Tempo di lettura: 3 minutiDr Pietro Scurti -Psicologo-Pisicoterapeuta -Socio ordinario Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale
Il respiro si ferma, le mani tremano, lo stomaco si stringe, un sudore freddo percorre il corpo. La morte si para davanti agli occhi come unico possibile esito di questa infinita sofferenza. La corsa in ospedale, sintomi che assomigliano ad un infarto, il paziente impotente e imbambolato racconta confuso che si sente morire. “No! Non è il cuore che si sta fermando, afferma lo psicoterapeuta della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale, Pietro Scurti, piuttosto è la propria esistenza che non decolla”. In Italia ne soffrono oltre 10 milioni di persone. Uno stato d’ansia violento che vede soffrirne uomini e donne quasi in egual modo. Alcuni pazienti raccontano che non escono di casa da anni, o che hanno percorsi stabiliti entro ai quali “si sentono più o meno al sicuro”, altri non guidano più da soli o hanno parcheggiato l’auto e si muovono solo a piedi. Altri ancora, prosegue lo psicoterapeuta, sono giovani ragazzi che attendono la crisi come un terremoto che dovrà verificarsi, vivendo l’attesa in maniera spasmodica e coinvolgendo l’intero sistema familiare.
Quali possono essere i fattori scatenanti di questi stati d’angoscia?
Quello che comunemente definiamo attacco di panico è uno stato d’allerta ed in quanto tale viene a segnalarci qualcosa che nella nostra vita non va o si è bloccato. Qualcosa a cui nell’arco del tempo non abbiamo dato la giusta attenzione, scelte non fatte, emozioni non espresse, relazioni non soddisfacenti. Situazioni insomma da tempo evitate e represse attraverso una overdose di silenzi, azioni o comunicazioni di copertura, funzionali allo spostamento del focus, dal disagio interiormente vissuto alla facciata mostrata al mondo.
E’ come se allora questi attacchi di panico venissero ad “aiutarci” a trovare il coraggio di cambiare?
Esattamente. Se non scatta un allarme poderoso e destabilizzante come questo, il soggetto non prenderebbe mai in considerazione la possibilità che non sia più sufficientemente innamorato della propria vita.
Che significa?
Significa che vivere questi stati limite lo costringono a centrare l’attenzione su di sé, a chiedere aiuto. I primi riferimenti rimangono nell’area medica, organica, si cercano specialisti di tutti i tipi, perché l’accettazione più complessa da fare è sempre quella che ci implica come individui, mentre è paradossalmente più rassicurante ricevere una diagnosi che ci dica che c’è un tumore, un polmone che fa le bizze, il fegato o il cuore che non funzionano. Ma la mente, le relazioni familiari, la personalità restano l’ultima spiaggia. E così dallo psicoterapeuta si arriva sconfitti e sfiduciati, è come se dicessero: “possibile è un fatto mentale allora?”
Che ruolo svolge l’ansia in tutto questo disagio?
La prima cosa da dire è che l’ansia è una risposta funzionale della nostra mente e del nostro corpo. Ci rende attenti, vigili, ci fa pescare dentro energie insospettate, ci permette di affrontare e superare esami, prove, ostacoli. I problemi nascono quando l’ansia supera i livelli di funzionalità ed invade il soggetto, per dirla in breve, nella mente, e conseguentemente nella vita dei pazienti, irrompe “e se?”, il futuro, ricco di incognite insopportabili e foriero di temute disgrazie. I soggetti cominciano ad avere difficoltà a riconoscere e viversi il presente e sempre più cercano di controllare e prevedere il futuro. Va da sé che l’operazione, impossibile in partenza, crei forti disagi.
All’inizio di questa intervista ha citato la famiglia, può specificare che implicazioni abbia “l’attacco di panico” con gli altri componenti familiari?
Come psicoterapeuti sistemico-relazionali siamo quasi obbligati a rileggere i sintomi in una chiave sempre più ampia. Un sintomo è sempre una comunicazione ed una comunicazione, qualsiasi essa sia, per quanto bizzarra, ha senso in correlazione al contesto in cui avviene. L’attacco di panico spesso sollecita nuove ricalibrature delle distanze affettive, ma anche spaziali, all’interno della famiglia. Una madre eccessivamente invasiva ed insicura, un marito impegnato totalmente nel lavoro, un giovane che sta per spiccare il volo fuori dall’orbita familiare, per un corso di studi, la carriera militare, un fidanzamento, un lavoro. Ecco che a tenere tutto omeostaticamente fermo, arriva la “paura di morire”. Il padre viene richiamato alla presenza, la mamma può assumere il comando delle iniziative per la cura, il figlio smette di tentare l’autonomia dicendo “vorrei…ma non dipende da me”. Il disagio garantisce l’immobilità, ma al tempo stesso, ne denuncia l’insopportabilità.
Quale possibile trattamento?
Molto spesso la terapia familiare risulta l’approccio vincente. La decodifica che il sintomo svolge nella famiglia, la possibilità che il confronto profondo all’interno della stessa coppia genitoriale, e tra questa e i figli, genera uno sblocco delle emozioni, una redistribuzione delle responsabilità più funzionale alla crescita di tutti i suoi membri. Insomma oscillare tra una sana appartenenza ed una sana separazione. In fondo è questo il destino di ogni essere umano.
La psicosi, rischio o opportunità?
PsicologiaLa psicosi può essere un’opportunità? Questa la domanda che offre lo spunto per tre giornate di riflessione che si terranno a Napoli, dall’11 al 13 novembre, al Conservatorio di San Pietro a Majella. Ad organizzare l’evento è la Società Italiana di Psicoterapia Integrata (Sipi) e il messaggio che verrà lanciato è importante quanto chiaro: la malattia mentale si può curare grazie a nuovi modelli di diagnosi e di cure efficaci. Ospite d’eccezione il luminare della psicoriabilitazione Luc Ciompi e il suo modello bio-psico-sociale. Testimonial della campagna di sensibilizzazione saranno l’attrice Cristina Donadio, lo speaker radiofonico Giancarlo Cattaneo e il gruppo musicale La Maschera.
Il “tour” campano
L’evento di San Pietro a Majella chiude il “tour” della Sipi, che ha organizzato in tutte le province della Campania seminari, convegni, sedute dal vivo, a cui hanno partecipato oltre 2mila persone, a confronto pazienti e le loro famiglie, esperti, psicologi psicoterapeuti, medici, sociologi, operatori sanitari. A Napoli si troverà il tempo per sessioni scientifiche per il confronto schietto tra gli esperti del settore e i clinici, e gruppi di lavoro (convegno parallelo) tra tecnici, volontari, pazienti e familiari per dar loro speranza attraverso il dialogo e spiegare che i malati possono tessere rapporti con l’esterno e che non c’è famiglia in Italia che non sia toccata direttamente o indirettamente dalla malattia mentale.
Il giusto approccio
«Lavorando con i metodi giusti – spiega il professor Giovanni Ariano, direttore della Sipi – è possibile intervenire in modo tempestivo e continuo sulle patologie gravi, combattendo così il loro aggravarsi e interrompendo la spirale della cronicità invalidante». Si parlerà anche della teoria bio-psico-sociale della psicosi e della riabilitazione di Ciompi, che parte dall’ assunto che lo psicotico non è un malato organico, ma la sua patologia e il suo recupero sono dati dalla convergenza rispettivamente negativa (malattia) o positiva (riabilitazione) di fattori sia biologici, sociali e psicologici. Come illustrato nel modello della Sipi: non si nasce matti, lo si diventa per la convergenza di fattori psicologici, sociali e biologici e dalla malattia mentale si può guarire se si intraprende la cura adeguata. Non basta la camicia di forza farmacologica.
Il programma
Venerdì 11 novembre alle ore 19 bambini e ragazzi della Cooperativa Lithodhora mettono in scena con degli “strani adulti” della Cooperativa Integrazioni, lo spettacolo Fuori e dentro di noi, regia e testo di Alessandra Ranucci, per dire che anche il malato mentale può avere speranza di guarigione.
Sabato 12 novembre alle 14.30 verrà proiettato “Abbraccialo per me”, un film coraggioso sulla disabilità mentale con la partecipazione del regista Vittorio Sindoni e di tutto il suo cast. L’obiettivo principale della Sipi è costruire ponti con il diverso, informare istituzioni e opinione pubblica sul tema della malattia mentale, sui diritti dei pazienti e dei loro familiari.
Domenica 13 novembre alle 11.30, nella Basilica del Gesù Nuovo sarà celebrata la Messa per i malati e per tutte le persone sensibili alla sofferenza mentale.
Cenci batte record a New York nonostante il tumore
Associazioni pazienti, News Presa, SportLeonardo Cenci ha vinto la sua sfida correndo la maratona di New York nonostante un tumore in corso. Il suo traguardo è un messaggio di speranza per tutti i malati oncologici. “È stata la giornata più bella e più intensa della mia vita a livello emotivo e di sensazioni” ha detto Cenci dopo aver concluso il percorso in quattro ore, 27 minuti e 57 secondi. Un tempo che gli ha permesso di battere quello di Fred Lebow, il cofondatore della “New York Marathon”, che la corse nel 1992 con un tumore al cervello in cinque ore 32 minuti e 34 secondi. Cenci “teneva molto” alla gara americana, come si ricorda in una nota di Avanti tutta, la onlus da lui creata e della quale è animatore. La stava infatti preparando nel 2012 quando scoprì di avere un cancro al polmone. “Ho provato una sensazione di pura commozione – ha detto ancora Cenci- e dalla sera prima mi sono messo a pensare quello che mi sarei accinto a fare il giorno dopo. La cosa che mi ha fatto prendere atto di quello che mi accingevo a fare è quando siamo saliti sull’autobus che ci accompagnava al ponte di Brookyn. Lì per circa 45 minuti ho pensato in maniera fitta, mi sono commosso. Poi, finita la gara mi sono messo a piangere perché per me è stata una battaglia vinta”. Per Cenci “la maratona è una gara massacrante”. “Però il buon Dio – ha aggiunto – ha voluto regalarmi questa giornata magnifica, mi ha dato un clima perfetto e ho avuto come la sensazione che mi chiedesse scusa per avermi dato il cancro”.
Per i primi 23 chilometri della gara, Cenci è stato affiancato da Mauro Casciari, inviato della trasmissione televisiva “Mi manda Raitre” e presidente onorario di Avanti Tutta onlus, che ha chiuso la sua corsa tagliando il traguardo dopo 4 ore 48 minuti e 19 secondi. “E’ la maratona più bella del mondo – ha sottolineato Casciari -, organizzata benissimo con tanta gente intorno alla strada ed in un clima pazzesco. Ad attenderli, oltre alla dottoressa Chiara Bennati (l’oncologa che segue Cenci dall’inizio della malattia), c’erano i genitori di Leonardo, Sergio ed Orietta, il fratello Federico con la moglie Serena ed i tre figli, Marco, Giulia ed Irene.
Farmaci, il dietro le quinte di un mondo straordinario
FarmaceuticaSe in farmacia il farmaco che cerchiamo non c’è in media bastano 4 ore. Insomma se serve un medicinale, ma nella farmacia del paesino sperduto sulle Alpi o sull’isola che in inverno conta duecento abitanti non c’è, basta richiederlo. Ed entro pochissimo tempo arriva tutto quello di cui possiamo avere bisogno, in una qualunque delle 16.560 farmacie territoriali o delle 1.641 pubbliche sparse in tutta Italia.
Efficienza distributiva con pochi uguali in Europa e nel mondo
fiore all’occhiello della sanità per garantire a tutti i cittadini, ovunque sul territorio, l’accesso tempestivo a qualsiasi presidio di salute disponibile in farmacia, assicurando allo stesso tempo che ogni passaggio distributivo del medicinale si sia svolto in totale sicurezza. Tutto ciò è possibile grazie al lavoro dei distributori di farmaci, un ingranaggio intermedio, spesso sconosciuto, ma vitale e indispensabile, per la salute degli italiani. Il costante e quotidiano contatto con il Ministero della Salute, l’Agenzia Italiana del Farmaco e i Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma dei Carabinieri, garantisce nei casi di urgenza sia il ritiro che una distribuzione immediata del farmaco, anche nei casi di calamità naturali. La logistica, così come strutturata in Italia, è uno dei più efficienti sistemi distributivi a livello europeo e mondiale. Sono alcuni dei punti chiave emersi recentemente al congresso di Federfarma Servizi e Federfarma.Co. Organizzazioni che, nel prossimo futuro, sono pronte, grazie proprio a questo capillare sistema distributivo, a semplificare ancor di più la vita ai cittadini, proponendosi di distribuire nelle farmacie territoriali anche quei farmaci e quei presidi attualmente distribuiti soltanto dalle ASL, garantendo in questo modo un notevole risparmio di risorse pubbliche.
Il sistema italiano
«In Italia – spiega Giancarlo Esperti, direttore generale di Federfarma Servizi – operano circa 350 aziende farmaceutiche e 150 concessionari che distribuiscono ai grossisti i farmaci in nome e per conto delle aziende. I grossisti distributori sono 55, presenti con i loro magazzini su tutto il territorio italiano e in grado di garantire a ogni farmacia due o tre consegne giornaliere con cui rifornirle di tutto ciò che sia necessario ai pazienti. Il sistema è capillare ed efficiente, ma soprattutto è in coordinamento costante con Ministero, AIFA e forze dell’ordine per garantire che qualsiasi lotto irregolare venga immediatamente ritirato dal commercio. È possibile anche perché c’è una tracciabilità assoluta del percorso dei farmaci, che rende l’acquisto in farmacia e parafarmacia sicuro». Lo stesso non può dirsi di canali diversi come il web, a meno di non rivolgersi alle farmacie autorizzate: il sistema di distribuzione è così una garanzia di rapidità e anche di salute, per chiunque e ovunque.
Le nuove frontiere della chirurgia
News PresaFrontiere della chirurgia
Dalla Campania un esempio di come la chirurgia sia ormai a livelli impensabili sino a qualche anno fa. La notizia arriva dall’Ospedale Evangelico Villa Betania (Napoli) dove il direttore della Unità Operativa Complessa di Chirurgia Generale Pietro Maida ha portato a termine su pazienti con grandi laparoceli alcuni interventi di ricostruzione della parete addominale applicando una tecnica all’avanguardia chiamata “separazione dei componenti”.
Protesi biocompatibili
«L’intervento – spiega il chirurgo, neo consigliere nazionale della SIC – prevede un’ampia dissezione dei muscoli e l’impiego di una protesi biocompatibile e completamente riassorbibile. Una tecnica innovativa che si sta diffondendo sempre più nel nostro paese, che consente la ricostruzione di grandi ernie e laparoceli della parete addominale, soprattutto in condizioni in cui non è consigliato l’uso della tecnica laparoscopica, che invece è molto usata per casi meno complessi». Lo stesso intervento è stato ripetuto con finalità formative presso il Centro di Biotecnologie del Cardarelli dove i partecipanti al corso (circa 20 chirurghi provenienti dal Centro-Sud Italia) per la prima volta nel nostro paese hanno avuto la possibilità di sperimentare la tecnica su preparati anatomici umani, con il tutoraggio del dottor Maida e di alcuni componenti della sua equipe. Negli anni la chirurgia dell’Ospedale Evangelico Villa Betania si è affermata nel panorama regionale e nazionale per il ricorso alle più moderne tecnologie, tra cui la laparoscopia effettuata con telecamere ad altissima definizione e 3D, con cui vengono trattate ormai la maggior parte delle patologie addominali, incluse quelle tumorali. In particolare, i tumori che interessano il colon-retto, lo stomaco, il fegato e il pancreas vengono trattati dal dottor Maida e dal suo gruppo in laparoscopia, tecnica che consente attraverso la visione magnificata un intervento più preciso e, grazie all’assenza di grandi incisioni, un minor dolore post-operatorio ed un più rapido recupero.
Baffi contro il tumore alla prostata
PrevenzioneFarsi crescere i baffi o indossarne di finti a novembre, vorrà dire fare prevenzione. L’iniziativa, nasce circa dieci anni fa in Australia con il nome di Movember (crasi tra la parola inglese ‘moustache’ – baffi – e ‘november’ – novembre -) e ha come obiettivo la sensibilizzazione degli uomoni sul carcinoma alla prostata e sull’importanza di una adeguata prevenzione e di una diagnosi precoce. Anche LILT Milano (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) ha sposato questa campagna internazionale e per il terzo anno consecutivo promuoverà proprio a novembre una serie di iniziative rivolte agli uomini.
Nel corso del mese, i Mo bro (Movember brother) che aderiranno, saranno invitati a diventare delle vere e proprie icone indossando baffi finti o facendo crescere i propri, per dare maggiore visibilità al tema, e sensibilizzare il mondo maschile, spesso poco attento, sul tema. LILT per l’occasione, inviterà gli uomini ad ‘indossare i baffi’ per tutto il mese e organizzerà una serie di seminari informativi e visite urologiche gratuite negli spazi di prevenzione LILT dedicati tra cui quelli di Milano, Cernusco sul Naviglio, Novate Milanese, Monza e Sesto San Giovanni. E’ ancora molto bassa, infatti, la percentuale degli uomini che periodicamente e con regolarità si sottopone a controlli urologici. L’Associazione Europa Uomo invece, ogni venerdì pomeriggio, metterà a disposizione di chi ne abbia bisogno, uno sportello informativo dove sarà possibile avere risposte specifiche sul tema, consigli, indicazioni ma anche sostegno psicologico.
Secondo i dati forniti da LILT, il tumore alla prostata è la neoplasia più diffusa tra gli uomini e colpisce circa 42 mila soggetti ogni anno. Rappresenta più del 20% di tutti i tumori diagnosticati dai 50 anni di età e la prevenzione, anche in questo caso, resta uno dei passaggi fondamentali per anticipare la diagnosi e intervenire tempestivamente con cure adeguate.
Baffi contro il tumore alla prostata
PrevenzioneFarsi crescere i baffi o indossarne di finti a novembre, vorrà dire fare prevenzione. L’iniziativa, nasce circa dieci anni fa in Australia con il nome di Movember (crasi tra la parola inglese ‘moustache’ – baffi – e ‘november’ – novembre -) e ha come obiettivo la sensibilizzazione degli uomoni sul carcinoma alla prostata e sull’importanza di una adeguata prevenzione e di una diagnosi precoce. Anche LILT Milano (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori) ha sposato questa campagna internazionale e per il terzo anno consecutivo promuoverà proprio a novembre una serie di iniziative rivolte agli uomini.
Nel corso del mese, i Mo bro (Movember brother) che aderiranno, saranno invitati a diventare delle vere e proprie icone indossando baffi finti o facendo crescere i propri, per dare maggiore visibilità al tema, e sensibilizzare il mondo maschile, spesso poco attento, sul tema. LILT per l’occasione, inviterà gli uomini ad ‘indossare i baffi’ per tutto il mese e organizzerà una serie di seminari informativi e visite urologiche gratuite negli spazi di prevenzione LILT dedicati tra cui quelli di Milano, Cernusco sul Naviglio, Novate Milanese, Monza e Sesto San Giovanni. E’ ancora molto bassa, infatti, la percentuale degli uomini che periodicamente e con regolarità si sottopone a controlli urologici. L’Associazione Europa Uomo invece, ogni venerdì pomeriggio, metterà a disposizione di chi ne abbia bisogno, uno sportello informativo dove sarà possibile avere risposte specifiche sul tema, consigli, indicazioni ma anche sostegno psicologico.
Secondo i dati forniti da LILT, il tumore alla prostata è la neoplasia più diffusa tra gli uomini e colpisce circa 42 mila soggetti ogni anno. Rappresenta più del 20% di tutti i tumori diagnosticati dai 50 anni di età e la prevenzione, anche in questo caso, resta uno dei passaggi fondamentali per anticipare la diagnosi e intervenire tempestivamente con cure adeguate.
Padri di ieri e di oggi in una prospettiva psicologica
Psicologiadi Erica Eisenberg*
Il padre: padrone, periferico, pallido, ricercato…. Sono tanti gli aggettivi collegati in sociologia e in psicologia all’immagine paterna, in diversi periodi storici. Il padre padrone, erede dell’autorità assoluta di epoca classica. Degli Anni 60 quello periferico, opposto della madre simbiotica degli Anni 70 e 80; quello pallido (Scabini 1985), più presente affettivamente ma meno capace di trasmettere stabilità e quello invano ricercato dai figli come fonte di affetto, ma anche di autorevole sicurezza degli anni successivi al 2000. Recalcati identifica la radice della crisi della figura paterna nel fantasma culturale ipermoderno della libertà sganciata dalla responsabilità: di fronte a questo sogno egocentrico, come può sopravvivere la testimonianza paterna, il cui compito è rendere possibile lo sforzo di dare un senso al mondo? Riprendendo il pensiero di Lacan (2003), che parla di evaporazione del padre nella nostra epoca, Recalcati (2013) contrappone quattro modelli di figlio ai quattro di padre. Il figlio Edipo, abbandonato e ribelle, che non riconosce l’autorità paterna e la combatte attivamente, contestatore negli Anni 60 e 70. Il figlio Anti-Edipo (Deleuze e Guattari 1972), che valorizza il desiderio contro la legge, l’ egocentrismo individuale contro la regola sociale, il diritto alla autorealizzazione contro il senso di responsabilità: una figura degli Anni 80. Il figlio Narciso, in un’epoca, gli Anni 90, in cui anziché adattarsi alle leggi simboliche e ai tempi della famiglia e della società l’ idolo-bambino impone alle famiglie di modellarsi intorno al suo capriccio, facendole abdicare ad ogni diritto e dovere educativo. Il figlio Telemaco, che attende il ritorno del padre per liberare la casa dai Proci invasori, ne va alla ricerca e ci si affianca nella cruenta vendetta. Il ritorno del padre Ulisse consente il recupero di un ordine sociale, di una Legge, di una stabilità, di una sicurezza. Per Recalcati i figli oggi sono alla ricerca di un padre così, capace con l’appoggio della madre di trasmettere loro non imposizioni arbitrarie o modelli di disimpegno, ma un senso morale che li aiuti ad essere individui adulti in un mondo incerto.
Padre-mammo e Padre-compagno
Uno studio del gruppo guidato da Robert S. Edelstein, del Dipartimento di Psicologia dell’Università del Michigan, documenta cambiamenti ormonali in gravidanza anche nel maschio, sempre più coinvolto nella preparazione al parto e nella cura del neonato, compiti un tempo riservati alle donne. La futura madre produce più testosterone, cortisolo, estradiolo e progesterone, ormoni che la rendono più protettiva; il futuro padre meno testosterone ed estradiolo, con una riduzione dell’aggressività. Meno violenza da parte dei padri, ma anche meno disponibilità al sacrificio. Meno esempi maschilisti, ma anche minori assunzioni di responsabilità nell’ ambito del lavoro e della tutela della famiglia. Al significativo cambiamento dall’ immagine tradizionale del padre hanno contribuito l’ aumento delle famiglie a doppio reddito e il riconoscimento sociale della donna, che non si identifica più esclusivamente con il modello di madre e di casalinga. Oggi il padre quasi sempre provvede a fornire cure fisiche ai bambini piccoli, si alterna nell’alimentazione, sostiene le loro attività in età scolare: ci si aspetta che sia capace di fare quello che fa la madre. Ma è davvero utile e giusto che un bambino abbia due genitori indifferenziati, due mamme poco alternative? I nuovi padri saranno più affettuosi, più dolci, meno violenti e autoritari, ma molti dubitano che sappiano ancora trasmettere ai figli una regola sociale, un’etica della responsabilità (Andolfi,2001). C’è il rischio che l’abbattimento dell’autoritarismo porti, in una rincorsa alla libertà sfrenata, anche alla scomparsa dell’autorevolezza, e che i figli delle nuove generazioni restino simpatici compagni dei loro padri senza sviluppare la capacità di assumersi responsabilità per la propria e l’altrui vita. Se molti di noi non si affiderebbero al capitano di una nave per la sua simpatia e perché gioca con i passeggeri, senza garanzie che in caso di naufragio non abbandoni la nave per primo, perché i giovani dovrebbero trarre altro che pseudosicurezza e delusioni da padri compagnoni che partecipano ai loro giochi ma non sono affidabili al momento della necessità?
*Psicologa e psicoterapeuta, Socio clinico SIPPR (Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale) Docente Centro Studi e Applicazione della Psicologia Relazionale, Prato
HIV: nasce il Libro Bianco per migliorare prevenzione e cura
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneL’HIV (uman Immunodeficiency Virus) è una patologia complessa e oggi interessa trasversalmente tutta la popolazione. Comporta costi diretti, indiretti e sociali generati da prestazioni ambulatoriali, specialistiche e ospedaliere, per via della sua cronicizzazione. Federsanità ANCI e la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT), insieme, hanno promosso l’Atelier “aspetti organizzativi, economici e gestionali dell’hiv”, per individuare percorsi realizzabili e condivisibili nella cura dell’HIV. Lo scopo è valutare possibili cambiamenti organizzativi e gestionali, cercando un equilibrio del Servizio sanitario nazionale fra appropriatezza, sostenibilità e innovazione.
“Federsanità ANCI – ha affermato il Presidente Angelo Lino Del Favero – è da sempre interessata ad individuare traiettorie, processi di innovazione, opzioni gestionali capaci di ridurre la portata della dicotomia possibile tra complessità e sostenibilità di un moderno sistema di welfare e welfare community capace da un lato di leggere i bisogni sanitari, sociosanitari e sociali di una popolazione, dall’altro di offrire concrete prospettive operative da indagare ed approfondire. Tutto questo – ha spiegato – con una precisa opzione strategica che è quella di tenersi lontana da semplici manifestazioni di principio, o etichette categoriali, ed invece calare nel caso concreto il driver del proprio agire. Questo percorso è stato immaginato individuando come priorità una patologia che si presenta come paradigmatica di come un sistema sociosanitario possa organizzare/riorganizzare la propria risposta assistenziale: l’HIV”.
L’analisi è stata condotta attraverso delle interviste effettuate dai ricercatori del Centro Studi di Federsanità Anci ai responsabili di 14 Centri per la cura dell’HIV, scelti sul territorio nazionale. Dall’analisi è emerso che sebbene la patologia registri un’incidenza e una prevalenza contenuta, essa implica costi finanziari, nonché costi impliciti elevati laddove possono esistere diverse modalità organizzative che, a parità di offerta (in senso qualitativo e quantitativo), potrebbero portare vantaggi all’intero sistema sanitario (minori costi o una più adeguata copertura). In particolare, nel Libro Verde, redatto con obiettivi descrittivi dell’HIV e del percorso di cura, sono state fotografate criticità e opportunità. Nel Libro Bianco, invece, presentato in questi giorni all’Istituto Superiore di Sanità e realizzato grazie al grant liberale, non condizionato da parte di Gilead Sciences, sono riportate una serie di proposte e possibili risposte alle questioni principali indicate nel Libro Verde. “Gilead Sciences – ha aggiunto Emanuele Pria Director Market Access di Gilead – è in favore del supporto di progettualità ed eventi di incontro che possano sostenere la migliore governance nelle aree terapeutiche di natura infettivologica”. Durante i lavori, Lucio Alessio D’Ubaldo Segretario Generale di Federsanità ANCI ha sottolineato: “Federsanità ANCI è profondamente convinta che il recupero di appropriatezza del sistema rappresenti lo snodo fondamentale per la tenuta dei sistemi di welfare. La sfida della sostenibilità rispetto alla complessità si può vincere, al netto di tagli finanziari che portano con sé inevitabili, e non sempre prevedibili, conseguenze sul piano dell’equità rispetto alla garanzia dei LEA. In un sistema in cui le risorse arrivano sempre meno, lo scenario impone che le risorse arrivino sempre più per trasformazione dei nostri comportamenti operativi. La consapevolezza che ogni atto medico o sanitario o sociosanitario o assistenziale, compiuto o non compiuto, veicola risultati economici deve diventare il driver coerente degli approcci organizzativi, proprio per consentire di sottrarli alla logica finanziaria pura che, purtroppo, attualmente regola gli approcci alla tutela della salute”.
Attacchi di panico? E se fosse solo paura di vivere?
Prevenzione, PsicologiaDr Pietro Scurti -Psicologo-Pisicoterapeuta -Socio ordinario Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale
Il respiro si ferma, le mani tremano, lo stomaco si stringe, un sudore freddo percorre il corpo. La morte si para davanti agli occhi come unico possibile esito di questa infinita sofferenza. La corsa in ospedale, sintomi che assomigliano ad un infarto, il paziente impotente e imbambolato racconta confuso che si sente morire. “No! Non è il cuore che si sta fermando, afferma lo psicoterapeuta della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale, Pietro Scurti, piuttosto è la propria esistenza che non decolla”. In Italia ne soffrono oltre 10 milioni di persone. Uno stato d’ansia violento che vede soffrirne uomini e donne quasi in egual modo. Alcuni pazienti raccontano che non escono di casa da anni, o che hanno percorsi stabiliti entro ai quali “si sentono più o meno al sicuro”, altri non guidano più da soli o hanno parcheggiato l’auto e si muovono solo a piedi. Altri ancora, prosegue lo psicoterapeuta, sono giovani ragazzi che attendono la crisi come un terremoto che dovrà verificarsi, vivendo l’attesa in maniera spasmodica e coinvolgendo l’intero sistema familiare.
Quali possono essere i fattori scatenanti di questi stati d’angoscia?
Quello che comunemente definiamo attacco di panico è uno stato d’allerta ed in quanto tale viene a segnalarci qualcosa che nella nostra vita non va o si è bloccato. Qualcosa a cui nell’arco del tempo non abbiamo dato la giusta attenzione, scelte non fatte, emozioni non espresse, relazioni non soddisfacenti. Situazioni insomma da tempo evitate e represse attraverso una overdose di silenzi, azioni o comunicazioni di copertura, funzionali allo spostamento del focus, dal disagio interiormente vissuto alla facciata mostrata al mondo.
E’ come se allora questi attacchi di panico venissero ad “aiutarci” a trovare il coraggio di cambiare?
Esattamente. Se non scatta un allarme poderoso e destabilizzante come questo, il soggetto non prenderebbe mai in considerazione la possibilità che non sia più sufficientemente innamorato della propria vita.
Che significa?
Significa che vivere questi stati limite lo costringono a centrare l’attenzione su di sé, a chiedere aiuto. I primi riferimenti rimangono nell’area medica, organica, si cercano specialisti di tutti i tipi, perché l’accettazione più complessa da fare è sempre quella che ci implica come individui, mentre è paradossalmente più rassicurante ricevere una diagnosi che ci dica che c’è un tumore, un polmone che fa le bizze, il fegato o il cuore che non funzionano. Ma la mente, le relazioni familiari, la personalità restano l’ultima spiaggia. E così dallo psicoterapeuta si arriva sconfitti e sfiduciati, è come se dicessero: “possibile è un fatto mentale allora?”
Che ruolo svolge l’ansia in tutto questo disagio?
La prima cosa da dire è che l’ansia è una risposta funzionale della nostra mente e del nostro corpo. Ci rende attenti, vigili, ci fa pescare dentro energie insospettate, ci permette di affrontare e superare esami, prove, ostacoli. I problemi nascono quando l’ansia supera i livelli di funzionalità ed invade il soggetto, per dirla in breve, nella mente, e conseguentemente nella vita dei pazienti, irrompe “e se?”, il futuro, ricco di incognite insopportabili e foriero di temute disgrazie. I soggetti cominciano ad avere difficoltà a riconoscere e viversi il presente e sempre più cercano di controllare e prevedere il futuro. Va da sé che l’operazione, impossibile in partenza, crei forti disagi.
All’inizio di questa intervista ha citato la famiglia, può specificare che implicazioni abbia “l’attacco di panico” con gli altri componenti familiari?
Come psicoterapeuti sistemico-relazionali siamo quasi obbligati a rileggere i sintomi in una chiave sempre più ampia. Un sintomo è sempre una comunicazione ed una comunicazione, qualsiasi essa sia, per quanto bizzarra, ha senso in correlazione al contesto in cui avviene. L’attacco di panico spesso sollecita nuove ricalibrature delle distanze affettive, ma anche spaziali, all’interno della famiglia. Una madre eccessivamente invasiva ed insicura, un marito impegnato totalmente nel lavoro, un giovane che sta per spiccare il volo fuori dall’orbita familiare, per un corso di studi, la carriera militare, un fidanzamento, un lavoro. Ecco che a tenere tutto omeostaticamente fermo, arriva la “paura di morire”. Il padre viene richiamato alla presenza, la mamma può assumere il comando delle iniziative per la cura, il figlio smette di tentare l’autonomia dicendo “vorrei…ma non dipende da me”. Il disagio garantisce l’immobilità, ma al tempo stesso, ne denuncia l’insopportabilità.
Quale possibile trattamento?
Molto spesso la terapia familiare risulta l’approccio vincente. La decodifica che il sintomo svolge nella famiglia, la possibilità che il confronto profondo all’interno della stessa coppia genitoriale, e tra questa e i figli, genera uno sblocco delle emozioni, una redistribuzione delle responsabilità più funzionale alla crescita di tutti i suoi membri. Insomma oscillare tra una sana appartenenza ed una sana separazione. In fondo è questo il destino di ogni essere umano.
Incidenti domestici, in Veneto al via ‘Argento vivo’
PrevenzioneSono circa 8000 ogni anno in Veneto le vittime di incidenti domestici, la maggior parte di queste sono anziani, over 75. Per questo la Regione Veneto si è attivata con un programma di prevenzione che ha coinvolto l’ Ulss 12 e le farmacie del territorio. Il programma, inserito all’interno del Piano di Prevenzione 2014-2018 del Veneto, nell’ambito del Programma di Prevenzione degli incidenti domestici, si chiama “Argento vivo” ed è stato promosso in tutta la regione. La campagna prevede un percorso di sensibilizzazione svolto attraverso la diffusione di informazioni e consigli utili rivolti in particolare agli anziani; è partita con la distribuzione nelle farmacie di shopper illustrate con consigli di prevenzione relativi in particolare alle cadute ma in generale anche ai più comuni incidenti che avvengono tra le mura domestiche. Il progetto ha coinvolto oltre 1200 farmacie che distribuiranno anche materiale informativo.
In Italia, il decesso a seguito di incidente domestico è al quinto posto tra le cause di morte prevenibile e ogni anno i soggetti che muoiono a causa di uno di questi eventi sono più del doppio rispetto a quelli che perdono la vita per incidente stradale.
Secondo i dati forniti dall’Istat, ogni anno nel nostro Paese sono circa 3.500.000 gli infortuni domestici, il 20% in più rispetto agli ultimi dieci anni. L’incidente più frequente è la caduta, 40-45%, seguita dagli urti e dai tagli 17 e 16%. Il 40-50% degli anziani, almeno una volta all’anno è vittima di caduta in casa. Altri soggetti particolarmente a rischio di morte o invalidità causata da incidente domestico sono i bambini minori di sei anni.
Tuttavia, la maggior parte degli infortuni domestici si può evitare e prevenire sia adottando comportamenti più prudenti sia attrezzando correttamente gli ambienti di casa. Ecco perché informazione e conoscenza sono fondamentali per accrescere la cultura della sicurezza e per evitare inutili e banali rischi che a volte possono portare conseguenze anche molto serie.