I videogame, anche quelli più violenti, non hanno una cattiva influenza sui comportamenti dei ragazzi. O meglio, non ci sono prove che la violenza simulata possa istigare comportamenti aggressivi al di fuori della realtà virtuale. Lo evidenzia uno studio, pubblicato sul Journal of Economic Behavior & Organization, condotto dagli scienziati dell’Università di Londra, che hanno esaminato il presunto collegamento tra approccio ai videogiochi e tendenze violente. In questo studio che interesserà molto schiere di genitori preoccupati, il team UK ha distinto la possibilità di manifestare comportamenti violenti contro altre persone o nei confronti di oggetti o proprietà. Il gruppo di ricerca ha considerato bambini e ragazzi di età compresa tra 8 e 18 anni, utilizzando metodi econometrici per identificare gli effetti causali plausibilmente dovuti all’uso di videogiochi violenti.
AGITAZIONE
Gli esperti hanno messo che in evidenza che «i videogiochi possono contribuire ad aumentare il livello di agitazione e gli stimoli dei bambini, ma questo non si traduce in un’inclinazione alla violenza contro altre persone. È pertanto improbabile che le politiche di restrizione della vendita dei videogiochi ai minori possano portare a una riduzione dei tassi di violenza». Dunque, gli scienziati non hanno trovato prove del fatto che le sessioni di gioco fossero in qualche modo legate alla violenza contro altre persone. Restano, tuttavia, i dubbi di molti genitori che hanno riferito una maggiore probabilità che i loro figli manifestassero comportamenti distruttivi nei confronti di determinati oggetti dopo aver giocato a un videogame più violento.
Sono 12 milioni gli italiani che secondo le stime provano disagio nel periodo in cui cambia l’ora. Alcune condizioni cliniche, come la depressione, trovano le loro radici biologiche nell’alterazione di ritmi circadiani ormonali connessi all’umidità, l’esposizione alla luce e ai raggi solari, alla pioggia, al caldo. Non sempre si tratta, quindi, di un atteggiamento culturale che spinge alcune persone a non aver voglia di fare nulla durante una giornata piovosa, ma di una vera e propria inclinazione biologica. A parlarne è la dottoressa Silvia Brioschi, psichiatra di Humanitas Psico Medical Care.
Meteoropatia e depressione stagionale
In generale, gli sbalzi di temperatura possono generare ansia: il grigio delle giornate piovose e il buio in inverno sono depressogeni, così come gli abbassamenti di pressione. Non tutti, però, sono colpiti dalla meteoropatia allo stesso modo: c’è chi necessita, più di altri, di sole e caldo, chi mal tollera gli sbalzi di temperatura e chi non riesce a stare bene in estate e preferisce freddo e clima invernale.
Il passaggio dall’ora legale all’ora solare in autunno
La stagione dell’autunno rappresenta già per molte persone un momento difficile da affrontare per una sensibilità individuale che talvolta definisce un vero e proprio disturbo, chiamato dagli specialisti SAD: “seasonal affettive disorder“, depressione stagionale. Ci sono studi che documentano un cambiamento della qualità del sonno, la durata e in generale la percezione di benessere durante il giorno.
“Queste conseguenze trovano una spiegazione nella cronobiologia di alcuni processi fisici e mentali. Le attività ormonali e cerebrali che regolano il sonno e le malattie dell’umore hanno una ritmicità sia giornaliera che mensile e annuale – spiega l’esperta.
“Pare infatti che la depressione sia proprio la malattia dei ritmi biologici: una loro alterazione precipiterebbe i meccanismi che generano la sindrome depressiva, fatta non solo di mal di vivere, pessimismo, sensi di colpa e apatia, ma anche di sintomi più “fisici” e anche più intuitivamente riconducibili ai ritmi circadiani, come insonnia, o inappetenza. Tali effetti sono in parte modulati dalla quantità di luce che riusciamo a raccogliere nella giornata. I sintomi più frequenti sono:
irritabilità,
stanchezza,
fatica nella concentrazione,
flessione del tono dell’umore.
L’effetto del cambio di orario può essere molto diverso da persona a persona, soprattutto in base alla propria propensione: di norma, a risentire di più del cambio dell’ora legale sono le persone mattiniere”.
Quattro ricercatrici italiane descrivono per la prima volta al mondo il funzionamento di una barriera cerebrale (il plesso coroideo) che, per proteggere il cervello dall’infiammazione dell’intestino si chiude e genera stati di ansia e depressione. Questo spiega perché questi stati accompagnano spesso chi soffre di malattie croniche intestinali, come la colite ulcerosa e la malattia di Crohn. Da anni la comunità scientifica ha riconosciuto un legame tra intestino e cervello, il cui funzionamento però è stato fino ad oggi indefinito. Lo studio italiano, pubblicato su Science, rappresenta quindi una svolta nella comprensione dell’asse intestino-cervello e apre la strada a nuove terapie.
La comunicazione tra intestino e cervello
Questi risultati aprono a nuovi scenari nella conoscenza del funzionamento di una delle barriere (o interfacce) fra circolo sanguigno e cervello, il plesso coroideo. Lo studio è stato coordinato dalla professoressa Maria Rescigno, capo del Laboratorio di immunologia delle mucose e microbiota di Humanitas e docente di Patologia Generale di Humanitas University.
“A livello del plesso coroideo abbiamo documentato il meccanismo che blocca l’ingresso nel cervello di segnali infiammatori originati nell’intestino e migrati verso altri organi grazie al flusso sanguigno. A tale fenomeno è associato un isolamento del cervello dal resto dell’organismo che è responsabile di alterazioni comportamentali, tra cui l’insorgenza di stati di ansia”, spiega la prof.ssa Rescigno. “Questo significa che tali condizioni del sistema nervoso centrale sono parte della malattia e non solo manifestazioni secondarie”.
Lo studio è firmato inoltre dalla dott.ssa Sara Carloni, microbiologa di Humanitas University, la prof.ssa Michela Matteoli, docente di Farmacologia di Humanitas University e Direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR, e la dott.ssa Simona Lodato, capo del Laboratorio di Neurosviluppo di Humanitas e docente di Istologia ed Embriologia di Humanitas University.
Le funzioni del plesso coroideo
Il plesso coroideo è una struttura che si trova all’interno del cervello, dove viene prodotto il liquido che avvolge l’encefalo e il midollo spinale, a protezione delle strutture del sistema nervoso centrale. Il plesso coroideo è anche un veicolo per l’ingresso di sostanze nutritive e l’eliminazione di quelle di scarto e ha un ruolo di difesa immunitaria.
“Abbiamo scoperto che all’interno del plesso coroideo, oltre alla nota barriera epiteliale, esiste un’ulteriore barriera vascolare, che abbiamo definito barriera vascolare del plesso coroideo”, spiega la dottoressa Sara Carloni.
“In condizioni normali questo ‘cancello’ consente l’ingresso di molecole derivate dal sangue e, in caso di infiammazione in organi distanti (in questo caso l’intestino), la barriera si riorganizza e si chiude per bloccare l’ingresso di possibili sostanze tossiche”.
Il team di ricercatrici, inoltre, si è chiesto a cosa serve, in condizioni di salute questo “cancello” vascolare (che in assenza di stimolo patologico rimane aperto). Per rispondere è stato usato un modello sperimentale genetico, che consente di “chiudere” la barriera cerebrale senza che ci sia infiammazione dell’intestino.
“Così facendo abbiamo dimostrato che la chiusura della barriera del plesso sembrerebbe di per sé correlata ad alterazioni del comportamento, determinando un aumento di ansia e un deficit nella memoria episodica”, conclude la prof.ssa Michela Matteoli. Ciò significa che una comunicazione fisiologica e dinamica tra intestino e cervello è fondamentale per una corretta attività cerebrale.
Per comprendere il comportamento della barriera vascolare del plesso coroideo è stata utilizzata la metodica del Single Cell Sequencing, cui ha partecipato anche un gruppo di ricerca dello IEO. “Questo ha permesso di identificare le componenti del sistema vascolare che sono principalmente coinvolte in questa risposta, i capillari e periciti, cellule che regolano la permeabilità dei vasi sanguigni”, racconta la dottoressa Simona Lodato. “Grazie a questa analisi è possibile conoscere il comportamento dinamico di ogni cellula del plesso coroideo al momento della chiusura della barriera”.
Prospettive di cura delle patologie infiammatorie
“Abbiamo descritto il meccanismo che regola l’interazione tra il cervello e il resto dell’organismo in relazione alle infiammazioni intestinali”, spiega la professoressa Maria Rescigno. “Le domande aperte sono ancora molte. Ad esempio, in quali altre malattie si attiva questa chiusura? Anche i pazienti con patologie neurodegenerative hanno un intestino permeabile, da cui quindi passano più molecole verso il flusso sanguigno. Ora sappiamo che questa migrazione è correlata a una chiusura della barriera cerebrale e quindi a depressione e ansia. Come possiamo riaprire ‘il cancello’ del plesso per combattere questi stati alterati? E ancora, come possiamo modulare la barriera per raggiungere il cervello e consentire il passaggio di farmaci?”.
“Siamo già al lavoro per capire quali molecole possano essere coinvolte nelle anomalie comportamentali per modulare la reazione della barriera; quali cellule e componenti utili per la nostra salute restano intrappolate fuori dal cervello quando il plesso si chiude”, specifica la dottoressa Sara Carloni.
“Siamo di fronte a un’ulteriore dimostrazione che un’attività immunitaria non solo eccessiva ma anche insufficiente sia dannosa per la funzione del sistema nervoso. Adesso sarà importante definire i meccanismi attraverso cui questo avviene”, spiega la professoressaMichela Matteoli.
“Stiamo studiando la microglia, ossia le cellule immunitarie presenti nel cervello. Sappiamo che la loro attività può essere influenzata dai segnali provenienti dal sistema immunitario periferico e molti studi, anche del nostro laboratorio, hanno confermato che la microglia influenza in modo importante la funzione della sinapsi. La sinapsi è il sito di contatto tra neuroni ed è la sede di tutti i processi alla base del funzionamento del cervello, inclusi apprendimento e memoria. Rappresenta quindi il bersaglio più promettente da analizzare nei prossimi studi”.
“Nel contesto della neurobiologia dello sviluppo, dobbiamo capire quando e come si crei questa interazione tra cervello e sistema gastrointestinale scoperta a livello del plesso coroideo. La composizione del liquido cerebrospinale (CSF), che è chiaramente influenza dall’attività di questa barriera, è dinamica nello sviluppo e fondamentale nella formazione dei circuiti neuronali. Se pensiamo alla disbiosi, ossia ad alterazioni nel microbiota dei bambini, o all’obesità infantile, ci rendiamo conto che sono situazioni in cui il link tra cervello e intestino potrebbe essere alterato da un forte stato infiammatorio con effetti sulla barriera vascolare del plesso ed importanti conseguenze sul cervello in sviluppo”, conclude la dottoressa Simona Lodato.
A Napoli un servizio psicologico dedicato a chi ha bisogno di sostegno e di accompagnamento al vaccino. A lanciare quella che appare come un’iniziativa da replicare a livello nazionale è l’ASL Napoli 1 Centro, che da così seguito alle disposizioni che la Regione ha previsto per la campagna “Vaccinarsi tutti per tornare alla «Proprio perché consapevoli di quanto la disinformazionectrovi il suo punto d’appoggio nel mondo emotivo e nelle angosce dei cittadini – dice Claudio Zullo, Direttore della Psicologia Clinica della Asl Napoli 1 Centro – abbiamo pensato di offrire il nostro intervento di supporto psicologico, inteso quale spazio di ascolto finalizzato ad attivare processi decisionali consapevoli nel rispetto dell’individualità del singolo». Il servizio di ascolto telefonico risponde ai numeri 081-2549083 (UOC Direzione DS Scampia), 081-2549283 (presso UOC A.T. piazza Nazionale) e 081- 2548410 (UOC AT Soccavo). Chiamando(dal lunedì al venerdì – ore 9,00 / 13,00) gli utenti dell’ASL Napoli 1 Centro che vogliono avere un sostegno psicologico per accedere alla vaccinazione troveranno ascolto diretto, con la possibilità di un vero e proprio accompagnamento psicologico alla vaccinazione.
L’ORDINE DEI MEDICI
Durante i weekend il percorso si potrà concludere con accoglienza e sostegno presso il centro vaccinale Mostra d’Oltremare dove (dalle ore 8.00 alle ore 20.00) saranno presenti gli psicologi dell’ASL Napoli 1 Centro in una postazione dedicata. «Il Servizio – spiega il direttore generale Ciro Verdoliva – nasce per dare la possibilità, a coloro che lo vorranno, di ottenere un sostegno in termini di ascolto e consapevolezza, così da superare condizioni emotive che bloccano o ostacolano processi decisionali importanti per la salute di tutti». Intanto, l’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Napoli e provincia e l’ASL Napoli 1 Centro, in collaborazione tra loro, e grazie alla disponibilità offerta da numerosi medici volontari in pensione, hanno organizzato un numero verde a disposizione della cittadinanza, che fornisce riscontro a possibili quesiti di natura strettamente medico-scientifica, sulla base delle direttive fornite dai documenti elaborati dal Ministero della Salute, dall’I.S.S., dall’AIFA e dall’EMA. Il numero verde 800.95.44.27, è attivo dalle ore 09:00 alle ore 14:00 dal lunedì al venerdì. Per ulteriori informazioni è possibile consultare gli avvisi pubblicati periodicamente sul sito e sulle pagine social dell’ASL Napoli 1 Centro.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2021/10/Vaccinazione-in-campo-gli-psicologi.jpg427640Redazione PreSahttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRedazione PreSa2021-10-25 09:30:382024-06-09 14:14:53Vaccinazione Covid, un supporto per chi ha paura
In Europa, circa 1.200 bambini e adolescenti fra i 10 e i 19 anni mettono fine alle loro vite ogni anno. Tre vite al giorno perse a causa di suicidi. In Italia si stima che il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze fra i 10 e i 19 anni soffrano di problemi legati alla salute mentale. Sono i dati dell’Analisi europea del nuovo rapporto “La condizione dell’infanzia nel mondo: Nella mia mente” dell’UNICEF.
Salute mentale dei giovani in Europa. I dati
Secondo il rapporto, il suicidio è la seconda causa di morte tra gli adolescenti in Europa (stime basate sul Global Health Estimates 2019 dell’OMS). Solo gli incidenti stradali causano più decessi tra i giovani tra i 15 e i 19 anni. Inoltre, il 19% dei ragazzi europei tra i 15 e i 19 anni soffre di problemi legati alla salute mentale, seguiti da oltre il 16% delle ragazze nella stessa fascia d’età. 9 milioni di adolescenti in Europa (tra i 10 e i 19 anni) convivono con un disturbo legato alla salute mentale (stime basate sul Global Burden of Disease Study dell’IHME); l’ansia e la depressione rappresentano oltre la metà dei casi.
Mentre il COVID-19 continua a causare caos nelle vite, il Brief – un’analisi con focus sull’Europa del rapporto annuale dell’UNICEF “La condizione dell’infanzia nel mondo: Nella mia mente”– esamina le problematiche che colpiscono i bambini e la salute mentale e il benessere di bambini e giovani in Europa. Lo studio fornisce anche dati preoccupanti sullo stress cui sono sottoposti, insieme a chiare raccomandazioni per i governi in Europa e le istituzioni dell’Unione Europea.
ALTRI DATI DEL RAPPORTO:
Circa 1.200 bambini e adolescenti fra i 10 e i 19 anni pongono fine alle loro vite ogni anno, ovvero 3 vite al giorno perse a causa di suicidi in Europa.
La percentuale di suicidio nel 2019 fra i ragazzi è stimata di gran lunga maggiore rispetto alle ragazze, rispettivamente il 69% e il 31%, e la fascia di età più colpita è fra i 15 e i 19 anni (1.037 contro i 161 fra i 10 e i 14 anni).
La percentuale di problemi legati alla salute mentale per i ragazzi e le ragazze in Europa fra i 10 e i 19 anni è del 16,3%, mentre il dato globale nella stessa fascia di età è del 13,2%.
Le nazioni con la percentuale maggiore in Europa fra le 33 prese in esame sono: Spagna (20,8%), Portogallo (19,8%) e Irlanda (19,4%), mentre quelle con la percentuale minore si trovano principalmente in Europa orientale: Polonia (10,8%), Repubblica Ceca (11%), Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia (11,2%).
IN ITALIA: In Italia si stima che, nel 2019, il 16,6% dei ragazzi e delle ragazze fra i 10 e i 19 anni soffrano di problemi legati alla salute mentale, circa 956.000 in totale. Fra le ragazze, la percentuale è maggiore (17,2%, pari a 478.554) rispetto ai ragazzi (16,1%, pari a 477.518).
“La pandemia da COVID-19 ha evidenziato diversi fattori che hanno messo a rischio la nostra salute mentale: isolamento, tensioni familiari, perdita di reddito”, ha dichiarato Sua Altezza Reale la Regina Mathilde del Belgio, che oggi interverrà alla presentazione del Brief all’Unione Europea a Bruxelles. “Troppo spesso i bambini e i giovani portano il peso di tutto questo. Dobbiamo investire tempo, sforzi e impegno per rafforzare e migliorare la nostra salute mentale e i sistemi sociali per garantire a ogni bambino accesso al benessere mentale e un’infanzia felice.”
“L’analisi europea offre una triste lettura, ma diverse e chiare raccomandazioni,” ha dichiarato Geert Cappelaere, Rappresentante UNICEF per le Istituzioni dell’Unione Europea. “Ora sappiamo che non agire ha un costo elevato – in termini di peso sulle vite umane, sulle famiglie, sulle comunità ed economici – e anche che ci sono chiari interventi che i governi nazionali delle Istituzioni dell’Unione Europea, le famiglie e le scuole possono intraprendere. Lì si deve focalizzare la nostra attenzione.”
La nuova analisi del Brief europeo “La condizione dell’infanzia nel mondo: Nella mia mente” indica che la perdita annuale di capitale umano che deriva dalle condizioni generali di salute mentale in Europa tra i bambini e i giovani tra 0 e 19 anni è di 50 miliardi di euro.
“La pandemia da COVID-19 è anche un’emergenza di salute mentale che ha conseguenze su bambini e giovani in Europa,” ha dichiarato Stella Kyriakides, Commissario Europeo. “Una vera Unione della Salute Europea aiuterà a investire lì dove è più necessario: per promuovere una salute mentale positiva e accedere a un sostegno per i nostri bambini – il futuro dell’Europa.”
Oltre agli investimenti sull’assistenza all’infanzia di qualità, sulla genitorialità e sulle misure per le famiglie in tutti i settori, l’UNICEF identifica 5 interventi prioritari per le istituzioni europee e i governi nazionali:
Supportare interventi per facilitare l’accesso dei gruppi vulnerabili a servizi per la salute mentale e fornire migliori infrastrutture regionali.
Includere l’accesso ai servizi per la salute mentale nei piani di azione nazionali, anche sfruttando le opportunità offerte dalle tecnologie digitali e online per ridurre i gap nell’accesso al supporto per la salute mentale.
Fornire programmi a scuola per diffondere consapevolezza e capacità di adattamento emotivo per gli adolescenti; integrare servizi di consultorio per la salute mentale; formare insegnanti e staff scolastico; creare spazi sicuri per i bambini di confronto e condivisione. Integrare programmi di genitorialità positiva che prevengono la violenza domestica. L’Unione Europea dovrebbe supportare iniziative per “l’apprendimento sicuro” per porre fine alla violenza a scuola e tramite la scuola affinché i bambini si sentano liberi di imparare, crescere e realizzare i propri sogni.
Investire risorse adeguate per formare gli operatori sanitari e sociali sulla salute mentale per supportare i servizi per i bambini che migrano.
Incorporare azioni mirate sulla salute mentale e il benessere psicosociale nell’assistenza ufficiale per lo sviluppo dedicata allo sviluppo umano, così come nei programmi umanitari di preparazione, risposta e ripresa per rispondere ai bisogni di tutte le popolazioni colpite da emergenze, compresa la protezione dell’infanzia durante crisi umanitarie.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2021/08/depressione-respirazione.jpg8001200Sofia Gorgonihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngSofia Gorgoni2021-10-20 08:58:322024-06-09 14:15:13Salute mentale: 9mln di adolescenti (10 – 19 anni) convivono con un disturbo in UE
Salute mentale e alimentazione, esiste un legame provato, per quanto sia ancora tutto da esplorare, tra ciò che i bambini mangiano e il modo nel quale la loro mente si sviluppa. A dirlo è una ricerca realizzata nel Regno Unito, pubblicata sul British Medical Journal: Nutrition Prevention & Health, che ha preso in esame circa 9.000 studenti di 50 scuole. Ragazzi e bambini che con le loro risposte ai test hanno dimostrato che un’alimentazione sana, ricca di frutta e verdura, si associa ad una migliore salute mentale. E il tema della salute mentale è centrale al giorno d’oggi più di quanto non lo fosse negli anni passati. Infatti, ansia e depressione sono ormai delle patologie diffusissime tra i giovanissimi e lo scarso benessere mentale è un problema che spesso ha conseguenze negative a lungo termine.
NUOVE CONOSCENZE
La ricerca portata avanti nel Regno Unito apre a scenari nuovi nelle conosce che abbiamo sulla salute mentale dei giovanissimi e sui legami che esistono con l’alimentazione, sul ruolo che gioca nel benessere emotivo. Su questo si è concentrata l’attenzione dei ricercatori, che hanno analizzato i dati di 7.570 bambini della scuola secondaria e di 1.253 bambini della scuola primaria nel Norfolk, in Gran Bretagna. Il team ha esaminato l’associazione tra fattori nutrizionali e benessere mentale, misurato attraverso test che hanno riguardato l’allegria, i momenti di relax e rapporti interpersonali. È stata così trovata una forte associazione tra alimentazione sana e punteggi di benessere più alti. Un maggiore consumo di frutta e verdura era significativamente associato a un maggiore benessere. Inoltre, coloro che non mangiavano a pranzo avevano punteggi di salute mentale inferiori così come quelli che saltavano la colazione. Facile comprendere come l’alimentazione si candidi a fattore decisivo per il benessere psicologico nell’infanzia, fosse solo per il fatto che si tratta di un fattore potenzialmente modificabile.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2019/05/bambini-i-rischi-del-cibo.jpg426640Redazione PreSahttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRedazione PreSa2021-10-12 10:19:002024-06-09 14:17:13Salute mentale, i bambini che mangiano bene stanno meglio
Negli ultimi 4 anni la depressione ha colpito soprattutto le persone anziane: 13 ultra 65enni su 100. Il disagio aumenta con l’avanzare dell’età raggiungendo il 22% dopo gli 85 anni, soprattutto tra le donne (16% contro il 9% degli uomini). Tra gli adulti l’8% delle persone tra 50 e 69 anni e il 5% fra i 18 e i 34 anni dichiarano di avere sintomi depressivi.
Lo rivelano i dati PASSI e PASSI d’Argento raccolti nel quadriennio 2017-2020 e diffusi in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale che si tiene il 10 ottobre.
Anziani depressi. I numeri
Secondo i dati della sorveglianza Passi d’Argento coordinato dall’ISS gli ultra 65enni percepiscono compromesso il proprio benessere psicologico per una media di 19 giorni nel mese precedente l’intervista.
Fra queste persone, oltre alla salute psicologica, anche quella fisica risulta decisamente compromessa: nel mese precedente l’intervista chi soffre di sintomi depressivi ha vissuto mediamente 17 giorni in cattive condizioni fisiche (vs 3 giorni riferiti dalle persone libere da sintomi depressivi) e circa 14 con limitazioni alle attività quotidiane abituali (vs 2 giorni riferiti da persone senza sintomi depressivi). Nel complesso la percezione della propria salute risulta compromessa e la gran parte di loro riferisce di sentirsi “male o molto male” (44%) o appena “discretamente” (47%).
I sintomi depressivi sono più frequenti all’avanzare dell’età (raggiungono il 22% dopo gli 85 anni), nella popolazione femminile (16% vs 9% negli uomini), tra le classi socialmente più svantaggiate per difficoltà economiche (31% in chi riferisce molte difficoltà economiche vs 7% di chi non ne riferisce) o per bassa istruzione (17% fra coloro che hanno al più la licenza elementare vs 8% fra i laureati), tra chi vive solo (16%) e fra le persone con diagnosi di patologia cronica (24% in chi riferisce due o più patologie croniche vs 7% di chi non ne ha).
Una discreta quota di persone con sintomi depressivi (28%) non chiede aiuto, chi lo fa si rivolge ai propri familiari/amici (23%) o a un medico/operatore sanitario (16%) e nella maggior parte dei casi (33%) a entrambi, medici e persone care.
La quota di persone che riportano sintomi depressivi nel 2020 rimane complessivamente stabile rispetto a quella rilevata negli anni precedenti, tuttavia vista la grande variabilità nella prevalenza dei sintomi depressivi fra i diversi sottogruppi della popolazione in questa fascia di età, saranno necessari degli approfondimenti per comprendere se, e in quali gruppi, la pandemia abbia avuto un impatto “misurabile” sul benessere psicologico fra gli over 65enni.
La depressione negli adulti
Dai dati PASSI 2017-2020 emerge che in Italia il 6 per cento degli adulti riferisce sintomi di depressione e percepisce compromesso il proprio benessere psicologico per una media di 15 giorni nel mese precedente l’intervista (vs meno di 2 giorni per le persone senza sintomi depressivi).
Fra queste persone, oltre alla salute psicologica, anche quella fisica risulta decisamente compromessa: nel mese precedente l’intervista chi soffre di sintomi depressivi ha vissuto mediamente 9 giorni in cattive condizioni fisiche (vs 2 giorni riferiti dalle persone libere da sintomi depressivi) e quasi 8 con limitazioni alle abituali attività quotidiane (vs meno di 1 giorno riferito dalle persone senza sintomi depressivi).
I sintomi depressivi sono più frequenti all’avanzare dell’età (sfiorano l’8% fra i 50-69enni vs 5% fra i 18-34enni), nella popolazione femminile (8% vs 5% fra gli uomini), tra le classi socialmente più svantaggiate per difficoltà economiche (15% in chi riferisce molte difficoltà economiche vs 4% di chi non ne ha) o per bassa istruzione, tra chi non ha un lavoro regolare continuativo (8%), fra chi riferisce almeno una diagnosi di patologia cronica (13% vs 5% fra chi non ne ha) e fra chi vive da solo (8%).
Solo il 62% degli intervistati che riferiscono sintomi depressivi ricorrono all’aiuto di qualcuno, rivolgendosi soprattutto a medici/operatori sanitari.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2021/10/3_Suicidal_thoughts_2021-1.png9071284Sofia Gorgonihttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngSofia Gorgoni2021-10-11 09:00:582024-06-09 14:18:28Depressione: un anziano su 7 ne soffre e 1 su 4 non chiede aiuto
Un open week dedicato al disagio psichico in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale. E’ questo il programma del Policlinico che aderisce all’iniziativa promossa dalla Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere. Da venerdì 8 a domenica 10 ottobre saranno offerti gratuitamente servizi clinico-diagnostici e informativi rivolti alle donne con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione sull’importanza della diagnosi precoce e per favorire l’accesso alle cure, aiutando a superare pregiudizi, stigma e paure legate alle malattie psichiche. Colloqui informativi per pazienti e familiari nell’area della psichiatria, colloqui psicologici e un infopoint per “conoscere lo psicologo”, e la possibilità di effettuare un counseling neuropsichiatrico per l’infanzia e per l’adolescenza in telemedicina. Queste le attività proposte dalle equipe dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, di cui alcune richiedono la prenotazione, consultabili dal sito aziendale www.policlinico.unina.it
UN MALE SILENZIOSO
Si stima che in Italia oltre 2 persone su 10 presentino un disturbo mentale grave o lieve/moderato. In particolare, a causa della pandemia, secondo la Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia, sono almeno 150.000 i nuovi casi di depressione dovuti soltanto alla perdita di lavoro generata dalla crisi economica in corso, ad alto rischio sono soprattutto le donne: più predisposte alla depressione e più colpite nell’ambito lavorativo dal Covid-19. «Valutare correttamente l’impatto della pandemia sulla salute dei cittadini significa anche essere consapevoli dei gravi danni che derivano a livello psicologico da due anni di convivenza con il virus» spiega il direttore generale Anna Iervolino. «Ansia, depressione, disturbi del sonno ed effetti post-traumatici da stress sono oggi ostacoli concreti nella vita di moltissime persone; il nostro compito è quello di non sottovalutare questi problemi e, anzi, fare in modo che il sistema sanitario pubblico possa offrire risposte concrete di cura o quantomeno di gestione dei sintomi».
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2016/12/Psychiatric-Mental-Health-Nurse.jpg278400Redazione PreSahttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRedazione PreSa2021-10-06 18:13:512024-06-09 14:18:40Salute mentale, una giornata per sostenere chi soffre
Le vaccinazioni anti Covid non stanno “solo” tenendo sotto controllo il contagio, stanno anche rallentando il disagio psichico causato dalla pandemia. C’è infatti anche un forte effetto psicologico legato alla disponibilità e all’efficacia dei vaccini, un effetto che sta aiutando centinaia di migliaia di persone a ridurre l’ ansia divenuta insopportabile durante i mesi più caldi della pandemia. Secondo gli esperti è un dato di fatto che la diffusione del virus a livello mondiale ha sin da subito inasprito le disparità già esistenti, con maggiore incidenza ed esiti della malattia nelle fasce più deboli. Le diseguaglianze generate dalle conseguenze del lockdown hanno avuto riflessi anche sulla salute mentale, aumentando il disagio psichico soprattutto tra le fasce più fragili della popolazione, con minor accesso alle cure e ai servizi di cui tuttora si avvertono i contraccolpi. Ora però si intravedono segni di cambiamento legati alla vaccinazione anti-Covid. L’ ansia va scemando e aumenta la fiducia nel futuro.
L’EPIDEMIA NASCOSTA
I numeri della salute mentale nel mondo sono impressionanti: quasi un miliardo di persone vive con un disturbo mentale nei paesi poveri, oltre il 75% delle persone non riceve alcuna assistenza. Ogni anno oltre un milione di persone muore per abuso di sostanze e in concomitanza con il Covid un giovane di 18-24 anni su 4 (25%) ha dichiarato di aver aumentato l’uso di sostanze per far fronte allo stress covid-correlato. Ogni 40 secondi una persona si toglie la vita e nel 2020 i suicidi sono aumentati, basti pensare che in Giappone da giugno a ottobre 2020 sono cresciuti del 16% rispetto allo stesso periodo del 2019. Circa la metà dei disturbi di salute mentale inizia a 14 anni. L’accesso ai servizi dedicati alla salute mentale è tuttavia segnato dalle diseguaglianze, e l’85% delle persone con disturbi mentali nei Paesi a basso e medio reddito è impossibilitato a usufruire di una assistenza dedicata. Ma anche nei Paesi ricchi le cose non vanno meglio, Italia compresa, sottolineano gli psichiatri, e la pandemia ha complicato per molti aspetti questa situazione. Le persone più fragili che avevano già disagio psichico, con il Covid hanno avuto maggiori difficoltà di accesso ai servizi sanitari (il 24% in più rispetto alla popolazione generale), una probabilità del 33% superiore di subire interruzioni terapeutiche e maggiori problemi di lavoro con un rischio di perderlo superiore del 12%. Dati che devono spingere a riflessioni importanti, affinché al dramma del disagio psichico non si sommi anche quello della solitudine e dell’abbandono sociale.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2016/09/Ansia-sociale-1.jpg250396Redazione PreSahttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRedazione PreSa2021-10-05 09:00:322024-06-09 14:19:58Ansia e stress, il vaccino sta riducendo il disagio
Lo psicologo di base potrebbe diventare realtà in Campania. La partita si deciderà il prossimo 19 ottobre, con la pronuncia della Corte costituzionale. Già, perché su questa questione si è creato un vero e proprio scontro tra Regione e Governo. Il 3 agosto del 2020, infatti, il Consiglio regionale aveva approvato all’unanimità la legge per lo psicologo di base, decisione che non è piaciuta a Roma, tant’è che il governo nazionale ha scelto di impugnarla dando il via ad un braccio di ferro che sta ormai per concludersi. «Riteniamo che siano superate le eccezioni fatte dal governo – ha detto il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca – anche perché gli ultimi provvedimenti presi per il Covid prevedono servizi di sostegno di natura psicologica, soprattutto per i giovani, dopo un anno e mezzo di pandemia». Già da tempo l’Ordine degli Psicologi ha avviato un percorso con la Regione per trasformare in realtà la figura dello psicologo di base, ma anche per arrivare ad istituire un servizio di psicologia scolastica.
EMERGENZA COVID
Se questi interventi apparivano importanti prima dell’esplosione della pandemia, oggi sembrano addirittura imprescindibili. Sono infatti moltissimi gli adulti e i giovani che portano dentro le cicatrici di quasi due anni di Covid, situazione che ha distrutto interi nuclei familiari e ha alimentato le ansie e le paure più nascoste. «L’emergenza sanitaria ha acceso i riflettori sull’importanza dello psicologo – sottolinea il presidente dell’Ordine campano, Armando Cozzuto – Partendo dall’esperienza della pandemia, che ha sensibilizzato molto le istituzioni, abbiamo concentrato la nostra attenzione su due contenitori principali: da un lato la sanità, nel senso più esteso del termine, con l’approvazione della legge per lo psicologo di base. Dall’altro lato, con la proposta di legge per il servizio di psicologia scolastica, per garantire un supporto non solo agli allievi, ma anche a familiari, insegnanti e al personale Ata». Il lavoro di supporto per lasciarsi alle spalle l’incubo di questo virus sarà inevitabilmente molto lungo, ma ciò che sta maturando in Campania è senza dubbio un buon punto di partenza.
https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2020/04/Covid-19-supporto-psicologico.jpg359640Redazione PreSahttps://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2024/04/prevenzione-e-salute-1.pngRedazione PreSa2021-09-17 09:39:342024-06-15 09:45:44Psicologo di base, a breve la decisione della Corte costituzionale
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