Tempo di lettura: 4 minutiSono trascorsi due anni dall’inizio della guerra in Ucraina. Il rapporto delle Nazioni Unite del 5 ottobre 2023 parlava già di oltre 10 mila morti tra i civili e diverse decine di migliaia di feriti. Analizzando la letteratura disponibile, esistono solo 18 studi sulle cicatrici di guerra indicizzati su PubMed, prevalentemente dedicati alla chirurgia maxillofacciale e ad alcuni dati statistici che indicano agli eserciti dopo quanto tempo possono richiamare i feriti alle armi. Secondo tali studi, le principali ferite sono da ustione, conseguenza del fatto che intorno alle zone con esplosioni l’aria diventa rovente per un raggio di decine di metri e tutti coloro che vengono coinvolti da tali onde d’urto termiche sono esposti a lesioni a mani, volto e collo, le parti generalmente non coperte dall’abbigliamento. Per offrire cure a chi porta ogni giorno i segni della guerra sulla propria pelle, RigeneraDerma presenta Mission to Kiev.
Progetto per restituire un volto alle donne vittime di violenza
Nato per curare le donne oggetto di violenza, il progetto RigeneraDerma viene oggi rivolto gratuitamente anche a militari e civili feriti nel corso della guerra d’Ucraina. Ideata da Maurizio Busoni, Professore presso il Master di Medicina Estetica delle Università di Barcellona e Camerino, la missione umanitaria si avvale del Patrocinio dell’Università di Verona con la collaborazione del Professor Andrea Sbarbati e dell’Ingegner Sheila Veronese, del Professor Francesco D’Andrea dell’Università Federico II di Napoli, del Dottor Andrzej Ignaciuk, Past Presidente UIME Union Internationale de Mèdicine Esthétique di Varsavia e di un gruppo di medici ucraini. La metodologia Biodermogenesi per la rigenerazione dei tessuti cutanei, sarà messa a disposizione dei medici ucraini aderenti all’iniziativa che erogheranno le terapie ai pazienti dopo specifica formazione. Referente in Ucraina è la Dottoressa Anna Shemetillo, Medical Director Academy of Advanced Aesthetics UA di Kiev.
«Le cicatrici di guerra sono la conseguenza di traumi da arma da fuoco ed hanno caratteristiche peculiari. Si tratta infatti di ferite spesso estese, di tipo lacerocontuso, infette e con perdita di tessuto. La guarigione di tale ferite è verso cicatrici di tipo patologico, ispessite, spesso dolenti e retraenti con associati disturbi funzionali se localizzate in zone flesso estensorie, quali arti e collo. La terapia non è di facile realizzazione», spiega il Professor Francesco D’Andrea, Direttore del Dipartimento di Chirurgia plastica ed estetica del Policlinico Federico II di Napoli e past president della SICPRE Società di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica.
Approccio innovativo
«Le ferite di guerra rappresentano da sempre una sfida per la medicina, perché nascono in situazioni difficili e sono poco prevedibili, sia per la sede, sia per il meccanismo di formazione. Sono sempre state una sfida per l’umanità. Si potrebbe dire che la medicina è nata per curare le ferite di guerra. E questa sfida non è stata ancora vinta. Nella cicatrice noi abbiamo un esempio di quello che avviene in ogni parte del corpo durante l’invecchiamento, ma in modo acuto. Si generano, infatti, fenomeni di atrofia, di ipertrofia, che portano ad un tessuto fibrotico con problemi vascolari, come succede nei tessuti invecchiati. È come se il tessuto invecchiasse nel giro di pochi giorni o mesi. Oggi abbiamo a disposizione delle metodiche in grado di ringiovanire il tessuto. Potremmo dire, in termini tecnici, di mesenchimalizzare il tessuto, e abbiamo il dovere morale di sviluppare queste tecnologie perché possono essere utili in tante situazioni patologiche, anche al di fuori del contesto di guerra. L’Università di Verona da tempo studia il trattamento presentato sia dal punto di vista anatomico-funzionale, sia bio-ingegneristico. I risultati di questi studi sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali. In particolare, sono state evidenziate possibilità di induzione di fenomeni rigenerativi dei tessuti», sottolinea il Professor Andrea Sbarbati, Ordinario di Anatomia Umana, Direttore della sezione di Anatomia Umana e Istologia, Università degli Studi di Verona.
Ferite di guerra: come trattarle
«Per capire come trattare le ferite di guerra è fondamentale capire come si determinano. Focalizzandosi, in particolare, su quelle causate da arma da fuoco o esplosivo, si deve considerare che la ferita è generata da una scottatura termica associata ad una bruciatura chimica. L’effetto termico si esaurisce con il raffreddamento dei tessuti. Gli agenti chimici, invece, continuano ad erodere anche in profondità i tessuti fino a che l’ultima molecola di agente non viene lavata via dal corpo. Curare questo genere di danni significa ristrutturare tutti i tessuti coinvolti, talvolta rigenerandoli. Perché tanto più profonda è la ferita, tanto più estesa la cicatrice, e tanto più grave il danno funzionale, e, conseguentemente, il danno sociale», evidenzia l’Ingegner Sheila Veronese, esperta di Medicina rigenerativa, si occupa di dispositivi bio-medicali, dal funzionamento alle interazioni fisiologiche presso il Dipartimento di Scienze Neurologiche, Biomediche e del Movimento dell’Università degli Studi di Verona.
Nasce la scala di valutazione delle ferite
«Nonostante la storia dell’umanità sia stata scandita dalle guerre, nessuno si è preoccupato di curare le cicatrici dei feriti sopravvissuti, che sono stati abbandonati a loro stessi, con problemi di relazione causati proprio dalle cicatrici, talvolta deturpanti, e molte volte impossibilitati a rientrare nel mondo del lavoro, perdendo di conseguenza la propria indipendenza economica. Ad oggi non esiste un protocollo terapeutico convalidato, né una scala di valutazione del danno. Pertanto siamo partiti dallo studio delle cicatrici di guerra e delle loro conseguenze, quali ad esempio dermatiti gravi e talvolta croniche o devastanti forme di tumore cutaneo come le ulcere di Marjolin, sviluppando una scala di valutazione di tali cicatrici che abbiamo chiamato POWASAS, Patient and Observer WAr Scar Assessment Scale. La scala verrà adottata per tutta la durata di Mission to Kiev e permetterà inizialmente di determinare la gravità delle lesioni e successivamente di valutare i miglioramenti apportati. Saranno quindi raccolti i dati di tutti i pazienti curati al fine di pubblicare degli studi clinici destinati a ridurre il vuoto informativo nell’ambito della cura delle cicatrici di guerra», conclude Maurizio Busoni.
Salute del cuore, lo spazzolino può essere fondamentale
News Presa, Stili di vitaUna bozza trascurata potrebbe causare grossi problemi al cuore. Proprio così, la relazione tra la salute del cuore e quella della bocca è strettissima e troppo spesso sottovalutata. Mentre la scienza conferma questa stretta correlazione, la consapevolezza del pubblico e talvolta anche dei medici rimane limitata. Per una maggiore consapevolezza, le nuove Linee guida dei cardiologi per la profilassi delle endocarditi evidenziano il ruolo che la salute orale gioca nella prevenzione di gravi complicazioni cardiache.
Il legame tra bocca e cuore
Le endocarditi, infezioni del rivestimento interno delle strutture del cuore, possono originare da batteri presenti nella bocca. L’endocardite, un’infezione dell’endocardio, ha causato oltre 66.000 morti nel mondo nel 2019, evidenziando l’urgenza di comprendere e prevenire questa malattia. Gli streptococchi del gruppo viridans, normalmente presenti sulla superficie dei denti e delle gengive, possono infatti entrare nel flusso sanguigno quando si va dal dentista per curare una banale carie o anche solo quando ci si lava i denti, e le complicanze possono essere molto gravi.
Le raccomandazioni per la prevenzione
Secondo le raccomandazioni della Società Europea di Cardiologia, la prevenzione delle endocarditi inizia con una rigorosa igiene orale. È fondamentale spazzolare i denti due volte al giorno, eseguire pulizie professionali sottogengivali e sottoporsi a controlli dal dentista regolari. Queste misure sono particolarmente cruciali per i pazienti a rischio elevato, tra cui coloro che hanno già avuto un’endocardite, quelli con protesi valvolari cardiache o trapianti cardiaci.
L’importanza della buona igiene orale
Anche per coloro che non sono considerati a rischio elevato, mantenere una buona igiene orale è essenziale per prevenire le endocarditi. Il 15% dei casi di endocardite si verifica in pazienti non predisposti, sottolineando l’importanza di una corretta igiene orale per tutti. Gengive sane e non infiammate sono meno suscettibili alle infezioni batteriche, riducendo il rischio di complicazioni cardiache. Anche un gesto apparentemente banale come quello di lavare i denti può rivelarsi determinate per la salute.
Fertilità, una giornata di visite gratuite e consulti
Invisibile in HomepageSabato 9 marzo torna “Ferty Check”, l’iniziativa che offre visite gratuite nei centri Genera a chi cerca un bambino e non solo. La campagna di sensibilizzazione e supporto per chi desidera una gravidanza avviata nel 2021 è giunta alla settima edizione. Le visite sulla fertilità potranno essere effettuate gratuitamente nei centri di Roma, Milano, Torino, Napoli, Marostica (Vicenza), Umbertide (Perugia), oltre che Bologna (clinica 9.baby, che fa parte dello stesso network di Genera).
“Durante la scorsa edizione di Ferty Check – racconta Filippo Maria Ubaldi, ginecologo e direttore medico del gruppo Genera – abbiamo effettuato 123 visite gratuite e offerto supporto ad altrettanti pazienti con problemi di infertilità. Attraverso le campagne periodiche Ferty Check è possibile intraprendere il primo accesso a una struttura specializzata che a volte può spaventare, in maniera gratuita e senza impegno, ottenendo una consulenza personalizzata sulla situazione della coppia e sul percorso più adatto da intraprendere. La giornata è comunque aperta a tutti, anche a giovani ragazzi e ragazze per un check up della propria salute riproduttiva e per conoscere la possibilità di crioconservare i gameti, oltre a coppie in cerca di un figlio e coppie che hanno già alle spalle precedenti esperienze di procreazione medicalmente assistita (PMA)”. Le prenotazioni dedicate alle fertilità possono essere effettuate al numero verde 800 81 69 69 oppure dal sito.
Kate Middleton, i primi scatti della principessa
News PresaCos’ha la principessa di Galles Kate Middleton? La domanda rimbalza sul web da quasi due mesi, cioè da quando la principessa è stata costretta ad un ricovero per un intervento all’addome, realizzato con successo, e torna oggi sulla bocca di tutti a causa di alcune foto che ritraggono la principessa in auto con la madre.
Gli scatti
Dopo mesi nei quali Kate Middleton era del tutto sparita dai tabloid inglesi, i paparazzi sono riusciti a fotografarla. Gli scatti tuttavia non chiariscono le condizioni della principessa del Galles. La foto scattata nei dintorni del castello di Windsor, dove la principessa sta trascorrendo la sua convalescenza è ovviamente uno scatto preso da lontano e la principessa appare di certo stanca, ma potrebbe essere anche solo effetto della bassa qualità dell’immagine. Di certo c’è che sono definitivamente da archiviare le illazioni di chi la dipingeva in gravi condizioni di salute o addirittura in coma, come invece era stato pensato nei giorni scorsi.
Cosa si sa
Un ex assistente di palazzo ha rivelato a Page Six che la principessa ha scelto di mantenere riservati i dettagli sull’intervento e le relative motivazioni, condividendoli solo con pochissime persone di fiducia. La fonte ha dichiarato che solo una cerchia ristretta è a conoscenza di ciò che sta accadendo e che coloro che si aspettano aggiornamenti dettagliati saranno delusi, poiché il principale obiettivo dell’isolamento è proteggere la privacy di Kate. La fonte ha aggiunto che questa strategia sembra funzionare, nonostante il disappunto della stampa. Probabilmente una volta ristabilita sarà direttamente la principessa a far luce su quanto accaduto, tranquillizzando un intero popolo che per ora resta con il fiato sospeso.
8 marzo, visite gratuite alle donne a Villa Margherita Roma
Invisibile in HomepageL’8 marzo, in occasione della Festa della Donna, la Clinica Villa Margherita di Roma, dedica una giornata alla salute femminile. Durante gli orari di apertura del centro offrirà alle donne la possibilità di effettuare gratuitamente visite di controllo con diversi specialisti. Inoltre nell’occasione verrà presentato il “Centro di Senologia”. La dott.ssa Carla Campanella, medico oncologo, coordinatrice del centro di senologia ha commentato: “Nell’ambito del Progetto Donna, la clinica ha aperto un centro di Senologia con percorsi completi per la prevenzione e la cura delle patologie mammarie, con il coinvolgimento di professionisti e apparecchiature diagnostiche all’avanguardia nel rispetto dei criteri di qualità certificati dagli standard internazionali.”
“L’open day dell’8 marzo – ha continuato la dottoressa – è una preziosa occasione per informare le donne, dai 18 anni in su, sull’importanza, la necessità e le modalità di un percorso di prevenzione del “tumore della mammella”. Inoltre, vista la complessità della salute femminile, durante l’open day, oltre alla visita senologica, il centro offrirà la possibilità di effettuare visite ginecologiche, controlli della fertilità di coppia, verifica dello stato del pavimento pelvico, visite endocrinologiche e consulenze ostetriche per dubbi sull’allattamento.”
“Infine – ha concluso – dall’8 marzo in poi il Centro di Senologia di Villa Margherita entrerà in piena attività con l’accesso diretto per visite urgenti, tutte le mattine, dalle 9.00 alle 13.00, senza bisogno della prenotazione. In caso di necessità di approfondimenti, le pazienti potranno contare, da subito, su un gruppo di professionisti composto da radiologo, psicologo, chirurgo senologo, oncologo, ed eventuali altri specialisti, che a seconda dei casi proporrà l’iter più adatto per la diagnosi e la cura.” È possibile prenotare una visita e avere maggiori informazioni sulle prestazioni comprese nell’open day dell’8 marzo attraverso il sito.
Linfedema secondario al tumore, rischi e cure in Italia
News Presa, PrevenzioneIl linfedema è una patologia che provoca un aumento di volume degli arti, braccia o gambe, e più raramente dei genitali. Nella maggior parte dei casi, il linfedema è secondario a interventi di asportazione dei linfonodi, la linfoadenectomia ascellare o inguinale, ma esistono anche forme congenite o infettive o post-traumatiche.
World Lymphedema Day, iniziativa al Gemelli
Il 6 marzo, ricorre il World Lymphedema Day, la giornata mondiale del linfedema. Al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma si svolge la prima edizione del Lymphedema Day SICPRE, evento itinerante organizzato dalla Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva-rigenerativa ed Estetica. L’iniziativa nasce per informare e sensibilizzare su questa malattia che provoca l’aumento del volume di un arto per alterazione del sistema linfatico. Il Chair dell’evento è la Professoressa Marzia Salgarello, chirurgo plastico ricostruttivo presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRRCS e Presidente di Beautiful After Breast Cancer (BABC) Italia Onlus. Si parlerà in particolare del linfedema secondario al tumore al seno, con l’obiettivo di informare le pazienti sui rischi e le possibili cure. Oltre a medici, fisioterapisti e fisiatri, intervengono anche pazienti che praticano canottaggio e dragon boat, due discipline da consigliare in caso di linfedema, e le associazioni delle pazienti: Beautiful After Breast Italia Onlus, Associazione Melavivo e la LILT. L’evento potrà essere seguito anche online, dalla pagina Youtube della SICPRE.
I numeri del linfedema
“Secondo i dati raccolti da OMAR, Osservatorio Malattie Rare, in Italia ogni anno si registrano 40mila nuovi casi di linfedema. Di questi, almeno la metà interessa pazienti sottoposti all’asportazione di linfonodi in seguito all’insorgenza di tumori. Tale asportazione determina poi stasi linfatica e quindi gonfiore cronico delle braccia e delle gambe – spiega la presidente della SICPRE, Dottoressa Stefania de Fazio, che sarà presente all’evento – L’incidenza è in crescita. Anche per questo la SICPRE, l’unica società di chirurgia plastica riconosciuta dal Ministero della Salute, ha deciso di declinare anche per questa patologia il format di eventi itineranti, come il BRA Day SICPRE, il Post Bariatric Day SICPRE e il Summit sulle Mutilazioni genitali femminili, dando la parola a specialisti, pazienti e associazioni”.
Linfedema, complicanza post intervento
“Il linfedema dell’arto superiore è una complicanza non rara degli interventi di mastectomia e svuotamento ascellare per carcinoma della mammella. È una malattia cronica e ingravescente. Questo vuol dire che accompagnerà la paziente per tutta la vita. Oggi però possiamo fare molto per il linfedema, sia grazie a terapie fisiche, che vedono fisiatri e fisioterapisti in prima linea con la fisioterapia decongestiva, il bendaggio e l’utilizzo di un indumento compressivo su misura che va cambiato ogni 6 mesi, sia grazie alla chirurgia plastica. L’obiettivo è scaricare la linfa verso la radice dell’arto”, spiega la Professoressa Marzia Salgarello.
Primo passo, controllo del peso
“Il primo passo per la cura del linfedema è il controllo o la riduzione del peso corporeo – prosegue la professoressa. Ogni terapia, poi, deve essere personalizzata sul singolo paziente. Se occorre, s’interviene con la chirurgia microscopica di altissima specializzazione, con incisioni di circa 2 centimetri, paragonabili ai tagli praticati per togliere un neo. L’impatto sul paziente è perciò minimo. In una persona sana la linfa viene scaricata nel sangue venoso dopo un lungo percorso che attraversa i canali linfatici di tutto il corpo ed i linfonodi fino al collo. Dopo l’asportazione dei linfonodi per terapia oncologica, la linfa non può essere scaricata e pertanto “intasa” i tessuti dell’arto interessato, l’intervento chirurgico mira quindi a riconoscere i piccoli vasi linfatici ancora funzionanti, e creare un bypass per riversare la linfa nella piccola vena. Nelle pazienti con linfedema si anticipa il ritorno della linfa nelle vene proprio grazie a questi bypass. Un’altra possibilità chirurgica è il trapianto dei linfonodi da una sede all’altra. Ma questa è una chirurgia più elaborata anche per il paziente da applicare in casi selezionati”, continua la Professoressa Salgarello.
Prevenzione e cure
“Il linfedema è una patologia che è stata a lungo trascurata. Ancora oggi molte donne la accettano senza nemmeno segnalarla al medico. Il linfedema è una sequela che può essere trattata con terapie fisiche quali il linfodrenaggio e l’elastocompressione o, in casi selezionati, con tecniche microchirurgiche che consentono di evitare situazioni drammatiche che purtroppo ancora vediamo. Ecco perché come BABC Italia Onlus abbiamo l’importantissimo ruolo di parlare alle pazienti e sensibilizzarle sul linfedema in modo da poterlo curare e prevenire. Conoscendo la patologia, infatti, in molti casi c’è la possibilità di prevenirla, concentrando l’attenzione sul braccio: in seguito a linfoadenectomia (e specie nei casi di radioterapia dell’ascella) il braccio va trattato con estrema delicatezza, come se fosse di cristallo. Ciò vuol dire, ad esempio, evitare iniezioni. In caso di prelievi di sangue per controlli di routine si devono utilizzare vie di accesso alle vene di altre sedi. Non si deve sottoporre il braccio a traumi, né sollevare pesi. Vanno invece incoraggiati gli esercizi specifici che, almeno all’inizio, devono essere consigliati dal fisioterapista. Inoltre, è necessaria la consulenza del fisiatra per ricevere indicazioni farmacologiche e dietetiche”.
Team multidisciplinare
Il trattamento del linfedema secondario, conseguenza del tumore al seno, necessita di un approccio multidisciplinare e delle figure del fisiatra e del fisioterapista. “Proprio per questo, sono ormai entrati a far parte a pieno titolo delle breast unit”, sottolinea la Professoressa Adriana Cordova, Professoressa Ordinaria di Chirurgia Plastica presso l’Università di Palermo, Responsabile dell’ U.O.C di Chirurgia Plastica Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico Giaccone di Palermo e membro del direttivo della BABC Italia. La Onlus è parte di un progetto internazionale, infatti la Fondazione Beautiful After Breast Cancer nasce infatti nel 2010 in Belgio come organizzazione internazionale multidisciplinare, il cui obiettivo è di aiutare le pazienti che hanno avuto diagnosi di tumore al seno a ricostruire la propria vita.
Obesità, tra cambiamento culturale e riconoscimento. La mostra alla Camera
Alimentazione, Associazioni pazienti, Eventi d'interesse, News Presa, PrevenzioneImmagini e storie emozionanti di persone con obesità, quelle che sono riuscite a riprendere in mano le loro vite e quelle che ancora lottano ogni giorno contro il peso. Un vissuto di sofferenza e di isolamento che si tramuta in rinascita per chi ce l’ha fatta. È quanto racconta, la mostra fotografica itinerante “Chiave di (S)volta – Storie e percorsi di persone con obesità” che, in concomitanza con la Giornata mondiale dell’obesità, è arrivata per la prima volta nel cuore delle Istituzioni del nostro Paese, ospitata da oggi fino a martedì 12 marzo nella Galleria dei Presidenti della Camera dei Deputati. In contemporanea viene esposta da mercoledì 6 fino a mercoledì 20 marzo presso Spazio Europa, sede gestita dall’Ufficio in Italia del Parlamento Europeo e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea.
Patriarca: obesità è una patologia cronica
«Siamo felici di accogliere la mostra fotografica dell’Associazione Amici Obesi in una importante sede istituzionale quale la Galleria dei Presidenti della Camera dei Deputati per sostenere le loro attività a supporto dei pazienti affetti da obesità – ha dichiarato l’On. Annarita Patriarca, Segretario della Presidenza della Camera dei Deputati – l’obesità è una patologia cronica che impatta in modo negativo sulla salute di un italiano su 3 e che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito come la ‘pandemia’ del nuovo millennio. Il nostro impegno per definire nuove strategie di contrasto all’obesità è forte, crediamo che solo attraverso la collaborazione tra Istituzioni, associazioni dei pazienti, mondo scientifico e industriale, si possa arrivare a tagliare traguardi importanti».
La mostra
La mostra fotografica, nata in epoca Covid, ideata e realizzata dall’Associazione Amici Obesi con il patrocinio scientifico di Fondazione ADI – Associazione di Dietetica e Nutrizione Clinica, è stata presentata a Milano nel 2021, in seguito ha fatto tappa a Bergamo, Bologna e attualmente è esposta a Riccione e Messina. Attraverso gli scatti di Stefano Barattini e le narrazioni raccolte da Daniela Consonni, la Mostra ha l’obiettivo di richiamare l’attenzione delle Istituzioni politiche e dell’opinione pubblica sulla necessità di contrastare lo stigma sociale che accompagna le persone affette da obesità ed è spesso concausa del suo aggravamento, e innescare un cambiamento culturale di questa patologia nella popolazione.
Pella: urgente inserire obesità nei Lea
L’On. Roberto Pella, Presidente alla Camera dell’Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete, ha sottolineato: «la nostra priorità è il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica invalidante. Come firmatario della proposta di legge sulla prevenzione e cura dell’obesità, attualmente in votazione in Commissione Affari Sociali, intendiamo proprio andare in questa direzione affinché i pazienti affetti da obesità possano, auspicabilmente entro fine anno, vedere la loro patologia riconosciuta e accedere alle cure offerte dal Servizio Sanitario Nazionale tramite i Livelli Essenziali di Assistenza».
Cause multifattoriali e complesse
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato l’obesità come malattia fin dal 1948, nel 1997 l’ha riconosciuta come malattia cronica e nel 2021 ha aggiornato la definizione in “malattia cronica, progressiva e recidivante”. L’obesità è una malattia che porta ad un peggioramento della qualità e dell’aspettativa di vita, le sue cause sono multifattoriali e complesse, per questo il vissuto degli obesi è segnato da traumi emotivi che necessitano anche di un supporto psicologico. Negli ultimi anni l’attenzione dei politici, dei clinici e delle società scientifiche è cresciuta, si avverte il bisogno di una maggiore consapevolezza da parte dell’opinione pubblica. La persona obesa ha bisogno di aiuto non di essere giudicata.
Zani: abbattere stigma
«Abbiamo pensato alla mostra fotografica itinerante “Chiave di (S)volta”, come ad uno strumento capace, attraverso i volti e i corpi dei pazienti e le loro narrazioni, di sensibilizzare le Istituzioni e la popolazione generale – ha detto Iris Zani, Presidente Associazione Amici Obesi – per creare conoscenza sull’obesità e per scardinare il pensiero comune secondo cui una persona obesa sia colpevole del suo stato e che manchi di forza di volontà per guarire. Dobbiamo sfatare il sentimento che accomuna l’obesità a comportamenti e scelte di vita sbagliati. La necessità di perdere peso non è meramente legata ad un fattore estetico ma alla salute. Il paziente obeso è vittima di una malattia cronica e spesso recidivante con complicanze importanti. Purtroppo, nel nostro Paese vengono gestite le comorbidità ad essa correlate ma non si cura la malattia e le sue cause. La nostra organizzazione, oltre ad essere un valido supporto informativo ed emotivo per i pazienti, è impegnata da anni nella battaglia per il riconoscimento politico e sociale dell’obesità. Occorre disinnescare il meccanismo di disapprovazione sociale e, agendo tutti insieme, promuovere una cultura e una visione diverse, meno superficiale, dell’obesità».
L’iniziativa per sensibilizzare le Istituzioni
Nell’ambito della Mostra fotografica è stata offerta ai parlamentari l’opportunità di poter usufruire all’interno dell’Ambulatorio medico della Camera dei Deputati di uno screening gratuito e di una consulenza clinica con la partecipazione di un medico esperto in nutrizione e obesità, sono state affrontate tematiche inerenti il peso corporeo, la misurazione del Body Mass Index (BMI), la corretta alimentazione e l’importanza della prevenzione primaria per aumentare la conoscenza e la consapevolezza sull’obesità come patologia complessa che richiede una gestione di lungo termine.
Benigni: obesità al centro dell’agenda politica
«Confermiamo e rafforziamo il nostro impegno contro l’obesità e i disturbi del comportamento alimentare – ha sottolineato l’On. Stefano Benigni, Commissione Affari Sociali – abbiamo chiesto al Ministro della Salute di costituire un Osservatorio dedicato a queste patologie e ci aspettiamo a breve una risposta concreta con formale impegno del Governo a supporto dei molti pazienti italiani, tra cui numerosi giovani».
L’iniziativa ha inteso promuovere un messaggio in sintonia con quello della Giornata mondiale: diffondere tra i cittadini e l’opinione pubblica la cultura dell’obesità, ma anche sensibilizzare il Parlamento, e collocare il tema dell’obesità al centro dell’agenda politica.
Caretto: sensibilizzare politica
«Siamo lieti di affiancare l’Associazione Amici Obesi con la quale collaboriamo da molto tempo – ha commentato Antonio Caretto, Presidente Fondazione ADI – Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica, Medico specialista in Scienze della alimentazione e dietologia, specialista in Endocrinologia, Responsabile Endocrinologia Diabetologica e Nutrizionale Clinica, Città di Lecce Hospital – riteniamo fondamentale sensibilizzare la politica su una malattia così impattante come l’obesità per stimolare l’attenzione del legislatore sulla necessità di un fattivo riconoscimento dell’obesità dal punto di vista politico, sociale e burocratico».
Le proteine vegetali allungano la vita
News PresaUn piano alimentare che preveda più proteine vegetali che animali può allungare la vita. La notizia non renderà molto felici gli amanti della carne, ma è provato che la parziale sostituzione delle proteine animali con alimenti di origine vegetale porta a significativi benefici per la salute e, cosa che non guasta, per l’ambiente.
Lo studio
A questa conclusione è arrivato lo studio pubblicato su Nature Food e condotto presso l’Università McGill in collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine. Sotto analisi i dati provenienti da un sondaggio sulla nutrizione dei canadesi, grazie ai quali gli esperti hanno esaminato gli effetti delle sostituzioni parziali di carne rossa e lavorata o latticini con alimenti proteici vegetali, come noci, semi, legumi, tofu e bevande a base di soia fortificata.
Benefici
Secondo lo studio, la sostituzione del 50% della carne rossa e lavorata con alimenti vegetali potrebbe portare a una riduzione significativa dell’impronta di carbonio associata alla dieta di una persona, fino al 25%. Inoltre, questa sostituzione potrebbe anche aumentare l’aspettativa di vita media di quasi nove mesi, grazie a un ridotto rischio di malattie croniche. Si stima che gli uomini possano trarre un beneficio maggiore rispetto alle donne, con un guadagno nell’aspettativa di vita che raddoppia.
Equilibrio
Serve tuttavia equilibrio, lo studio ha infatti evidenziato anche che la sostituzione parziale dei latticini con alimenti vegetali potrebbe portare a guadagni minori nell’aspettativa di vita e ad un problema di salute correlato: un aumento del rischio di carenza di calcio fino al 14%. Questo solleva la necessità di un’attenzione particolare nella pianificazione di una dieta equilibrata quando si considerano le sostituzioni parziali di alimenti.
Sostenibilità
“Spero che i nostri risultati aiutino i consumatori a fare scelte alimentari più sane e sostenibili e informino le future politiche alimentari in Canada”, dice l’autore senior Sergio Burgos del Dipartimento di Scienze Animali di McGill e ricercatore presso l’Istituto di Ricerca del Centro Medico dell’Università McGill. Questo studio fornisce una prospettiva importante su come le scelte alimentari possano influenzare sia la salute individuale che l’ambiente, incoraggiando una maggiore consapevolezza e adozione di pratiche alimentari sostenibili.
Deformità spinali, il futuro è già qui
News Presa, Ricerca innovazione«Giovedì prossimo realizzeremo un intervento ad altissima complessità per correggere una grave deformazione della colonna vertebrale su un giovane. L’esperienza e la preparazione dei chirurghi resta la base di questa chirurgia. Ma le nuove tecnologie ci sono di grande supporto: in questo intervento adopereremo in sala operatoria un avanzato sistema di neuro-navigazione appena arrivato al nostro policlinico ed allo stesso tempo un software di intelligenza artificiale ci aiuterà a programmare ogni passo dell’operazione e progetterà per noi anche degli strumenti ad hoc per il caso».
Meeting partenopeo
A parlare del delicatissimo intervento che di qui a pochi giorni potrebbe restituire una vita normale a Paolo (nome di fantasia per tutelarne la privacy) è il professor Enrico Pola, direttore della Clinica Ortopedica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Luigi Vanvitelli di Napoli, a margine del I meeting del Mediterraneo sulle deformità spinali. «Per la prima volta Napoli ha ospitato un confronto che ha visto protagonisti i più importanti chirurghi e opinion leader dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo e di molti Paesi europei. Occasione unica di confronto e di arricchimento culturale e scientifico», sottolinea il professor Pola che, assieme Luigi Nasto, ha presieduto l’evento patrocinato dall’Università e dall’Azienda Ospedaliera L. Vanvitelli.
Riconoscimento importante
Al meeting sulle deformità spinali sono arrivati infatti chirurghi vertebrali da Spagna, Italia, Francia, Croazia, Albania, Grecia, Turchia, Israele, Libano, Tunisia, Egitto, ma anche specialisti da Inghilterra, Svizzera e Iran. Tra le sessioni più seguite, non a caso, quella sulle “best technologies” durante la quale sono stati presentati aggiornamenti e avanzamenti tecnologici. «Evento che ci rende fieri – sottolinea il direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria, Ferdinando Russo – perché è un riconoscimento del ruolo di primo piano che i nostri professionisti e la nostra Azienda rivestono nel panorama internazionale». Due in particolare, spiegano i professori Pola e Nasto, sono le tecnologie che oggi ci proiettano nel futuro: la neuro-navigazione e l’intelligenza artificiale.
Chirurgia di precisione
«La neuro-navigazione usata nel trattamento delle deformità spinali ci consente di inserire delle viti nei peduncoli vertebrali con maggiore precisione e sicurezza, utilizzando le immagini tridimensionali ottenute da Tac pre o intra-operatorie. Semplificando, un sofisticatissimo sistema di telecamere a raggi infrarossi rileva dei marcatori applicati sulla testa e sulle spalle del paziente e su uno strumento chirurgico. Questi dati vengono elaborati da un software che sincronizza le immagini del rachide con la forma reale del paziente e mostra al neurochirurgo la posizione esatta delle viti rispetto alle strutture anatomiche circostanti». La tecnica, che sarà impiegata anche per il delicato intervento sul giovane Paolo, ha il vantaggio di ridurre il rischio di danneggiare i nervi o i vasi sanguigni, di diminuire il tempo operatorio e l’esposizione alle radiazioni, e di favorire una stabilizzazione più efficace del rachide».
Esecuzione assistita
A questo si aggiungono le potenzialità dell’intelligenza artificiale, tanto nella pianificazione che nell’esecuzione dell’intervento. «Il software ci aiuta elaborando modelli biomeccanici e simulazioni virtuali. L’intelligenza artificiale è utile per scegliere la strategia chirurgica più adatta al caso specifico, definire il posizionamento e il numero delle viti da inserire nei peduncoli vertebrali, calcolare le forze e le tensioni da applicare per correggere la deformità, e a prevedere gli esiti e le complicanze post-operatorie», proseguono Pola e Nasto. L’esecuzione assistita si basa poi su sistemi di neuro-navigazione che ci guidano durante l’intervento, fornendo informazioni in tempo reale sulla posizione e l’orientamento delle viti rispetto alle strutture anatomiche circostanti, e correggendo eventuali errori o deviazioni dal piano predefinito.
Obesità moltiplica rischio diabete 6 volte negli uomini, 10 nelle donne
Alimentazione, News Presa, PrevenzioneObesità e diabete sono strettamente legati, da qui la nascita di un neologismo che li comprende entrambi: diabesità. La SID fa punto in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità che si svolge oggi, 4 marzo. In Italia, il rischio di sovrappeso e obesità è elevato già dall’età pediatrica. Si stima, infatti, che 8 bambini/adolescenti su 11, secondo la WOF, e 6 adulti su 10 ne saranno affetti. Secondo l’ultimo rapporto “Childhood Obesity Surveillance Initiative” dell’Ufficio Europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Italia si colloca infatti al 4° posto in Europa per prevalenza di sovrappeso e obesità di poco al di sotto del 40%, superata solo da Cipro, Grecia e Spagna. Per la prevalenza della sola obesità, invece, il nostro Paese è al 2° posto in Europa.
Bambini e rischio da adulti
“Un bambino obeso ha il 75-80% di probabilità di diventare un adulto obeso ad alto rischio diabete” spiega il Professor Angelo Avogaro, Presidente SID “due parole ormai strettamente correlate al punto da esser definite con il solo termine di ‘diabesità’. Nel contrasto a questo fenomeno, oltre a una sana e varia alimentazione, serve un’attività fisica quotidiana, in Italia poco ancora troppo poco diffusa. Il 44,8% degli italiani adulti non pratica un adeguato livello di attività fisica, mentre questa percentuale raggiunge il 94,5 % nei bambini, ultimo Paese OCSE”.
Secondo gli studi anche una diminuzione del 5% del peso diminuisce il rischio di diabete del 40% con un miglioramento clinico significativo dell’emoglobina glicata e la pressione arteriosa. Perdite di peso anche moderate hanno migliorato, non solo i più comuni fattori di rischio, ma anche esiti di malattia come steatosi epatica e apnee notturne nelle persone con diabete di tipo 2” ha dichiarato il Professor Avogaro intervenuto alla presentazione del 5° rapporto dell’Italian Barometer Obesity Report a Roma.
Obesità e rischio diabete
“Sappiamo che le persone in sovrappeso hanno un rischio tre volte superiore di sviluppare diabete di tipo due. In particolare nei soggetti con massa corporea superiore a 30 (BMI) il rischio arriva a sei volte di più negli uomini e 10 volte di più nelle donne. Si tratta di una correlazione direttamente proporzionale all’eccesso di peso” Sottolinea la professoressa Frida Leonetti, Professore Ordinario di Endocrinologia Università La Sapienza – Polo Pontino “la buona notizia e che, nei casi in cui l’indice di massa corporea sia alto ma non eccessivo, un calo di peso anche moderato è molto utile e migliora i parametri della glicemia. La chirurgia bariatrica invece rende la malattia più trattabile, con un miglioramento del controllo glicemico e delle condizioni generali della persona, in alcuni casi con una remissione del diabete.
La SID aderisce alla World Obesity Federation. Sovrappeso e l’obesità insieme al diabete mellito rappresentano, non solo nel mondo occidentale, una vera e propria pandemia. Senza misure adeguate di prevenzione e trattamento si stima che le prevalenze aumenteranno in maniera esponenziale nei prossimi anni.
Ferite dei conflitti, progetto umanitario per curare i tessuti
News PresaSono trascorsi due anni dall’inizio della guerra in Ucraina. Il rapporto delle Nazioni Unite del 5 ottobre 2023 parlava già di oltre 10 mila morti tra i civili e diverse decine di migliaia di feriti. Analizzando la letteratura disponibile, esistono solo 18 studi sulle cicatrici di guerra indicizzati su PubMed, prevalentemente dedicati alla chirurgia maxillofacciale e ad alcuni dati statistici che indicano agli eserciti dopo quanto tempo possono richiamare i feriti alle armi. Secondo tali studi, le principali ferite sono da ustione, conseguenza del fatto che intorno alle zone con esplosioni l’aria diventa rovente per un raggio di decine di metri e tutti coloro che vengono coinvolti da tali onde d’urto termiche sono esposti a lesioni a mani, volto e collo, le parti generalmente non coperte dall’abbigliamento. Per offrire cure a chi porta ogni giorno i segni della guerra sulla propria pelle, RigeneraDerma presenta Mission to Kiev.
Progetto per restituire un volto alle donne vittime di violenza
Nato per curare le donne oggetto di violenza, il progetto RigeneraDerma viene oggi rivolto gratuitamente anche a militari e civili feriti nel corso della guerra d’Ucraina. Ideata da Maurizio Busoni, Professore presso il Master di Medicina Estetica delle Università di Barcellona e Camerino, la missione umanitaria si avvale del Patrocinio dell’Università di Verona con la collaborazione del Professor Andrea Sbarbati e dell’Ingegner Sheila Veronese, del Professor Francesco D’Andrea dell’Università Federico II di Napoli, del Dottor Andrzej Ignaciuk, Past Presidente UIME Union Internationale de Mèdicine Esthétique di Varsavia e di un gruppo di medici ucraini. La metodologia Biodermogenesi per la rigenerazione dei tessuti cutanei, sarà messa a disposizione dei medici ucraini aderenti all’iniziativa che erogheranno le terapie ai pazienti dopo specifica formazione. Referente in Ucraina è la Dottoressa Anna Shemetillo, Medical Director Academy of Advanced Aesthetics UA di Kiev.
«Le cicatrici di guerra sono la conseguenza di traumi da arma da fuoco ed hanno caratteristiche peculiari. Si tratta infatti di ferite spesso estese, di tipo lacerocontuso, infette e con perdita di tessuto. La guarigione di tale ferite è verso cicatrici di tipo patologico, ispessite, spesso dolenti e retraenti con associati disturbi funzionali se localizzate in zone flesso estensorie, quali arti e collo. La terapia non è di facile realizzazione», spiega il Professor Francesco D’Andrea, Direttore del Dipartimento di Chirurgia plastica ed estetica del Policlinico Federico II di Napoli e past president della SICPRE Società di chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica.
Approccio innovativo
«Le ferite di guerra rappresentano da sempre una sfida per la medicina, perché nascono in situazioni difficili e sono poco prevedibili, sia per la sede, sia per il meccanismo di formazione. Sono sempre state una sfida per l’umanità. Si potrebbe dire che la medicina è nata per curare le ferite di guerra. E questa sfida non è stata ancora vinta. Nella cicatrice noi abbiamo un esempio di quello che avviene in ogni parte del corpo durante l’invecchiamento, ma in modo acuto. Si generano, infatti, fenomeni di atrofia, di ipertrofia, che portano ad un tessuto fibrotico con problemi vascolari, come succede nei tessuti invecchiati. È come se il tessuto invecchiasse nel giro di pochi giorni o mesi. Oggi abbiamo a disposizione delle metodiche in grado di ringiovanire il tessuto. Potremmo dire, in termini tecnici, di mesenchimalizzare il tessuto, e abbiamo il dovere morale di sviluppare queste tecnologie perché possono essere utili in tante situazioni patologiche, anche al di fuori del contesto di guerra. L’Università di Verona da tempo studia il trattamento presentato sia dal punto di vista anatomico-funzionale, sia bio-ingegneristico. I risultati di questi studi sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali. In particolare, sono state evidenziate possibilità di induzione di fenomeni rigenerativi dei tessuti», sottolinea il Professor Andrea Sbarbati, Ordinario di Anatomia Umana, Direttore della sezione di Anatomia Umana e Istologia, Università degli Studi di Verona.
Ferite di guerra: come trattarle
«Per capire come trattare le ferite di guerra è fondamentale capire come si determinano. Focalizzandosi, in particolare, su quelle causate da arma da fuoco o esplosivo, si deve considerare che la ferita è generata da una scottatura termica associata ad una bruciatura chimica. L’effetto termico si esaurisce con il raffreddamento dei tessuti. Gli agenti chimici, invece, continuano ad erodere anche in profondità i tessuti fino a che l’ultima molecola di agente non viene lavata via dal corpo. Curare questo genere di danni significa ristrutturare tutti i tessuti coinvolti, talvolta rigenerandoli. Perché tanto più profonda è la ferita, tanto più estesa la cicatrice, e tanto più grave il danno funzionale, e, conseguentemente, il danno sociale», evidenzia l’Ingegner Sheila Veronese, esperta di Medicina rigenerativa, si occupa di dispositivi bio-medicali, dal funzionamento alle interazioni fisiologiche presso il Dipartimento di Scienze Neurologiche, Biomediche e del Movimento dell’Università degli Studi di Verona.
Nasce la scala di valutazione delle ferite
«Nonostante la storia dell’umanità sia stata scandita dalle guerre, nessuno si è preoccupato di curare le cicatrici dei feriti sopravvissuti, che sono stati abbandonati a loro stessi, con problemi di relazione causati proprio dalle cicatrici, talvolta deturpanti, e molte volte impossibilitati a rientrare nel mondo del lavoro, perdendo di conseguenza la propria indipendenza economica. Ad oggi non esiste un protocollo terapeutico convalidato, né una scala di valutazione del danno. Pertanto siamo partiti dallo studio delle cicatrici di guerra e delle loro conseguenze, quali ad esempio dermatiti gravi e talvolta croniche o devastanti forme di tumore cutaneo come le ulcere di Marjolin, sviluppando una scala di valutazione di tali cicatrici che abbiamo chiamato POWASAS, Patient and Observer WAr Scar Assessment Scale. La scala verrà adottata per tutta la durata di Mission to Kiev e permetterà inizialmente di determinare la gravità delle lesioni e successivamente di valutare i miglioramenti apportati. Saranno quindi raccolti i dati di tutti i pazienti curati al fine di pubblicare degli studi clinici destinati a ridurre il vuoto informativo nell’ambito della cura delle cicatrici di guerra», conclude Maurizio Busoni.