Tempo di lettura: 6 minutiTempi lunghi per diagnosi e cure, tempi ristretti per l’ascolto dei pazienti. Costi insostenibili, burocrazia problematica. Sono le difficoltà a cui vanno incontro quotidianamente le persone con malattie croniche e rare, secondo “in cronica attesa” del XV Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva.
Il rapporto parla chiaro: si attende anni per una diagnosi, mesi per una visita, un esame di controllo o per ricevere un ausilio, giorni al Pronto Soccorso per un posto letto. Per contro, il tempo dedicato alla visita e quindi all’ascolto è sempre più ridotto, le ore dedicate all’assistenza domiciliare ed alla riabilitazione sono troppo esigue.
Il rapporto è stato presentato oggi a Roma dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva. con il contributo non condizionato di Merck & Co per il tramite della sua consociata MSD.
Le persone con malattie croniche e rare e i loro familiari devono sopperire a molte carenze, utilizzando il proprio tempo e le proprie risorse economiche: fino a 10.000€ l’anno per l’assistenza psicologica, l’acquisto di farmaci e parafarmaci, la riabilitazione a domicilio; fino a 60.000€ l’anno per pagare la retta della residenza sanitaria assistita. A questo si aggiunge la burocrazia “trita-diritti”, afferma il report, perché non si snelliscono le procedure burocratiche, come nel caso del rilascio di piani terapeutici per i farmaci o di protesi e ausili, l’assegnazione del contrassegno auto per invalidi o il rinnovo della patente.
Al Rapporto di quest’anno hanno partecipato 46 associazioni aderenti al CnAMC, rappresentative di oltre 100mila cittadini affetti per il 64% da patologie croniche e per il restante 36% da malattie rare. Le stesse sono state intervistate tramite un questionario strutturato a partire dai punti cardine del Piano nazionale delle cronicità varato a settembre 2016, al fine di individuare gli elementi positivi e quelli critici su cui occorrerà lavorare per garantire una reale presa in carico dei pazienti.
Il 38,3% degli italiani dichiara di avere almeno una patologia cronica e di questi circa il 70% dichiara di essere comunque in buona salute. Ipertensione (17,1%), artrosi/artrite (15,6%) e malattie allergiche (10,1%) sono nell’ordine le tre malattie croniche più diffuse. Per quanto riguarda le malattie rare, in Italia si stima ci siano tra i 450mila e i 670mila malati rari.
Oltre il 60% delle associazioni segnala la carenza di servizi socio-sanitari sul proprio territorio (ad esempio logopedia, riabilitazione, assistenza domiciliare, servizi di trasporto) e le difficoltà di orientarsi fra i servizi, più del 50% evidenzia difficoltà in ambito lavorativo, legate alla propria patologia, disagi nel comunicare la malattia, difficoltà economiche.
Nel rapporto con il medico, il 78% riscontra di aver poco tempo a disposizione per l’ascolto, di aver visto sottovalutati i propri sintomi (44%), la poca reperibilità (42%) e la scarsa empatia (26%). Ancora indietro sui programmi di prevenzione: non solo perché l’Italia, come riporta l’indagine, investe 83€ a persona (cifra inferiore a quella di paesi come il Regno Unito, la Germania, Danimarca, Olanda e Svezia), ma anche perché, come dichiarano le associazioni, ben il 56% non è stato coinvolto in programmi di prevenzione nel corso dell’ultimo anno. Laddove svolti, tali programmi riguardano per lo più l’alimentazione corretta (24%) e i corretti stili di vita (20%).
Diagnosi in tempi lunghi ed esiti incerti: a volte occorrono anni di attesa, sofferenza, solitudine ed incertezza, accompagnati da costi non indifferenti, prima di arrivare ad una diagnosi certa, che si tratti di malattie croniche o rare. Più della metà (58%) dice di non essere stato sottoposto a programmi di screening nel caso in cui ad un familiare sia stata riscontrata una malattia genetica e il 60% conferma un ritardo diagnostico.
La presa in carico del paziente con patologia cronica rappresenta il cuore del Piano nazionale della cronicità e il punto sul quale si misura la qualità dell’assistenza fornita. Il 40% dichiara che sono stati coinvolti in progetti di cura multidisciplinari solo alcuni pazienti e in ugual percentuale (39%) addirittura nessun paziente. In merito alla riorganizzazione dell’assistenza prestata sul territorio, nonostante la legge abbia introdotto ad esempio le AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali) e le UCCP (Unità Complesse di Cure Primarie), il 39% non riscontra alcun cambiamento. Di conseguenza, i cittadini, nel 68% dei casi devono ricorrere al Pronto soccorso. E, ancora, non si accorciano i tempi di attesa nel percorso di cura: un’associazione su due afferma che non esiste un percorso agevolato che garantisca tempi certi per l’accesso alle prestazioni sanitarie.
“A distanza di circa sette mesi dalla introduzione del Piano nazionale delle cronicità, alla cui stesura ed approvazione abbiamo contribuito come Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici, non possiamo permettere che questo rimanga solo sulla carta. Infatti, ci risulta che, ad oggi, solo le Regioni Umbria e Puglia abbiano recepito formalmente il Piano; altre, ma ancora troppo poche, si stanno muovendo e lo fanno in ordine sparso. Chiediamo che entro l’anno tutte le Regioni lo recepiscano formalmente con delibera e che il Ministero della Salute istituisca al più presto la cabina di regia, garantendo la partecipazione di associazioni di cittadini e pazienti. Rispetto alle strategie di finanziamento del Piano, si potrebbe contare su circa 21 milioni di Euro, relativi al PoN GOV cronicità e sanità digitale per gli anni 2016-2023, ma anche su questo è necessario accelerare”. Queste le dichiarazioni di Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale della Associazioni dei Malati Cronici. “E ancora, servono segnali e impegni concreti per la vita quotidiana dei pazienti: un piano nazionale per la semplificazione della burocrazia, a cominciare dalle procedure per il rinnovo del piano terapeutico sui farmaci salvavita, per il rilascio di protesi e ausili, per superare gli ostacoli nel riconoscimento di invalidità civile ed handicap. E ancora, un impegno per assicurare percorsi di cura reali ed esigibili per tutti: deve essere direttamente il SSN a prenotare esami, visite e prestazioni di controllo per il cittadino con malattia cronica o rara e a garantirli in tempi certi”.
Nel frattempo, la riduzione dei posti letto ospedalieri comporta che, in due casi su cinque, i pazienti debbano ricoverarsi lontano dalla propria residenza o, in più di un caso su tre, accontentarsi di un posto letto in un reparto non idoneo (ad esempio, ragazzi ricoverati in reparti per adulti, pazienti immuno-compromessi in reparti affollati e potenzialmente pericolosi). Una volta ricoverati bisogna, poi, in più di un caso su cinque, fare i conti con pasti non adeguati e mancanza di attenzione del personale medico/infermieristico. Per il 15% delle Associazioni non viene rispettata la dignità della persona a causa della dotazione del reparto.
Quando il ricovero avviene in una struttura riabilitativa, lungodegenza o RSA, i cittadini segnalano lunghe attese per accedervi (68%), la mancanza di equipe multi-professionali (40%), la necessità di pagare una persona che assista il paziente ricoverato (32%) o il costo eccessivo della stessa struttura (28%). In caso di assistenza domiciliare, il primo ostacolo è nella sua attivazione (63%), il numero insufficiente di ore erogate (60%) o la mancanza di figure specialistiche necessarie (45%). Per il 40% manca anche l’assistenza di tipo sociale.
Sul fronte dell’assistenza farmaceutica, i cittadini denunciano limitazioni nella prescrizione da parte dei medici (35%), il costo eccessivo dei farmaci non rimborsati dal SSN (33%) o ancora la difficoltà nel rilascio del piano terapeutico (33%). A volte le limitazioni sono imposte dalle aziende ospedaliere o dalla Asl per motivi di budget (28%) o a monte attraverso delibere regionali (20%).
Pesanti le difficoltà burocratiche soprattutto legate al riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap e riguardano: per il 46% l’accesso all’indennità di accompagnamento, per il 39% il riconoscimento dell’handicap, per il 31% l’accesso alla pensione di inabilità, per il 27% l’assegno mensile di invalidità civile, per il 15% l’indennità di frequenza. Sull’assistenza protesica ed integrativa, oltre la metà delle associazioni lamenta troppe differenze regionali. In generale, le problematiche principali riguardano i tempi eccessivamente lunghi per la fornitura (35%), la scarsa qualità dei presidi erogati (23%) e un problema di scarsa quantità (18%).
Altro aspetto critico, la gestione del dolore: per il 62% delle associazioni, il personale sanitario sottovaluta il dolore; per il 38% manca un raccordo tra specialista e servizio di cure palliative. Inoltre, il 28% lamenta che i costi per una adeguata terapia analgesica siano a carico dei cittadini; il 24% ha difficoltà a farsi prescrivere farmaci oppiacei.
Ancora molto poche le Asl (14% secondo le associazioni del CnAMC) che promuovono corsi di formazione per i pazienti e i loro familiari per la gestione della patologia, mentre ben l’80% delle associazioni ha coinvolto i propri associati in corsi su terapie e prevenzione, sostegno psicologico, aderenza terapeutica, campi scuola per i giovani.
Sull’appropriatezza, emergono criticità rilevanti: ben il 58% riferisce che i suoi sintomi sono stati sottovalutati con conseguente ritardo nella cura; uno su quattro segnala invece di aver dovuto fare esami inutili o perché non adatti alla propria patologia o perché ripetuti più volte. In tema di aderenza terapeutica, il 59% riferisce che la mancata aderenza è dovuta ai costi indiretti della cura (spostamenti, permessi di lavoro etc..), il 52% alle difficoltà burocratiche, il 39% a interazioni con altri farmaci, o ai costi della terapia. In altri casi interviene lo scoraggiamento perché non si ottengono i risultati attesi (36%) o perché si tratta di una terapia eccessivamente lunga e complicata (26%).
Sulla sanità digitale ancora arranchiamo: il 64% dice di non essere stato coinvolto in nessun progetto di telemedicina e, nonostante la ricetta elettronica sia stata introdotta già da alcuni anni, il 49% ritiene che essa non abbia prodotto alcun risultato, o solo in alcune realtà (22%).
Malattie rare. Il primo problema per chi è affetto da patologie rare è la distanza dal centro di riferimento (68%) e di conseguenza i costi privati per lo spostamento e l’alloggio (61%). Segue, per un’associazione su due, la difficoltà di arrivare alla diagnosi e la mancanza di centri di riferimento. Ancora, la difficoltà nel riconoscimento dell’invalidità e/o dell’handicap (46%) e il mancato riconoscimento della patologia (43%). Sempre la stessa percentuale ha difficoltà nell’acquisto di parafarmaci (colliri, pomate, alimenti particolari, ecc.) e nel pagare privatamente esami e visite specialistiche.
Difficoltà ancora più pesanti, soprattutto dal punto di vista psicologico, quando si parla di bambini e ragazzi affetti da patologie rare, che spesso devono rinunciare a partecipare alle attività extrascolastiche (46%), si scontrano con problemi concreti come la presenza di barriere all’interno dell’edificio scolastico (42%) e talvolta subiscono situazioni come l’isolamento dai compagni o addirittura atti di bullismo (21%).
Politiche sulle malattie croniche e rare. Rapporto Cittadinanzattiva
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News Presa, PrevenzioneTempi lunghi per diagnosi e cure, tempi ristretti per l’ascolto dei pazienti. Costi insostenibili, burocrazia problematica. Sono le difficoltà a cui vanno incontro quotidianamente le persone con malattie croniche e rare, secondo “in cronica attesa” del XV Rapporto sulle politiche della cronicità di Cittadinanzattiva.
Il rapporto parla chiaro: si attende anni per una diagnosi, mesi per una visita, un esame di controllo o per ricevere un ausilio, giorni al Pronto Soccorso per un posto letto. Per contro, il tempo dedicato alla visita e quindi all’ascolto è sempre più ridotto, le ore dedicate all’assistenza domiciliare ed alla riabilitazione sono troppo esigue.
Il rapporto è stato presentato oggi a Roma dal Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici (CnAMC) di Cittadinanzattiva. con il contributo non condizionato di Merck & Co per il tramite della sua consociata MSD.
Le persone con malattie croniche e rare e i loro familiari devono sopperire a molte carenze, utilizzando il proprio tempo e le proprie risorse economiche: fino a 10.000€ l’anno per l’assistenza psicologica, l’acquisto di farmaci e parafarmaci, la riabilitazione a domicilio; fino a 60.000€ l’anno per pagare la retta della residenza sanitaria assistita. A questo si aggiunge la burocrazia “trita-diritti”, afferma il report, perché non si snelliscono le procedure burocratiche, come nel caso del rilascio di piani terapeutici per i farmaci o di protesi e ausili, l’assegnazione del contrassegno auto per invalidi o il rinnovo della patente.
Al Rapporto di quest’anno hanno partecipato 46 associazioni aderenti al CnAMC, rappresentative di oltre 100mila cittadini affetti per il 64% da patologie croniche e per il restante 36% da malattie rare. Le stesse sono state intervistate tramite un questionario strutturato a partire dai punti cardine del Piano nazionale delle cronicità varato a settembre 2016, al fine di individuare gli elementi positivi e quelli critici su cui occorrerà lavorare per garantire una reale presa in carico dei pazienti.
Il 38,3% degli italiani dichiara di avere almeno una patologia cronica e di questi circa il 70% dichiara di essere comunque in buona salute. Ipertensione (17,1%), artrosi/artrite (15,6%) e malattie allergiche (10,1%) sono nell’ordine le tre malattie croniche più diffuse. Per quanto riguarda le malattie rare, in Italia si stima ci siano tra i 450mila e i 670mila malati rari.
Oltre il 60% delle associazioni segnala la carenza di servizi socio-sanitari sul proprio territorio (ad esempio logopedia, riabilitazione, assistenza domiciliare, servizi di trasporto) e le difficoltà di orientarsi fra i servizi, più del 50% evidenzia difficoltà in ambito lavorativo, legate alla propria patologia, disagi nel comunicare la malattia, difficoltà economiche.
Nel rapporto con il medico, il 78% riscontra di aver poco tempo a disposizione per l’ascolto, di aver visto sottovalutati i propri sintomi (44%), la poca reperibilità (42%) e la scarsa empatia (26%). Ancora indietro sui programmi di prevenzione: non solo perché l’Italia, come riporta l’indagine, investe 83€ a persona (cifra inferiore a quella di paesi come il Regno Unito, la Germania, Danimarca, Olanda e Svezia), ma anche perché, come dichiarano le associazioni, ben il 56% non è stato coinvolto in programmi di prevenzione nel corso dell’ultimo anno. Laddove svolti, tali programmi riguardano per lo più l’alimentazione corretta (24%) e i corretti stili di vita (20%).
Diagnosi in tempi lunghi ed esiti incerti: a volte occorrono anni di attesa, sofferenza, solitudine ed incertezza, accompagnati da costi non indifferenti, prima di arrivare ad una diagnosi certa, che si tratti di malattie croniche o rare. Più della metà (58%) dice di non essere stato sottoposto a programmi di screening nel caso in cui ad un familiare sia stata riscontrata una malattia genetica e il 60% conferma un ritardo diagnostico.
La presa in carico del paziente con patologia cronica rappresenta il cuore del Piano nazionale della cronicità e il punto sul quale si misura la qualità dell’assistenza fornita. Il 40% dichiara che sono stati coinvolti in progetti di cura multidisciplinari solo alcuni pazienti e in ugual percentuale (39%) addirittura nessun paziente. In merito alla riorganizzazione dell’assistenza prestata sul territorio, nonostante la legge abbia introdotto ad esempio le AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali) e le UCCP (Unità Complesse di Cure Primarie), il 39% non riscontra alcun cambiamento. Di conseguenza, i cittadini, nel 68% dei casi devono ricorrere al Pronto soccorso. E, ancora, non si accorciano i tempi di attesa nel percorso di cura: un’associazione su due afferma che non esiste un percorso agevolato che garantisca tempi certi per l’accesso alle prestazioni sanitarie.
“A distanza di circa sette mesi dalla introduzione del Piano nazionale delle cronicità, alla cui stesura ed approvazione abbiamo contribuito come Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici, non possiamo permettere che questo rimanga solo sulla carta. Infatti, ci risulta che, ad oggi, solo le Regioni Umbria e Puglia abbiano recepito formalmente il Piano; altre, ma ancora troppo poche, si stanno muovendo e lo fanno in ordine sparso. Chiediamo che entro l’anno tutte le Regioni lo recepiscano formalmente con delibera e che il Ministero della Salute istituisca al più presto la cabina di regia, garantendo la partecipazione di associazioni di cittadini e pazienti. Rispetto alle strategie di finanziamento del Piano, si potrebbe contare su circa 21 milioni di Euro, relativi al PoN GOV cronicità e sanità digitale per gli anni 2016-2023, ma anche su questo è necessario accelerare”. Queste le dichiarazioni di Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale della Associazioni dei Malati Cronici. “E ancora, servono segnali e impegni concreti per la vita quotidiana dei pazienti: un piano nazionale per la semplificazione della burocrazia, a cominciare dalle procedure per il rinnovo del piano terapeutico sui farmaci salvavita, per il rilascio di protesi e ausili, per superare gli ostacoli nel riconoscimento di invalidità civile ed handicap. E ancora, un impegno per assicurare percorsi di cura reali ed esigibili per tutti: deve essere direttamente il SSN a prenotare esami, visite e prestazioni di controllo per il cittadino con malattia cronica o rara e a garantirli in tempi certi”.
Nel frattempo, la riduzione dei posti letto ospedalieri comporta che, in due casi su cinque, i pazienti debbano ricoverarsi lontano dalla propria residenza o, in più di un caso su tre, accontentarsi di un posto letto in un reparto non idoneo (ad esempio, ragazzi ricoverati in reparti per adulti, pazienti immuno-compromessi in reparti affollati e potenzialmente pericolosi). Una volta ricoverati bisogna, poi, in più di un caso su cinque, fare i conti con pasti non adeguati e mancanza di attenzione del personale medico/infermieristico. Per il 15% delle Associazioni non viene rispettata la dignità della persona a causa della dotazione del reparto.
Quando il ricovero avviene in una struttura riabilitativa, lungodegenza o RSA, i cittadini segnalano lunghe attese per accedervi (68%), la mancanza di equipe multi-professionali (40%), la necessità di pagare una persona che assista il paziente ricoverato (32%) o il costo eccessivo della stessa struttura (28%). In caso di assistenza domiciliare, il primo ostacolo è nella sua attivazione (63%), il numero insufficiente di ore erogate (60%) o la mancanza di figure specialistiche necessarie (45%). Per il 40% manca anche l’assistenza di tipo sociale.
Sul fronte dell’assistenza farmaceutica, i cittadini denunciano limitazioni nella prescrizione da parte dei medici (35%), il costo eccessivo dei farmaci non rimborsati dal SSN (33%) o ancora la difficoltà nel rilascio del piano terapeutico (33%). A volte le limitazioni sono imposte dalle aziende ospedaliere o dalla Asl per motivi di budget (28%) o a monte attraverso delibere regionali (20%).
Pesanti le difficoltà burocratiche soprattutto legate al riconoscimento dell’invalidità civile e dell’handicap e riguardano: per il 46% l’accesso all’indennità di accompagnamento, per il 39% il riconoscimento dell’handicap, per il 31% l’accesso alla pensione di inabilità, per il 27% l’assegno mensile di invalidità civile, per il 15% l’indennità di frequenza. Sull’assistenza protesica ed integrativa, oltre la metà delle associazioni lamenta troppe differenze regionali. In generale, le problematiche principali riguardano i tempi eccessivamente lunghi per la fornitura (35%), la scarsa qualità dei presidi erogati (23%) e un problema di scarsa quantità (18%).
Altro aspetto critico, la gestione del dolore: per il 62% delle associazioni, il personale sanitario sottovaluta il dolore; per il 38% manca un raccordo tra specialista e servizio di cure palliative. Inoltre, il 28% lamenta che i costi per una adeguata terapia analgesica siano a carico dei cittadini; il 24% ha difficoltà a farsi prescrivere farmaci oppiacei.
Ancora molto poche le Asl (14% secondo le associazioni del CnAMC) che promuovono corsi di formazione per i pazienti e i loro familiari per la gestione della patologia, mentre ben l’80% delle associazioni ha coinvolto i propri associati in corsi su terapie e prevenzione, sostegno psicologico, aderenza terapeutica, campi scuola per i giovani.
Sull’appropriatezza, emergono criticità rilevanti: ben il 58% riferisce che i suoi sintomi sono stati sottovalutati con conseguente ritardo nella cura; uno su quattro segnala invece di aver dovuto fare esami inutili o perché non adatti alla propria patologia o perché ripetuti più volte. In tema di aderenza terapeutica, il 59% riferisce che la mancata aderenza è dovuta ai costi indiretti della cura (spostamenti, permessi di lavoro etc..), il 52% alle difficoltà burocratiche, il 39% a interazioni con altri farmaci, o ai costi della terapia. In altri casi interviene lo scoraggiamento perché non si ottengono i risultati attesi (36%) o perché si tratta di una terapia eccessivamente lunga e complicata (26%).
Sulla sanità digitale ancora arranchiamo: il 64% dice di non essere stato coinvolto in nessun progetto di telemedicina e, nonostante la ricetta elettronica sia stata introdotta già da alcuni anni, il 49% ritiene che essa non abbia prodotto alcun risultato, o solo in alcune realtà (22%).
Malattie rare. Il primo problema per chi è affetto da patologie rare è la distanza dal centro di riferimento (68%) e di conseguenza i costi privati per lo spostamento e l’alloggio (61%). Segue, per un’associazione su due, la difficoltà di arrivare alla diagnosi e la mancanza di centri di riferimento. Ancora, la difficoltà nel riconoscimento dell’invalidità e/o dell’handicap (46%) e il mancato riconoscimento della patologia (43%). Sempre la stessa percentuale ha difficoltà nell’acquisto di parafarmaci (colliri, pomate, alimenti particolari, ecc.) e nel pagare privatamente esami e visite specialistiche.
Difficoltà ancora più pesanti, soprattutto dal punto di vista psicologico, quando si parla di bambini e ragazzi affetti da patologie rare, che spesso devono rinunciare a partecipare alle attività extrascolastiche (46%), si scontrano con problemi concreti come la presenza di barriere all’interno dell’edificio scolastico (42%) e talvolta subiscono situazioni come l’isolamento dai compagni o addirittura atti di bullismo (21%).
Cefalee, non chiamatele «mal di testa»
News Presa, RubricheL’emicrania? Non è un banale mal di testa e per combatterla ci sono centri specializzati. Emanuela Di Napoli Pignatelli firma nell’inserto salute che PreSa realizza in partnership con il Corriere del Mezzogiorno un articolo nel quale si svelano i segreti di quelli che, senza mezzi termini termini, sono attentati alla qualità di vita di chi ne soffre. La Di Napoli Pignatelli parla di una «condizione disabilitante, caratterizzata da cefalee accompagnate da nausea, vomito e fastidio per suoni, odori e luci. In Italia sono oltre 5milioni i pazienti che ne soffrono. Le cause del disturbo sono in parte sconosciute, ma la sinergia tra fattori genetici ed ambientali sembra giocare un ruolo predominante. Discorso parallelo è quello dei fattori scatenanti, tra i quali vanno annoverati: stress, stanchezza, ansia, cambiamenti ormonali, ma anche clima, rumori, il consumo di alimenti vaso dilatatori, alcol e alcuni farmaci. E’ stimato che circa la metà dei pazienti non riceve una diagnosi corretta e tempestiva e quindi una terapia adeguata».
L’iniziativa
Nasce quindi un progetto della Società italiana di neurologia che prevede l’organizzazione di una «Settimana di prevenzione del mal di testa» (dall’8 al 14 maggio) su tutto il territorio nazionale. Il Centro Cefalee della prima Clinica neurologica dell’A.O.U. dell’Università della Campania «Luigi Vanvitelli» diretto dal professor Gioacchino Tedeschi coordinerà i centri cefalee più qualificati del Sud Italia per l’attivazione di un servizio gratuito di visite specialistiche. Lo scopo del progetto spiega il professor Tedeschi, è creare una sinergia di competenze su tutto il territorio nazionale, per mettere a disposizione dei pazienti i migliori esperti e ampliare la cultura della prevenzione. Ma una buona pratica clinica non può essere disgiunta da una altrettanto valida ricerca scientifica che aiuti a capire approfonditamente i meccanismi sottostanti la patologia.
Diagnostica per immagini
Grazie alle tecniche avanzate di imaging cerebrale, negli ultimi anni si è assistito per quanto riguarda l’emicrania ad un’evoluzione nella comprensione delle strutture coinvolte, delle anomalie di funzionamento, delle diverse modalità di processare non solo il dolore ma anche altre tipologie di stimoli come ad esempio quelli luminosi, spiega Tedeschi, che ci hanno permesso di comprendere che l’emicrania non è una malattia vascolare o una semplice patologia dolorosa ma uno specifico disturbo neurologico. In passato, infatti, si considerava l’emicrania come un problema collegato ai vasi sanguigni poiché spesso i pazienti riferiscono di sentire come una pulsazione alle tempie nel corso di una crisi. Leggi l’articolo completo
Trapianti pediatrici, a Napoli monta la protesta
News PresaTrapianti pediatrici, a Napoli la tensione tra genitori e istituzioni sanitarie è ormai palpabile. Ora però c’è almeno una data per l’incontro tra i genitori dei bimbi che hanno avuto un trapianto di cuore nell’unica struttura fino a tre mesi fa operativa nel Mezzogiorno e alcuni responsabili della sanità campana. Tutto questo avviene all’indomani delle dichiarazioni del Dg Giuseppe Longo che ha spiegato come le attività del programma pediatrico per i trapianti di cuore, esclusivamente per quel che riguarda la fase di trapianto cardiaco, sono temporaneamente sospese a seguito dell’audit del Ministero della Salute, attraverso il Centro Nazionale Trapianti – Istituto Superiore di Sanità, che ha valutato negativamente le attività degli ultimi due anni anche a causa di un modello organizzativo non adeguato.
Attività clinico assistenziali
«La salute dei bambini trapiantati è una delle nostre priorità – ha detto il direttore generale – abbiamo provveduto ad individuare un nuovo modello organizzativo, così come definito dalla delibera del dicembre 2016. Attualmente, continuano ad essere garantite le attività clinico-assistenziali connesse alle fasi del pre e del post trapianto, nonché l’individuazione di specifici percorsi assistenziali per le modalità in emergenza-urgenza h24, sia per i pazienti adulti che pediatrici, come da delibera del gennaio 2017. In questo modo tutti i bambini che afferiscono alla struttura ospedaliera sono seguiti».
Sinergia con lo Regione
Per garantire la migliore risposta assistenziale per i bambini in attesa di trapianto, con il supporto della Regione e del Centro Nazionale Trapianti, l’Azienda dei Colli sta provvedendo a definire un programma assistenziale altamente efficiente da presentare al Ministero della Salute per la riattivazione del programma trapiantologico pediatrico. «È utile, infine, precisare che non sono mai state interrotte le attività assistenziali della cardiochirurgia pediatrica del Monaldi».
Ci schieriamo con i supereroi già appena nati. Senso di giustizia innato
Bambini, News Presa, Psicologia, Ricerca innovazionePrima ancora di imparare a parlare, ogni bambino ama i supereroi che combattono contro i cattivi. Il senso di giustizia, infatti, e quindi anche l’amore per gli eroi che fanno del bene è sostanzialmente innato. La giustizia viene riconosciuta ancora prima di imparare a parlare. A sei mesi di vita infatti, i bambini, sono già attratti dai personaggi che proteggono i deboli. A svelare questo meccanismo è uno studio dell’Università di Kyoto, pubblicato su Nature Human Behaviour. Gli studiosi hanno esaminato 132 piccoli, di sei e dieci mesi.
Durante una serie di esperimenti, ai piccoli sono state fatte vedere animazioni in cui un personaggio con fattezze di figura geometrica inseguiva un altro e vi sbatteva contro, con un terzo personaggio che guardava invece da lontano, in alcuni casi intervenendo o fuggendo. Poi sono seguite repliche ‘real life’, cioè basate su situazioni reali, da cui è emerso che i bambini erano più propensi a scegliere il personaggio che interveniva.
“A sei mesi sono ancora in una fase di sviluppo iniziale, e la maggior parte non saranno ancora in grado di parlare. Tuttavia possono già comprendere le dinamiche di potere tra questi diversi personaggi, cosa che suggerisce che riconoscere l’eroismo è forse una capacità innata”, rileva David Butler, uno dei collaboratori allo studio. Crescendo, i bambini sviluppano una comprensione più complessa della giustizia e del ruolo dei supereroi e il prossimo passo del team di ricerca è proprio tracciare il percorso di questo sviluppo, anche per contribuire a soluzioni contro il bullismo. “In questo studio, a sei mesi i bambini non hanno mostrato una preferenza per un tipo di aiuto intenzionale piuttosto che accidentale, mentre a dieci mesi lo hanno fatto” sottolinea Masako Myowa, autrice principale della ricerca.
Tumori urologici: Italia prima per guarigioni
Associazioni pazienti, News Presa, PrevenzioneIn Italia 780mila persone vivono dopo la diagnosi di un tumore urologico, ovvero a rene, vescica o prostata. Soprattutto la buona notizia è che l’Italia è al primo posto per guarigioni in Europa. Se aumenta il numero di persone che stanno lottando o hanno sconfitto queste neoplasie (erano 560mila nel 2012), arrivano anche nuove armi come l’immuno-oncologia. A questo tema è dedicato il XXVII Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO), che vede riuniti a Napoli oltre 600 esperti.
I numeri sulla sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di un tumore genito-urinario nel nostro Paese sono più alti rispetto alla media europea: vale per il carcinoma della vescica (78% e 68%); rene (67% e 60%) e prostata (88% e 83%). Si tratta di dati “incoraggianti che dimostrano l’ottimo livello di assistenza che il nostro sistema sanitario nazionale riesce a garantire ai pazienti”, rileva il presidente Siuro Riccardo Valdagni. Le neoplasie genito-urinarie sono dunque “sempre più delle patologie croniche. Quindi è necessario spostare l’attenzione dall’urgenza della cura dell’organo malato alla presa in carico della persona a 360 gradi. E la scelta del tipo di trattamento – sottolinea – deve quindi anche contemplare aspetti non secondari come la salvaguardia della fertilità e il reinserimento del paziente nel mondo del lavoro”. Il vicepresidente SIUrO Sergio Bracarda, spiega che negli ultimi anni “gli specialisti hanno a disposizione un’ulteriore arma: l’immuno-oncologia, che stimola il sistema immunitario a riconoscere le cellule tumorali attraverso l’utilizzo di anticorpi monoclonali, creati in laboratorio. Ha dimostrato di essere particolarmente efficace e di aumentare la sopravvivenza dei pazienti colpiti da carcinoma del rene ed è inoltre mediamente ben tollerata. Sono allo studio o in fase di approvazione anche nuovi farmaci per il trattamento del tumore della vescica e della prostata”. Oggi “8 pazienti su 10 riescono ormai a sconfiggere la malattia – conclude il segretario Siuro Giario Conti -. Tuttavia resta ancora molta strada da fare, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione”. Resta solo il dato positivo dell’Italia, prima in classifica per le guarigioni.
Tumore alla prostata: intervista al Prof. Pinto
PodcastDolore cronico, una tappa per batterlo al Giro d’Italia
Eventi d'interesse, News Presa, Ricerca innovazioneAl dolore cronico è dedicata una tappa speciale del Giro d’Italia, una tappa simbolica che consiste nell’informare i cittadini e promuovere una migliore conoscenza di questa condizione che si può affrontare oggi grazie a tecnologie avanzatissime. Il dolore cronico, spesso banalizzato e quasi sempre “sottovalutato”, colpisce il 26% della popolazione italiana e tra il 16 e il 46% della popolazione europea (circa 100 milioni di persone). Tanto per fare qualche esempio, ci sono persone che non sono mai riuscite ad accavallare le gambe, non hanno mai preso in braccio i propri figli e hanno convissuto, per anni, con mal di schiena, emicrania, endometriosi, artrosi e così via. Con un impatto devastante sulla vita quotidiana. L’iniziativa promossa in occasione del Giro d’Italia si intitola «Prossima Tappa: sconfiggere il dolore» ed è voluta da Boston Scientific (società ai vertici del settore biomedicale) e Fondazione ISAL, nata dall’Istituto di Formazione e Ricerca in Scienze Algologiche.
Sport e salute
Come ricorda il presidente della Fondazione Isal, William Raffaeli: «Lo sport è l’emblema della vita sana, del benessere, dell’equilibrio psico-fisico. Tuttavia, le sollecitazioni muscolo-scheletriche sono spesso la causa di un dolore acuto o, più pericolosamente, di un dolore subdolo e persistente (borsiti, infiammazioni, tendinopatie etc.). L’obiettivo che ci proponiamo con la presenza al Giro è quello di sensibilizzare tutti, sportivi e non, sulla tematica del dolore, per individuare le corrette diagnosi preventive e le terapie da adottare per una migliore qualità di vita». Non c’è da stupirsi, quindi, che di dolore cronico si parli in un contesto di straordinaria vitalità e passione, di grandi campioni e atleti superallenati come il Giro d’Italia, uno degli eventi sportivi più amati dagli italiani. Con una vettura caratterizzata e riconoscibile, il Team di ISAL e Boston Scientific seguirà l’intero percorso del Giro per dare informazioni, offrire spunti di riflessione, fornire aggiornamenti sulle formidabili innovazioni del settore biomedicale, a fronte delle nuove scoperte in materia di diagnosi preventiva e terapie non invasive. Molta strada è ancora da fare ma, oggi, sono disponibili trattamenti mirati con dispositivi impiantabili, come la “neurostimolazione spinale”, una soluzione terapeutica adottata nei pazienti per i quali il trattamento farmacologico o l’intervento chirurgico non si siano dimostrati efficaci, indipendentemente dal fatto che siano o meno degli sportivi.
Dolore neuropatico
Il materiale informativo disponibile presso il Team presente al Giro d’Italia è ampio, aggiornato, arricchito da immagini, video e contributi “live”. A disposizione degli atleti, di tutti coloro che per venti giorni vivranno direttamente le emozioni della “Carovana a Due ruote” e dei milioni di persone (12,5 la scorsa edizione!!) che lungo le strade d’Italia festeggeranno gli eroi del pedale.
Un’iniziativa, insomma, che mira a sconfiggere il dolore cronico, sia mettendo a disposizione del Sistema Sanitario dispositivi impiantabili sempre più efficaci per il dolore neuropatico, sia formando medici, infermieri, personale ospedaliero, ricercatori, sulle più comuni patologie che hanno nel “dolore” il principale problema fisico e sociale. Per testimoniare come si possa combattere e superare la sofferenza, l’attività della Fondazione è supportata dalla preziosa esperienza della campionessa mondiale di Sci Nautico per Disabili 2015/2016 Sabrina Bassi: paraplegica dal 2004, grazie alle moderne metodiche non invasive sperimentate da ISAL, tra cui la neurostimolazione, Sabrina è riuscita a sconfiggere il dolore e a conquistare prestigiose medaglie mondiali.
Uniti contro il nevo melanocitico congenito gigante
News PresaSi chiama Nevo melanocitico congenito gigante e fa registrare un solo caso ogni 40mila nuovi nati. La stima è approssimativa, ma bisogna comprendere che si muove in un campo dove nulla sembra essere certo, se non la difficoltà delle famiglie che si trovano a lottare contro la malattia (e talvolta contro il Sistema sanitario nazionale). Per rendere questa battaglia meno dura nel 2007 è nata l’associazione Naevus Italia onlus, tre famiglie che in 10 anni sono diventate centinaia, e la voce di quei bambini è arrivata fino a Roma. Uno dei problemi più grandi, come detto, è che ad oggi la malattia non è stata riconosciuta come rara, perché priva di una componente squisitamente tumorale. In altre parole, sino ad oggi la risposta della politica è stata quella di limitarsi ad un’esenzione con il codice «048», vale a dire quello delle malattie croniche e invalidanti. Il 27 dicembre scorso, il presidente di Naevus Italia onlus Luca Patè e il vicepresidente Corrado Gianì hanno scritto al ministro della Salute Beatrice Lorenzin, chiedendo una posizione ufficiale.
Burocrazia
La notizia di questa esclusione è suonata come un’amara beffa, anche perché l’Istituto superiore di sanità, negli anni passati aveva certificato qualcosa di ben diverso.«Il parere espresso – dice Gianì – parlava di una malattia che sia per la rarità che per l’impegno assistenziale, ha le caratteristiche per essere proposta tra le patologie da inserire nel D.M. 279/2001» e spiegava che «la richiesta sarebbe stata valutata dal Gruppo Tecnico Interregionale Permanente per il coordinamento e il monitoraggio delle attività assistenziali per le malattie rare presso la Conferenza Stato Regioni». Poi però le cose sono andate in maniera differente. Quanto all’assegnazione del codice di esenzione 048, l’associazione chiede se questa direttiva sia stata recepita da parte dei presidi ospedalieri regionali e se sia quindi uniforme su tutto il territorio nazionale. «Le famiglie con figli colpiti da questa malattia – spiega Corrado Gianì – sono ancora oggi costrette a estenuanti viaggi della speranza, o se vogliamo della disperazione. E’ difficile anche solo riuscire ad avere una diagnosi precoce, troppo spesso i medici non sanno neanche come instradare il paziente verso un percorso preciso».
Livelli essenziali di assistenza
Ecco perché la battaglia dell’Associazione è quella di riuscire ad ottenere il riconoscimento di questa malattia nei Lea, garantire ai piccoli pazienti tutte le tutele legate alla legge 104 e arrivare presto al riconoscimento di malattia rara «I nostri obiettivi – continua Gianì – sono molto pratici, chiediamo anche protocolli terapeutici uniformi sul territorio nazionale, così che non ci siano più differenze tra pazienti nati in regioni diverse. Obiettivi concreti servono anche a migliorare la vita di questi piccoli pazienti che spesso subiscono enormi pressioni psicologiche da parte di un mondo che spesso guarda alla diversità con diffidenza. Il nevo melanocitico congenito gigante (NMCG) è come un voluminoso neo, tanto grande da prendere gran parte del corpo. Il problema, però, non è solo estetico: la malattia ha anche una componente tumorale. La letteratura scientifica ipotizza un rischio di insorgenza di melanoma del 5-10% fino al dodicesimo anno di età e comunque dell’1-3% nel corso della vita, rispetto all’incidenza dei soggetti «sani».
La politica
Ecco perché la speranza è che presto possa arrivare una decisione della politica. «Ciò che abbiamo spiegato nella lettera inviata al ministro Lorenzin – conclude il vicepresidente dell’associazione – è che l’’assenza di centri ospedalieri riconosciuti a livello nazionale produce un’incertezza diagnostica e terapeutica e un nomadismo estenuante per i pazienti, inefficiente ed antieconomico per l’intero Sistema Sanitario Nazionale. Quindi la necessità di includere la patologia non si ferma all’eventuale esenzione connessa, ma significa soprattutto un’adeguata diagnosi in età neonatale e l’applicazione di protocolli terapeutici da parte di centri sanitari specializzati. L’assenza di riconoscimento della patologia comporta anche gravi problemi sul piano dei rapporti di lavoro, perché vengono a mancare tutele e diritti di norma connessi per quanti in età infantile devono essere assistiti dai genitori a seguito degli interventi medici per la riduzione del nevo».
Cancro, «affamarlo» con la dieta per rendere più efficaci le terapie
News Presa, Ricerca innovazioneMangiare sano riduce di molto il rischio di sviluppare alcune forme di cancro, ma addirittura l’alimentazione potrebbe aiutare chi contro un tumore ci sta già lottando. Il concetto alla base di uno studio svolto sugli animali presso il Cancer Research UK Beatson Institute e la University of Glasgow, e pubblicato sula rivista Nature, è quello di «affamare» le cellule tumorali eliminando in maniera altamente controllata cibi che contengono particolari amminoacidi. In particolare le sostanze da eliminare sono la «serina» e la «glicina», che non sono essenziali nel senso che il nostro corpo è capace di produrli da sé. Gli amminoacidi sono i mattoncini di base delle proteine e l’organismo umano non è in grado di produrli tutti, ma alcuni deve assumerli attraverso l’alimentazione. Questi sono detti amminoacidi essenziali. Questo meccanismo pare essere in grado di favorire il successo delle cure, rendendo la malattia più suscettibile alle terapie.
Verso i trial clinici
Non è questo il caso di serina e glicina che le cellule sane del nostro corpo sono in grado di produrre da sé, ma non quelle malate di certi tumori. Ecco perché togliendo tali amminoacidi si «affama» il cancro ma non le cellule sane. Gli esperti hanno studiato linfomi e tumori intestinali su topolini e li hanno alimentati con una dieta priva di serina e glicina vedendo che il tumore rallenta la sua crescita e diventava più suscettibile ai farmaci convenzionali oggi in uso. Il prossimo passo, spiegano gli autori della ricerca, sarà allestite dei tria clinici su pazienti per vedere se diete rigidamente controllate (preparate e gestite da medici esperti) e prive di questi amminoacidi possano conferire un qualche vantaggio terapeutico al paziente.
Dieta Mediterranea
Al di là di questi studi innovativi, da tempo è risaputo che i benefici della Dieta Mediterranea nella prevenzione del cancro sono molti. Diversi studi hanno dimostrato che uno stile alimentare ispirato ai princìpi della Dieta Mediterranea è in grado di ridurre il rischio di ammalarsi di cancro. La Dieta Mediterranea, grazie all’elevato contenuto di grassi insaturi, fibre, vitamine e oligoelementi, con azione anti-radicali liberi, ha un importante potere anti-infiammatorio e anti-ossidante.
Hpv: senza vaccino 85 volte più a rischio tumore
Associazioni pazienti, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione“Il vaccino anti- hpv riduce del 70% l’insorgenza del tumore all’utero”: Massimo Andreoni, professore Ordinario di malattie Infettive della facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli studi di Roma Tor Vergata e Past President della Simit (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali), commenta i dati emersi dagli studi scientifici. Sugli effetti, spiega: “occorrerebbe capire la natura degli effetti a distanza di un vaccino. Nessuno può confermare che questi non sarebbero comunque insorti, anche senza la somministrazione”. Tra 8 mila donne vaccinate solo una si è ammalata di cancro. Tra un numero analogo di donne che hanno ricevuto placebo, e quindi non vaccinate, si sono registrati 85 casi di lesione precancerosa. Lo scopo è di fare chiarezza sul rapporto rischi-benefici, in occasione della Settimana mondiale dedicata proprio alle vaccinazioni.
“Non è chiaro cosa porti le persone a non vaccinarsi – ha aggiunto il professore – evidentemente c’è una colpa dei medici e delle strutture sanitarie nazionali che non riescono a far comprendere il reale valore di questi strumenti. Ma è grave che si sia più attenti a ciò che i mezzi di informazione riferiscono, a volte in maniera incongrua, come spesso accade su siti dalla dubbia validità giornalistica”. Poi continua: “sono bastate poche segnalazioni di manifestazioni post vaccinali, spesso difficilmente attribuibili allo stesso, per scatenare una sorta di gogna mediatica. Il vaccino per il papilloma virus (Hpv), occorre ricordarlo, è in grado di prevenire l’infezione, e di ridurre così il rischio di sviluppo del tumore dell’utero. Basti pensare che il 70% dei carcinomi uterini sono dovuti a dei virus per i quali il vaccino ci immunizza”. “Gli eventi avversi alla vaccinazione – conclude – sono mediamente eventi semplici: da un lieve rialzo febbrile ad un arrossamento nel punto dell’inoculazione del vaccino. Gli eventi gravi sono eccezionali, rarissimi, ma questo vale per qualsiasi somministrazione di un farmaco”.