Tempo di lettura: 7 minutiOggi, 21 marzo, è la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Quest’anno il tema è: “Stop agli stereotipi”. L’obiettivo è, infatti, superare le concezioni limitanti che spesso circondano le persone con sindrome di Down. In tal senso molti passi sono stati fatti, ma la strada è ancora lunga. La Giornata è stata istituita nel 2012 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il l’unto è stato fatto in un incontro in vista della ricorrenza di oggi.
Sindrome di Down
«La sindrome di Down è una nota condizione genetica, caratterizzata dalla trisomia del cromosoma 21 e rappresenta la più frequente causa di disabilità intellettiva. In Italia circa 1 bambino su mille nasce con questa condizione. Oggi si contano circa 38 mila persone con sindrome di Down, di cui 23 mila già adulte. Nel mondo questa cifra raggiunge 5,4 milioni. La durata della vita è aumentata enormemente negli ultimi cinquant’anni. Oggi, grazie al progresso della medicina, l’80% delle persone con sindrome di Down raggiunge i 55 anni e 1 su 10 i 70 anni. Un maggior accesso alle cure mediche, inoltre, ha favorito una migliore qualità della vita.
In passato le persone con disabilità intellettive erano spesso costrette ad un maggior isolamento, anche all’interno dello stesso nucleo familiare, a causa del fatto che la sindrome di Down veniva considerata uno stigma. Il passaggio a una vita comunitaria e familiare più integrate sembra aver contribuito anche a una vita più lunga. Questo non significa che va tutto bene. Anzi, ci sono ancora molti gaps da colmare. L’accesso alle risorse mediche e ai servizi di supporto è ancora insufficiente», ha sottolineato il Professor Eugenio Barone, Professore Ordinario di Biochimica, Sapienza Università di Roma, Presidente del Comitato Organizzatore della Conferenza Internazionale sulla sindrome di Down.
Conferenza Internazionale a Roma
Durante l’incontro è stata annunciata la Conferenza Internazionale sulla Sindrome di Down, promossa dalla Trisomy 21 Research Society (T21RS), che si terrà a Roma dal 5 all’8 giugno 2024, presso l’Università Sapienza e il Centro Congressi La Nuvola. Verranno presentati gli ultimi dati e aggiornamenti relativi alla ricerca scientifica sulla sindrome di Down, nonché un’intera sessione, “l’Industry session”, in cui le principali aziende farmaceutiche e i gruppi di ricerca internazionali coinvolti in sperimentazioni cliniche sulla sindrome di Down, siederanno intorno allo stesso tavolo per discutere lo stato di avanzamento dei lavori e gli obiettivi futuri.
«Come Amministrazione siamo orgogliosi di poter annunciare che sarà Roma la sede della Conferenza Internazionale sulla Sindrome di Down che si terrà dal 5 all’8 giugno 2024. Un evento che abbiamo fortemente sostenuto poiché renderà la Capitale la città di riferimento della comunità scientifica internazionale impegnata nella ricerca genetica e clinica e imprimerà ancora più forza alla battaglia di civiltà in favore delle persone con sindrome di Down. La ricorrenza della Giornata Mondiale della Sindrome di Down è un’occasione importante per dare impulso ad azioni di sensibilizzazione ed educazione per contrastare gli stereotipi e le discriminazioni che ancora oggi, troppo spesso, impediscono alle persone con questa sindrome di esser accettate e di integrarsi pienamente nella vita sociale», ha dichiarato Sabrina Alfonsi, Assessora all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei rifiuti di Roma Capitale.
Nei centri di eccellenza
Nel nostro Paese ci sono centri di eccellenza che prevedono percorsi integrati per le persone con sindrome di Down. «Da oltre 10 anni l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è attivo un Centro dedicato alle persone con sindrome di Down che, attualmente, segue oltre 900 bambini e ragazzi provenienti da tutta Italia. Si tratta di un percorso clinico-diagnostico integrato, pensato in modo che le visite specialistiche e gli esami diagnostici necessari vengano coordinati e garantiti nella stessa giornata per aiutare le famiglie a eseguire i controlli raccomandati dalle linee guida internazionali. Per assicurare la migliore qualità di vita possibile alle persone con sindrome di Down, l’Ospedale affianca all’attività clinica e assistenziale multi-specialistica l’impegno sul fronte della ricerca scientifica. Insieme all’Università Sapienza collabora agli studi sullo sviluppo precoce della malattia di Alzheimer. Inoltre con alcuni Istituti di ricerca statunitensi studia l’evoluzione naturale della sindrome di Down.
Con l’obiettivo ultimo di accrescere il benessere delle famiglie, il Bambino Gesù ha attivato delle apposite convenzioni: con la Regione Calabria per evitare spostamenti lunghi e faticosi per le cure e con la Fondazione Policlinico Gemelli per accompagnare la transizione delle persone con sindrome di Down che entrano nell’età adulta attraverso la collaborazione tra le équipe dei due ospedali, condividendo i piani di cura e aiutando i nuclei familiari a diventare il più possibile autonomi nella gestione dell’ambito sanitario», ha spiegato il Professor Alberto Villani, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa Pediatria Generale e DEA II livello Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Al Gemelli
«Dal 2010 in poi abbiamo aperto un servizio per le persone adulte, rendendo possibile la transizione dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto. L’attività svolta riguarda la presa in carico, la valutazione e assistenza clinica, coinvolgendo molti degli specialisti che lavorano nel Policlinico Gemelli, il monitoraggio dei controlli di salute, la gestione delle situazioni di crisi. Per le persone più “anziane” vengono valutati e gestiti gli aspetti clinici legati alla demenza e al fine vita. Dall’ottobre 2022, il lavoro di transizione alle terapie dell’adulto si è ampliato e arricchito dopo la stipula della convenzione tra il Gemelli e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sulla continuità delle cure nella sindrome di Down.
Inoltre, il Policlinico Gemelli sta collaborando ad un’iniziativa dell’Istituto Superiore di Sanità volta a censire i centri clinici nazionali che si occupano di sindrome di Down e a sviluppare un registro nazionale focalizzato su questa condizione», ha continuato il Professor Graziano Onder, Direttore Unità Operativa Complessa Medicina e Cure Palliative Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore.
La ricerca
«La Trisomy 21 Research Society (T21RS) è la prima organizzazione scientifica no-profit di ricercatori che studiano la sindrome di Down. È stata fondata 10 anni fa e si propone di facilitare l’interazione permanente tra i ricercatori che studiano la sindrome di Down. Siamo impegnati nell’armonizzazione dei protocolli sperimentali che riguardano sia la ricerca preclinica che per la ricerca traslazionale sull’uomo, sosteniamo l’istruzione e la formazione dei giovani ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, siamo impegnati nella divulgazione dei i recenti risultati relativi agli studi sulla sindrome di Down al grande pubblico e, non meno importante, cerchiamo di informare i legislatori e le istituzioni sulle nuove conoscenze scientifiche, sui recenti sviluppi e sulle loro implicazioni per la politica, la salute pubblica e la società», ha commentato la Dottoressa Marie Claude Potier, Direttore del Centre National de la Recherche Scietifique di Parigi e Presidente della Trisomy 21 Research Society (T21RS).
Task Force per la sindrome di Down
Nell’ottobre 2020, in occasione del 4° convegno scientifico nazionale su “Sindrome di Down: dalla Ricerca alla Terapia”, è nata la Task Force per la sindrome di Down (DS Task Force). «È un gruppo di persone, soprattutto ricercatori, provenienti da diversi settori, con l’obiettivo di operare in favore delle persone con sindrome di Down, facilitando lo sviluppo di idee, creando nuove opportunità, rispondendo a domande e risolvendo problemi. I suoi membri operano a livello internazionale, fornendo rilevanti contributi in organismi quali la T21RS e la Fondazione Jérôme Lejeune. Attualmente la Task Force sta aggiornando le Linee Guida sul management della sindrome di Down e partecipa alla creazione di un Registro Nazionale della sindrome di Down», ha spiegato il Professor Lucio Nitsch, Professore Emerito di Biologia Applicata, Università di Napoli Federico II e Coordinatore della Italian Down syndrome Task Force.
Sensibilizzare
«Solo nel nostro Paese si stimano circa 38mila persone affette dalla sindrome di Down, un bambino ogni mille nati, è portatore di questa anomalia genetica. Questi dati devono farci riflettere sulla necessità di affrontare in maniera rigorosa ogni argomento riguardante i diversi aspetti della sindrome di Down, ricordandoci che dietro i numeri ci sono persone e quanti se ne prendono cura. Il tema a cui è dedicata quest’anno la giornata mondiale della sindrome di Down, “Stop agli stereotipi”, ci invita a lavorare su un aspetto non banale che accompagna le persone affette dalla sindrome di Down: stereotipi e tutto quel bagaglio di informazioni sbagliate che influenzano la percezione di questa condizione genetica. Questi elementi alimentano discriminazioni, trattamenti», ha sottolineato la Professoressa Antonella Polimeni, Magnifica Rettrice Sapienza Università di Roma.
Rischio di Alzheimer nelle persone con sindrome di Down
«Come per tutti gli adulti, l’avanzare dell’età aumenta anche le possibilità che una persona con sindrome di Down sviluppi la malattia di Alzheimer. Diversi studi, infatti, mostrano che già a partire dai 40 anni, le persone con sindrome di Down presentano livelli significativi di proteina beta-amiloide e di proteina tau, che sono depositi proteici anomali considerati segni distintivi della malattia di Alzheimer, a livello cerebrale. In questo caso, la ricerca scientifica sta facendo passi significativi. A livello internazionale si sta lavorando affinché le persone con sindrome di Down possano essere incluse nelle sperimentazioni cliniche già avviate che stanno testando nuove molecole per la cura della malattia di Alzheimer», ha continuato il Professor Barone.
Ruolo del caregiver
«La famiglia resta il fulcro dell’assistenza, anche in età adulta. Secondo l’indagine “Non uno di meno” di Censis e AIPD Associazione Italiana Persone Down, in molti vivono in ambito familiare, soprattutto con i genitori (55,3%) o con genitori e fratelli (36,6%), a seconda dell’età. Tra i più anziani è significativa la percentuale di chi vive con i fratelli e/o la loro famiglia (26,2%). Si capisce, quindi, come le questioni collegate, ossia caregiver, progetto di vita e dopo di noi, risultino fondamentali. Non a caso, per quanto riguarda i caregiver, da sempre Anffas ha evidenziato che il familiare e caregiver non va inteso come persona costretta a sostituire la carenza di servizi integrati su un dato territorio, che vanno sempre garantiti, ma come chi si pone spontaneamente al fianco della persona con disabilità e in sinergia con la rete integrata di servizi. Si rende quindi necessario costruire attorno alla persona con disabilità e al suo caregiver un sistema integrato di interventi, servizi e prestazioni e ri-pensare un welfare di comunità. Un obiettivo a cui come Anffas lavoriamo costantemente anche attraverso la partecipazione al “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari” istituito dal Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone», ha spiegato il Dottor Roberto Speziale, Presidente Nazionale Anffas.
Inclusione
«Il numero sempre crescente di persone con disabilità intellettiva che oggi lavorano con successo è un segnale di quanto sia cambiata la nostra società. Ma questo si verifica dove le associazioni seguono e indirizzano le aziende nei percorsi di formazione, quando non c’è un forte tessuto associativo non c’è lavoro per le persone con disabilità. Cambiare lo sguardo con cui ci si approccia alla disabilità è la sfida che CoorDown affronta da 12 anni. Per il 2024 abbiamo deciso di lanciare con il film ” Assume That I Can”, pensa che io possa, un messaggio di attivazione, che punta a coinvolgere l’intera società, non solo la nostra comunità, perché la disabilità riguarda davvero tutti e tutti devono poter agire per cambiare la cultura che determina la discriminazione», ha sottolineato Antonella Falugiani, Presidente Coordown.
«Lo stereotipo più comune è che le persone con sindrome di Down sono sempre felici, eterni bambini e incapaci di portare a termine compiti specifici. E questo nell’ambito lavorativo limita fortemente le opportunità di chi vive questa condizione, alimentando un ambiente di discriminazione ed esclusione. Eliminiamo i pregiudizi e iniziamo a riconoscere il loro pieno valore e le loro possibili potenzialità. Ogni persona con sindrome di Down ha delle proprie passioni e delle proprie capacità da offrire alla società», ha concluso Gianfranco Salbini, Presidente Associazione Italiana Persone Down (AIPD).
Premio PreSa 2016 – Prevenire è Salute
Premi PreSa, VideoEvento PreSa 2016 – Prevenire è Salute
VideoEvento PreSa 2015 – Prevenire è Salute
Premi PreSa, VideoIl premio PreSa 2015, l’evento annuale organizzato dal network PreSa – Prevenzione e Salute per conferire un riconoscimento a enti e personalità che con la loro attività si sono distinti a favore della tutela delle disabilità.
Sindrome di Down, la Giornata Mondiale “Stop agli stereotipi”
News PresaOggi, 21 marzo, è la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Quest’anno il tema è: “Stop agli stereotipi”. L’obiettivo è, infatti, superare le concezioni limitanti che spesso circondano le persone con sindrome di Down. In tal senso molti passi sono stati fatti, ma la strada è ancora lunga. La Giornata è stata istituita nel 2012 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il l’unto è stato fatto in un incontro in vista della ricorrenza di oggi.
Sindrome di Down
«La sindrome di Down è una nota condizione genetica, caratterizzata dalla trisomia del cromosoma 21 e rappresenta la più frequente causa di disabilità intellettiva. In Italia circa 1 bambino su mille nasce con questa condizione. Oggi si contano circa 38 mila persone con sindrome di Down, di cui 23 mila già adulte. Nel mondo questa cifra raggiunge 5,4 milioni. La durata della vita è aumentata enormemente negli ultimi cinquant’anni. Oggi, grazie al progresso della medicina, l’80% delle persone con sindrome di Down raggiunge i 55 anni e 1 su 10 i 70 anni. Un maggior accesso alle cure mediche, inoltre, ha favorito una migliore qualità della vita.
In passato le persone con disabilità intellettive erano spesso costrette ad un maggior isolamento, anche all’interno dello stesso nucleo familiare, a causa del fatto che la sindrome di Down veniva considerata uno stigma. Il passaggio a una vita comunitaria e familiare più integrate sembra aver contribuito anche a una vita più lunga. Questo non significa che va tutto bene. Anzi, ci sono ancora molti gaps da colmare. L’accesso alle risorse mediche e ai servizi di supporto è ancora insufficiente», ha sottolineato il Professor Eugenio Barone, Professore Ordinario di Biochimica, Sapienza Università di Roma, Presidente del Comitato Organizzatore della Conferenza Internazionale sulla sindrome di Down.
Conferenza Internazionale a Roma
Durante l’incontro è stata annunciata la Conferenza Internazionale sulla Sindrome di Down, promossa dalla Trisomy 21 Research Society (T21RS), che si terrà a Roma dal 5 all’8 giugno 2024, presso l’Università Sapienza e il Centro Congressi La Nuvola. Verranno presentati gli ultimi dati e aggiornamenti relativi alla ricerca scientifica sulla sindrome di Down, nonché un’intera sessione, “l’Industry session”, in cui le principali aziende farmaceutiche e i gruppi di ricerca internazionali coinvolti in sperimentazioni cliniche sulla sindrome di Down, siederanno intorno allo stesso tavolo per discutere lo stato di avanzamento dei lavori e gli obiettivi futuri.
«Come Amministrazione siamo orgogliosi di poter annunciare che sarà Roma la sede della Conferenza Internazionale sulla Sindrome di Down che si terrà dal 5 all’8 giugno 2024. Un evento che abbiamo fortemente sostenuto poiché renderà la Capitale la città di riferimento della comunità scientifica internazionale impegnata nella ricerca genetica e clinica e imprimerà ancora più forza alla battaglia di civiltà in favore delle persone con sindrome di Down. La ricorrenza della Giornata Mondiale della Sindrome di Down è un’occasione importante per dare impulso ad azioni di sensibilizzazione ed educazione per contrastare gli stereotipi e le discriminazioni che ancora oggi, troppo spesso, impediscono alle persone con questa sindrome di esser accettate e di integrarsi pienamente nella vita sociale», ha dichiarato Sabrina Alfonsi, Assessora all’Agricoltura, Ambiente e Ciclo dei rifiuti di Roma Capitale.
Nei centri di eccellenza
Nel nostro Paese ci sono centri di eccellenza che prevedono percorsi integrati per le persone con sindrome di Down. «Da oltre 10 anni l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù è attivo un Centro dedicato alle persone con sindrome di Down che, attualmente, segue oltre 900 bambini e ragazzi provenienti da tutta Italia. Si tratta di un percorso clinico-diagnostico integrato, pensato in modo che le visite specialistiche e gli esami diagnostici necessari vengano coordinati e garantiti nella stessa giornata per aiutare le famiglie a eseguire i controlli raccomandati dalle linee guida internazionali. Per assicurare la migliore qualità di vita possibile alle persone con sindrome di Down, l’Ospedale affianca all’attività clinica e assistenziale multi-specialistica l’impegno sul fronte della ricerca scientifica. Insieme all’Università Sapienza collabora agli studi sullo sviluppo precoce della malattia di Alzheimer. Inoltre con alcuni Istituti di ricerca statunitensi studia l’evoluzione naturale della sindrome di Down.
Con l’obiettivo ultimo di accrescere il benessere delle famiglie, il Bambino Gesù ha attivato delle apposite convenzioni: con la Regione Calabria per evitare spostamenti lunghi e faticosi per le cure e con la Fondazione Policlinico Gemelli per accompagnare la transizione delle persone con sindrome di Down che entrano nell’età adulta attraverso la collaborazione tra le équipe dei due ospedali, condividendo i piani di cura e aiutando i nuclei familiari a diventare il più possibile autonomi nella gestione dell’ambito sanitario», ha spiegato il Professor Alberto Villani, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa Pediatria Generale e DEA II livello Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Al Gemelli
«Dal 2010 in poi abbiamo aperto un servizio per le persone adulte, rendendo possibile la transizione dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto. L’attività svolta riguarda la presa in carico, la valutazione e assistenza clinica, coinvolgendo molti degli specialisti che lavorano nel Policlinico Gemelli, il monitoraggio dei controlli di salute, la gestione delle situazioni di crisi. Per le persone più “anziane” vengono valutati e gestiti gli aspetti clinici legati alla demenza e al fine vita. Dall’ottobre 2022, il lavoro di transizione alle terapie dell’adulto si è ampliato e arricchito dopo la stipula della convenzione tra il Gemelli e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sulla continuità delle cure nella sindrome di Down.
Inoltre, il Policlinico Gemelli sta collaborando ad un’iniziativa dell’Istituto Superiore di Sanità volta a censire i centri clinici nazionali che si occupano di sindrome di Down e a sviluppare un registro nazionale focalizzato su questa condizione», ha continuato il Professor Graziano Onder, Direttore Unità Operativa Complessa Medicina e Cure Palliative Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore.
La ricerca
«La Trisomy 21 Research Society (T21RS) è la prima organizzazione scientifica no-profit di ricercatori che studiano la sindrome di Down. È stata fondata 10 anni fa e si propone di facilitare l’interazione permanente tra i ricercatori che studiano la sindrome di Down. Siamo impegnati nell’armonizzazione dei protocolli sperimentali che riguardano sia la ricerca preclinica che per la ricerca traslazionale sull’uomo, sosteniamo l’istruzione e la formazione dei giovani ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, siamo impegnati nella divulgazione dei i recenti risultati relativi agli studi sulla sindrome di Down al grande pubblico e, non meno importante, cerchiamo di informare i legislatori e le istituzioni sulle nuove conoscenze scientifiche, sui recenti sviluppi e sulle loro implicazioni per la politica, la salute pubblica e la società», ha commentato la Dottoressa Marie Claude Potier, Direttore del Centre National de la Recherche Scietifique di Parigi e Presidente della Trisomy 21 Research Society (T21RS).
Task Force per la sindrome di Down
Nell’ottobre 2020, in occasione del 4° convegno scientifico nazionale su “Sindrome di Down: dalla Ricerca alla Terapia”, è nata la Task Force per la sindrome di Down (DS Task Force). «È un gruppo di persone, soprattutto ricercatori, provenienti da diversi settori, con l’obiettivo di operare in favore delle persone con sindrome di Down, facilitando lo sviluppo di idee, creando nuove opportunità, rispondendo a domande e risolvendo problemi. I suoi membri operano a livello internazionale, fornendo rilevanti contributi in organismi quali la T21RS e la Fondazione Jérôme Lejeune. Attualmente la Task Force sta aggiornando le Linee Guida sul management della sindrome di Down e partecipa alla creazione di un Registro Nazionale della sindrome di Down», ha spiegato il Professor Lucio Nitsch, Professore Emerito di Biologia Applicata, Università di Napoli Federico II e Coordinatore della Italian Down syndrome Task Force.
Sensibilizzare
«Solo nel nostro Paese si stimano circa 38mila persone affette dalla sindrome di Down, un bambino ogni mille nati, è portatore di questa anomalia genetica. Questi dati devono farci riflettere sulla necessità di affrontare in maniera rigorosa ogni argomento riguardante i diversi aspetti della sindrome di Down, ricordandoci che dietro i numeri ci sono persone e quanti se ne prendono cura. Il tema a cui è dedicata quest’anno la giornata mondiale della sindrome di Down, “Stop agli stereotipi”, ci invita a lavorare su un aspetto non banale che accompagna le persone affette dalla sindrome di Down: stereotipi e tutto quel bagaglio di informazioni sbagliate che influenzano la percezione di questa condizione genetica. Questi elementi alimentano discriminazioni, trattamenti», ha sottolineato la Professoressa Antonella Polimeni, Magnifica Rettrice Sapienza Università di Roma.
Rischio di Alzheimer nelle persone con sindrome di Down
«Come per tutti gli adulti, l’avanzare dell’età aumenta anche le possibilità che una persona con sindrome di Down sviluppi la malattia di Alzheimer. Diversi studi, infatti, mostrano che già a partire dai 40 anni, le persone con sindrome di Down presentano livelli significativi di proteina beta-amiloide e di proteina tau, che sono depositi proteici anomali considerati segni distintivi della malattia di Alzheimer, a livello cerebrale. In questo caso, la ricerca scientifica sta facendo passi significativi. A livello internazionale si sta lavorando affinché le persone con sindrome di Down possano essere incluse nelle sperimentazioni cliniche già avviate che stanno testando nuove molecole per la cura della malattia di Alzheimer», ha continuato il Professor Barone.
Ruolo del caregiver
«La famiglia resta il fulcro dell’assistenza, anche in età adulta. Secondo l’indagine “Non uno di meno” di Censis e AIPD Associazione Italiana Persone Down, in molti vivono in ambito familiare, soprattutto con i genitori (55,3%) o con genitori e fratelli (36,6%), a seconda dell’età. Tra i più anziani è significativa la percentuale di chi vive con i fratelli e/o la loro famiglia (26,2%). Si capisce, quindi, come le questioni collegate, ossia caregiver, progetto di vita e dopo di noi, risultino fondamentali. Non a caso, per quanto riguarda i caregiver, da sempre Anffas ha evidenziato che il familiare e caregiver non va inteso come persona costretta a sostituire la carenza di servizi integrati su un dato territorio, che vanno sempre garantiti, ma come chi si pone spontaneamente al fianco della persona con disabilità e in sinergia con la rete integrata di servizi. Si rende quindi necessario costruire attorno alla persona con disabilità e al suo caregiver un sistema integrato di interventi, servizi e prestazioni e ri-pensare un welfare di comunità. Un obiettivo a cui come Anffas lavoriamo costantemente anche attraverso la partecipazione al “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari” istituito dal Ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli e dal Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Calderone», ha spiegato il Dottor Roberto Speziale, Presidente Nazionale Anffas.
Inclusione
«Il numero sempre crescente di persone con disabilità intellettiva che oggi lavorano con successo è un segnale di quanto sia cambiata la nostra società. Ma questo si verifica dove le associazioni seguono e indirizzano le aziende nei percorsi di formazione, quando non c’è un forte tessuto associativo non c’è lavoro per le persone con disabilità. Cambiare lo sguardo con cui ci si approccia alla disabilità è la sfida che CoorDown affronta da 12 anni. Per il 2024 abbiamo deciso di lanciare con il film ” Assume That I Can”, pensa che io possa, un messaggio di attivazione, che punta a coinvolgere l’intera società, non solo la nostra comunità, perché la disabilità riguarda davvero tutti e tutti devono poter agire per cambiare la cultura che determina la discriminazione», ha sottolineato Antonella Falugiani, Presidente Coordown.
«Lo stereotipo più comune è che le persone con sindrome di Down sono sempre felici, eterni bambini e incapaci di portare a termine compiti specifici. E questo nell’ambito lavorativo limita fortemente le opportunità di chi vive questa condizione, alimentando un ambiente di discriminazione ed esclusione. Eliminiamo i pregiudizi e iniziamo a riconoscere il loro pieno valore e le loro possibili potenzialità. Ogni persona con sindrome di Down ha delle proprie passioni e delle proprie capacità da offrire alla società», ha concluso Gianfranco Salbini, Presidente Associazione Italiana Persone Down (AIPD).
Cancro al seno, l’asimmetria delle mamme è un segnale
News Presa, Ricerca innovazionePredire il rischio di cancro al seno ben 5 anni prima che questo si manifesti; quello che sembrava un risultato impossibile oggi diventa realtà grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale. In particolare, è grazie ad uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Radiology che le nuove prospettive prendono corpo e diventano realtà.
AsymMirai
L’intelligenza artificiale (IA) ha dimostrato di poter predire il rischio di sviluppare questa malattia fino a 5 anni in anticipo, grazie a uno strumento predittivo rivoluzionario chiamato AsymMirai. Questo studio, condotto da Jon Donnelly dell’Università di Duke, evidenzia un passo avanti significativo nel campo della diagnosi precoce e della prevenzione del cancro al seno.
Lo screening
Secondo la American Cancer Society, una donna su 8 svilupperà un cancro al seno invasivo nella sua vita, mentre 1 su 39 morirà a causa della malattia. Lo screening del cancro al seno tramite mammografia è fondamentale per individuare precocemente la malattia, migliorando così l’efficacia dei trattamenti. Sottoporsi regolarmente a mammografie può ridurre significativamente il rischio di mortalità legato al cancro al seno.
Come funziona
Proprio tramite l’anaisi delle mammografie AsymMirai permette di prevedere il tumore al seno con un massimo di 5 anni in anticipo. Donnelly spiega che il ragionamento dietro le previsioni di AsymMirai è facilmente interpretabile, rendendolo un utile strumento complementare per i radiologi umani nelle diagnosi e nella previsione del rischio di cancro al seno.
I test
Gli esperti hanno analizzato 210.067 mammografie provenienti da 81.824 pazienti utilizzando diversi modelli, inclusi quelli basati su AsymMirai, dimostrando l’accuratezza del metodo. Questo studio ha inoltre confermato l’importanza clinica dell’asimmetria del seno, suggerendo che potrebbe essere impiegata come marcatore di imaging per il rischio di tumore.
Cambio di passo
Donnelly sottolinea che la capacità di predire con precisione il rischio di sviluppare il cancro al seno potrebbe avere un impatto significativo sull’assistenza sanitaria pubblica. Potrebbe influenzare la frequenza con cui le donne (anche quelle che hanno pratico una mastoplastica additiva) si sottopongono a mammografie, aconsentendo una diagnosi precoce e migliorando le prospettive di trattamento.
Celiachia, può insorgere per carenza di ferro
Alimentazione, PrevenzioneLa carenza di ferro è un fattore di rischio per lo sviluppo della celiachia. Lo ha concluso uno studio americano pubblicato su BMJ Open Gastroenterology. L’indagine, condotta da ricercatori della University of Washington e dell’Harvard Medical School, ha analizzato i dati di 336 mila persone, di cui 1.855 affette da celiachia, evidenziando un legame tra livelli geneticamente bassi di ferro e un aumento del rischio della malattia.
Celiachia
La celiachia è una malattia autoimmune cronica che colpisce circa l’1% della popolazione, con 245.000 pazienti stimati in Italia. Tuttavia, sono potenzialmente fino a 600 mila i casi, inclusi i non diagnosticati. Le nuove diagnosi ammontano a circa 9 mila casi ogni anno.
Anemia da carenza di ferro di ferro
Il fenomeno dell’anemia da carenza di ferro è diffuso globalmente, interessa sia Paesi sviluppati sia in via di sviluppo. Negli Stati Uniti, la carenza di ferro è in aumento parallelo con la crescita delle diagnosi di celiachia, evidenziando una correlazione diretta tra i due problemi di salute.
Relazione tra carenza di ferro e celiachia
Lo studio rivela la relazione tra carenza di ferro e celiachia. Fino all’80% dei casi di celiachia si associa a livelli bassi di ferro. Tale carenza è stata spesso attribuita alla ridotta capacità di assorbimento del ferro causata dall’atrofia della mucosa duodenale. Tuttavia altri fattori potrebbero contribuire, considerando che solo il 10% del ferro alimentare viene assorbito dal duodeno.
I risultati
Lo studio ha esaminato i dati dei partecipanti allo studio, analizzando in particolare i livelli di ferro e la presenza di celiachia. Gli autori hanno scoperto che livelli di ferro geneticamente più bassi sono associati a un maggior rischio di sviluppare la malattia, fornendo così una base solida per comprendere il legame tra carenza di ferro e celiachia.
Ruolo del recettore 1 della Transferrina
Un ruolo importante sembra essere giocato dal recettore 1 della transferrina, una proteina che aumenta in caso di carenza di ferro e risulta significativamente più alta nei soggetti affetti da celiachia e carenza di ferro.
Impatto del ferro sul sistema immunitario e il microbioma
Oltre all’aspetto nutrizionale, il ferro influisce sul sistema immunitario, il rischio di infezioni e il microbioma. La carenza di ferro può impattare sul microbioma, che a sua volta è coinvolto nello sviluppo della celiachia. Recenti studi hanno evidenziato il ruolo critico del ferro nella regolazione del sistema immunitario intestinale, suggerendo un possibile collegamento tra carenza di ferro e malattie infiammatorie intestinali e altri disturbi immunologici. Gli scienziati sottolineano la necessità di ulteriori ricerche per sviluppare strategie di intervento nelle due patologie.
Centri di analisi chiusi, protesta contro le nuove tariffe
News PresaUna giornata da dimenticare, quella di oggi, per i pazienti che avevano programmato esami di laboratorio. La categoria ha infatti aderito alla protesta indetta da Snabilp Federbiologi e tante altre sigle sindacali nel segno dello slogan “chiudere un giorno per non chiudere per sempre”. La volontà è quella di opporsi al nuovo nomenclatore tariffario per le prestazioni specialistiche e ambulatoriali, che dovrebbe entrare in vigore dal 1° aprile e contro il quale, negli ultimi mesi, si sta registrando una vera e propria levata di scudi da ogni regione.
Strutture in crisi
Elisabetta Argenziano, presidente di Snabilp Federbiologi, parla di un provvedimento insostenibile, sia per il pubblico che per il privato accreditato. “Un provvedimento che, se applicato, avrà gravi conseguenze economiche per circa 8.000 strutture sanitarie, con la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e il concreto rischio del tracollo dell’intero sistema di assistenza pubblica”. La protesta vede oggi a Roma un incontro tra tutte le categorie della specialistica del territorio e gli esponenti del Governo «per cercare di ottenere un dietrofront rispetto allo scellerato provvedimento.
Disagi
Il nuovo nomenclatore, infatti, prevede, tra l’altro, un notevole ribasso del costo delle prestazioni e taglia i rimborsi attuali fino al 70% per i laboratori di analisi cliniche convenzionati col Servizio Sanitario Nazionale. “Una riorganizzazione – conclude Argenziano – che non porterà alcun beneficio economico al sistema sanitario, ma causerà un drammatico impoverimento del tessuto sociale ed economico. Tutto ciò, senza considerare i disagi per i cittadini/pazienti che vedranno calare ancor più le capacità di risposta nei confronti delle loro istanze di salute e allungare ulteriormente le liste d’attesa. L’ennesimo colpo a una sanità già in grande affanno soprattutto in Campania e in tutto il Mezzogiorno”.
Lo slogan
Alla manifestazione a Roma Federbiologi ha scelto di aderire con una folta rappresentanza di iscritti: tanti specialisti che mercoledì chiuderanno i centri sanitari in segno di protesta. Ecco perché oggi molti cittadini che si recheranno negli studi diagnostici e nei laboratori di analisi aderenti troveranno affisso il cartello “Chiudere un giorno per non chiudere per sempre”.
Protesi al seno e tumore, quali possono aumentare rischio
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa forma della superficie di una protesi può interagire in modi inaspettati con il sistema immunitario. Lo ha scoperto un team di studiosi italiani. Dei micro avvallamenti o conche usati per rendere la protesi più ruvida e stabile possono intrappolare le cellule del sistema immunitario, scatenando un’infiammazione. La scoperta è stata possibile grazie a un lavoro multidisciplinare che ha coinvolto chirurghi, ingegneri, biofisici ed immunologi.
I dati emersi nello studio aggiungono un elemento inedito – quello della geometria microscopica – alla comprensione dei meccanismi infiammatori legati alle protesi. Fino a oggi l’ipotesi degli scienziati era che l’infiammazione dipendesse dai materiali o da infezioni batteriche o dalla frizione meccanica tra il corpo estraneo e i tessuti circostanti. Il nuovo studio si è concentrato sulle protesi per il seno ma i risultati valgono per tutti i dispositivi medici sottopelle.
Lo studio
Lo studio è stato pubblicato su Life Science Alliance, la rivista Open Access nata da tre realtà di eccellenza: EMBO, Rockefeller University e Cold Spring Harbor Laboratory. Il lavoro è stato condotto dal Dott. Valeriano Vinci, ricercatore di Humanitas University e chirurgo presso l’Unità Operativa di Chirurgia Plastica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas diretta dal Prof. Marco Klinger, il Prof. Gerardus Johannes Janszen, docente del Politecnico di Milano, la Dott.ssa Cristina Belgiovine dell’Università di Pavia e il Prof. Roberto Rusconi, professore associato di fisica applicata presso Humanitas University e responsabile del laboratorio di biofisica e microfluidica di Humanitas. La ricerca è stata possibile grazie al sostegno di un finanziamento PRIN del Ministero della Ricerca.
Protesi al seno e risposta infiammatoria
Le protesi mediche possono essere strumenti di cura, come nel caso dei peacemaker. In altri casi consentono alle pazienti oncologiche di riappropriarsi della loro identità. Tuttavia si tratta pur sempre di corpi estranei accolti all’interno di un organismo abituato a rispondere alle possibili minacce che provengono dall’esterno. In altre parole, possono generare localmente una risposta infiammatoria. Quando questa risposta è eccessiva, può aumentare il rischio di sviluppare malattie infiammatorie, autoimmuni, o anche tumori, soprattutto quelli associati a condizioni di infiammazione cronica. È il caso, ad esempio, del Linfoma anaplastico a grandi cellule (noto come ALCL), un linfoma molto raro e con buoni tassi di guarigione, purché identificato per tempo. L’incidenza è però lievemente più alta nelle pazienti con protesi al seno macro-testurizzate, una tipologia di protesi caratterizzata da una superficie più ruvida, che è stata poi tolta dal commercio proprio per questa correlazione.
Protesi al seno e dispositivi, rischi bassi
“L’obiettivo della nostra ricerca non è tanto capire il meccanismo alla base del maggior rischio presentato dalla protesi macro-testurizzate, ormai non più in commercio”, ha spiegato il dott. Valeriano Vinci. “Era, invece, mettere a punto un sistema per testare la sicurezza delle altre protesi al seno in uso, come quelle lisce e soprattutto le micro-testurizzate, e potenzialmente di altre tipologie di protesi o dispositivi medici, anche molto diversi da una protesi al seno. Indipendentemente da forma e funzione infatti, tutti i dispositivi medici hanno una superficie esterna a contatto con i tessuti dell’organismo e, come la nostra ricerca dimostra, il modo in cui è fatta questa superficie ha un ruolo importante».
Geometria protesi interagisce con il sistema immunitario
Lo studio ha coinvolto 43 pazienti che avevano necessità di sostituire la propria protesi al seno. Si tratta una procedura comune a distanza di tanti anni dal primo inserimento e nel caso di protesi temporanee, a espansione, il cui ruolo è proprio quello di preparare il tessuto a ospitare la protesi permanente. Oltre il 60% delle donne aveva una storia di tumore al seno e a seguito dei trattamenti aveva fatto ricorso alla chirurgia ricostruttiva.
I ricercatori hanno raccolto il liquido peri-protesico delle pazienti e l’hanno analizzato con tecniche di analisi genomica e cellulare avanzate. L’obiettivo era identificare la presenza di infezioni batteriche e analizzare il profilo di attivazione immunitaria, ovvero quali cellule del sistema immunitario e quali citochine infiammatorie erano presenti.
Risultati
“Abbiamo scoperto che l’elemento chiave nel determinare la risposta infiammatoria, sia cellulare che molecolare, non era la presenza o meno di infezioni batteriche, quanto la struttura geometrica superficiale delle diverse protesi”, ha affermato il prof. Roberto Rusconi. “Nel caso delle protesi macro-testurizzate, che presentano cioè superfici con avvallamenti particolarmente pronunciati e spigolosi, come dei veri e propri pozzetti micrometrici, l’infiammazione è maggiore. Mentre quelle lisce e quelle micro-testurizzate, ovvero solo lievemente “ruvide” – una proprietà importante per mantenerle stabili e ridurre il rischio di altre complicanze – hanno tassi bassi di infiammazione e si confermano sicure”.
Per comprendere meglio il motivo di questa reazione infiammatoria, i ricercatori hanno riprodotto la superficie dei modelli in laboratorio. Hanno poi indagato come le cellule immunitarie reagiscono in un contesto controllato. L’esperimento è stato possibile grazie alla collaborazione con il gruppo del prof. Gerardus Janszen e del prof. Luca di Landro del Politecnico di Milano, che hanno utilizzato un microscopio elettronico in grado di fotografare la superficie delle a livello nanometrico, per poi riprodurle fedelmente utilizzando un materiale polimerico, il PDMS, simile a quello impiegato per le protesi al seno.
Protesi, i motivi alla base dei rischi
«Gli studi condotti in laboratorio hanno confermato quanto osservato nei campioni clinici. Non solo, ma ci hanno permesso di vedere cosa stava realmente accadendo: le cellule immunitarie, ed in particolare i linfociti T, vengono intrappolate all’interno dei pozzetti presenti sulla superficie di quelle macro-testurizzate. In questa condizione di confinamento, rilasciano segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario, le citochine appunto, caratteristici di uno stato di infiammazione cronica», spiegano Roberto Rusconi e Valeriano Vinci, che concludono: “Lo studio dà un messaggio positivo sulla sicurezza delle protesi micro-testurizzate e ha un alto valore traslazionale. Grazie a questo lavoro abbiamo messo a punto una vera e propria piattaforma tecnologica per testare le superfici di altre tipologie di protesi e dispositivi medici”.
Medici di Napoli: per noi un grande attestato di stima
News Presa«Siamo orgogliosi dell’esito dell’assemblea di approvazione del bilancio dell’Ordine, un plebiscito che è un grande attestato di fiducia da parte dei medici di Napoli e provincia e ci conforta rispetto al lavoro svolto in questi anni da tutto il consiglio in carica». Lo dice Bruno Zuccarelli a nome del Consiglio direttivo che ha guidato l’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri di Napoli e provincia anche nel difficilissimo frangente dell’emergenza Covid e della carenza di medici. Le parole di Zuccarelli arrivano dopo l’approvazione a larga maggioranza del bilancio dell’Ordine dei Medici.
Conferma
«Ringrazio tutti i colleghi che hanno scelto di essere presenti per esprimere il loro consenso. Gli unici motivati a prendere parte all’assemblea avrebbero dovuto essere i contrari, che sono arrivati solo in 16». La nota della Lista Etica prosegue con una sottolineatura non da poco: la gestione del presidente Bruno Zuccarelli e del suo Consiglio Direttivo lascia alla categoria un avanzo di gestione di oltre 1.100.000 euro e conti in ordine per poter favorire la breve fase di commissariamento.
Verso nuove elezioni
«Attendiamo con ansia che si proceda per tornare a votare, consapevoli che il danno che ci è stato fatto non è solo rivolto a noi. Le sentenze si rispettano, ma si rispettano anche gli uomini che ne sono stati coinvolti: in primis tutti i medici di Napoli e provincia e chi l’Ordine lo rappresenta e ora, con un’approvazione così massiva, riceve una grande conferma di rispetto, stima e fiducia dei medici napoletani che hanno chiaramente mostrato di sostenere la nostra estraneità agli eventi tecnici descritti in sentenza».
Per i giovani
Proprio oggi, il Consiglio direttivo dell’Ordine terrà un’ultima seduta, a dimostrazione che fino al termine prevalgono gli interessi della classe medica rappresentata. Questa seduta è stata voluta per poter accogliere nella casa dell’Ordine i neo laureati di questi giorni che hanno diritto ad essere iscritti. «Fino all’ultimo giorno abbiamo sentito il dovere di non strumentalizzare nessuna situazione, ma di andare avanti secondo l’Etica che ci ha sempre guidati, siamo orgogliosi del lavoro fatto e lo saremo sempre e ci sembra che i medici napoletani siano con noi», conclude Zuccarelli.
La polemica
Nei giorni scorsi la lista Ordinatamente, avversaria rispetto a quella Etica nelle ultime elezioni, aveva dichiarato di aver votato contro l’approvazione. Dato che si ritrova anche nei numeri della votazione, visto che (come messo in evidenza anche dalla lista Ordinatamente) l’approvazione è avvenuta con 16 contrari su 661 partecipanti (1 astenuto). Nei prossimi giorni all’Ordine dei Medici di Napoli ci si aspetta l’arrivo dei Commissari che dovranno traghettare l’Ente ad elezioni dopo la sentenza emessa dalla CCEPS.
Long Covid, nuova emergenza di sanità pubblica
Covid, News PresaC’è una bella differenza tra una debolezza che può persistere per qualche settimana a causa di una brutta influenza e ciò che può essere invece classificato come long Covid. Non si tratta infatti di qualche banale “strascico”, ma di una patologia vera e propria. In diversi casi con conseguenze pneumologiche, problemi cardiovascolari, sindromi metaboliche e persino malattie neuro-psichiatriche.
PASC
Il nome di questa condizione è comunemente quello di long Covid, ma in gergo tecnico viene definita PASC, ovvero “sequele post acute” dell’infezione da SarsCov2, che l’Oms stima attorno al 6% tra coloro che hanno contratto l’infezione. Una platea enorme, se si considera il numero di infezioni registrate dal primo anno di pandemia ad oggi. Insomma, la questione non andrebbe sottovalutata e di certo non viene sottovalutata dall’Oms che la considera una “nuova emergenza di sanità pubblica”.
Linee guida
Nel maggio 2023, l’Oms ha dichiarato ufficialmente conclusa l’emergenza pandemica del Covid19″, osserva Claudio Lucifora, direttore del Centro di ricerca sul Lavoro ‘Carlo Dell’Aringa’ (Crilda) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore del progetto Pascnet, i cui risultati della prima fase sono raccolti in un eBook dal titolo “Linee guida per il follow-up delle sequele da Covid-19”. Lucifora dice che “le statistiche raccolte dall’Oms ci ricordano che dall’inizio della pandemia ci sono stati, in tutto il mondo, oltre 765.222.932 casi di contagio, con quasi sette milioni di morti. Nella sola Lombardia, i contagi sono stati oltre 4 milioni con quasi 50mila decessi”.
Sintomi
Benché i sintomi possano variare notevolmente da persona a persona e possano durare settimane o mesi dopo che l’infezione iniziale è passata, alcuni dei frequenti sono:
Non tutti i pazienti sviluppano una sindrome di long Covid. Alcuni possono sperimentare solo alcuni sintomi leggeri o persistere con sintomi più gravi per un periodo di tempo più lungo. Se si sospetta di avere il long Covid, è sempre bene parlarne con il proprio medico per una valutazione e un trattamento appropriati.