Tempo di lettura: 3 minuti«Sto male, che sarà? Ora controllo su internet». Questo semplice binomio “malattia / web” ha creato negli ultimi anni un numero infinito di guai. Non perché in internet non sia possibile trovare informazioni giuste o utili, bensì perché bisognerebbe avere la capacità di selezionarle, valutarle e interpretarle. Poi ci sono le bufale, tante e spesso molto d’effetto. «E- Health: Tra bufale e verità. Le due facce della Salute In rete» è un workshop promosso da Cittadinanzattiva che si è tenuto a Roma, durante il quale è stata presentata una ricerca promossa da Ibsa Foundation for Scientific Research. I dati che emergono sono significativi.
Tutti dal “dottor Google”
Visto che oltre l’88% degli italiani (il 93,3% tra le donne) consulta il web quando ha bisogno di informazioni sulla salute e visto che Google è il primo motore di ricerca al mondo, è facile capire come nasca l’espressione dottor Google. Un motore di ricerca con il camice bianco, che però fa quello che deve fare un motore di ricerca: trova documenti on-line, certo non può validarli dal punto di vista medico o fare una diagnosi. E qui nascono i primi guai. Dai dati del sondaggio Ibsa emerge anche che il 44% degli intervistati non considera questo tipo di consultazione di internet rischioso, quindi scende anche il livello d’allerta sulla verifica delle fonti. Dal sondaggio emerge anche che i cittadini tra i 24 e i 34 anni utilizzano intensamente il web come “supporto” delle loro ricerche, ma sono più diffidenti rispetto ai 45 – 54enni. Diffidenti a priori (usano poco il web e lo percepiscono come fonte “ad alto rischio”) sono invece gli ultra 65enni. Il dato più allarmante è relativo alla bufale in rete e, in particolare, sui social network. Basti pensare che la metà degli intervistati non si preoccupa per nulla della veridicità delle notizie. Il quadro della platea che si affida al web cambia, e molto, in base al titolo di studio. Vi ricorre il 96% dei laureati e appena il 24,5% di chi non è andato oltre la licenza elementare. Scarsa anche l’attenzione verso le fonti: il 44% si affida per abitudine ai primi risultati della pagina con una differenza rilevante tra i 18-24enni (55% del campione) e gli ultra 65enni (appena 22,7%).
Health Literacy
Silvia Misiti, direttore della Ibsa Foundation, spiega che l’idea di promuovere l’indagine è nata, e non quest’anno, dall’esigenza di alimentare il dibattito su questo tema. Si deve comprendere ciò che può essere fatto per migliorare la cosiddetta “Health Literacy” o Cultura della Salute. Del resto Ibsa che ha lo scopo di promuovere, sostenere e contribuire allo sviluppo della ricerca scientifica, sta lavorando da tempo sul tema della E-Health in generale. Il primo passo risale al 2015 e al workshop «La salute in rete: progresso o pericolo», fino all’innovativo corso sulla Health Literacy, rivolto ai rappresentati delle associazioni pazienti, organizzato lo scorso autunno. La Misti ricorda che proprio l’enorme possibilità offerta dalla rete in tema di disponibilità di informazioni può trasformarsi in un pericolo, se gli utenti non sono in grado di valutare l’affidabilità di quello che trovano.
Un decalogo anti bufala
Uno degli strumenti più interessanti venuti fuori dal workshop è il decalogo sulla cultura della salute. Facile da comprendere e pieno di buoni consigli per imparare a difendersi dalle informazioni incomplete o false che circolano in rete. La prima regola? «Occhio alle fonti». Selezionare le informazioni è un consigli d’oro, bisognerebbe sempre attingere da pagine ufficiali di organizzazioni riconosciute ed affidabili.
Donare un farmaco a chi non può comprarlo. Torna l’iniziativa di Banco Farmaceutico
Associazioni pazienti, Farmaceutica, News Presa, PrevenzioneDomani, in tutta Italia, migliaia di volontari di Banco Farmaceutico, saranno presenti nelle farmacie italiane, per invitare i cittadini a donare farmaci senza obbligo di ricetta medica, da destinare ai meno abbienti. In particolare antinfluenzali, antinfiammatori e antipiretici saranno poi distribuiti agli enti caritativi della propria città che ogni giorno assistono centinaia di migliaia di poveri che non possono permettersi cure.
È dal 2000 che ogni anno, il secondo sabato di febbraio, in tutta Italia, migliaia di volontari di Banco Farmaceutico sono presenti nelle oltre 3.600 farmacie aderenti all’iniziativa, per raccogliere i farmaci, donati dai cittadini, per gli Enti assistenziali della propria città: è la GRF – Giornata Nazionale di Raccolta del Farmaco. Ogni Ente viene convenzionato ad una o più farmacie in cui sono raccolti esclusivamente farmaci senza obbligo di prescrizione.
In 16 anni la Giornata di Raccolta del Farmaco ha raccolto oltre 4.100.000 farmaci, per un controvalore commerciale di circa 24 milioni di euro. L’ultima edizione ha visto il coinvolgimento di 3.681 farmacie e oltre 14.000 volontari; dei 353.806 farmaci raccolti hanno beneficiato oltre 400.000 persone assistite dai 1.663 Enti convenzionati con Banco Farmaceutico.
Il bisogno di farmaci non riguarda più solo immigrati e profughi, ma sempre più persone e famiglie italiane. La povertà sanitaria è una emergenza con la quale siamo costretti a fare in conti quotidianamente.
Pronto Pain, la Campania in rete contro il dolore
News PresaSino a qualche tempo fa la Campania registrava un forte ritardo per la rete delle cure palliative. Oggi la situazione è molto cambiata e presto nascerà anche un nuovo servizio che consentirà di evitare che al dolore si aggiunga la “sofferenza burocratica”. Il servizio si chiama “Pronto Pain” e sarà fruibile tramite il portale hospicecampania.it. Tramite il web sarà possibile garantire ai cittadini della Campania, ancor più di oggi, sollievo nel dolore.
Una risposta appropriata
«Pronto Pain – spiega il direttore dell’Osservatorio Regionale Cure Palliative e Medicina del dolore in Campania Sergio Canzanella – ci consentirà di rispondere in modo appropriato all’esigenza dei pazienti e del loro iter diagnostico terapeutico. Inoltre, Pronto Pain permetterà l’interazione con le altre istituzioni sanitarie del territorio e con i medici di medicina generale e gli specialisti del dolore».
Il contributo dei volontari
Il servizio Pronto Pain sarà attivo da marzo anche grazie all’apporto dei volontari delll’Associazione House Hospital onlus. Tutti formati con corsi ad hoc per un totale di 30 ore. «Si parte dall’analisi del bisogno – dice Canzanella – per poi offrire delle risposte partendo da un presupposto: è sempre possibile e doveroso migliorarsi riconoscendo però i propri limiti e soprattutto rispettando i ruoli. Lo scopo e nel cercare la via migliore per portare un po’ di sollievo”. L’obiettivo finale è la vicinanza al paziente perché la persona che ha dolore quasi sempre porta con sé la dimensione della sofferenza.
Il questionario sul sollievo
Sul portale www.hospicecampania.it è anche disponibile il Questionario sul Sollievo, che tutti possono compilare in forma anonima. Le schede raccolte saranno inviate alla Fondazione Nazionale “Gigi Ghirotti” di Roma, che ha istituito la Giornata Nazionale sul Sollievo che cade l’ultima Domenica di Maggio di ogni anno. Le schede saranno valutate dagli Esperti dell’Osservatorio Regionale Cure Palliative e Medicina del Dolore in Campania.
Volete dimagrire? Sudare in palestra non basta, ci vuole la dieta giusta
Alimentazione, News Presa, SportLa chiave per dimagrire non è l’esercizio fisico, ma altri fattori tra cui la dieta. L’attività fisica ha moltissimi benefici, che vanno dalla riduzione del rischio di malattie cardiache, diabete e cancro fino a un maggior benessere a livello mentale e le persone che la praticano vivono più a lungo e più in salute. Ma secondo una ricerca può essere collegata anche a un aumento dell’appetito, cosa che porta a mangiare di più per compensare o ad essere meno attivi nel corso della giornata.
Lo studio è stato fatto dalla Loyola University di Chicago, pubblicato su PeerJ ed è parte di una ricerca denominata Met (Modeling the Epidemiologic Transition Study). “I risultati indicano che l’attività fisica può non proteggere dall’aumento di peso” evidenzia l’autrice, Lara R. Dugas. Per la ricerca sono state prese in esame 1944 persone, tra i 25 e i 40 anni, provenienti dagli Stati Uniti e da altri quattro Paesi: Ghana, Giamaica, Sudafrica e Seychelles. Per controllare il livello di attività fisica è stato chiesto loro di indossare un accelerometro per una settimana e sono stati misurati altri valori come peso, altezza e grasso corporeo all’inizio, dopo un anno e dopo due. Dalle misurazioni all’inizio della ricerca i ghanesi sono risultati quelli con un peso inferiore e più in forma, mentre erano gli americani ad avere i maggiori problemi legati ai chili di troppo. I ricercatori hanno costatato che l’aumento di peso totale in tutti i Paesi è stato maggiore tra coloro che rispondevano ai criteri delle linee guida per l’attività fisica. Ad esempio, gli uomini americani che vi avevano aderito risultavano aver guadagnato peso, mentre quelli che non soddisfacevano i criteri risultavano averlo perso. Per dimagrire, insomma, lo sport non basta. Secondo gli studiosi sono altri fattori, tra cui la dieta, ad avere un ruolo predominante .
Giornata mondiale del malato, un ecografo per i piccoli pazienti
News PresaUn ecografo di ultima generazione da donare al reparto di Terapia intensiva neonatale. Il gesto simbolico, ma anche molto concreto, segna il mondo nel quale la Curia di Napoli, e in particolare il cardinale Crescenzio Sepe, ha scelto di celebrare la giornata mondiale del malato di sabato 11 febbraio. L’ospedale prescelto è il simbolo dell’assistenza sanitaria in Campania, vale a dire il Cardarelli.
La visita
A partire dalle ore 9.00 il cardinale Sepe sarà in ospedale, prima al pronto soccorso poi negli altri reparti dove porterà ai degenti sostegno spirituale e morale. Molto concreto il gesto di donare al reparto di Terapia intensiva neonatale del Cardarelli un ecografo di ultima generazione acquistato dalla Diocesi utilizzando i fondi raccolti con l’asta di beneficenza effettuata in collaborazione con la RAI nel 2015.
Un riconoscimento ai “cardarelliani”
«Una visita – dice il direttore generale Ciro Verdoliva – che onora il Cardarelli e che ripaga i cardarelliani dell’abnegazione con la quale ogni giorno si dedicano ai pazienti. Sento di rappresentare il sentimento dell’intero ospedale – conclude – nel ringraziare Sua Eminenza del gesto che ha rivolto ai nostri piccoli pazienti, ai quali ha donato una importante apparecchiatura».
La strumentazione permetterà ai medici della TIN di approntare diagnosi ancora più dettagliate e tempestive per tutte le patologie neonatali, e in particolare per le malattie cardiache e cerebrali. Uno strumento in più grazie al quale si potrà valorizzare l’eccellenza del Cardarelli.
Il Programma
Il Cardinale inizierà la visita giungendo al Pronto Soccorso alle ore 9.00 e farà sosta nei locali del Pronto Soccorso, dell’OBI e della Rianimazione.
Poi a partire dal 4° piano visiterà i malati presenti nella Medicina d’Urgenza, nella Neurochirurgia d’Urgenza e nella Chirurgia d’Urgenza e si soffermerà al 2° piano nella TIN per donare l’Ecografo di ultima generazione acquistato dalla Diocesi utilizzando i fondi raccolti con l’asta di beneficenza effettuata in collaborazione con la RAI nel 2015.
Quindi nel Salone Moriello sarà celebrata alle ore 11.00 la Santa Messa nel corso della quale si benedirà la statua restaurata recentemente di San Camillo de Lellis Patrono degli ospedali e degli operatori sanitari. La giornata si concluderà con il saluto del Direttore Generale Verdoliva e del Presidente della Giunta Regione Campania Vincenzo De Luca.
La mastoplastica Smart: in 30 minuti con dolore limitato
News Presa, Ricerca innovazioneLa mastoplastica additiva diventa “Smart”, ed è boom di interventi. Messa a punto da Raffaele Rauso e Pierfrancesco Bove chirurghi del surgery network Chirurgiadellabellezza, questa rivoluzionaria procedura richiede solo 30 minuti e garantisce un recupero rapido e dal dolore molto limitato. La Smart mastoplastica è stata la novità del 2015 nel mondo della chirurgia estetica e poi si è consolidata confermando il proprio successo nel tempo. «È una procedura che ha successo perché, come dice il nome, è smart –spiegano Rauso e Bove–. Combina delle procedure sicure e consolidate per ottimizzare i tempi dell’intervento: mezz’ora circa a fronte delle due ore di una mastoplastica tradizionale. Il tempo di intervento di 30 minuti comporta un minor trauma chirurgico per la paziente, così da poterle garantire un post operatorio rapidissimo e risultati estremamente naturali in tempi molto brevi. L’intervento è eseguito in anestesia locale con sedazione, i tempi di ripresa anestesiologici sono rapidissimi e la paziente può così rientrare a casa in giornata».
Veloce e sicura
La tecnica prevede l’inserimento di una protesi in una tasca scolpita in sede sottomuscolare, simile ma non del tutto uguale al dual plane, con un metodo studiato per ridurre i problemi dovuti alle contrazioni dinamiche del muscolo pettorale. «Questo – spiegano i chirurghi – consente tempi di intervento estremamente brevi, cosa che riduce inoltre l’edema e il gonfiore successivi».
Le indicazioni da tenere a mente
La tecnica è indicata per tutte le pazienti che desiderano un aumento volumetrico del seno, quando non è necessario sollevarlo verso l’alto. Bisogna poi sottolineare che, grazie ai tempi più rapidi di intervento e alle basse dosi assunte di farmaci anestesiologici, anche i tempi di recupero sono accorciati e il dolore è molto limitato, per via dell’anestetico locale praticato prima dell’operazione. Le indicazioni da seguire nel post operatorio sono pochissime ma fondamentali: la paziente può riprendere la normale vita quotidiana e le attività lavorative già due giorni dopo l’intervento.
Pur sempre un intervento
La rapidità della tecnica non deve far dimenticare che la fase post-operatoria è sempre da seguire con attenzione, e dura un mese. Le indicazioni terapeutiche prevedono l’uso di guaina e reggiseno contenitivo per 30 giorni. Per 10 o 15 giorni bisogna evitare alcuni movimenti e comunque ci sono vari accorgimenti per eseguirne in modo corretto altri che coinvolgono gli arti superiori, anche quelli “banali” come alzarsi dal letto». Nel mese successivo all’operazione è bene non eseguire attività che comportano carichi eccessivi per braccia e l’attività sportiva si può riprendere al 100% dopo 60 giorni.
Salute e web, ecco il decalogo anti bufale
News Presa, Prevenzione«Sto male, che sarà? Ora controllo su internet». Questo semplice binomio “malattia / web” ha creato negli ultimi anni un numero infinito di guai. Non perché in internet non sia possibile trovare informazioni giuste o utili, bensì perché bisognerebbe avere la capacità di selezionarle, valutarle e interpretarle. Poi ci sono le bufale, tante e spesso molto d’effetto. «E- Health: Tra bufale e verità. Le due facce della Salute In rete» è un workshop promosso da Cittadinanzattiva che si è tenuto a Roma, durante il quale è stata presentata una ricerca promossa da Ibsa Foundation for Scientific Research. I dati che emergono sono significativi.
Tutti dal “dottor Google”
Visto che oltre l’88% degli italiani (il 93,3% tra le donne) consulta il web quando ha bisogno di informazioni sulla salute e visto che Google è il primo motore di ricerca al mondo, è facile capire come nasca l’espressione dottor Google. Un motore di ricerca con il camice bianco, che però fa quello che deve fare un motore di ricerca: trova documenti on-line, certo non può validarli dal punto di vista medico o fare una diagnosi. E qui nascono i primi guai. Dai dati del sondaggio Ibsa emerge anche che il 44% degli intervistati non considera questo tipo di consultazione di internet rischioso, quindi scende anche il livello d’allerta sulla verifica delle fonti. Dal sondaggio emerge anche che i cittadini tra i 24 e i 34 anni utilizzano intensamente il web come “supporto” delle loro ricerche, ma sono più diffidenti rispetto ai 45 – 54enni. Diffidenti a priori (usano poco il web e lo percepiscono come fonte “ad alto rischio”) sono invece gli ultra 65enni. Il dato più allarmante è relativo alla bufale in rete e, in particolare, sui social network. Basti pensare che la metà degli intervistati non si preoccupa per nulla della veridicità delle notizie. Il quadro della platea che si affida al web cambia, e molto, in base al titolo di studio. Vi ricorre il 96% dei laureati e appena il 24,5% di chi non è andato oltre la licenza elementare. Scarsa anche l’attenzione verso le fonti: il 44% si affida per abitudine ai primi risultati della pagina con una differenza rilevante tra i 18-24enni (55% del campione) e gli ultra 65enni (appena 22,7%).
Health Literacy
Silvia Misiti, direttore della Ibsa Foundation, spiega che l’idea di promuovere l’indagine è nata, e non quest’anno, dall’esigenza di alimentare il dibattito su questo tema. Si deve comprendere ciò che può essere fatto per migliorare la cosiddetta “Health Literacy” o Cultura della Salute. Del resto Ibsa che ha lo scopo di promuovere, sostenere e contribuire allo sviluppo della ricerca scientifica, sta lavorando da tempo sul tema della E-Health in generale. Il primo passo risale al 2015 e al workshop «La salute in rete: progresso o pericolo», fino all’innovativo corso sulla Health Literacy, rivolto ai rappresentati delle associazioni pazienti, organizzato lo scorso autunno. La Misti ricorda che proprio l’enorme possibilità offerta dalla rete in tema di disponibilità di informazioni può trasformarsi in un pericolo, se gli utenti non sono in grado di valutare l’affidabilità di quello che trovano.
Un decalogo anti bufala
Uno degli strumenti più interessanti venuti fuori dal workshop è il decalogo sulla cultura della salute. Facile da comprendere e pieno di buoni consigli per imparare a difendersi dalle informazioni incomplete o false che circolano in rete. La prima regola? «Occhio alle fonti». Selezionare le informazioni è un consigli d’oro, bisognerebbe sempre attingere da pagine ufficiali di organizzazioni riconosciute ed affidabili.
Vittime di bullismo: se va male a scuola è un segnale. Lo studio
News Presa, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneI bambini vittime di bullismo, oltre a soffrire psicologicamente, vedono peggiorare il proprio rendimento scolastico. È quanto emerge da uno studio americano, pubblicato sul journal Educational Psychology, che ha seguito quasi 400 ragazzi dalle scuole materne al liceo. Ladd e colleghi, dell’Arizona State University di Tempe, hanno rilevato che quando le azioni di bullismo terminano, soprattutto se avvengono durante i primi anni di scuola, i ragazzi migliorano nel rendimento scolastico e acquisiscono maggiore autostima.
Con indagini regolari, i ricercatori hanno misurato il grado e la frequenza delle vittimizzazione tra pari che i bambini hanno sperimentato – tra cui il bullismo fisico, verbale e relazionale – così come la percezione della performance scolastica e il livello di impegno scolastico. Hanno anche valutato gli insegnanti per misurare il rendimento scolastico.
Nella scuola dell’infanzia, il 21% dei bambini ha avuto esperienza di vittimizzazione grave e un altro 38% ha sperimentato un livello moderato di bullismo. Queste proporzioni sono diminuite costantemente nel corso degli anni, fino all’ultimo anno di liceo, quando meno dell’1% è stato vittima di un attacco grave e poco meno dell’11% è stato moderatamente bullizzato. Tuttavia, nel corso degli anni, il 24% dei bambini è stato classificato nella categoria della vittimizzazione cronica. Questi sono stati anche quelli con maggiori probabilità di avere uno scarso rendimento scolastico (soprattutto in matematica) e una cattiva percezione accademica si sé. Tra i cinque gruppi Ladd e colleghi hanno notato che le vittime nei primi anni della scuola di solito sono riusciti ad affrancarsi dal bullismo nel tempo.
La povertà diventa una malattia. Cala di due anni l’aspettativa di vita
Economia sanitaria, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneEssere poveri può accorciare la vita di due anni. Un calo dell’aspettativa dell’esistenza paragonabile a quella di chi fuma, beve, fa poca attività fisica o soffre di diabete. Lo rivela uno studio condotto da Lifepath e pubblicato sulla rivista The Lancet che ha seguito lo stato di salute di quasi due milioni di individui, in tutta Europa, per 13 anni.
Insomma, vivere in condizioni sociali ed economiche precarie accorcia la vita, in media, di 2,1 anni. Per avere un’idea più chiara di quanto un’esistenza ai limiti della sopravvivenza possa essere dannosa, basta guardare le altre statistiche: un fumatore ha un’aspettativa di vita più bassa di quasi 5 anni, un malato di diabete di quattro e una persona fin troppo sedentaria di due anni e mezzo. La ricerca fa parte di un progetto, finanziato dalla Commissione Europea, che ha l’obiettivo di individuare i meccanismi biologici che stanno alla base delle differenze sociali nella salute. “Ci siamo sorpresi quando abbiamo scoperto che vivere in condizioni sociali ed economiche povere può costare caro quanto altri potenti fattori di rischio come il fumo, l’obesità e l’ipertensione – ha affermato Silvia Stringhini, ricercatrice all’University Hospital di Losanna, in Svizzera, e coordinatrice dello studio – Queste circostanze possono essere modificate con interventi politici e sociali mirati, per questo dovrebbero essere incluse fra i fattori di rischio su cui si concentrano le strategie globali di salute pubblica”.
“È noto – ha spiegato Mika Kivimaki, professore all’University College London e co-autore dello studio – che educazione, reddito e lavoro possono influire sulla salute, ma pochi studi avevano cercato di valutare quale fosse il peso effettivo di questi fattori. Per questo abbiamo deciso di confrontare l’impatto dello status socioeconomico sulla salute mettendolo a confronto con quello di sei fra i principali fattori di rischio”.
I ricercatori hanno analizzato la salute di più di 1,7 milioni di persone che vivono in tutta Europa, tra Gran Bretagna, Italia, Portogallo, Stati Uniti, Australia, Svizzera e Francia. La vita di queste persone è rimasta sotto la lente degli scienziati per 13 anni. I dati ottenuti da questa lunga fase di osservazione sono stati analizzati con appositi metodi statistici e confrontati con quelli relativi ad alcuni dei principali fattori di rischio inclusi nel piano strategico globale dell’Oms chiamato “25×25”.
In conclusione, estendere la prevenzione anche a fattori come il lavoro o l’educazione infantile, può migliorare la salute globale. “Lo status socioeconomico è importante perché include l’esposizione a diverse circostanze e comportamenti potenzialmente dannosi, che non si limitano ai classici fattori di rischio come fumo o obesità, sui quali si concentrano le politiche sanitarie – ha concluso Paolo Vineis, professore all’Imperial College London e coordinatore di Lifepath – L’obiettivo principale del nostro progetto è quello di capire attraverso quali processi biologici le disuguaglianze sociali si traducono in disuguaglianze per la salute. Così facendo potremo fornire accurate prove scientifiche a istituzioni sanitare e decisori politici, che a loro volta potranno migliorare l’efficacia delle loro strategie di intervento sulla salute pubblica”.
Milik è guarito, così lo staff del Napoli cura i suoi campioni
News Presa, PrevenzioneTra scaramanzia e fede calcistica i tifosi del Napoli fanno gli scongiuri per i risultati di una ricerca scientifica secondo la quale i beniamini azzurri sono tra quelli che si allenano di più (5.330 ore impiegate con 4.804 ore di allenamento) e si infortunano di meno visti i 9 infortuni di questa stagione (4 in allenamento, 5 in partita).Insomma, al di là del folclore, la scienza dice che (con una percentuale di 0,8 infortuni su 1.000 ore di allenamento) dietro il gruppo azzurro c’è un altro grande team: quello dello staff medico, diretto da Alfonso De Nicola in collaborazione con Enrico D’Andrea e Raffaele Canonico, e di tutti i preparatori.
L’analisi
Condotto dal professor Ekstrand per l’UEFA, lo studio si basa sull’elaborazione dei dati relativi agli infortuni registrati da 35 squadre di calcio internazionali (tra cui il Napoli) in riferimento alle ore di allenamento e di partita impiegate da luglio a dicembre 2016. I valori riscontrati nella squadra del patron De Laurentiis sono particolarmente interessanti, ancor più se si considera che la media è pari a 2,6 infortuni con un picco di 9,3 per la squadra con il peggior piazzamento da questo punto di vista.
Prevenire l’infortunio
Il segreto di questi risultati è quello di guardare avanti, con un lavoro che mira a prevenire patologie muscolari e altre malattie in ambito sportivo. E nel caso di infortunio di qualunque tipo si lavora al veloce e totale recupero dell’atleta, per il benessere del giocatore, della squadra e della società affinché ci siano sempre meno indisponibilità in partita. Inoltre, gli studi dello staff sono volti all’eliminazione delle recidive. In caso di infortuno serio, si dà luogo all’intervento (se dovuto) in tempi strettissimi e a una riabilitazione veloce anche neuro-cognitiva. E’ così che Cristiano Lucarelli nel 2010 (aveva 35 anni) dopo la rottura del legamento crociato anteriore rientrò in campo dopo appena 107 giorni. Lorenzo Insigne recuperò a pieno dopo 125 giorni, e infine (notizie dei giorni nostri) Arek Milik è stato dichiarato guarito, per la stessa patologia dopo 97 giorni e convocato per la 23a gara di campionato in Serie A Bologna – Napoli a soli 114 giorni dall’intervento. Anche se, con le prestazioni di Mertens e compagni, dovrà lottare per ritagliarsi un posto da titolare.
Mai più donne con genitali mutilati. Il mondo si mobilita
News PresaOggi è la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili, un fenomeno che riguarda 200 milioni di donne nel mondo, circa 57.000 in Italia, provenienti soprattutto da Nigeria ed Egitto.
Una pratica usata in almeno 30 paesi che costituisce una grave violazione dei diritti fondamentali della persona. Una pratica di crudeltà che lede la dignità delle donne e le espone a gravi conseguenze fisiche, come emorragie e cicatrici dolorose che in alcuni casi portano alla morte. Un problema che interessa anche l’ Europa. Sebbene infatti siano vietate, le mutilazioni riguardano anche bambine e giovani donne migranti che vivono nel nostro territorio, spesso a rischio di subire barbare mutilazioni quando tornano nel loro paese di origine durante periodi di vacanza per visitare i parenti.
Action Aid in collaborazione con l’ università Bicocca di Milano ha realizzato un’ indagine e ha tracciato la reale dimensione di questa pratica tra le comunità residenti nel nostro Paese. In Italia, nelle comunità migranti, vi sono molte donne con mutilazioni genitali femminili con percentuali che variano a seconda del paese di origine. Secondo le stime aggiornate al 2016 il numero di donne straniere maggiorenni con mutilazioni genitali femminili presenti in Italia si attesti tra le 46mila e le 57mila unità, a cui si aggiungono le neocittadine italiane maggiorenni originarie di paesi dove la pratica esiste (quantificate tra le 11mila e le 14mila unità) e le richiedenti asilo. Oltre il 60% delle donne con mutilazioni genitali femminili presenti in Italia proviene da Nigeria ed Egitto.
Se si considera invece la prevalenza all’ interno delle principali comunità sono le donne somale ad essere più colpite (83,5%), seguite da quelle che provengono dalla Nigeria (79,4%) e dal Burkina Faso (71,6%). Al quarto posto per diffusione delle mutilazioni c’ è la comunità egiziana (60,6%), seguita da quelle eritrea (52,1%), senegalese (31%) e ivoriana (11%). La nuova mappa che emerge dallo studio della Bicocca conferma che le mutilazioni sono un tema di grande importanza anche in Italia. La presenza di donne con mutilazione genitale femminile apre il dibattito sulla necessità di mettere in atto politiche di prevenzione nei confronti delle bambine migrate da piccole o nate in Italia.
Per combattere questa forma di violenza di origine tribale, ActionAid ha lanciato il progetto AFTER che prevede percorsi di empowerment per le donne e attività di informazione ed educazione per le loro comunità affinché rifiutino questa pratica.
In occasione della Giornata Mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili ActionAid ha promosso inoltre la mobilitazione online (hasthtag #endFGM). Testimonial, attivisti e influencer sono intervenuti attraverso i loro profili social, postando una foto con indosso il simbolo della campagna: un soffione viola, simbolo di libertà ed espressione del desiderio di lasciar andare il passato, permettere al presente di trasformarsi in un futuro libero da vincoli fisici ed emotivi. Ogni attivista diventa quindi il simbolo positivo di un seme del soffione che vola nel vento per informare, sensibilizzare, mobilitare, affinché in futuro nessuna bambina subisca più questa pratica crudele e pericolosa. Aderiscono alla campagna di sensibilizzazione, tra gli altri, la Federazione Italiana Rugby.