Tempo di lettura: 5 minutiSono circa 564.000 gli italiani con pregressa diagnosi di tumore della prostata. Si tratta della neoplasia più frequente nella popolazione maschile. Oggi rappresenta oltre il 19,8 per cento di tutti i tumori diagnosticati negli uomini, tanto che solo nel 2022 sono stati 40.500 i nuovi casi. La Fondazione Onda ha assegnato i riconoscimenti alle migliori strutture ospedaliere che si sono distinte nel nostro Paese per l’approccio all’avanguardia e interdisciplinare nella gestione delle complicanze funzionali post trattamento per questo tumore.
Tumore della prostata, i migliori ospedali in Italia
Per contribuire a migliorare la qualità e l’accesso ai servizi sanitari per la diagnosi e il trattamento precoce di questa malattia e promuovere un’assistenza multidisciplinare e qualificata, Fondazione Onda, con il contributo non condizionante di Boston Scientific Italia, ha indetto il Concorso Best Practice. Sono stati premiati gli ospedali italiani, partendo dal network del Bollino Azzurro, distinti per l’approccio all’avanguardia e interdisciplinare nella gestione delle complicanze funzionali urinarie e sessuali post trattamento per il tumore della prostata.
Un comitato di esperti ha esaminato le 56 candidature pervenute e ha premiato come Best Practice 13 strutture: 5 per i migliori percorsi ospedalieri per la gestione delle complicanze funzionali urinarie e sessuali post trattamento e 8 per la gestione delle complicanze funzionali sessuali post trattamento. Due strutture, inoltre, hanno ricevuto una menzione d’onore come centri di eccellenza e di riferimento. Tutte le altre 41 strutture hanno ricevuto una menzione speciale per l’impegno e l’attenzione.
«Siamo lieti di dedicare quest’edizione del Concorso Best Practice alla salute maschile e in particolare, a quelle strutture che si sono distinte per la creazione di percorsi dedicati alla gestione delle complicanze funzionali post trattamento per tumore della prostata. L’iniziativa parte dal Bollino Azzurro, nato di recente proprio con l’idea di costruire una rete di ospedali che si occupano di tumore prostatico, al fine di offrire alla popolazione l’opportunità di essere correttamente informata, come nel caso delle problematiche funzionali legate al post-trattamento. Il fine ultimo dell’iniziativa è ovviamente promuovere un’assistenza multidisciplinare e qualificata da parte del personale sanitario che possa migliorare la qualità della vita dei pazienti», dichiara Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.
Il vissuto dei pazienti
Le stime indicano che una gran parte dei pazienti che ha subito un intervento chirurgico radicale, come la prostatectomia per l’asportazione del tumore, sviluppa problemi funzionali di incontinenza urinaria e disfunzione erettile. Si tratta di condizioni che non solo spesso sono resistenti alle terapie farmacologiche, ma che comportano anche un impatto devastante in termini personali e sociali, segnando spesso l’inizio di un difficile percorso. Una situazione, confermata dalla recente indagine “Tumore della prostata e complicanze post operatorie: stato dell’arte, criticità e prospettive future“ condotta da Elma Research, in collaborazione con Boston Scientific Italia, che ha voluto indagare sul vissuto e sulle aspettative dei pazienti ed esplorare il grado di conoscenza, percezione ed esperienza da parte degli urologi. Ne deriva un’immagine sconfortante, soprattutto se confrontata con quella delle donne che su questo fronte hanno fatto passi importanti e che dopo una mastectomia, trovano più ascolto, tutele, prospettive. Anzi, secondo l’indagine, non tutti i pazienti che sviluppano complicanze funzionali ricevono un trattamento adeguato. Infatti, il 33 per cento dei pazienti con incontinenza urinaria e il 35 per cento dei pazienti con disfunzione erettile non viene sottoposto ad alcun tipo di terapia. Fra i rimedi per le complicanze funzionali post-chirurgiche l’urologo propone principalmente i trattamenti riabilitativi, mentre la chirurgia protesica rimane l’ultima spiaggia.
«Quando si affronta l’argomento di una malattia oncologica, sia a livello tecnico-scientifico che mediatico-comunicativo, l’attenzione viene giustamente focalizzata sulla prevenzione, sull’importanza di una diagnosi, sulla terapia e sul follow-up. Al contrario, si parla poco di tutte quelle complicanze funzionali che seguono il trattamento, tema invece ormai ben noto anche ai nostri pazienti e che incide pesantemente sulla loro qualità di vita anche se guariti dal punto di vista oncologico.» aggiunge Roberto Carone, Presidente emerito FIC, Fondazione Italiana Continenza – già primario della Neuro-Urologia e Unità Spinale, AOU Città Della Salute.
Le complicanze
«La gestione delle complicanze del tumore della prostata ha assunto un’importanza fondamentale oggigiorno non solo perché rappresenta il tumore più frequente nel sesso maschile ma specialmente perché viene diagnosticato sempre più precocemente e quindi si vuole salvaguardare anche la qualità di vita dell’individuo. Il problema della disfunzione erettile, inoltre, oltre ad intaccare fortemente la serenità ed autostima dell’uomo si riflette in modo altrettanto significativo anche sulla partner, minando il rapporto di coppia e la complicità di una relazione. Fortunatamente esistono terapie mediche e chirurgiche che ci permettono di risolvere sempre questa complicanza e quindi diventa fondamentale poter offrire un servizio di cura e presa in carico del paziente nel follow-up post trattamento del carcinoma della prostata. In tal senso è nata l’idea di monitorare e premiare quelle strutture ospedaliere che già offrono tali servizi nella speranza che essi possano diventare esempio trainante anche per gli altri presidi al momento non operativi», commenta Carlo Bettocchi, Direttore USD di Andrologia e Chirurgia Ricostruttiva dei genitali Esterni, Policlinico Riuniti di Foggia.
La prevenzione del tumore della prostata
«È fondamentale portare avanti iniziative che aiutino a tenere accesa l’attenzione su malattie così importanti e complesse come il tumore della prostata. C’è sempre molto da fare in questo ambito e ringrazio Fondazione Onda per l’impegno e l’attenzione su queste tematiche: occorre che arrivino a tutti informazioni precise, accurate e reali su come si previene e si cura questa patologia. La prevenzione in particolare deve sempre essere il pilastro su cui fondare le proprie azioni, sia per le singole persone, sia per chi pianifica e gestisce le risorse, anche perché è provato che porti benefici per tutto il sistema» conclude Guido Bertolaso, Assessore al Welfare, Regione Lombardia.
L’iniziativa è realizzata in collaborazione con Regione Lombardia e con il patrocinio di AURO – Associazione Urologi Italiani, Europa Uomo Onlus, FIC – Fondazione Italiana Continenza, FINCOPP – Federazione Italiana Incontinenti e Disfunzioni del Pavimento Pelvico, SIA – Società Italiana Andrologia, SIU – Società Italiana di Urologia, SIUrO – Società Italiana di Uro-Oncologia e Società Italiana di Urodinamica.
I premi
Due menzioni d’onore:
‘Come centro di eccellenza e di riferimento per la gestione delle complicanze funzionali post operatorie del tumore della prostata’
- AziendaOspedalieroUniversitariaCittàdellaSaluteedellaScienzadiTorino – Ospedale Molinette e Ospedale CTO (Piemonte, Torino)
- Azienda Ospedaliero Universitaria di Foggia – Ospedali Riuniti (Puglia, Foggia)
13 best practices:
‘Per i migliori percorsi ospedalieri per la gestione delle complicanze funzionali urinarie e sessuali post operatorie del tumore della prostata’
- Azienda Ospedaliero Universitaria di Parma (Emilia Romagna, Parma)
- ASL Roma 6 – Ospedale S. Sebastiano (Lazio, Frascati, RM)
- Azienda Ospedaliero Universitaria San Luigi Gonzaga (Piemonte, Orbassano, TO)
- Azienda Ospedaliera S. Croce e Carle – Ospedale S. Croce (Piemonte, Cuneo)
- Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico (Puglia, Bari)
‘Per i migliori percorsi ospedalieri per la gestione delle complicanze funzionali sessuali post operatorie del tumore della prostata’
- Policlinico di Sant’Orsola – IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna (Emilia Romagna, Bologna
- ASL CN 2 – Ospedale Michele e Pietro Ferrero (Piemonte, Verduno, CN)
- Azienda Sanitaria Alto Adige – Ospedale provinciale di Bolzano (Trentino Alto Adige, Bolzano)
- AUSL Valle d’Aosta – Ospedale Regionale Umberto Parini (Valle D’Aosta, Aosta)
- AULSS 2 Marca Trevigiana – Ospedale Ca’ Foncello di Treviso (Veneto, Treviso)
- AULSS 8 Berica – Ospedale S. Bortolo (Veneto, Vicenza)
- Azienda Ospedale – Università Padova – Ospedale Sant’Antonio (Veneto, Padova)
- Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona – Ospedale di Borgo Trento (Veneto, Verona)
Tumore della prostata, i 13 ospedali al “top” nel post trattamento
News Presa, PrevenzioneSono circa 564.000 gli italiani con pregressa diagnosi di tumore della prostata. Si tratta della neoplasia più frequente nella popolazione maschile. Oggi rappresenta oltre il 19,8 per cento di tutti i tumori diagnosticati negli uomini, tanto che solo nel 2022 sono stati 40.500 i nuovi casi. La Fondazione Onda ha assegnato i riconoscimenti alle migliori strutture ospedaliere che si sono distinte nel nostro Paese per l’approccio all’avanguardia e interdisciplinare nella gestione delle complicanze funzionali post trattamento per questo tumore.
Tumore della prostata, i migliori ospedali in Italia
Per contribuire a migliorare la qualità e l’accesso ai servizi sanitari per la diagnosi e il trattamento precoce di questa malattia e promuovere un’assistenza multidisciplinare e qualificata, Fondazione Onda, con il contributo non condizionante di Boston Scientific Italia, ha indetto il Concorso Best Practice. Sono stati premiati gli ospedali italiani, partendo dal network del Bollino Azzurro, distinti per l’approccio all’avanguardia e interdisciplinare nella gestione delle complicanze funzionali urinarie e sessuali post trattamento per il tumore della prostata.
Un comitato di esperti ha esaminato le 56 candidature pervenute e ha premiato come Best Practice 13 strutture: 5 per i migliori percorsi ospedalieri per la gestione delle complicanze funzionali urinarie e sessuali post trattamento e 8 per la gestione delle complicanze funzionali sessuali post trattamento. Due strutture, inoltre, hanno ricevuto una menzione d’onore come centri di eccellenza e di riferimento. Tutte le altre 41 strutture hanno ricevuto una menzione speciale per l’impegno e l’attenzione.
«Siamo lieti di dedicare quest’edizione del Concorso Best Practice alla salute maschile e in particolare, a quelle strutture che si sono distinte per la creazione di percorsi dedicati alla gestione delle complicanze funzionali post trattamento per tumore della prostata. L’iniziativa parte dal Bollino Azzurro, nato di recente proprio con l’idea di costruire una rete di ospedali che si occupano di tumore prostatico, al fine di offrire alla popolazione l’opportunità di essere correttamente informata, come nel caso delle problematiche funzionali legate al post-trattamento. Il fine ultimo dell’iniziativa è ovviamente promuovere un’assistenza multidisciplinare e qualificata da parte del personale sanitario che possa migliorare la qualità della vita dei pazienti», dichiara Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.
Il vissuto dei pazienti
Le stime indicano che una gran parte dei pazienti che ha subito un intervento chirurgico radicale, come la prostatectomia per l’asportazione del tumore, sviluppa problemi funzionali di incontinenza urinaria e disfunzione erettile. Si tratta di condizioni che non solo spesso sono resistenti alle terapie farmacologiche, ma che comportano anche un impatto devastante in termini personali e sociali, segnando spesso l’inizio di un difficile percorso. Una situazione, confermata dalla recente indagine “Tumore della prostata e complicanze post operatorie: stato dell’arte, criticità e prospettive future“ condotta da Elma Research, in collaborazione con Boston Scientific Italia, che ha voluto indagare sul vissuto e sulle aspettative dei pazienti ed esplorare il grado di conoscenza, percezione ed esperienza da parte degli urologi. Ne deriva un’immagine sconfortante, soprattutto se confrontata con quella delle donne che su questo fronte hanno fatto passi importanti e che dopo una mastectomia, trovano più ascolto, tutele, prospettive. Anzi, secondo l’indagine, non tutti i pazienti che sviluppano complicanze funzionali ricevono un trattamento adeguato. Infatti, il 33 per cento dei pazienti con incontinenza urinaria e il 35 per cento dei pazienti con disfunzione erettile non viene sottoposto ad alcun tipo di terapia. Fra i rimedi per le complicanze funzionali post-chirurgiche l’urologo propone principalmente i trattamenti riabilitativi, mentre la chirurgia protesica rimane l’ultima spiaggia.
«Quando si affronta l’argomento di una malattia oncologica, sia a livello tecnico-scientifico che mediatico-comunicativo, l’attenzione viene giustamente focalizzata sulla prevenzione, sull’importanza di una diagnosi, sulla terapia e sul follow-up. Al contrario, si parla poco di tutte quelle complicanze funzionali che seguono il trattamento, tema invece ormai ben noto anche ai nostri pazienti e che incide pesantemente sulla loro qualità di vita anche se guariti dal punto di vista oncologico.» aggiunge Roberto Carone, Presidente emerito FIC, Fondazione Italiana Continenza – già primario della Neuro-Urologia e Unità Spinale, AOU Città Della Salute.
Le complicanze
«La gestione delle complicanze del tumore della prostata ha assunto un’importanza fondamentale oggigiorno non solo perché rappresenta il tumore più frequente nel sesso maschile ma specialmente perché viene diagnosticato sempre più precocemente e quindi si vuole salvaguardare anche la qualità di vita dell’individuo. Il problema della disfunzione erettile, inoltre, oltre ad intaccare fortemente la serenità ed autostima dell’uomo si riflette in modo altrettanto significativo anche sulla partner, minando il rapporto di coppia e la complicità di una relazione. Fortunatamente esistono terapie mediche e chirurgiche che ci permettono di risolvere sempre questa complicanza e quindi diventa fondamentale poter offrire un servizio di cura e presa in carico del paziente nel follow-up post trattamento del carcinoma della prostata. In tal senso è nata l’idea di monitorare e premiare quelle strutture ospedaliere che già offrono tali servizi nella speranza che essi possano diventare esempio trainante anche per gli altri presidi al momento non operativi», commenta Carlo Bettocchi, Direttore USD di Andrologia e Chirurgia Ricostruttiva dei genitali Esterni, Policlinico Riuniti di Foggia.
La prevenzione del tumore della prostata
«È fondamentale portare avanti iniziative che aiutino a tenere accesa l’attenzione su malattie così importanti e complesse come il tumore della prostata. C’è sempre molto da fare in questo ambito e ringrazio Fondazione Onda per l’impegno e l’attenzione su queste tematiche: occorre che arrivino a tutti informazioni precise, accurate e reali su come si previene e si cura questa patologia. La prevenzione in particolare deve sempre essere il pilastro su cui fondare le proprie azioni, sia per le singole persone, sia per chi pianifica e gestisce le risorse, anche perché è provato che porti benefici per tutto il sistema» conclude Guido Bertolaso, Assessore al Welfare, Regione Lombardia.
L’iniziativa è realizzata in collaborazione con Regione Lombardia e con il patrocinio di AURO – Associazione Urologi Italiani, Europa Uomo Onlus, FIC – Fondazione Italiana Continenza, FINCOPP – Federazione Italiana Incontinenti e Disfunzioni del Pavimento Pelvico, SIA – Società Italiana Andrologia, SIU – Società Italiana di Urologia, SIUrO – Società Italiana di Uro-Oncologia e Società Italiana di Urodinamica.
I premi
Due menzioni d’onore:
‘Come centro di eccellenza e di riferimento per la gestione delle complicanze funzionali post operatorie del tumore della prostata’
13 best practices:
‘Per i migliori percorsi ospedalieri per la gestione delle complicanze funzionali urinarie e sessuali post operatorie del tumore della prostata’
‘Per i migliori percorsi ospedalieri per la gestione delle complicanze funzionali sessuali post operatorie del tumore della prostata’
Diabete, le 10 fake news più diffuse
Alimentazione, News Presa, PrevenzioneQuando si parla di diabete è facile incorrere in stereotipi e false credenze, si tratta di una malattia complessa che racchiude in sé diverse tipologie. Il diabete può essere di tipo 1 in assenza la secrezione insulinica, questa forma in passato veniva definita diabete giovanile proprio perché compare principalmente nei bambini e nei giovani. Il diabete di tipo 2, invece, è dato da una ridotta sensibilità dell’organismo all’insulina normalmente prodotta da parte dei tessuti bersaglio (fegato, muscolo e tessuto adiposo), e/o da una ridotta secrezione di insulina da parte del pancreas. Il diabete di tipo 2 compare invece tendenzialmente negli adulti.
“Il diabete è una condizione cronica che coinvolge molti aspetti della vita e le “fake news” possono plasmare le percezioni e indurre comportamenti sbagliati che possono avere conseguenze gravi anche per la salute – ha sottolineato Riccardo Candido, Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD). “È fondamentale smantellare le falsità che circondano la patologia e promuovere una comprensione più approfondita per ridurre lo stigma e migliorare la qualità della vita dei pazienti – ha continuato – offrendo l’accesso a informazioni accurate”.
I numeri
Oggi il diabete ha una prevalenza in continua crescita e viene identificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come una priorità globale per tutti i sistemi sanitari. Secondo gli ultimi dati dell’ International Diabetes Federation (IDF), nel mondo sono più di mezzo miliardo le persone che convivono con questa patologia. In Italia si stima siano quasi 5 milioni, mentre 1 milione non sa di avere il diabete e circa 4 milioni sono ad alto rischio di svilupparlo.
La Giornata Mondiale del Diabete
Il 14 novembre si celebra la Giornata Mondiale del Diabete. Istituita nel 1991 è un occasione per sensibilizzare sulla prevenzione di questa patologia in costante aumento e diffondere una corretta informazione. In questo contesto nasce la campagna di Theras, per fare chiarezza sui falsi miti più diffusi. Dal 6 novembre coinvolgerà alcune delle principali città italiane attraverso la diffusione di frasi “corrette” sui pregiudizi più noti. Inoltre, cliccando o cercando sui social attraverso l’hashtag #FalsiMitiDiabete, la rete si aggiornerà di tutte le personali false credenze che gli utenti vorranno scrivere oltre a quelle di alcuni influencer che contribuiranno a far crescere l’attenzione sul tema.
10 fake news diffuse sul diabete
Per promuovere una maggiore consapevolezza e una migliore comprensione, lo specialista ha fatto chiarezza sui falsi miti più diffusi.
“Il diabete non è causato da un eccesso di zuccheri, ma da una mancanza assoluta di insulina nel tipo 1, e da una ridotta produzione di insulina associata a una ridotta sensibilità insulinica nel tipo 2. Questo ormone, normalmente, garantisce che il livello di zucchero nel sangue sia sempre lo stesso, indipendentemente dalla quantità di dolci ingerita. L’eccessivo consumo di grassi animali (saturi) e in minor misura l’eccesso di zuccheri semplici (dolci) può contribuire all’aumento di peso che a suo volta induce insulino-resistenza e comparsa di diabete di tipo 2”.
“In entrambe le forme di diabete più frequenti, si eredita una predisposizione genetica a sviluppare la malattia. La sola predisposizione genetica non è sufficiente ad ammalarsi. Certo, la familiarità conta, ma avere un padre o una nonna con la patologia non vuol dire che ci ammaleremo sicuramente, così come non aver nessun malato in famiglia, non può darci la certezza di evitare l’insorgenza di questa malattia, a meno che non osserviamo uno stile di vita sano, nel caso di diabete di tipo 2”.
“Le persone con diabete devono limitare gli zuccheri semplici (i dolci) per evitare il sovrappeso o l’obesità, così come le persone senza questa malattia, perché per loro questi sono i principali fattori di rischio per il tipo 2. Non si deve rinunciare per forza ai dolci, se consumati nelle occasioni speciali e seguendo i giusti accorgimenti ad esempio saltando il primo piatto se ne può fare uso. Fondamentale è invece che la persona con diabete consumi carboidrati complessi che dovrebbero rappresentare circa il 45-60% delle calorie giornaliere totali. Meglio prediligere gli amidi ricchi di fibre, come pane e pasta integrali o legumi”.
“Il tipo 1 si sviluppa più frequentemente nei giovani (0-18 anni) ma può presentarsi in qualsiasi età. Il tipo 2 è sì correlato all’età e la sua prevalenza aumenta con l’aumentare dell’età tanto che in passato era denominato diabete dell’”anziano”. In realtà con l’aumento importante del sovrappeso e dell’obesità nell’età giovanili in particolare negli adolescenti, il diabete di tipo 2 sta iniziando a comparire in età sempre più precoci”.
“L’insulina rappresenta la cura indispensabile per il diabete di tipo 1 fin dall’inizio. Nel tipo 2 si utilizzano altre terapie non insuliniche per cui la somministrazione di insulina viene il più possibile procrastinata in questa forma di diabete. Tuttavia ci possono essere diversi momenti nella storia di una persona con diabete di tipo 2 nelle quali l’insulina risulta utile come quando ci si trova di fronte a uno scompenso metabolico, durante un ricovero ospedaliero, in presenza di una malattia acuta od in occasione di interventi chirurgici. Affidarsi ai centri di diabetologia, per sapere se e quando iniziare le cure con l’insulina, è il consiglio più sicuro”.
“La frutta dovrebbe essere consumata con regolarità anche dalle persone con questa patologia. Sono indicata due porzioni di frutta al giorno se è possibile lontano dai pasti. Occorre sfatare finalmente il “falso mito” secondo cui chi ha il diabete dovrebbe mangiare solo mele verdi. Chi ha il diabete può mangiare tutti i tipi di frutta variando le porzioni a seconda del tipo di frutta e del suo contenuto zuccherino. È suggerito solo limitare il consumo di alcuni tipi di frutta, come ad esempio banane, fichi, uva, cachi e castagne che a parità di peso hanno un maggior contenuto di zucchero”.
“L’insulina è assolutamente necessaria per chi non riesce più a produrre questo ormone come è il caso delle persone con diabete di tipo 1. La sospensione della somministrazione di insulina in questo caso può portare al coma e alla morte. Questo falso mito è legato anche al bisogno dilagante di credere nelle terapie tutte naturali. È molto pericoloso, perché il desiderio di liberarsi dalle iniezioni di insulina è sempre forte nei malati di diabete. Purtroppo, però, rappresenta un’illusione con alto rischio di mortalità”.
“Il diabete gestazionale è un aumento della glicemia che si verifica nel secondo o terzo trimestre di gravidanza in donne a rischio e che riconosce un meccanismo causale simile a quello di tipo 2 essendo legato alla resistenza insulinica. Questa forma si risolve con il parto ma le donne che hanno avuto un diabete gestazionale restano a rischio molto elevato di sviluppare il tipo 2 negli anni se non seguono una alimentazione equilibrata, non svolgono attività fisica e non tengono sotto controllo il peso corporeo”.
“Chi soffre di questa malattia non deve mangiare dei “cibi speciali” ma deve seguire una alimentazione equilibrata come tutte le persone dovrebbero fare per mantenersi in salute. Per alimentazione equilibrata si intende ridurre al minimo gli zuccheri semplici (i dolci e le bevande zuccherate) prediligendo i carboidrati complessi (amidi ricchi di fibre, come pane e pasta integrali, cereali e legumi). L’alimentazione delle persone con questa malattia dovrebbe inoltre essere povera in grassi animali e ricca in frutta e verdure”.
“L’attività fisica è un ottimo strumento di prevenzione e cura di questa malattia. Anche nel diabete di tipo 1 l’attività fisica è fortemente consigliata non solo come strumento di miglioramento dell’andamento glicemico ma anche di socializzazione e miglioramento della qualità di vita. La persona con tipo 1 deve solo essere educata e formata alla gestione della terapia insulinica e dei carboidrati in corso di attività fisica per evitare l’ipoglicemia”.
Integratori, ecco cosa possono fare realmente
News Presa, PrevenzioneTutti alla ricerca dell’integratore miracoloso, quello che possa rafforzare il sistema immunitario ed evitarci una brutta influenza. Lo testimonia una ricerca di Integratori e Salute, l’associazione che rappresentata il comparto in Italia, dalla quale si certifica un boom di acquisti negli ultimi 10 anni pari al 144%. Beh, diciamolo subito, i miracoli è meglio lasciarli ad altri. Gli integratori possono essere molto importanti per il benessere e la salute, ma non si deve mai pensare di eliminare il vaccino.
Effetto booster
Francesco Landi, direttore del Dipartimento Scienze dell’Invecchiamento – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ed ex presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), autore di una revisione sul ruolo dei nutrienti e degli integratori dietetici negli anziani con long-Covid, spiega che una revisione di 200 studi che ha preso in analisi decine di composti ha dimostrato che solo pochi hanno un effetto booster sul sistema immunitario. Soprattutto, questo effetto si ottiene «soltanto su consiglio medico e se affiancati a una dieta equilibrata e a una regolare attività fisica».
Antinfiammatori
Ma, allora, a cosa servono realmente questi integratori? Landi chiarisce che alcune delle più solide evidenze nella ricerca sostenuta in parte dal Ministero della Salute e pubblicata sulla rivista Clinics in Geriatric Medicine, emerge il mix di arginina e vitamina C e la bromelina. In particolare, «l’arginina è un aminoacido prodotto naturalmente dall’organismo che stimola l’ossido nitrico, enzima chiave per una corretta funzione immunitaria e vascolare. La vitamina C, invece riduce lo stress ossidativo e migliora il rimodellamento vascolare». Anche la bromelina, un enzima derivato dal frutto e dal gambo dell’ananas, è considerato un agente antinfiammatorio.
Consultare il medico
È evidente, dunque, che non tutti gli integratori sono uguali e che si deve sempre fare attenzione ai prodotti che si scelgono. Il consiglio degli esperti è sempre quello di consultare e confrontarsi con il proprio medico per scegliere l’integratore giusto. Anche in vista della stagione influenzale e di una nuova eventuale ondata Covid, gli integratori possono avere effetti positivi, ma il vaccino continua a rappresentare la migliore forma di protezione. Pensare che un integratore possa sostituire un vaccino sarebbe un errore grave.
Melanoma, ora sappiamo come si formano le metastasi
Prevenzione, Ricerca innovazioneUn gruppo di ricerca del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, guidato dal professor Luigi Leanza e sostenuto dalla Fondazione AIRC, ha identificato il meccanismo chiave coinvolto nella formazione delle metastasi causate dal melanoma. Una notizia molto importante, che apre la strada a nuove possibilità di cura. Non certo un dettaglio, se si pensa che il melanoma è tutt’oggi una delle forme più letali di tumore della pelle e, per di più, con una rapida tendenza alla metastasi.
Lo studio
Pubblicata sulla rinomata rivista internazionale “Cell Death and Disease,” la ricerca ha rivelato che le cellule di melanoma possono esistere in due stati distinti. In uno stato differenziato, queste cellule possono proliferare, ma mostrano una minore tendenza alla metastasi, mentre in uno stato indifferenziato, le cellule diventano più invasive.
Melanogenesi
Anche se il tema è molto complesso, si può semplificare accettando di prendere confidenza con qualche termine un po’ “ostico”. Il primo è Transglutaminasi di tipo 2 (TG2), si tratta di una proteina precedentemente associata alla celiachia. Questa proteina svolge un ruolo cruciale nella regolazione della melanogenesi. Gli esperimenti di laboratorio condotti dal team di ricerca hanno evidenziato che un’elevata espressione di TG2 è correlata a una minore propensione delle cellule di melanoma a formare metastasi.
Differenziazione delle cellule
In particolare, TG2 potenzia indirettamente la capacità di attivare geni coinvolti sia nella differenziazione delle cellule che nella produzione di melanina. Di conseguenza, si verifica una riduzione della formazione di metastasi. In assenza di TG2 si ha una diminuzione della pigmentazione e della differenziazione delle cellule, nonché un aumento delle dimensioni delle metastasi. Questa scoperta potrebbe aprire nuove strade nella lotta contro il melanoma e nella sua potenziale cura.
Ucraina, orrore e soccorsi: gli psicologi in prima linea
PartnerImmagini, suoni, racconti di una vita stravolta dalla guerra. È il videoreportage firmato dal regista Riccardo Romani e intitolato “Dopo l’inverno: la liberazione della città ucraina di Bucha e la gestione psicologica dello stress post-tramautico”. Il cortometraggio, realizzato con il contributo della Fondazione Mesit – Medicina Sociale e Innovazione Tecnologica, esplora la vita nella città ucraina di Bucha a pochi giorni dalla liberazione dall’occupazione russa. Alcune delle psicologhe intervenute a supporto dei sopravvissuti, direttamente intervistate, raccontano una città irriconoscibile, in parte distrutta e priva dei servizi essenziali, e descrivono le manifestazioni dello stress post-traumatico e i delicati processi di “decompressione da isolamento”
Testimonianza
Una testimonianza importante presentata in anteprima a Roma, alla Sala Spadolini del Ministero della Cultura con la partecipazione del Sottosegretario al Ministero della Cultura, Lucia Borgonzoni. Un documentario raccontato attraverso le voci di alcune delle tante donne ucraine che hanno vissuto in prima linea il conflitto: combattenti, operatrici sanitarie, attiviste e volontarie, rifugiate, vittime e sopravvissute. Il racconto è ancor più prezioso se si considera che la violenza di genere, compresa quella sessuale, è uno strumento di guerra brutale e diffuso, anche se spesso invisibile alla cronaca a causa della vergogna e della paura delle vittime. Senza dubbio, si tratta di un’opportunità unica per aumentare la consapevolezza. Oltre a considerare le sfumature storiche, socio-politiche ed economiche, è fondamentale riconoscere che gli orrori della guerra costituiscono anche un ambito cruciale della medicina sociale. Questo perché le sue conseguenze, sia dal punto di vista fisico, psicologico che sociale, si estendono ben oltre i confini temporali, geografici e culturali.
La voce di Natalya
«Le news come sono concepite oggi – ha detto Romani – hanno perso la loro vocazione all’approfondimento e alla spiegazione. Il flusso di notizie è pensato esclusivamente per scatenare emozioni e, spesso, reazioni». Capire quel che succede? «Difficile. Ed è per questo che “Dopo l’inverno” è un piccolo progetto dal grande significato. Sono grato a Mesit e al dottor Trabucco Aurilio che hanno voluto dare risalto a questo reportage. La voce di Natalya Zeretza è di quelle che sarà difficile dimenticare». Sui gravissimi traumi provocati dalla guerra, e sul ruolo che gli psicologi possono e deve avere, è intervenuta Isabel Fernandez, psicologa e direttrice del Centro di Psicotraumatologia di Milano. «La guerra in Ucraina – ha detto – è stata la prima guerra dove gli psicologi hanno avuto un ruolo attivo dal primo giorno in cui è scoppiata, sostenendo la popolazione, i profughi in vari paesi europei. Il mondo ha potuto seguire in diretta questa guerra, tutti siamo stati esposti all’impatto emotivo della violenza, della morte e della distruzione a cui abbiamo assistito. L’impatto di questa guerra rimarrà nella popolazione e nelle generazioni future come fattore di rischio per la salute mentale e fisica. I costi saranno enormi a livello sanitario, anche quando tutto sarà finito».
Emdr
La dottoressa Fernandez, è utile ricordarlo, è anche presidente dell’associazione Emdr Italia. Un metodo, l’Emdr (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing), nato 30 anni fa, che punta a lavorare sullo stress generato da un’esperienza traumatica con un impatto emotivo forte, nei confronti di una persona, un nucleo familiare o un’intera comunità. Brutali, lo ha ricordato Nataliia Zaretska (psicologa e direttrice del Bucha Center for Psychological Assistance) sono state le tattiche di guerra degli occupanti, utilizzate sui civili ignorando il diritto internazionale umanitario. E sempre Zaretska ha poi ricordato a tutti quanto l’esperienza ucraina stia mostrando l’importanza di aiutare le persone a convertire il proprio vissuto, per quanto traumatico, in risorse interne da usare per la guarigione di sé stessi e il recupero del proprio paese. Un tema, quello della guerra e delle lacerazioni, anche interiori, che comporta, ancor più attuale alla luce di quanto sta accadendo a Gaza.
Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 5 novembre 2023 a firma di Arcangelo Barbato con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute
Influenza, senza vaccini mortalità triplicata con diabete
Anziani, News Presa, PrevenzioneOgni anno il virus dell’influenza assume sembianze diverse e causa tra le 250 e le 500 mila vittime, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un impatto che grava soprattutto sugli over 65, i fragili e i soggetti con patologie croniche, come il diabete.
Influenza o polmonite con diabete
“Il diabete è un fattore di rischio per esiti più gravi dell’influenza, basti pensare che aumenta di 1,7 volte il rischio di ricovero in terapia intensiva, di oltre 3,5 volte quello di ricovero per influenza o polmonite e di oltre 3 volte il rischio di mortalità. Ecco perché i diabetologi consigliano i loro pazienti alla vaccinazione che ha un elevato profilo di efficacia e sicurezza e abbatte significativamente i rischi, ad esempio quello di mortalità complessiva, allo 0,57%”. A fare il punto è la Professoressa Ilaria Dicembrini Associato di Endocrinologia all’Università degli Studi di Firenze e coordinatrice insieme alla Dott.ssa Valeria Sordi – San Raffaele (MI) del gruppo di Lavoro congiunto SID – AMD – SiTI Diabete e Vaccini.
Vaccino per l’influenza
Il Ministero della Salute considera le persone con diabete ad alto rischio di complicanze e mortalità. Per questo raccomanda la vaccinazione appena possibile. Il PNPV entrato in vigore lo scorso 7 settembre, integra il Piano Nazionale di Prevenzione (PNP) 2020-2025, che rappresenta uno degli strumenti per dare attuazione al Livello essenziale di assistenza (LEA) “Prevenzione collettiva e sanità pubblica”, anche attraverso le strategie vaccinali da applicare in maniera uniforme nel Paese. Il vaccino anti influenzale è fornito gratuitamente sia alle persone con diabete che ai loro familiari e contatti stretti.
Vaccino per l’herpes zoster
Inoltre la vaccinazione è disponibile anche contro l’herpes zoster, la cui incidenza aumenta di 1,52 volte nei diabetici e che può avere un grave impatto sulla qualità di vita (ad esempio la nevralgia posterpetica). La profilassi contro questo virus ha una efficacia del 91,2%, basti pensare che tra i soggetti con malattia diabetica i vaccinati la sviluppano nello 0,8% dei casi contro il 9,2% dei non vaccinati.
Fondamentale tempismo
“Il tempismo è importante per dare il tempo all’organismo di sviluppare la copertura anticorpale prima della diffusione del virus che avverrà con il calo delle temperature. Consigliamo quindi ai pazienti di non attendere” conclude il Professor Angelo Avogaro, Presidente SID.
Colonna cervicale e bacino: si opera con l’esoscopio in 3D
PartnerColonna cervicale e bacino. Una nuova meraviglia tecnologica ha arricchito le dotazioni della Clinica Ortopedica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli. «Si tratta di un esoscopio con un sistema di visione in 3D che ci consente di realizzare interventi molto delicati con una precisione e una libertà del campo operatorio prima impensabile», spiega il professor Enrico Pola, direttore della Clinica Ortopedica. E proprio l’equipe del professor Pola ha già impiegato l’esoscopio per tre interventi che hanno radicalmente cambiato la vita di altrettanti pazienti.
Colonna cervicale e bacino. Massima libertà
«Il grande vantaggio di questa tecnologia – chiarisce – è nella libertà che si aggiunge alla precisione delle immagini ingrandite e in 4K». In sala operatoria tutti sono chiamati ad indossare occhiali polarizzati, che permettono di osservare sui monitor i più piccoli dettagli del campo operatorio senza che si perda la profondità dell’immagine o la risoluzione. Il microscopio moderno è comunque utile e di grande attualità, ma l’esoscopio si avvale di una piccola telecamera che viene posizionata sul campo operatorio. Il direttore della Clinica Ortopedica spiega che questa tecnologia nasce per interventi di neurochirurgia, ma ora è stata scelta anche da altre branche. «La possibilità di operare osservando le immagini su un monitor frontale cambia anche la postura che con il microscopio siamo costretti ad assumere. Usando l’esoscopio abbiamo la possibilità di guardare il monitor e spostare il braccio robotico con la telecamera, continuando a operare in una posizione migliore».
Colonna cervicale e Chirurgia del bacino
Già adoperata per alcuni interventi di decompressione della colonna cervicale e lombare, ora l’equipe del professor Pola pianifica già di adoperarla per alcune operazioni di chirurgia del bacino particolarmente complesse. «L’implementazione delle dotazioni tecnologiche – ricorda il direttore generale Ferdinando Russo – è uno dei nostri obiettivi strategici, perché ci consente di aumentare la nostra attrattività, non solo nei confronti di utenti campani, ma anche di pazienti che arrivano da altre regioni per trovare qui da noi metodiche di intervento che altrove non sono disponibili». Facile comprendere i vantaggi in termini di precisione, ma la valenza di questa tecnologia – ricorda il professor Pola – è anche didattica. Visto che le immagini sono proiettate sui monitor posti alle spalle e frontalmente al chirurgo che in quel momento opera, i nostri specializzando possono seguire l’intervento osservando ogni singolo passo e dalla stessa prospettiva di chi ha il bisturi in mano.
Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 5 novembre 2023 a firma di Arcangelo Barbato con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute
Un prurito che colpisce a tutte le età
Partner, PrevenzioneUn intenso prurito che, nonostante il passare delle settimane non accenna a sparire. Può essere il sintomo di una malattia cronica chiamata prurigo nodularis, un dramma per moltissimi pazienti che per anni si sono dovuti accontentare di trattare i sintomi usando farmaci prevalentemente sintomatici con risultati scarsi e transitori. «Molto presto arriverà anche in Italia un farmaco biologico che finalmente potrà combattere i processi infiammatori che scatenano il prurito», spiega la professoressa Maddalena Napolitano. La specialista chiarisce poi quelli che sono i tratti distintivi di questa patologia. «Oltre al prurito, che è il sintomo dominante di questa condizione, si possono notare “segni” tipici sugli arti e sul tronco dei pazienti, vale a dire dei noduli disposti in modo simmetrico che possono confluire a formare delle vere e proprie placche. Questi noduli sono circondati da un alone violaceo e talvolta la loro superficie è erosa proprio in seguito all’intenso trattamento».
Qualità di vita
Facile comprendere come questa condizione finisca possa distruggere la qualità di vita dei pazienti, che non riescono più a riposare o a lavorare normalmente. L’impatto sulla qualità della vita è uno dei più alti tra le patologie cutanee infiammatorie con prurito cronico. Il prurito persistente, associato a bruciore, pizzicore e dolore, può infatti influenzare pesantemente il benessere fisico ed emotivo dei pazienti. Ancor peggio, gli attacchi di prurito possono emergere in qualunque momento della giornata, anche più volte e durare per ore. «Una condizione che può essere in alcuni casi devastante – aggiunge la professoressa Napolitano – addirittura peggiore per impatto sulla qualità di vita di condizioni come il diabete o storia di ictus. L’impatto sulla qualità della vita lavorativa è altrettanto incisivo». Molti pazienti dicono infatti di sentirsi costretti ad abbandonare il posto di lavoro qualora il prurito fosse ingestibile. In altri casi i pazienti si sentono poco compresi e per questo finiscono per omettere le reali motivazioni del loro assenteismo. La malattia diventa una enorme fonte di stress anche per un senso di abbandono da un punto di vista sanitario, ci si sente soli e compresi nella continua sofferenza.
Comorbilità
Come detto, la prurigo nodularis è una malattia cronica e l’infiammazione di tipo 2 (quella che soggiace a malattie come asma e dermatite atopica) gioca un ruolo importante. Napolitano spiega che «in una metà dei pazienti la prurigo nodularis si associa ad una condizione di atopia. Colpisce, in altre parole, pazienti che hanno, o hanno avuto, la dermatite atopica. O anche pazienti con asma». Nell’altro 50% dei casi la malattia si associa a patologie sistemiche come il diabete, l’insufficienza renale, infezioni gravi o condizioni paraneoplastiche. Tuttavia, la patogenesi è ancora poco chiara. Stando così le cose, è importante non solo arrivare ad una diagnosi, ma anche inquadrare correttamente il paziente. Ma qual è l’età nella quale si osserva la maggior parte dei casi? La dermatologa non ha dubbi: «Può colpire pazienti di ogni età, ma nella maggior parte dei casi insorge tra i 45-50 anni».
Nuove terapie
Nel mondo sono più di 680.000 le persone che convivono con la prurigo nodularis. La diagnosi è necessariamente clinica, in alcuni casi con il supporto di una biopsia che possa confermare aspetti istologici ricollegabili alla malattia. Il percorso di cura è invece unico e, come detto, la buona notizia è che oggi finalmente un farmaco biologico promette di restituire qualità a quanti soffrono di questa malattia una buona qualità di vita. «Sino ad oggi il trattamento è sempre stato limitato a corticosteroidi topici, infiltrazioni intralesionali di corticosteroidi o terapie con cortisone e ciclosporina. Trattamenti che non possono durare troppo a lungo e che riescono a mitigare solo i sintomi».
Articolo pubblicato su IL MATTINO il giorno 5 novembre 2023 a firma di Marcella Travazza con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute
Tumore del polmone big killer con più forme. Quante Variazioni di Bianco
Eventi d'interesse, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneIl tumore del polmone è il big killer tra tutte le malattie oncologiche. Solo nel 2022 in Italia sono stati registrati oltre 43mila casi. Ogni anno è responsabile di 34mila morti nel nostro Paese e oltre un milione nel mondo, con numeri sempre più in aumento. Si tratta della seconda neoplasia più frequente negli uomini (15 per cento) dopo il tumore alla prostata e la terza nelle donne (6 per cento).
Molte forme e terapie diverse per il tumore del polmone
Gioca un ruolo determinante una diagnosi tempestiva, corretta e cure personalizzate. Con “tumore del polmone”, infatti, non si fa riferimento ad un’unica neoplasia, ma si tratta di un termine ombrello che racchiude al suo interno più forme tumorali, ciascuna ha bisogno di strategie terapeutiche diverse.
Novembre per sensibilizzare
Novembre è il mese di sensibilizzazione sul tumore del polmone a livello mondiale, iniziativa indetta dalla Global Lung Cancer Coalition. In Italia arriva la campagna “Quante Variazioni di Bianco”, promossa da Janssen Oncology in collaborazione con IED (Istituto Europeo di Design di Milano) e con il patrocinio di AIOM (Associazione italiana oncologia medica), SIAPEC–IAP (Società italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica-Divisione Italiana della International Academy of Pathology , WALCE (Women Against Lung Cancer in Europe) e IPOP (Insieme per i Pazienti di Oncologia Polmonare).
Diagnosi corretta, accesso ai farmaci e agli studi clinici
Identificare la forma di carcinoma polmonare è fondamentale per poter individuare la terapia più adatta a ciascun paziente, al fine di garantirne l’efficacia. Lo ribadisce Silvia Novello, Professore Ordinario di oncologia medica presso il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, Responsabile della Struttura Semplice Dipartimentale di Oncologia Toracica all’AOU “San Luigi Gonzaga” di Orbassano e Presidente di WALCE. Distinguere il tumore polmonare in “a piccole cellule” e “non a piccole cellule” non è più sufficiente per inquadrare diversi tipi di malattia, sottolinea la specialista. Sono infatti “caratterizzati da storie e trattamenti differenti, la cui prescrizione si basa su una profilazione molecolare adeguata”.
“L’accesso ai test agli studi clinici e ai farmaci va garantito a tutti i pazienti – continua – perché solo così si può impattare sulla loro qualità e quantità di vita. WALCE ha disegnato EPROPA (www.epropa.eu), programma europeo che garantisce una diagnosi molecolare ed un trattamento corretti a tutte le persone affette da tumore polmonare non a piccole cellule in stadio avanzato”.
Tumore del polmone, la campagna “Quante Variazioni di Bianco”
Per diffondere questo messaggio, sono stati coinvolti gli studenti dello IED di Milano che hanno reinterpretato il simbolo della lotta contro il tumore del polmone, il fiocco bianco, in dieci opere in grado di mostrare le tante variazioni di bianco che rispecchiano le diverse forme di tumore del polmone.
La campagna, attiva per tutto il mese di novembre, è on-air sul sito Janssenconte. Le dieci opere saranno, inoltre, esposte in occasione del XXV Congresso AIOM, che si terrà a Roma dal 10 al 12 novembre.
L’iniziativa è anche l’occasione per avvicinare i più giovani ai temi della salute, partendo da un’informazione corretta. IED – Istituto Europeo di Design di Milano ha permesso a dieci tra i suoi studenti e neodiplomati – guidati dalla docente Ilaria Renoldi e dall’alunna Margherita Caspani – di combinare la creatività all’informazione scientifica.
Sifilide in aumento in Italia anche nelle fasce meno a rischio, i vaccini
News Presa, PrevenzioneLe Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST) aumentano in tutta Europa e l’Italia che non fa eccezione. “La curva di crescita della sifilide è in costante aumento, con una crescita del 15% nell’ultimo anno. Per l’infezione da gonococco dati recenti mostrano un incremento del 40%”. Lo sottolinea il Dott. Marco Cusini, Presidente della Società Interdisciplinare per lo studio delle Malattie Sessualmente Trasmissibili – SIMaST che ha lanciato l’allarme in occasione del IX Congresso Nazionale a Torino.
Dopo il calo dovuto alla pandemia, il 2021 ha visto una ripresa dei casi di IST, con un trend di crescita come negli anni precedenti. Sui numeri incide la migliorata capacità diagnostica, l’alta trasmissibilità di virus e batteri e la mancanza di prevenzione. “L’allarme per la diffusione delle Infezioni Sessualmente Trasmesse riguarda anzitutto sifilide e gonorrea, ma non solo”, sottolinea Cusini.
Sifilide, la più diffusa in Italia
La sifilide è una delle infezioni batteriche sessualmente trasmesse più diffusa in Italia. La curva è in costante aumento, con una crescita del 15% nell’ultimo anno, soprattutto tra i Maschi che fanno Sesso con Maschi. L’infezione da gonococco è la seconda malattia sessualmente trasmessa nel mondo dopo la clamidia. I dati più recenti mostrano un incremento del 40% in molti Paesi europei come Danimarca, Svezia, Irlanda, Olanda e sono assimilabili anche all’Italia. L’aumento riguarda soprattutto la popolazione femminile sotto ai 25 anni, fascia non considerata come più a rischio. Tra i trend in crescita vi è anche il Monkeypox, il cosiddetto vaiolo delle scimmie. “Dopo la picco nella primavera 2022 – continua il presidente Cusini – l’epidemia non può dirsi conclusa, con segnalazioni di casi in diversi Paesi europei tra cui anche l’Italia”.
I nuovi vaccini
“Oltre alle vaccinazioni già da tempo disponibili per Papilloma Virus e Monkeypox, di cui sono riconosciute efficacia e sicurezza, vi sono altre vaccinazioni nelle diverse fasi sperimentali”, evidenzia Marco Cusini. “Per la gonorrea potremmo avere un vaccino già tra uno o due anni, mentre si prevedono più lunghi i tempi per sifilide, clamidia e herpes”, continua.
La prevenzione si realizza anche con gli screening, tra cui il self sampling, un test di autovalutazione che si può mandare via posta ai centri specialistici e che in Italia si è diffuso dalla pandemia. “Tuttavia, per un risultato efficace, serve un network che monitori la corretta esecuzione del test e permetta di avviare un percorso di trattamento nel caso sia presente un’infezione”, sottolinea lo specialista.
HIV e PrEP
“Un altro dato rilevante – prosegue lo specialista – riguarda la crescita delle IST nei pazienti con infezione da HIV. I benefici per l’HIV derivanti dallo U=U (chi ha livelli di HIV non rilevabili nel sangue non trasmette il virus) e dalla PrEP (profilassi pre-esposizione con antivirali) potrebbe aver provocato un allentamento dell’attenzione nella prevenzione delle IST e, conseguentemente, un aumento di casi”.