Tempo di lettura: 7 minutiOggi, 21 marzo, è la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Quest’anno il tema è: “Stop agli stereotipi”. L’obiettivo è, infatti, superare le concezioni limitanti che spesso circondano le persone con sindrome di Down. In tal senso molti passi sono stati fatti, ma la strada è ancora lunga. La Giornata è stata istituita nel 2012 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il l’unto è stato fatto in un incontro in vista della ricorrenza di oggi.
Sindrome di Down
«La sindrome di Down è una nota condizione genetica, caratterizzata dalla trisomia del cromosoma 21 e rappresenta la più frequente causa di disabilità intellettiva. In Italia circa 1 bambino su mille nasce con questa condizione. Oggi si contano circa 38 mila persone con sindrome di Down, di cui 23 mila già adulte. Nel mondo questa cifra raggiunge 5,4 milioni. La durata della vita è aumentata enormemente negli ultimi cinquant’anni. Oggi, grazie al progresso della medicina, l’80% delle persone con sindrome di Down raggiunge i 55 anni e 1 su 10 i 70 anni. Un maggior accesso alle cure mediche, inoltre, ha favorito una migliore qualità della vita.
In passato le persone con disabilità intellettive erano spesso costrette ad un maggior isolamento, anche all’interno dello stesso nucleo familiare, a causa del fatto che la sindrome di Down veniva considerata uno stigma. Il passaggio a una vita comunitaria e familiare più integrate sembra aver contribuito anche a una vita più lunga. Questo non significa che va tutto bene. Anzi, ci sono ancora molti gaps da colmare. L’accesso alle risorse mediche e ai servizi di supporto è ancora insufficiente», ha sottolineato il Professor Eugenio Barone, Professore Ordinario di Biochimica, Sapienza Università di Roma, Presidente del Comitato Organizzatore della Conferenza Internazionale sulla sindrome di Down.
Conferenza Internazionale a Roma
Durante l’incontro è stata annunciata la Conferenza Internazionale sulla Sindrome di Down, promossa dalla Trisomy 21 Research Society (T21RS), che si terrà a Roma dal 5 all’8 giugno 2024, presso l’Università Sapienza e il Centro Congressi La Nuvola. Verranno presentati gli ultimi dati e aggiornamenti relativi alla ricerca scientifica sulla sindrome di Down, nonché un’intera sessione, “l’Industry session”, in cui le principali aziende farmaceutiche e i gruppi di ricerca internazionali coinvolti in sperimentazioni cliniche sulla sindrome di Down, siederanno intorno allo stesso tavolo per discutere lo stato di avanzamento dei lavori e gli obiettivi futuri.
«Come Amministrazione siamo orgogliosi di poter annunciare che sarà Roma la sede della Conferenza Internazionale sulla Sindrome di Down che si terrà dal 5 all’8 giugno 2024. Un evento che abbiamo fortemente sostenuto poiché renderà la Capitale la città di riferimento della comunità scientifica internazionale impegnata nella ricerca genetica e clinica e imprimerà ancora più forza alla battaglia di civiltà in favore delle persone con sindrome di Down. La ricorrenza della Giornata Mondiale della Sindrome di Down è un’occasione importante per dare impulso ad azioni di sensibilizzazione ed educazione per contrastare gli stereotipi e le discriminazioni che ancora oggi, troppo spesso, impediscono alle persone con questa sindrome di esser accettate e di integrarsi pienamente nella vita sociale», ha dichiarato Sabrina Alfonsi, Assessora all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei rifiuti di Roma Capitale.
Nei centri di eccellenza
Nel nostro Paese ci sono centri di eccellenza che prevedono percorsi integrati per le persone con sindrome di Down. «Da oltre 10 anni l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è attivo un Centro dedicato alle persone con sindrome di Down che, attualmente, segue oltre 900 bambini e ragazzi provenienti da tutta Italia. Si tratta di un percorso clinico-diagnostico integrato, pensato in modo che le visite specialistiche e gli esami diagnostici necessari vengano coordinati e garantiti nella stessa giornata per aiutare le famiglie a eseguire i controlli raccomandati dalle linee guida internazionali. Per assicurare la migliore qualità di vita possibile alle persone con sindrome di Down, l’Ospedale affianca all’attività clinica e assistenziale multi-specialistica l’impegno sul fronte della ricerca scientifica. Insieme all’Università Sapienza collabora agli studi sullo sviluppo precoce della malattia di Alzheimer. Inoltre con alcuni Istituti di ricerca statunitensi studia l’evoluzione naturale della sindrome di Down.
Con l’obiettivo ultimo di accrescere il benessere delle famiglie, il Bambino Gesù ha attivato delle apposite convenzioni: con la Regione Calabria per evitare spostamenti lunghi e faticosi per le cure e con la Fondazione Policlinico Gemelli per accompagnare la transizione delle persone con sindrome di Down che entrano nell’età adulta attraverso la collaborazione tra le équipe dei due ospedali, condividendo i piani di cura e aiutando i nuclei familiari a diventare il più possibile autonomi nella gestione dell’ambito sanitario», ha spiegato il Professor Alberto Villani, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa Pediatria Generale e DEA II livello Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Al Gemelli
«Dal 2010 in poi abbiamo aperto un servizio per le persone adulte, rendendo possibile la transizione dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto. L’attività svolta riguarda la presa in carico, la valutazione e assistenza clinica, coinvolgendo molti degli specialisti che lavorano nel Policlinico Gemelli, il monitoraggio dei controlli di salute, la gestione delle situazioni di crisi. Per le persone più “anziane” vengono valutati e gestiti gli aspetti clinici legati alla demenza e al fine vita. Dall’ottobre 2022, il lavoro di transizione alle terapie dell’adulto si è ampliato e arricchito dopo la stipula della convenzione tra il Gemelli e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sulla continuità delle cure nella sindrome di Down.
Inoltre, il Policlinico Gemelli sta collaborando ad un’iniziativa dell’Istituto Superiore di Sanità volta a censire i centri clinici nazionali che si occupano di sindrome di Down e a sviluppare un registro nazionale focalizzato su questa condizione», ha continuato il Professor Graziano Onder, Direttore Unità Operativa Complessa Medicina e Cure Palliative Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore.
La ricerca
«La Trisomy 21 Research Society (T21RS) è la prima organizzazione scientifica no-profit di ricercatori che studiano la sindrome di Down. È stata fondata 10 anni fa e si propone di facilitare l’interazione permanente tra i ricercatori che studiano la sindrome di Down. Siamo impegnati nell’armonizzazione dei protocolli sperimentali che riguardano sia la ricerca preclinica che per la ricerca traslazionale sull’uomo, sosteniamo l’istruzione e la formazione dei giovani ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, siamo impegnati nella divulgazione dei i recenti risultati relativi agli studi sulla sindrome di Down al grande pubblico e, non meno importante, cerchiamo di informare i legislatori e le istituzioni sulle nuove conoscenze scientifiche, sui recenti sviluppi e sulle loro implicazioni per la politica, la salute pubblica e la società», ha commentato la Dottoressa Marie Claude Potier, Direttore del Centre National de la Recherche Scietifique di Parigi e Presidente della Trisomy 21 Research Society (T21RS).
Task Force per la sindrome di Down
Nell’ottobre 2020, in occasione del 4° convegno scientifico nazionale su “Sindrome di Down: dalla Ricerca alla Terapia”, è nata la Task Force per la sindrome di Down (DS Task Force). «È un gruppo di persone, soprattutto ricercatori, provenienti da diversi settori, con l’obiettivo di operare in favore delle persone con sindrome di Down, facilitando lo sviluppo di idee, creando nuove opportunità, rispondendo a domande e risolvendo problemi. I suoi membri operano a livello internazionale, fornendo rilevanti contributi in organismi quali la T21RS e la Fondazione Jérôme Lejeune. Attualmente la Task Force sta aggiornando le Linee Guida sul management della sindrome di Down e partecipa alla creazione di un Registro Nazionale della sindrome di Down», ha spiegato il Professor Lucio Nitsch, Professore Emerito di Biologia Applicata, Università di Napoli Federico II e Coordinatore della Italian Down syndrome Task Force.
Sensibilizzare
«Solo nel nostro Paese si stimano circa 38mila persone affette dalla sindrome di Down, un bambino ogni mille nati, è portatore di questa anomalia genetica. Questi dati devono farci riflettere sulla necessità di affrontare in maniera rigorosa ogni argomento riguardante i diversi aspetti della sindrome di Down, ricordandoci che dietro i numeri ci sono persone e quanti se ne prendono cura. Il tema a cui è dedicata quest’anno la giornata mondiale della sindrome di Down, “Stop agli stereotipi”, ci invita a lavorare su un aspetto non banale che accompagna le persone affette dalla sindrome di Down: stereotipi e tutto quel bagaglio di informazioni sbagliate che influenzano la percezione di questa condizione genetica. Questi elementi alimentano discriminazioni, trattamenti», ha sottolineato la Professoressa Antonella Polimeni, Magnifica Rettrice Sapienza Università di Roma.
Rischio di Alzheimer nelle persone con sindrome di Down
«Come per tutti gli adulti, l’avanzare dell’età aumenta anche le possibilità che una persona con sindrome di Down sviluppi la malattia di Alzheimer. Diversi studi, infatti, mostrano che già a partire dai 40 anni, le persone con sindrome di Down presentano livelli significativi di proteina beta-amiloide e di proteina tau, che sono depositi proteici anomali considerati segni distintivi della malattia di Alzheimer, a livello cerebrale. In questo caso, la ricerca scientifica sta facendo passi significativi. A livello internazionale si sta lavorando affinché le persone con sindrome di Down possano essere incluse nelle sperimentazioni cliniche già avviate che stanno testando nuove molecole per la cura della malattia di Alzheimer», ha continuato il Professor Barone.
Ruolo del caregiver
«La famiglia resta il fulcro dell’assistenza, anche in età adulta. Secondo l’indagine “Non uno di meno” di Censis e AIPD Associazione Italiana Persone Down, in molti vivono in ambito familiare, soprattutto con i genitori (55,3%) o con genitori e fratelli (36,6%), a seconda dell’età. Tra i più anziani è significativa la percentuale di chi vive con i fratelli e/o la loro famiglia (26,2%). Si capisce, quindi, come le questioni collegate, ossia caregiver, progetto di vita e dopo di noi, risultino fondamentali. Non a caso, per quanto riguarda i caregiver, da sempre Anffas ha evidenziato che il familiare e caregiver non va inteso come persona costretta a sostituire la carenza di servizi integrati su un dato territorio, che vanno sempre garantiti, ma come chi si pone spontaneamente al fianco della persona con disabilità e in sinergia con la rete integrata di servizi. Si rende quindi necessario costruire attorno alla persona con disabilità e al suo caregiver un sistema integrato di interventi, servizi e prestazioni e ri-pensare un welfare di comunità. Un obiettivo a cui come Anffas lavoriamo costantemente anche attraverso la partecipazione al “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari” istituito dal Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone», ha spiegato il Dottor Roberto Speziale, Presidente Nazionale Anffas.
Inclusione
«Il numero sempre crescente di persone con disabilità intellettiva che oggi lavorano con successo è un segnale di quanto sia cambiata la nostra società. Ma questo si verifica dove le associazioni seguono e indirizzano le aziende nei percorsi di formazione, quando non c’è un forte tessuto associativo non c’è lavoro per le persone con disabilità. Cambiare lo sguardo con cui ci si approccia alla disabilità è la sfida che CoorDown affronta da 12 anni. Per il 2024 abbiamo deciso di lanciare con il film ” Assume That I Can”, pensa che io possa, un messaggio di attivazione, che punta a coinvolgere l’intera società, non solo la nostra comunità, perché la disabilità riguarda davvero tutti e tutti devono poter agire per cambiare la cultura che determina la discriminazione», ha sottolineato Antonella Falugiani, Presidente Coordown.
«Lo stereotipo più comune è che le persone con sindrome di Down sono sempre felici, eterni bambini e incapaci di portare a termine compiti specifici. E questo nell’ambito lavorativo limita fortemente le opportunità di chi vive questa condizione, alimentando un ambiente di discriminazione ed esclusione. Eliminiamo i pregiudizi e iniziamo a riconoscere il loro pieno valore e le loro possibili potenzialità. Ogni persona con sindrome di Down ha delle proprie passioni e delle proprie capacità da offrire alla società», ha concluso Gianfranco Salbini, Presidente Associazione Italiana Persone Down (AIPD).