BPCO, nuove strategie di gestione
Il fumo di sigaretta, ma anche l’inquinamento delle grandi metropoli, possono portare ad una malattia che – nonostante i numeri in crescita delle diagnosi – è ancora poco conosciuta: la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco). Per far comprendere la portata del problema, partiamo dai numeri. Il professor Andrea Bianco, direttore della Clinica Pneumologica Vanvitelli (ospedale Monaldi di Napoli), ci spiega che la malattia colpisce circa 3 milioni e mezzo di italiani, circa 340mila in Campania, attestandosi come la terza causa di morte nel vecchio continente. Nonostante i numeri disegnino un fenomeno enorme, e in crescita, della broncopneumopatia cronica ostruttiva si sente parlare poco o nulla.
Le ragioni del gap d’informazione sulla BPCO
«Probabilmente, e in modo errato, tra le persone viene ancora oggi considerata una malattia che non porta a conseguenze gravi. Tra i clinici, forse, la scarsa attenzione è legata alla mancanza – sino a qualche anno fa – di terapie efficaci». Serve, senza dubbio, un cambio di paradigma. Proviamo allora a capire qualcosa in più di questa malattia.
«È una patologia cronica che porta alla progressiva ostruzione dei bronchi (soprattutto periferici) e al deterioramento dei polmoni; questo significa che nel tempo tende a progredire peggiorando progressivamente la funzione respiratoria». I sintomi tipici della Bpco sono tosse continua e persistente con catarro e dispnea (mancanza di fiato, ndr), che peggiora con l’attività fisica, ma nelle fasi più gravi della patologia, è presente anche a riposo. Si tratta di una malattia insidiosa, precisa il professor Bianco, perché «spesso porta con sé conseguenze sistemiche (malattie correlate alla Bpco) che hanno un forte impatto sulla salute».
La diagnosi
Queste “comorbilità” altro non sono che malattie causate dalla Bpco, anche molto pericolose: si pensi ad esempio a patologie cardiovascolari, metaboliche o addirittura neoplasie e danni al sistema muscolo-scheletrico. Precoce è l’età di esordio della Bpco, solo 40 anni, ma il professor Bianco sottolinea che la diagnosi è spesso tardiva in quanto i sintomi vengono sottostimati dai pazienti (soprattutto fumatori) e che ormai l’età delle diagnosi si sta abbassando. Ecco perché è essenziale che si riesca a creare una rete tra centri ospedalieri specialistici e territorio, che possa intercettare i sintomi e portare il paziente alla diagnosi quanto più precocemente possibile. «Le prime sentinelle per questa malattia sono i medici di medicina generale, anche se la conferma della diagnosi richiede necessariamente l’esecuzione, presso centri specializzati, di una spirometria, un esame non invasivo che è indispensabile per eliminare ogni dubbio».
Nuovi farmaci
Tornando al tema delle terapie, proprio in questi anni, per la prima volta si registrano risultati positivi delle terapie inalatorie. In particolar modo, si nota un impatto positivo sulla sopravvivenza della cosiddetta triplice terapia, a base di cortisone e broncodilatatori inalatori. Ma, va detto, si tratta comunque di terapie che limitano la loro azione sulla funzione respiratoria non modificando i meccanismi della Bpco. Grande interesse è posto all’arrivo di nuovi farmaci biologici che saranno in grado di rivoluzionare la storia clinica della Bpco. «I farmaci biologici che sono in fase di approvazione hanno invece un impatto reale sui meccanismi della malattia». Ma quali tempi per questi progressi? «È legittimo ipotizzare che in Italia l’approvazione del primo farmaco biologico arriverà nella seconda metà del 2025, si tratta di un farmaco che nei nostri centri è già disponibile per uso compassionevole e che agisce sui meccanismi alla base dei processi infiammatori a carico delle vie aree e dei polmoni. Altri biologici li aspettiamo entro il 2027».
Terapie biologiche
Un cambio di passo che certamente vedrà una crescita della collaborazione tra strutture ad alta specializzazione Pneumologica e territorio, con positive ripercussioni in termini di miglioramento della diagnosi e della qualità e aderenza ai trattamenti. C’è da chiarire che le terapie biologiche non riguarderanno l’intera platea di pazienti, ma comunque una parte importante di loro (si stima in una prima fase il 20% circa) che presenta delle caratteristiche compatibili con la terapia. C’è un fattore di predisposizione da tenere in considerazione, la letteratura scientifica dice infatti che una fetta compresa tra il 20% e il 40% delle persone affette da Bpco presenta un’infiammazione di tipo 2. Questi pazienti sono più soggetti a riacutizzazioni, ovvero eventi acuti, durante le quali i sintomi peggiorano rispetto alla loro situazione di base, e altre complicanze della malattia che possono risultare anche fatali.
Collaborazione ospedale territorio
Il professor Bianco spiega con entusiasmo che questo è solo il principio, perché nei prossimi anni arriveranno altri farmaci che avranno bersagli differenti e che arricchiranno ulteriormente l’armamentario farmacologico per combattere la Bpco. «Visti i numeri di questa malattia – conclude il professor Bianco – è fondamentale che tutti i setting assistenziali collaborino e che si rinsaldi quella rete di presa in carico, essenziale per una corretta gestione dei pazienti, in modo tale da facilitare l’accesso ai centri pneumologici specialistici per i pazienti con esigenze complesse in un contesto di piena collaborazione tra ospedale e territorio (hub & spoke)».
Pubblicato su IL MATTINO il giorno 24 novembre 2024 a firma di Marcella Travazza con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione Salute
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