Tempo di lettura: 5 minutiLe donne subiscono ancora un impatto negativo anche quando si parla di appropriatezza delle cure. Le disparità riguardano tutta la sfera sanitaria, quindi la donna come paziente, ma anche come medico e ricercatrice. In particolare, la variabile di genere spesso non viene considerata nella ricerca epidemiologica e nello sviluppo della digital health. Le studentesse di medicina sono quante gli studenti maschi, o di più, da quasi 30 anni. Il numero di donne medico è in continua crescita, ma sono meno del 30 per cento nella chirurgia. Solo l’8,3 per cento delle donne medico riveste un incarico dirigenziale, a fronte del 20,6 per cento dei colleghi maschi. I numeri sono messi in evidenza dalla nona edizione del Libro Bianco sulla salute della donna. Il report ha indagato la disparità di genere nell’ambito della salute e della ricerca scientifica.
Equità di genere
Il volume realizzato da Fondazione Onda con il contributo incondizionato di Farmindustria è stato presentato ieri al Senato su iniziativa della Sen. Maria Domenica Castellone. La nona edizione si intitola: “Verso un’equità di genere nella salute e nella ricerca”. Le diseguaglianze, analizzate in ottica di genere, sono state acuite dalla pandemia da Covid – 19 e dalla crisi internazionale. «Uguaglianza ed equità sono due dei pilastri del nostro Servizio Sanitario Nazionale, talvolta erroneamente intesi come sinonimi», ha affermato Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.
«L’uguaglianza presuppone di poter fruire dei medesimi diritti, indipendentemente da qualsiasi differenza, mentre l’equità si basa sulla modulazione degli interventi in relazione alle differenze, alle specificità, ai bisogni. L’uguaglianza è dunque il presupposto, il punto di partenza, mentre l’equità rappresenta l’obiettivo finale, il punto di arrivo, che consente di garantire a tutti le medesime opportunità, tenendo conto delle differenze. Proprio sulla valorizzazione delle differenze si basa la Medicina di genere, con l’obiettivo di assicurare pari opportunità nell’ambito della prevenzione, della diagnosi e della cura, ed è questo quindi il fil rouge del Libro Bianco 2023. Doverosi i ringraziamenti a Farmindustria, alle Istituzioni e ai numerosi Autori. L’auspicio è che le idee, le esperienze condivise e le evidenze a supporto possano stimolare riflessioni e nuove progettualità per tendere a un’equità di genere nella salute e nella ricerca a garanzia di una maggior appropriatezza degli interventi di prevenzione, diagnosi e cura con beneficio non soltanto dei pazienti, ma anche della sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale».
Donne discriminate nella cura e sul lavoro
Il volume parte da un approfondimento sull’uguaglianza di genere come obiettivo dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Nella prima parte viene analizzato l’impatto delle disuguaglianze sulla salute, in termini di morbosità e mortalità tra uomini e donne. Aumenta soprattutto se è correlato agli altri determinanti sociali di salute, come il livello di istruzione. Le donne rappresentano ancora quasi i due terzi dei 771 milioni di adulti analfabeti. Per quanto riguarda la sfera occupazionale e le condizioni lavorative, a livello mondiale, a parità di qualifica, vengono assunti più uomini che donne. In particolare, le donne assunte, a parità di mansione, hanno spesso una retribuzione inferiore agli uomini.
Impatto sulla gravidanza, disabilità e malattie rare
Il volume sottolinea la necessità di interventi equi nelle diverse fasi della vita e in contesti differenti. Le donne in Italia diventano madri più tardi che in passato, con un’età media al parto sempre più alta (oggi 32,4 anni). La gravidanza non è più il momento centrale nella vita di una donna. Spesso è vissuta come una limitazione alla propria realizzazione personale e professionale. Disuguaglianze di genere incidono notevolmente sia sul desiderio di gravidanza sia sulla attuazione del progetto riproduttivo. Le donne hanno al contempo un’aspettativa di vita maggiore rispetto agli uomini. Nel sesso femminile gli anni di sopravvivenza hanno un carico di disabilità molto elevato (la maggior parte degli anziani è donna). Questi dati richiedono un cambio strutturale delle politiche sanitarie, mette in evidenza il report. L’approccio di genere nella pratica clinica e nella cura, nella formazione, nella ricerca e nella comunicazione produrrebbe anche un risparmio per il SSN. Il volume si sofferma sull’impatto del genere in tema di differenze di salute per vari contesti, tra cui le malattie rare, la disabilità, la violenza, la popolazione straniera e carceraria. L’ottica di genere è il punto da cui partire per impostare politiche orientate a un futuro senza disuguaglianze.
Gender gap nella ricerca
L’ultima parte del volume, incentrata sul gender gap nella sanità, nella ricerca scientifica e nell’innovazione digitale, evidenzia quanto ancora sia lunga e tortuosa la strada da percorrere per raggiungere un’effettiva parità. La variabile “sesso e genere” non viene adeguatamente considerata neanche nella ricerca epidemiologica. Le analisi spesso riportano un dato complessivo, che non fa emergere le eventuali differenze fra uomini e donne. Cellule maschili e femminili reagiscono in modo diverso a stimoli chimici e ambientali. Eppure nella maggioranza degli studi preclinici non viene riportato il sesso dell’organismo da cui le cellule derivano. L’identificazione di sesso/genere consente interventi mirati e migliori percorsi di prevenzione, diagnosi e cura.
Opportunità di carriera per le donne
Dal 1995 le studentesse studiano medicina in misura uguale o maggiore rispetto agli studenti maschi. Eppure la presenza di donne medico è inferiore al 30 per cento nella chirurgia. Solo l’8,3 per cento delle donne medico riveste un incarico dirigenziale, a fronte del 20,6 per cento dei colleghi maschi. La scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali è il risultato di una serie di barriere a livello individuale, interpersonale, istituzionale e comunitario. Questi ostacoli impediscono alle donne di raggiungere l’ultimo livello superiore di leadership.
Dati mondiali dicono che è crescente il divario di genere nelle carriere scientifiche. La parità è maggiore nel periodo del dottorato, ma a partire da cinque anni dall’inizio della carriera il divario si accentua a favore dei maschi. Le ragioni sono molteplici, dalla gravidanza, a ragionamenti economici o di stabilità del lavoro, alle discriminazioni culturali. Nella scelta dei corsi universitari, sotto la forte influenza di motivi culturali, le ragazze prediligono le materie umanistiche o sociali rispetto alle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) dove invece la diversità di genere può stimolare soluzioni più innovative e comprensive.
Donne nella digital health
Il divario di genere riguarda infine anche la digital health. I benefici non sono ugualmente distribuiti tra uomini e donne a causa di diverse forme di disparità. Riguardano, ad esempio, la rappresentatività del pubblico femminile nei campioni sui quali algoritmi di machine learning vengono istruiti. Affrontare questo divario è fondamentale per raggiungere i benefici per la salute ed evitare l’ulteriore acuirsi delle disuguaglianze sanitarie, sottolinea il report.
Industria farmaceutica, esempio virtuoso
«L’equità di genere nella salute e nella ricerca è prioritaria. Nelle aziende farmaceutiche la presenza femminile è pari al 45 per cento del totale degli addetti e a oltre il 50 per cento nella R&D», ha commentato Marcello Cattani, Presidente di Farmindustria. «Un settore che crea le stesse opportunità, attraverso un modello di welfare aziendale che prevede misure concrete per il padre e la madre».
«L’inclusione è parte della nostra cultura e del nostro valore. Come industria abbiamo il privilegio di poter investire in innovazione – ha continuato Cattani nel suo intervento. L’innovazione scientifica e tecnologica porta con sé la cultura che automaticamente abbatte le barriere, crea diversità e quindi ricchezza».
«Servono fondi per la medicina di genere perché dà un segnale culturale, soprattutto ai giovani. Quel 50% di equity che abbiamo nelle nostre aziende si riflette di fatto anche nella parte salariale e questo è l’aspetto più importante. La politica e i Governi dovrebbero avere l’umiltà di ascoltare quei settori che rappresentano delle eccellenze perché hanno le competenze e la visione strategica e possono metterle a disposizione. Tutto può essere messo a fattor comune in un sistema Paese, ognuno per le proprie aree di eccellenza e di competenza ma serve capacità di ascolto e dialogo. Queste iniziative preziose, come altre, hanno uno sbocco che è la responsabilità sociale – ha concluso – e chi traina la produzione e l’export del Paese ha una responsabilità superiore».
«Fondazione Onda è da sempre in prima linea nella diffusione della medicina di genere e da anni collabora con l’Istituto Superiore di Sanità per portare avanti obiettivi comuni», ha detto Elena Ortona, Direttore centro di riferimento medicina di genere, Istituto Superiore di Sanità, «primi tra tutti l’eliminazione delle disuguaglianze, il raggiungimento dell’equità e appropriatezza nelle cure. Considero la pubblicazione del Libro Bianco un passo importante per il raggiungimento di questi obiettivi e per operare un cambiamento di prospettiva che veda la persona al centro dei percorsi di cura».
Bronchiolite nei bambini: sintomi, cura e prevenzione
Bambini, Genitorialità, PediatriaLa bronchiolite è un’infezione virale acuta che colpisce il sistema respiratorio dei bambini di età inferiore ad un anno, soprattutto nei primi 6 mesi di vita, con maggiore frequenza tra novembre e marzo. Il principale agente patogeno coinvolto è il virus respiratorio sinciziale (VRS), presente nel 75% dei casi, ma anche altri virus come metapneumovirus, coronavirus, rinovirus, adenovirus, e virus influenzali e parainfluenzali possono essere responsabili. La trasmissione avviene principalmente per contatto diretto con le secrezioni infette.
Sintomi
La fase di contagio dura generalmente da 6 a 10 giorni, durante i quali l’infezione colpisce bronchi e bronchioli, innescando un processo infiammatorio, aumento della produzione di muco e ostruzione delle vie aeree, con possibili difficoltà respiratorie. I sintomi iniziano con febbricola e rinite, seguiti da tosse persistente e difficoltà respiratoria. La malattia, generalmente benigna, si risolve spontaneamente in circa 7-12 giorni, ma in alcuni casi può richiedere il ricovero, soprattutto nei bambini al di sotto dei sei mesi.
Fattori di rischio e diagnosi
Fattori che aumentano il rischio di gravità includono la prematurità, l’età del bambino (inferiore a 12 settimane), cardiopatie congenite, displasia broncopolmonare, fibrosi cistica, anomalie congenite delle vie aeree e immunodeficienze. La diagnosi è clinica, basata sull’andamento dei sintomi e sulla visita pediatrica, con accertamenti di laboratorio o strumentali solo quando necessario.
Prevenzione e cura
Alcune semplici norme igieniche possono ridurre il rischio di contrarre la bronchiolite o peggiorare i sintomi. È fondamentale evitare il contatto con individui affetti da infezioni delle vie aeree, lavarsi sempre le mani prima e dopo aver accudito il bambino, favorire l’allattamento al seno, fornire una quantità adeguata di liquidi e evitare il fumo in casa. Il trattamento a domicilio prevede frequenti lavaggi nasali con aspirazione delle secrezioni e terapia aerosolica con soluzione ipertonica al 3%. L’utilizzo di broncodilatatori inalatori può essere considerato con supervisione medica. Il cortisone per bocca non mostra significativi miglioramenti nei sintomi, mentre l’uso di antibiotici è sconsigliato, tranne in casi specifici.
Ricovero ospedaliero
Nel caso di ricovero ospedaliero, il bambino riceve terapie di supporto per garantire un’adeguata ossigenazione del sangue attraverso l’ossigeno umidificato, e in casi gravi, ossigeno ad alti flussi o altro supporto respiratorio. Viene anche assicurata un’adeguata idratazione attraverso soluzioni glucosaline endovenose se l’alimentazione è difficile. La bronchiolite è insomma una patologia comune nei neonati, ma una corretta prevenzione, diagnosi tempestiva e cure adeguate possono contribuire a garantire una pronta guarigione e a ridurre il rischio di complicanze. Consultare sempre il pediatra per una gestione appropriata della malattia.
Fondazione Onda: donne discriminate nella salute e nella ricerca
Benessere, Economia sanitaria, Eventi d'interesse, Farmaceutica, Medicina Sociale, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneLe donne subiscono ancora un impatto negativo anche quando si parla di appropriatezza delle cure. Le disparità riguardano tutta la sfera sanitaria, quindi la donna come paziente, ma anche come medico e ricercatrice. In particolare, la variabile di genere spesso non viene considerata nella ricerca epidemiologica e nello sviluppo della digital health. Le studentesse di medicina sono quante gli studenti maschi, o di più, da quasi 30 anni. Il numero di donne medico è in continua crescita, ma sono meno del 30 per cento nella chirurgia. Solo l’8,3 per cento delle donne medico riveste un incarico dirigenziale, a fronte del 20,6 per cento dei colleghi maschi. I numeri sono messi in evidenza dalla nona edizione del Libro Bianco sulla salute della donna. Il report ha indagato la disparità di genere nell’ambito della salute e della ricerca scientifica.
Equità di genere
Il volume realizzato da Fondazione Onda con il contributo incondizionato di Farmindustria è stato presentato ieri al Senato su iniziativa della Sen. Maria Domenica Castellone. La nona edizione si intitola: “Verso un’equità di genere nella salute e nella ricerca”. Le diseguaglianze, analizzate in ottica di genere, sono state acuite dalla pandemia da Covid – 19 e dalla crisi internazionale. «Uguaglianza ed equità sono due dei pilastri del nostro Servizio Sanitario Nazionale, talvolta erroneamente intesi come sinonimi», ha affermato Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda.
«L’uguaglianza presuppone di poter fruire dei medesimi diritti, indipendentemente da qualsiasi differenza, mentre l’equità si basa sulla modulazione degli interventi in relazione alle differenze, alle specificità, ai bisogni. L’uguaglianza è dunque il presupposto, il punto di partenza, mentre l’equità rappresenta l’obiettivo finale, il punto di arrivo, che consente di garantire a tutti le medesime opportunità, tenendo conto delle differenze. Proprio sulla valorizzazione delle differenze si basa la Medicina di genere, con l’obiettivo di assicurare pari opportunità nell’ambito della prevenzione, della diagnosi e della cura, ed è questo quindi il fil rouge del Libro Bianco 2023. Doverosi i ringraziamenti a Farmindustria, alle Istituzioni e ai numerosi Autori. L’auspicio è che le idee, le esperienze condivise e le evidenze a supporto possano stimolare riflessioni e nuove progettualità per tendere a un’equità di genere nella salute e nella ricerca a garanzia di una maggior appropriatezza degli interventi di prevenzione, diagnosi e cura con beneficio non soltanto dei pazienti, ma anche della sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale».
Donne discriminate nella cura e sul lavoro
Il volume parte da un approfondimento sull’uguaglianza di genere come obiettivo dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Nella prima parte viene analizzato l’impatto delle disuguaglianze sulla salute, in termini di morbosità e mortalità tra uomini e donne. Aumenta soprattutto se è correlato agli altri determinanti sociali di salute, come il livello di istruzione. Le donne rappresentano ancora quasi i due terzi dei 771 milioni di adulti analfabeti. Per quanto riguarda la sfera occupazionale e le condizioni lavorative, a livello mondiale, a parità di qualifica, vengono assunti più uomini che donne. In particolare, le donne assunte, a parità di mansione, hanno spesso una retribuzione inferiore agli uomini.
Impatto sulla gravidanza, disabilità e malattie rare
Il volume sottolinea la necessità di interventi equi nelle diverse fasi della vita e in contesti differenti. Le donne in Italia diventano madri più tardi che in passato, con un’età media al parto sempre più alta (oggi 32,4 anni). La gravidanza non è più il momento centrale nella vita di una donna. Spesso è vissuta come una limitazione alla propria realizzazione personale e professionale. Disuguaglianze di genere incidono notevolmente sia sul desiderio di gravidanza sia sulla attuazione del progetto riproduttivo. Le donne hanno al contempo un’aspettativa di vita maggiore rispetto agli uomini. Nel sesso femminile gli anni di sopravvivenza hanno un carico di disabilità molto elevato (la maggior parte degli anziani è donna). Questi dati richiedono un cambio strutturale delle politiche sanitarie, mette in evidenza il report. L’approccio di genere nella pratica clinica e nella cura, nella formazione, nella ricerca e nella comunicazione produrrebbe anche un risparmio per il SSN. Il volume si sofferma sull’impatto del genere in tema di differenze di salute per vari contesti, tra cui le malattie rare, la disabilità, la violenza, la popolazione straniera e carceraria. L’ottica di genere è il punto da cui partire per impostare politiche orientate a un futuro senza disuguaglianze.
Gender gap nella ricerca
L’ultima parte del volume, incentrata sul gender gap nella sanità, nella ricerca scientifica e nell’innovazione digitale, evidenzia quanto ancora sia lunga e tortuosa la strada da percorrere per raggiungere un’effettiva parità. La variabile “sesso e genere” non viene adeguatamente considerata neanche nella ricerca epidemiologica. Le analisi spesso riportano un dato complessivo, che non fa emergere le eventuali differenze fra uomini e donne. Cellule maschili e femminili reagiscono in modo diverso a stimoli chimici e ambientali. Eppure nella maggioranza degli studi preclinici non viene riportato il sesso dell’organismo da cui le cellule derivano. L’identificazione di sesso/genere consente interventi mirati e migliori percorsi di prevenzione, diagnosi e cura.
Opportunità di carriera per le donne
Dal 1995 le studentesse studiano medicina in misura uguale o maggiore rispetto agli studenti maschi. Eppure la presenza di donne medico è inferiore al 30 per cento nella chirurgia. Solo l’8,3 per cento delle donne medico riveste un incarico dirigenziale, a fronte del 20,6 per cento dei colleghi maschi. La scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali è il risultato di una serie di barriere a livello individuale, interpersonale, istituzionale e comunitario. Questi ostacoli impediscono alle donne di raggiungere l’ultimo livello superiore di leadership.
Dati mondiali dicono che è crescente il divario di genere nelle carriere scientifiche. La parità è maggiore nel periodo del dottorato, ma a partire da cinque anni dall’inizio della carriera il divario si accentua a favore dei maschi. Le ragioni sono molteplici, dalla gravidanza, a ragionamenti economici o di stabilità del lavoro, alle discriminazioni culturali. Nella scelta dei corsi universitari, sotto la forte influenza di motivi culturali, le ragazze prediligono le materie umanistiche o sociali rispetto alle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) dove invece la diversità di genere può stimolare soluzioni più innovative e comprensive.
Donne nella digital health
Il divario di genere riguarda infine anche la digital health. I benefici non sono ugualmente distribuiti tra uomini e donne a causa di diverse forme di disparità. Riguardano, ad esempio, la rappresentatività del pubblico femminile nei campioni sui quali algoritmi di machine learning vengono istruiti. Affrontare questo divario è fondamentale per raggiungere i benefici per la salute ed evitare l’ulteriore acuirsi delle disuguaglianze sanitarie, sottolinea il report.
Industria farmaceutica, esempio virtuoso
«L’equità di genere nella salute e nella ricerca è prioritaria. Nelle aziende farmaceutiche la presenza femminile è pari al 45 per cento del totale degli addetti e a oltre il 50 per cento nella R&D», ha commentato Marcello Cattani, Presidente di Farmindustria. «Un settore che crea le stesse opportunità, attraverso un modello di welfare aziendale che prevede misure concrete per il padre e la madre».
«L’inclusione è parte della nostra cultura e del nostro valore. Come industria abbiamo il privilegio di poter investire in innovazione – ha continuato Cattani nel suo intervento. L’innovazione scientifica e tecnologica porta con sé la cultura che automaticamente abbatte le barriere, crea diversità e quindi ricchezza».
«Servono fondi per la medicina di genere perché dà un segnale culturale, soprattutto ai giovani. Quel 50% di equity che abbiamo nelle nostre aziende si riflette di fatto anche nella parte salariale e questo è l’aspetto più importante. La politica e i Governi dovrebbero avere l’umiltà di ascoltare quei settori che rappresentano delle eccellenze perché hanno le competenze e la visione strategica e possono metterle a disposizione. Tutto può essere messo a fattor comune in un sistema Paese, ognuno per le proprie aree di eccellenza e di competenza ma serve capacità di ascolto e dialogo. Queste iniziative preziose, come altre, hanno uno sbocco che è la responsabilità sociale – ha concluso – e chi traina la produzione e l’export del Paese ha una responsabilità superiore».
«Fondazione Onda è da sempre in prima linea nella diffusione della medicina di genere e da anni collabora con l’Istituto Superiore di Sanità per portare avanti obiettivi comuni», ha detto Elena Ortona, Direttore centro di riferimento medicina di genere, Istituto Superiore di Sanità, «primi tra tutti l’eliminazione delle disuguaglianze, il raggiungimento dell’equità e appropriatezza nelle cure. Considero la pubblicazione del Libro Bianco un passo importante per il raggiungimento di questi obiettivi e per operare un cambiamento di prospettiva che veda la persona al centro dei percorsi di cura».
Tumore al seno, mortalità ridotta del 58 per cento
PrevenzioneNegli ultimi 45 anni sono stati fatti enormi passi in avanti nella lotta contro il tumore al seno, a testimoniarlo è uno studio condotto da ricercatori della Stanford University e pubblicato sul Journal of the American Medical Association. I dati mostrano una riduzione del 58% nella mortalità, passando da 48 decessi per 100 mila donne nel 1975 a 27 per 100 mila nel 2019. Questo successo è attribuibile a diversi fattori, con gli screening, miglioramenti nel trattamento metastatico e innovazioni negli stadi iniziali che giocano ruoli cruciali.
Progressi negli screening
Il 25% della riduzione della mortalità è attribuito agli screening. Negli ultimi decenni, gli sforzi mirati alla diagnosi precoce hanno contribuito in modo significativo alla diminuzione delle morti per il tumore al seno. Campagne di sensibilizzazione e programmi di screening hanno permesso una rilevazione più tempestiva e interventi più efficaci. Ma come si fa a prevenire il tumore al seno, o almeno ad intercettarlo precocemente? Il primo passo sono proprio gli screening. Come testimoniano i dati, la prevenzione inizia con la consapevolezza. Gli esami di screening regolari, come la mammografia, sono fondamentali per individuare precocemente eventuali anomalie. Le donne dovrebbero seguire le linee guida mediche per gli screening e discutere con il proprio medico la frequenza e il momento più adatto per iniziare. Altri 6 punti da tenere in considerazione sono:
Trattamento del tumore metastatico
Tornando ai grandi progressi nella lotta al tumore del seno, lo studio evidenzia come il 29% della riduzione è dovuto ai miglioramenti nel trattamento delle fasi metastatiche. Farmaci innovativi e terapie mirate hanno giocato un ruolo chiave nell’aumentare la sopravvivenza dopo la comparsa di metastasi. L’arrivo sul mercato di 26 nuovi farmaci negli ultimi anni ha significativamente ampliato le opzioni terapeutiche.
Innovazioni negli stadi iniziali
Il 47% della diminuzione della mortalità è attribuito agli avanzamenti nelle fasi comprese tra I e III stadio. Innovazioni terapeutiche e diagnostiche hanno migliorato l’efficacia dei trattamenti nelle prime fasi della malattia, contribuendo al calo delle morti. Un aspetto rilevante dello studio è il notevole miglioramento della sopravvivenza nelle forme metastatiche negli ultimi 10 anni, con un incremento medio di 1,4 anni. Questo progresso è correlato all’ampia disponibilità di farmaci specifici per le forme avanzate della malattia.
Triplo negativo
L’editoriale che accompagna lo studio, evidenzia il potenziale dei coniugati farmaco-anticorpo nel cancro al seno triplo negativo. Sebbene ancora in attesa di approvazione per le fasi iniziali, questi nuovi approcci mostrano una promettente efficacia, rappresentando una speranza per un miglioramento significativo in una categoria di tumori al seno con attuali tassi di mortalità più elevati.
Patologie del colon, serve la chirurgia personalizzata
News Presa, Ricerca innovazioneNel contesto di un profondo cambiamento nel panorama della chirurgia, il professor Francesco Selvaggi, tra i maggiori esperti di patologie del colon e di chirurgia colorettale e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia colorettale all’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli, ci guida attraverso le rivoluzionarie tecniche e terapie che stanno ridefinendo il trattamento dei tumori del colon e del retto. La sua visione incentrata sulla prevenzione rappresenta una pietra miliare nella lotta contro questa malattia. Vediamo quali sono le innovazioni nella diagnosi precoce, le sfide legate ai sintomi silenziosi e le prospettive innovative che stanno trasformando il panorama della chirurgia colorettale.
Diagnosi precoce e screening
Il professor Selvaggi sottolinea l’importanza di una visita specialistica come prima linea di difesa contro le patologie del colon, compresi i tumori del colon e del retto. Questa valutazione accurata può indirizzare i pazienti verso esami diagnostici più specifici in caso di sospetti o problemi. Il protocollo di screening, che include la ricerca del sangue occulto nelle feci seguita da una colonscopia in caso di positività, è il primo strumento cruciale di prevenzione.
Sintomi e campanelli d’allarme
Uno dei principali ostacoli alla diagnosi precoce è rappresentato dalla mancanza di sintomi evidenti associati ai polipi. I sintomi, quando presenti, variano notevolmente in base a diversi fattori. Il professor Selvaggi mette in luce l’importanza di non trascurare segnali apparentemente insignificanti, come la stanchezza e la mancanza di appetito, che potrebbero indicare problemi più gravi.
Total neoadjuvant therapy e approcci innovativi
Selvaggi spiega poi che l’importanza della Total Neoadjuvant Therapy come strategia avanzata per alcuni pazienti con specifici marcatori molecolari. Questa terapia, anticipando la chemioterapia, offre la possibilità di ridurre il volume del tumore, facilitando interventi chirurgici estremamente conservativi. I dati presentati a Parigi all’ESMO confermano l’efficacia dell’immunoterapia neoadiuvante in pazienti con predisposizione genetica particolare. In alcuni casi, sottolinea l’esperto, è possibile adottare un approccio transrettale, “riducendo significativamente le complicazioni post-operatorie e abbreviando i tempi di degenza. Questo approccio mininvasivo non solo tutela l’organo e la sua funzione ma contribuisce anche a una rapida ripresa postoperatoria”.
Approccio multidisciplinare
Il reparto di Selvaggi si distingue in Campania come centro d’eccellenza per la chirurgia colorettale. Ogni caso viene valutato attentamente dai Gruppi Oncologici Multidisciplinari (GOM), team che comprende specialisti di diverse discipline, garantendo un approccio condiviso e completo. Questo fa dell’Unità Operativa diretta dal professor Selvaggi un faro della chirurgia colorettale. Le innovazioni nelle terapie, la prevenzione attiva e l’approccio multidisciplinare delineano un futuro promettente nella lotta contro i tumori del colon e del retto e la combinazione di tecnologie avanzate e un impegno costante per l’eccellenza posiziona il reparto come punto di riferimento per pazienti in cerca di cure all’avanguardia.
Vulvodinia ignorata ma ne soffre una donna su 7
Benessere, News Presa, PrevenzioneSi tratta quasi sempre di vulvodinia quando il dolore dura da almeno 3-6 mesi e non è riconducibile a lesioni, infezioni o altre condizioni. Il disagio affligge fino al 18% delle donne, arrivando a impedire i rapporti sessuali, a ostacolare studio, lavoro, socialità e la possibilità di condurre una vita normale. La patologia che colpisce la vulva e provoca un dolore bruciante, intermittente o continuo, non è riconosciuta dal Servizio Sanitario Nazionale. La vulvodinia viene spesso sottovalutata dagli stessi medici e associata erroneamente a un disturbo psicosomatico. In realtà ha solide basi biologiche e viene diagnosticata in media con 5 anni di ritardo.
Vulvodinia e rinuncia alle cure
Dopo la diagnosi molte donne rinunciano alle cure. I motivi sono l’insostenibilità economica e la carenza di specialisti che si occupino del problema. Tuttavia, le terapie ci sono e la ricerca fa passi da gigante. La vestibolodinia è il tipo più frequente di vulvodinia (80% dei casi). Se ne è parlato nel corso di una conferenza alla Sala Stampa presso la Camera dei Deputati, dal titolo “Vulvodinia: guarire si può?!”. L’evento è stato organizzato sotto l’egida dell’Accademia di Salute Pubblica (Public Health Academy) e con il supporto incondizionato di Techdow.
“Meno di un secolo fa si moriva con patologie oggi curabili con un farmaco, ha esordito On. Francesco Maria Rubano, Capogruppo Forza Italia VI Commissione Finanze, Camera dei Deputati. Per questo si può trovare la cura anche ai mali ad oggi sconosciuti, se la politica sostiene concretamente il paziente attraverso la ricerca e la salvaguardia dei medici. Sì è l’unica risposta che il legislatore deve concedere, dinanzi a una domanda così tanto piena di sofferenza e speranza”.
Sintomi della vulvodinia
“Il dolore vulvare colpisce i genitali esterni femminili”, ha spiegato la professoressa Alessandra Graziottin, Direttore Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica all’Ospedale San Raffaele Resnati di Milano. “Può interessare il vestibolo vulvare, l’area compresa all’interno delle piccole labbra, al di sotto della clitoride e fino alla forchetta; oppure l’area clitoridea (clitoralgia) o tutta la vulva. Si parla di vestibolodinia quando il dolore, di durata superiore ai 3-6 mesi, interessa il vestibolo vulvare e di vulvodinia quando interessa tutta la vulva. Può colpire non solo la vita intima e sessuale, ma anche tutte le sfere dell’esistenza, perché il dolore cronico è un divoratore esigente di energia vitale e di sogni”.
I numeri
“La vulvodinia è tutt’altro che rara: colpisce dal 10 al 18% delle donne nell’arco della vita”, ha evidenziato il professor Filippo Murina, Direttore scientifico dell’Associazione Italiana Vulvodinia Onlus, Responsabile Servizio di Patologia del Tratto Genitale Inferiore presso l’Ospedale V. Buzzi – Università degli Studi di Milano. “Nonostante il suo pesante impatto sulla sessualità e sulla qualità di vita generale delle pazienti, la malattia non è attualmente inclusa nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il che si traduce nell’assenza di esenzione per patologia, nella non copertura di tutta una serie di trattamenti e nella mancanza di centri ad hoc, in ambito di sanità pubblica, capaci di affrontare il problema. Una proposta di legge per l’inserimento della vulvodinia nei LEA e il suo riconoscimento quale condizione cronica e invalidante è stata depositata già due anni fa a entrambe le Camere. È cruciale far ripartire l’iter per la sua approvazione e rendere, così, le cure davvero accessibili su tutto il territorio nazionale”.
Guarire è possibile
“Guarire dalla vulvodinia è possibile – ha continuato Murina. La patologia è multifattoriale. “L’approccio deve essere multidisciplinare, con il contributo del ginecologo e di altri specialisti. Inoltre deve essere multimodale, con l’impiego di più strumenti (prodotti topici, farmaci, infiltrazioni, trattamenti fisico-riabilitativi, tecniche strumentali, psicoterapia, dieta, norme di comportamento). Il percorso terapeutico è personalizzato sulla singola paziente. Le possibilità sono tante e ne sono in arrivo anche di nuove. Uno studio clinico appena pubblicato ha dimostrato come un gel per uso topico a base di spermidina, veicolata da acido ialuronico, sia in grado di ridurre il dolore vestibolare del 76% e di alleviare il disagio durante i rapporti sessuali (dispareunia) del 50%, in assenza di effetti collaterali”.
Paziente cronico e aderenza alle cure, sfide del digitale
News PresaCon l’invecchiamento della popolazione aumentano le cronicità. Una delle principali sfide è garantire la presa in carico del paziente cronico e l’aderenza alle cure. Una risposta arriva dall’Intelligenza Artificiale. “Il Servizio sanitario nazionale, così come è organizzato oggi, appare formato da diverse isole, spesso non in coordinamento fra loro. Il PNRR, e il DM 77 in particolare, offrono opportunità nuove, soprattutto grazie all’introduzione della sanità digitale e dell’IA. Il rischio è che si introducano solo nuovi strumenti nell’attuale modo di funzionare del sistema, senza una visione complessiva necessaria”. Lo ha affermato Giorgio Casati, Direttore Generale della ASL Roma 2 durante l’incontro “Digital Health by Design – Dati e IA” al Ministero della Salute, organizzato da Culture con il Parlamento Europeo e la Commissione Europea.
Tra gli over 75 solo il 28,6% risulta in buona salute
“Una giornata di confronto costruttivo sulla digitalizzazione dei dati sanitari e lo sviluppo di algoritmi di intelligenza artificiale – ha commentato Felicia Pelagalli, Direttore di Culture. “La popolazione italiana sta invecchiando sempre più con un conseguente incremento delle multicronicità e dello stato di fragilità. Si allunga il tempo della vita, e questa è una buona notizia, ma, purtroppo, rischia di durare di più anche il tempo della malattia. Nella fascia di età sopra i 75 anni solo il 28,6% risulta in buona salute (dati Istat). Dobbiamo allungare la speranza di vita sana”.
“La digitalizzazione e l’intelligenza artificiale – ha affermato il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, nel messaggio letto in apertura dell’evento – rivestono un ruolo fondamentale anche nel sistema di raccolta e analisi dei dati, strategici per una programmazione sanitaria efficace, la promozione della ricerca e la prevenzione delle malattie. In questo contesto, è essenziale collaborare tra istituzioni per definire nuovi modelli di servizio e stabilire linee guida chiare nell’utilizzo dei dati sanitari e nella progettazione di algoritmi di intelligenza artificiale”.
Paziente cronico e prospettiva europea
Lo European Health Data Space (EHDS) è il primo spazio europeo dei dati sanitari. “L’accesso ai dati sanitari è di fondamentale importanza per garantire l’innovazione nei sistemi sanitari europei”, ha sottolineato Marco Marsella, Direttore del settore Digitale, EU4Health della direzione generale Salute della Commissione Europea. “Attraverso l’accesso – ha proseguito – si possono costruire nuove tecnologie ma anche avviare dei workflow per il trattamento, per esempio dei pazienti con malattie croniche, oppure, per il miglioramento della diagnosi. È possibile introdurre elementi di intelligenza artificiale nello screening e soprattutto adattare i trattamenti alle necessità dei pazienti, per avere una medicina personalizzata”.
“Se guardiamo alle attuali barriere che si frappongono oggi alla realizzazione dell’EHDS possiamo individuare altrettante sfide per il settore della ricerca, formazione ed innovazione”. Lo ha sottolineato Alessandra Petrucci, Rettrice dell’Università degli Studi di Firenze. “Tra le afide: la privacy nella raccolta e condivisione dei dati sanitari, la sicurezza informatica, barriere normative, diversità dei Sistemi Sanitari, l’interoperabilità dei Sistemi Informatici. L’EHDS ha il potenziale per rivoluzionare la ricerca sanitaria in Europa, fornendo ai ricercatori strumenti e risorse preziose per esplorare nuove frontiere nella comprensione e nel trattamento delle malattie, migliorando così la salute e il benessere della popolazione”.
Presa in carico del paziente cronico
La presa in carico del paziente cronico e l’aderenza alle cure e ai controlli può frenare il processo degenerativo della patologia. Secondo gli studi condotti a livello nazionale, la percentuale di pazienti cronici che seguono i percorsi terapeutici è bassa e oscilla fra il 30 e il 50% del totale, a seconda della patologia. La scarsa adesione oltre che favorite l’aggravarsi di condizioni, alimenta impropriamente gli accessi in pronto soccorso o in ospedale.
La presa in carico digitale del paziente presuppone un’attività di regolamentazione nuova. A proposito della piattaforma nazionale di telemedicina Domenico Mantoan, Direttore Generale AGENAS, ha ricordato che “quello che stiamo facendo è un investimento superiore, un sistema che a livello centrale permette di usare i dati sanitari, non solo per la cura, ma anche per la programmazione”. “L’investimento sta continuando – ha aggiunto Mantoan – il nostro è stato un lavoro in collaborazione con l’Anac che ci ha dato un supporto straordinario”.
Inoltre, come ribadito da Alice Borghini, dirigente dell’Organizzazione dei modelli sanitari territoriali dell’Agenas, il 2024 sarà l’anno della messa a punto della piattaforma nazionale di telemedicina. “Nel corso dell’anno – ha affermato – ci sarà una integrazione delle piattaforme regionali e si costituirà l’infrastruttura nazionale di telemedicina. Sarà il primo step per far sì che il sistema sia funzionale. Il 2024 sarà l’anno in cui tutti gli investimenti saranno messi insieme e inizieranno a parlarsi”.
I dati
La pandemia è stato “uno stress test senza uguali che l’Europa ha superato a pieni voti”, secondo Guido Scorza, componente del Collegio dell’Autorità Garante protezione dati personali. “È stato possibile – aggiunge – introdurre il Green pass in 15 giorni grazie al GDPR, il Regolamento generale europeo per la protezione dei dati personali nonché per la loro libera circolazione. Nessuno dei nuovi provvedimenti ha derogato dal Regolamento. Non per un senso di rispetto verso la privacy ma perché non c’è bisogno che ci sia”. Per il giurista, in particolare, “la competenza interdisciplinare è fondamentale nei progetti che mettono insieme salute e innovazione. Il mondo è cambiato e credo che potrebbe saltare nei prossimi cinque anni la stessa linea di confine fra il dato comune e il dato particolare. Le regole le dobbiamo rivedere, ragioniamoci insieme”.
Sul livello di digitalizzazione in Italia è intervenuto Paolo Colli Franzone, presidente dell’Istituto per il Management Innovazione in sanità IMIS. “Spendiamo poco – ha spiegato – in tecnologie informatiche sanitarie rispetto ad altri Paesi ma tutto sommato ne abbiamo tante nelle strutture sanitarie. Anche l’intelligenza artificiale è diffusa come per esempio nella radiologia per immagini”. Fra le criticità, Colli Franzone nota come i medici vorrebbero essere maggiormente coinvolti nel processo di innovazione.
Paziente cronico e territorio
“Va rafforzato sin dall’inizio del progetto il dialogo tra ente centrale, Regioni e aziende sanitarie locali”, ha sottolineato Paolo Petralia, Direttore Generale ASL4 Liguria e vicepresidente vicario di FIASO. “Nella governance multilivello in cui il nostro Paese avvolge le dimensioni centrali, nazionali, regionali, locali della sanità, spesso ci si perde. E avviene che le aziende sanitarie vengano anche premiate dallo stesso soggetto regolatore come esperienze innovative, avanzate, sperimentazioni utili al sistema e poi, però, non vengano chiamate, per caso, al tavolo dove quelle cose vengono decise”.
Durante il confronto è emersa dunque la necessità di avviare un lavoro sinergico in cui tutti gli attori vengano coordinati dall’unica regia del Ministero della Salute. Senza il coordinamento, il rischio che si corre è di aumentare il livello di complessità del sistema ma non di mettere a terra i risultati, ribadiscono gli specialisti.
Salute mentale, i rischi dell’innovazione
PsicologiaViviamo in un’epoca di straordinaria innovazione tecnologica, con dispositivi digitali che permeano ogni aspetto della nostra vita. Tuttavia, in questa corsa all’innovazione, spesso ci dimentichiamo di considerare attentamente l’impatto che questa sempre crescente esposizione digitale può avere sulla nostra salute mentale. È invece di vitale importanza preservare la salute mentale nell’era digitale, navigando in modo equilibrato tra il mondo digitale e quello reale.
L’impatto della tecnologia sulla salute mentale
La nostra relazione con la tecnologia ha raggiunto un punto critico, e studi recenti indicano che l’uso eccessivo di dispositivi digitali può essere collegato a una serie di problemi di salute mentale. Dall’ansia alla depressione, passando per disturbi del sonno, è essenziale comprendere appieno i rischi connessi all’immersione in questo mondo digitale. L’incessante flusso di notizie, notifiche e stimoli visivi può sovraccaricare la nostra mente, portando a un crescente senso di affaticamento mentale.
Il lato oscuro dei social media
I social media, sebbene abbiano rivoluzionato la nostra capacità di connetterci, presentano anche una serie di rischi per la salute mentale. La costante esposizione alle vite apparentemente perfette degli altri può contribuire a una percezione distorta della realtà, aumentando il livello di confronto sociale e influenzando negativamente la nostra autostima. La ricerca di validazione online può diventare una trappola, spingendoci a cercare continuamente l’approvazione degli altri e a valutare il nostro valore sulla base di metriche digitali.
Strategie di difesa
Per mantenere l’equilibrio, è fondamentale adottare strategie pratiche. Esistono alcune semplici tecniche di gestione dello stress che possono essere adattate al mondo digitale, come la pratica della mindfulness e la pianificazione di periodi di disconnessione digitale. È anche importante concedersi attività di svago offline essenziali per stimolare il rinnovamento mentale, incoraggiando la partecipazione a hobby che favoriscano il benessere emotivo.
Limiti all’uso della tecnologia
Uno dei temi più attuali, soprattutto per i ragazzi, è quello di imporre limiti sani nell’uso della tecnologia. Introdurre pause digitali durante la giornata, limitare il tempo trascorso sui social media e creare spazi senza dispositivi nella nostra vita quotidiana è fondamentale per contribuire significativamente a preservare la salute mentale. Questa consapevolezza attiva del nostro comportamento digitale è fondamentale per un benessere psicologico duraturo.
La chiave della consapevolezza
La consapevolezza del nostro utilizzo della tecnologia è la chiave per una vita digitale più sana. Navigare nell’era digitale con attenzione e intenzionalità non solo preserva la nostra salute mentale, ma ci consente anche di godere appieno dei benefici che la tecnologia può offrire. Sviluppare una relazione equilibrata con la tecnologia ci permette di sfruttare le sue potenzialità senza sacrificare il nostro benessere mentale. Perché, per quanto possa sembrare un paradosso, mai come nell’era social la solitudine può destabilizzare il nostro equilibrio.
Tumore dell’ovaio, individuate cellule nel Pap test
News PresaUno studio tutto italiano ha identificato grazie al Pap-test alterazioni tipiche del tumore dell’ovaio. Questa neoplasia viene spesso diagnosticata quando è ormai in fase avanzata, quando le possibilità di cura si riducono. I dati oggi evidenziano che a 5 anni dalla diagnosi la sopravvivenza non supera il 30 per cento. Uno dei maggiori ostacoli è l’assenza di test di screening. La nuova scoperta anticipa la diagnosi di anni rispetto alla comparsa dei primi sintomi e potrebbe rappresentare una svolta nella prevenzione.
Lo studio italiano
I risultati dello studio aprono a nuove speranze per la diagnosi precoce e l’aumento della sopravvivenza delle donne colpite. I ricercatori hanno individuato il tumore con un anticipo di nove anni dalla sua comparsa, prelevando cellule dai Pap test di routine, usati per lo screening del cancro cervicale. La nuova ricerca è stata condotta presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Milano e pubblicata sulla rivista Science Translational Medicine.
Tumore dell’ovaio e fattori di rischio
Il tumore dell’ovaio è una delle neoplasie con il più alto tasso mortalità tra i tumori ginecologici (dei quali rappresenta circa il 30%). Si tratta del decimo tumore più diffuso nel sesso femminile (3%). I sintomi aspecifici e tardivi e l’assenza di strategie di screening sono i principali ostacoli alla diagnosi precoce. Quando il tumore viene rilevato, infatti, circa il 75-80% delle pazienti presenta una malattia già in fase avanzata. Il “carcinoma ovarico sieroso ad alto grado” è una delle forme più comuni ed aggressive di tumore dell’ovaio. Tra i fattori di rischio del cancro ovarico vi sono infertilità, prima gravidanza tardiva, una storia familiare di carcinoma ovarico o altri tipi di tumore e fattori genetici, come le mutazioni dei geni BRCA 1 e BRCA2.
Pap test
Il Pap test è un esame di screening per la diagnosi precoce del cancro della cervice uterina. Rileva cambiamenti nelle cellule cervicali che suggeriscono il rischio di cancro futuro. Inoltre, il Pap test può essere combinato con un test per l’identificazione del papillomavirus umano (HPV). Quest’ultimo è tra le infezioni sessuali più diffuse e può causare il cancro cervicale. Fino ad oggi, questo test non permetteva la diagnosi del tumore dell’ovaio.
Risultati del nuovo studio
Il nuovo studio italiano ha analizzato, in modo retrospettivo, 250 campioni ottenuti tramite Pap test, raccolti durante gli screening ginecologici di routine. Sono stati prelevati campioni di 113 donne che hanno successivamente sviluppato il tumore in momenti diversi (da 1 mese a 13,5 anni prima della diagnosi), e da 77 donne sane. Grazie a tecniche avanzate di sequenziamento del DNA, le mutazioni tipiche del carcinoma ovarico sono state identificate in campioni prelevati fino a 9 anni prima della comparsa del tumore. Nelle fasi più precoci di trasformazione tumorale, le cellule presentano delle mutazioni caratteristiche che, se individuate, come accaduto in questo studio, permettono una diagnosi precoce. I risultati hanno dimostrato affidabilità, con pochi falsi positivi e negativi. Serviranno altre ricerche più ampie per confermarli.
Diagnosi precoce del tumore dell’ovaio
Ad oggi non esistono test di screening per la diagnosi precoce del tumore dell’ovaio. I 2 test utilizzati più spesso per identificarlo sono l’ecografia transvaginale e l’identificazione del biomarcatore CA-125 nel sangue. Tuttavia, l’ecografia transvaginale può identificare la presenza di una massa, ma non dà informazioni sulla sua natura. L’esame del CA-125, invece, misura la quantità di questa proteina nel sangue e può essere utile come marcatore tumorale per guidare il trattamento nelle donne con tumore dell’ovaio. Tuttavia, il controllo dei livelli di CA-125 non si è rivelato utile come test di screening. Infatti, i livelli elevati di CA-125 sono spesso causati anche da altre condizioni benigne o comuni, come l’endometriosi. La ricerca va avanti e questo nuovo studio italiano, potrebbe aver aperto la strada a una nuova possibilità di diagnosi precoce.
Depressione, metodo matematico per predire guarigione
Benessere, News Presa, Psicologia, Ricerca innovazioneUn metodo matematico può predire la probabilità di guarigione dalla depressione maggiore. Lo afferma uno studio dell’Iss pubblicato dalla rivista Nature Mental Health. Il sistema si basa sull’interconnessione dei sintomi e misura la cosiddetta plasticità. Quest’ultima è la capacità di modificare l’attività del cervello e il comportamento, fondamentale per passare dalla psicopatologia al benessere mentale. In altre parole, il metodo è in grado di misurare la capacità dei pazienti di modificare il proprio stato depressivo.
Depressione, lo studio italiano
“Abbiamo impiegato una tecnica matematica nota come network analysis – spiega Igor Branchi, del Centro di Riferimento per le Scienze comportamentali e la Salute mentale dell’Istituto Superiore di Sanità, coordinatore dello studio. “L’obiettivo – continua – era dimostrare come la plasticità possa essere misurata matematicamente valutando la forza della connettività nella rete dei sintomi, ossia la frequenza con cui i sintomi della depressione si modificano assieme. Maggiore è la sincronia delle variazioni di diversi sintomi, più alta è la coerenza (connettività) del sistema e minore è la sua plasticità. In questo lavoro si dimostra come configurazioni più connesse siano più difficili da modificare rispetto a configurazioni in cui i legami tra sintomi sono meno forti”. La ricerca ha preso in esame i dati del National Institute of Mental Health degli Stati Uniti, indagando la traiettoria di miglioramento di oltre 4000 individui depressi.
Prospettive
Il metodo, sottolineano gli autori, permette di stimare la probabilità di cambiamento ma non consente di prevedere con certezza lo stato futuro di salute dell’individuo che dipende da una moltitudine di fattori “Questa operazionalizzazione, ovvero lo sviluppo di una misura di un concetto astratto come la plasticità – spiega Branchi – fornisce uno strumento matematico utile per predire la resilienza, la vulnerabilità e il recupero”. Il metodo apre la strada a nuovi approcci nella prevenzione e nel trattamento del disturbo depressivo maggiore e, più in generale, dei disturbi psichiatrici.
Cuore artificiale, una nuova speranza
News Presa, Ricerca innovazioneUn cuore artificiale, il primo in Lombardia, è stato impiantato al Niguarda di Milano. Si tratta di un cuore di ultima generazione e per molti versi rivoluzionario. Munito di valvole biologiche, sostituisce completamente il cuore nativo, offrendo funzioni incredibilmente vicine a quelle fisiologiche.
L’intervento
Il team di Cardiochirurgia e Trapianto di cuore dell’ospedale, guidato dal Dr. Claudio Russo, ha recentemente eseguito con successo l’impianto su un paziente affetto da scompenso cardiaco grave, in lista d’attesa per un trapianto di cuore. La procedura complessa ha richiesto la totale rimozione del cuore nativo e l’impianto del nuovo dispositivo, il cui funzionamento simula in modo accurato l’attività dell’organo originario.
Caratteristiche uniche del cuore artificiale
A differenza dei sistemi di assistenza Ventricular Assist Device (VAD) comunemente utilizzati, il cuore artificiale di nuova generazione presenta una caratteristica distintiva: è in grado di generare un flusso sanguigno pulsato, riproducendo così la naturale pressione sistolica e diastolica. Le quattro valvole biologiche, corrispondenti a quelle tricuspide, polmonare, mitrale e aorta del cuore nativo, contribuiscono a minimizzare le complicanze associate ai flussi continui.
Benefici per i pazienti
Il cuore artificiale non solo migliora la qualità di vita dei pazienti in attesa di un trapianto di cuore, ma offre anche numerosi vantaggi. Le superfici interne del dispositivo sono rivestite con membrane biologiche, riducendo la necessità di terapie anticoagulanti e il rischio di complicanze correlate. Inoltre, il cuore artificiale è dotato di sensori che consentono un adattamento dinamico alle esigenze dell’organismo, riproducendo così il comportamento fisiologico del cuore nativo.
Prospettive per il futuro
Russo sottolinea che questa innovazione rappresenta un passo avanti significativo per i pazienti affetti da scompenso cardiaco biventricolare, che richiedono un trapianto cardiaco. La tecnologia del cuore artificiale potrebbe diventare una soluzione alternativa al trapianto di cuore, particolarmente per coloro con controindicazioni al trapianto tradizionale.
Tempi di attesa
Con l’attuale carenza di organi da trapiantare, il cuore artificiale si candida a diventare una soluzione salvavita per molti pazienti in attesa. Mentre l’aspettativa media in lista ordinaria per un trapianto di cuore in Italia è di circa 3 anni, questa innovazione offre speranza per migliorare le condizioni dei pazienti e ridurre il periodo di attesa. L’auspicio è che, nel prossimo futuro, il cuore artificiale possa evolversi ulteriormente, diventando una soluzione definitiva e accessibile per chi soffre di disfunzione cardiaca grave.