nuovi farmaci, che potrebbero essere disponibili a breve. Tuttavia, il sistema di assistenza attuale è carente e non in grado di fornire un supporto adeguato. Per molti pazienti, l’unica speranza concreta è rappresentata dalle nuove terapie farmacologiche, ma l’accesso a queste cure resta limitato.