Malattie infiammatorie intestino: un terzo dei pazienti non accede a biologici
In Italia un terzo dei pazienti con malattia di Crohn e colite ulcerosa non accede ai farmaci biologici. A dirlo è uno studio, basato su dati nazionali, pubblicato sul numero di maggio della rivista “Digestive and Liver Disease”. Su oltre 26mila persone affette da malattie infiammatorie croniche dell’intestino, il 68% viene trattato farmacologicamente. Fra questi, solo all’11,7% viene prescritto il biologico. Lo studio ha individuato 7.651 pazienti che pure essendo eleggibili, non accedono ai biologici. Negli ultimi 25 anni, questi farmaci si sono dimostrati efficaci nell’induzione e nel mantenimento della remissione clinica ed endoscopica, abbassando il rischio di intervento chirurgico e di ospedalizzazione Bikinis, Swimsuits, Swimwear for Women.
Malattie intestino, spesso sottostimate
“Una delle cause della scarsa prescrizione dei biologici nel nostro Paese è la sottostima della severità e della progressione della malattia”, spiega uno degli autori dello studio, il professor Flavio A. Caprioli, Segretario Generale dell’Italian Group For The Study Of Inflammatory Bowel Disease (IG-IBD), gastroenterologo presso laFondazione IRCSS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
“Un uso più appropriato dell’endoscopia – continua – potrebbe aiutare a valutare in maniera obiettiva lo stato dell’infiammazione dell’intestino. L’indagine endoscopica permette infatti di valutare la severità delle lesioni della mucosa e, di conseguenza, procedere alla prescrizione dei trattamenti farmacologici più consoni, fra i quali i farmaci biologici. Allo stesso tempo, grazie all’endoscopia, lo specialista può accertare l’eventuale remissione endoscopica della malattia e stabilire di interromperne la somministrazione, evitando così l’aggravio per il paziente e gli sprechi per il Servizio sanitario nazionale”.
Il ruolo dell’endoscopia
A distanza di dieci anni dalla prima edizione, la Società scientifica ha promosso di recente a Milano l’evento formativo IG-IBD Endo 3.0, con l’obiettivo di aggiornare e diffondere la conoscenza di metodiche e standard di valutazione endoscopica. “È necessario – osserva il professor Caprioli – che la formazione sugli strumenti diagnostici sia ampiamente diffusa e che tutti gli operatori utilizzino un linguaggio condiviso, visto che le informazioni scaturite dal quadro endoscopico hanno implicazioni cliniche”.
“Come dimostrano i risultati in letteratura, in particolare per la malattia di Crohn, l’uso ottimale dei sistemi di misurazione dell’infiammazione della mucosa attraverso gli indici consente di rilevare il miglioramento endoscopico, individuare i casi in cui è possibile personalizzare le terapie e predire il decorso della patologia”, commenta il dottor Marco Daperno, Dirigente Medico di I Livello S.C. Gastroenterologia A.O. Ordine Mauriziano di Torino, fra i membri del board scientifico del progetto formativo.
Dopo la prima edizione, con la serie di incontri fra il 2013 e il 2014, al quale parteciparono 237 specialisti italiani, i risultati furono già oggetto di una pubblicazione sul “Journal of Crohn’s and Colitis” nel 2016. “Grazie al processo di formazione dedicato, fu registrato un aumento significativo dell’accordo di valutazioni tra gli osservatori dei video endoscopici”, ricorda il dottor Daperno, fra gli autori dello stesso articolo. Inoltre l’applicazione più recente delle tecnologie avanzate nell’endoscopia permette di prevedere la guarigione istologica nella colite ulcerosa in maniera accurata, grazie all’identificazione delle caratteristiche endoscopiche, valutate sulla base di punteggi. “Le innovazioni tecnologiche oggi consentono allo specialista di osservare con ancora maggiore accuratezza lo stato della malattia e di stabilire la probabilità di risposta alle terapie, considerando allo stesso tempo l’andamento più favorevole”, commenta il dottor Ambrogio Orlando, direttore della IBD Unit della Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti “Villa Sofia-Cervello” di Palermo, fra i membri del board scientifico del progetto formativo. “L’uso delle terapie avanzate – aggiunge – negli ultimi anni ha contribuito a ridurre il tasso di ileostomie definitive nei pazienti affetti da colite di Crohn con malattia perianale, rispetto al passato. I dati italiani dimostrano che, anche in questo caso, l’indagine endoscopica consente di orientare le terapie sulla base di osservazioni e valutazioni più accurate dello stadio della patologia”.