Tempo di lettura: 7 minutiLa guerra, la distruzione, la morte, la paura, segnano per sempre la vita dei bambini. Un dramma che interessa molte zone del mondo, dove i bimbi crescono (quando ce la fanno) nel terrore e nella disperazione.
A sei anni dall’inizio del conflitto in Siria, sono 5,8 milioni i bambini che vivono ancora sotto i bombardamenti e un bambino su quattro rischia conseguenze devastanti sulla salute mentale. Sono almeno 3 milioni i piccoli che hanno oggi sei anni e non hanno mai conosciuto altro che la guerra: si stima che siano oltre 470.000 le vittime dall’inizio del conflitto. L’85% della popolazione siriana vive in condizioni di povertà e 4,6 milioni di persone vivono in aree assediate o difficilmente raggiungibili. Sono 6,3 milioni gli sfollati all’interno della Siria e 4,9 milioni – tra cui 2,3 milioni di bambini – sono rifugiati e hanno dovuto lasciare il Paese.
Questa la fotografia della Siria scattata dal nuovo rapporto “Ferite invisibili”, presentato da Save the Children, l’Organizzazione internazionale indipendente che per la prima volta indaga – attraverso interviste e testimonianze raccolte tra adulti e minori all’interno del Paese l’impatto psicologico sui bambini coinvolti nel conflitto siriano.
La ricerca è stata condotta tra dicembre 2016 e febbraio 2017 su 458 tra bambini, adolescenti e adulti all’interno di 7 tra i 14 governatorati della Siria, nelle aree dove attualmente Save the Children e i suoi partner locali hanno la possibilità di lavorare, principalmente in zone controllate dalle forze dell’opposizione, includendo aree assediate o molto difficili da raggiungere.
Due bambini su tre dicono di aver perso qualcuno che amavano, la loro casa è stata bombardata o sono rimasti feriti a causa del conflitto. Il 50% degli adulti denuncia che gli adolescenti ormai fanno uso di droghe per affrontare lo stress, le violenze domestiche sono aumentate e il 59% degli intervistati conosce bambini e ragazzi reclutati nei gruppi armati, alcuni anche sotto i 7 anni. Secondo l’81% degli adulti intervistati, i bambini sono diventati più aggressivi, sia nei confronti dei genitori e dei familiari che degli amici. Sono tantissimi i bambini che soffrono di minzione involontaria e di frequente enuresi notturna (lo riferisce il 71% degli adulti) e quelli che la notte non riescono a dormire per gli incubi, la paura del buio, dei bombardamenti, della perdita della famiglia. La metà degli adulti intervistati denuncia che i bambini che non riescono più a parlare e sono molti anche quelli che commettono atti di autolesionismo, che sfociano spesso in tentativi di suicidio.
“Questa ricerca dimostra che le conseguenze del conflitto sui bambini siriani sono devastanti. Bambini che sognano di morire per poter andare in Paradiso e avere così un posto dove poter mangiare e stare al caldo o che sperano di essere colpiti dai cecchini per arrivare in ospedale e magari poter scappare dalle città assediate. Genitori che preferiscono dare in spose le proprie figlie ancora bambine perché non possono occuparsi di loro, generandone la disperazione che in alcuni casi le porta addirittura al suicidio. Bambini lasciati orfani della guerra che pur di avere qualcosa da mangiare si uniscono ai gruppi armati” denuncia Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia.
Una delle più grandi paure dei bambini che vivono ancora in Siria è proprio quella delle bombe: basta il rumore di un aereo che passa o delle grida per generare terrore nei bambini, anche una porta sbattuta dal vento può provocare reazioni di panico.
“Odio gli aerei, perché hanno ucciso mio padre”, dice continuamente Marwan, un bambino di circa 6 anni di Aleppo che non è più capace di parlare ma sa soltanto gridare.
Sono 3,7 milioni i bambini che sono nati durante il conflitto e quelli che hanno meno di 12 hanno passato già la metà della loro vita in una condizione di continuo imminente pericolo. Molti di loro soffrono di incubi notturni e hanno difficoltà ad addormentarsi per il terrore di non svegliarsi più. La mancanza di sonno e di riposo è estremamente pericolosa per la salute fisica e mentale dei bambini e può portare a gravi conseguenze di natura psichiatrica nonché a malattie a volte mortali.
Sono tantissimi i bambini che smettono di parlare, che soffrono di tremendi mal di testa, difficoltà a respirare e paralisi temporanee degli arti. E tanti i bambini e gli adolescenti che per combattere la paura si rifugiano nelle droghe, nell’alcool o compiono atti di autolesionismo.
In soli due mesi nella città assediata di Madaya, lo staff medico ha segnalato a Save the Children almeno 6 casi di bambini che hanno tentato il suicidio, il più giovane aveva 12 anni.
Una delle principali paure dei bambini è quella di essere strappati alle famiglie e ai loro cari con violenza. Due bambini su tre dicono di aver perso uno dei loro cari. Molti hanno visto uccidere i propri genitori, familiari, amici o li hanno persi perché sono spariti o sono stati arrestati.
Nel febbraio 2017 erano ancora 650.000 le persone all’interno delle 13 aree assediate, tra cui molti bambini rimasti soli. È qui che i bambini vivono il dramma dell’assedio, della mancanza di aiuti, medicine, carburante per scaldarsi e quello della fame.
Bambini che hanno perso i propri cari, che non possono andare a scuola e che devono trovare il modo per sopravvivere diventando improvvisamente adulti per sfuggire alla povertà. Tantissimi vanno a lavorare nei mercati, come ambulanti per la strada, per aiutare i familiari che spesso sono rimasti feriti dalle bombe e non possono più procurarsi una fonte di reddito.
Più della metà degli adulti intervistati ha dichiarato di conoscere bambini che utilizzano pistole e molte sono le testimonianze di bambini anche sotto i sette anni reclutati per combattere.
Questi bambini sono i più vulnerabili dal punto di vista delle conseguenze psicologiche e con loro anche le bambine, spesso costrette a matrimoni precoci, un fenomeno ormai in crescita in molte aree del paese. I genitori, non potendo curarsi di queste bambine, le obbligano a sposarsi con uomini di famiglie più ricche che si possano occupare di loro, pensando di tenerle così lontane anche dal rischio di abusi e violenze sessuali. Alcune tentano il suicidio pur di evitare di finire in spose a uomini che non vogliono. “Nelle nostre strutture abbiamo ricevuto molte giovani ragazze che avevano tentato il suicidio a causa della pressione delle famiglie a sposarsi, perché non volevano farlo o non volevano il partner che era stato scelto per loro. Sono tantissimi anche i casi di abusi sessuali e stupri su ragazze giovanissime”, spiega una psicologa che opera nel sud della Siria.
La mancanza di educazione è una delle più grandi paure dei bambini e l’impossibilità di andare a scuola crea loro grandi problemi oltre che nell’apprendimento, anche nella socializzazione: dall’inizio del conflitto sono più di 4.000 le scuole che sono state attaccate, circa due al giorno. Una scuola su tre è danneggiata da bombe o è stata trasformata in rifugio per sfollati e circa 150.000 tra insegnanti e personale educativo, hanno lasciato il Paese. Le scuole che rimangono in piedi continuano ad essere obiettivi di attacchi indiscriminati e la maggior parte dei bambini e degli adolescenti non può frequentarle. Il 50% dei bambini che frequentano ancora la scuola dicono di avere paura ad andarci perché non si sentono al sicuro e la maggior parte dice di aver perso “il senso del futuro” senza la possibilità di studiare.
“Ci sono bambini come mio fratello che hanno dimenticato tutto quello che avevano imparato a scuola. Lui non sa più fare neanche due più due. Tanti non sanno riconoscere più neanche le lettere dell’alfabeto. Non vado più a scuola da due anni e ho paura del mio futuro. Gli anni passano e io non so cosa farò senza un’istruzione”, racconta Zainab, 11 anni, da un campo di sfollati interno alla Siria.
La mancanza di aiuto e di supporto psicologico
Anche prima dell’inizio della guerra, in Siria non c’erano molti psicologi infantili e solo due ospedali pubblici psichiatrici per 21 milioni di persone. Lo stigma sociale radicato nella cultura del paese nei confronti dei problemi di natura mentale, è un’altra barriera molto forte che ha impedito lo sviluppo di questo ambito di supporto medico per i bambini. La guerra ha esacerbato questo gap, in un momento in cui è invece cresciuta la necessità di intervento. Solo il 20% delle strutture sanitarie attualmente funzionanti offrono servizi di salute mentale di base e la richiesta di posti eccede quelli disponibili. Dopo il conflitto restano pochi specialisti in questa materia e anche loro sono sopraffatti e necessitano di supporto, per aver vissuto eventi traumatici. La mancanza di fondi dedicati a questo tipo di attività è inoltre uno dei problemi fondamentali per consentire agli interventi di supporto psicologico ancora in essere, di non doversi interrompere.
Sono 2,3 milioni i bambini che hanno abbandonato il paese in cerca di sicurezza e aiuto, fuggendo per la maggior parte nei paesi limitrofi, Turchia, Giordania, Libano e Iraq. Questi bambini hanno subito forti traumi e la maggior parte di loro sono stati testimoni di violenze estreme che li hanno costretti a fuggire. La prima causa di stress è rappresentata dalle difficilissime condizioni economiche in cui si trovano le famiglie sfollate: molti adulti non riesco a fare lavori legali in conseguenza del loro status di rifugiati, che impedisce loro anche di accedere a scuole e strutture sanitarie e li fa vivere in una sorta di limbo. Uno studio condotto tra i rifugiati in Turchia, ad esempio, mostra come il 45% dei bambini sfollati in questo paese soffrano di disturbi traumatici da stress (un dato dieci volte più alto rispetto alla media mondiale) e il 44% di loro soffre di depressione.
I bambini rifugiati sono al sicuro da bombardamenti e combattimenti, per cui vivono una condizione difficile ma che può essere alleviata grazie ad un intervento di supporto psicosociale che con il tempo è in grado di ricondurre i bambini ad una condizione di infanzia più serena. Una delle paure più grandi, anche per loro, resta quella dei bombardamenti – spiegano gli operatori psicosociali che li supportano nei campi di sfollati – ma man mano che passa il tempo i bambini riescono a convincersi di essere al sicuro e ricominciano a dormire la notte e a non svegliarsi più ogni volta che sentono un rumore, con la paura di morire. Per i bambini che vivono ancora in Siria, invece, la paura non va mai via.
“La continua esposizione ad eventi traumatici e a esperienze negative ha portato la maggior parte dei bambini siriani a vivere una condizione di stress tossico, con conseguenze sul loro stato di salute mentale e fisica, che può interrompere il loro sviluppo. Nonostante la condizione psicologica di questi bambini sia drammatica, sono comunque estremamente resilienti. Non sono ancora desensibilizzati alla violenza e provano ancora emozioni importanti. Non siamo al punto di non ritorno e per questo è fondamentale intervenire subito e restituire loro quella speranza di futuro di cui hanno bisogno.”conclude Valerio Neri.
A sei anni esatti dall’inizio di una delle tragedie più gravi della nostra epoca Save the Children vuole ancora una volta accendere i riflettori sul conflitto in Siria. Per questo domenica 12 marzo 2017 alle ore 17.30, presso la Galleria Vittorio Emanuele a Milano (lato Silvio Pellico), si terrà l’evento pubblico “Ferite di guerra”. Le note del Maestro Giovanni Allevi e le voci degli attori Cesare Bocci e Isabella Ferrari racconteranno la quotidianità che vivono milioni di bambini siriani, ancora oggi intrappolati nelle città assediate o nel limbo dei campi profughi nei paesi limitrofi.
Bisogni Educativi Speciali: un sostegno agli alunni e alle famiglie
Eventi d'interesse, News PresaL’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha da tempo sostenuto che la salute non può essere concepita come semplice assenza di malattia, con questa prospettiva, il contesto sociale è nettamente cambiato, l’attenzione è, ad oggi, sul concetto di Bisogno Educativo Speciale come concetto globale e in continuo divenire.
Cosa significa Bisogno Educativo Speciale?
Da fine 2012, nelle scuole italiane si comincia a sentir parlare di BES, cioè di quei bambini/ragazzi che hanno dei Bisogni Educativi Speciali. Grazie ad una direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012, il MIUR ha introdotto il riconoscimento degli alunni BES: “ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta.” È stato evidenziato che per alcuni studenti, anche in assenza di disabilità conclamate, il percorso di apprendimento scolastico possa essere più complesso e difficoltoso rispetto ai compagni, in questi casi emerge l’importanza del riconoscimento dei BES, in questo modo viene esteso a tutti gli studenti in difficoltà il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento, richiamandosi espressamente ai principi della Legge 53/2003. Il MIUR ha identificato tre sotto-categorie di alunni con BES:
I BES rappresentano rilevatori di dinamiche relazionali e attivatori di risposte individuali al disagio psichico, così da renderli evidenti. La famiglia con bambini BES è uno spaccato di famiglia “normale”, dove gli eventi stressanti mettono in rilievo quelle caratteristiche comuni alle difese dei sistemi umani di relazione, in maniera così evidente da non passare inosservati. Quando si parla di Bes, in un’ottica sistemica, si pone l’attenzione sullo studio della famiglia,tratteremo, seppur brevemente, una tematica molto complessa e ancora poco conosciuta, così da offrire un contributo al percorso di analisi della famiglia di fronte ai BES. La diagnosi di BES si ripercuote nella vita del soggetto stesso, nell’equilibrio della coppia e nello sviluppo dei fratelli, influenzando così l’evoluzione e l’adattamento dell’intera famiglia. Nella maggior parte delle famiglie oggi la nascita dei figli è un evento previsto e scelto; nelle famiglie con un figlio BES, specie se primogenito, le prospettive di sviluppo familiare e la progettualità generativa sono o diventano diversi. Numerosi sono i fattori che incidono sulla scelta di avere altri figli, solo per citarne alcuni ed in base a questi la coppia deciderà il futuro sviluppo di tutta la famiglia. Se invece, alla nascita del bambino BES, sono già presenti in famiglia altri figli, anche per loro, a seconda della loro età, sarà necessario ridefinire la propria posizione all’interno della famiglia. La famiglia viene considerata come un sistema in continua evoluzione che tende, tuttavia, a conservare una propria identità; le reazioni dei diversi membri di una famiglia alla nascita di un bambino portatore di handicap risultano molto differenziate. I sentimenti e gli atteggiamenti dei genitori e degli altri familiari hanno notevoli conseguenze anche sulla vita del bambino, soprattutto quando i genitori vivono il conflitto con forti sensi di colpa e vergogna, alternando in modo ambivalente accettazione e rifiuto. Spesso i più profondi valori su cui si regge la convivenza civile sono messi in crisi dalla realtà BES: la parità dei diritti dei cittadini, il loro diritto ad una qualità della vita, il diritto all’istruzione, al lavoro, all’autonomia, alla salute sono un problema; l’organizzazione sociale è fatta per i sani e perfino la comunità più desiderosa di facilitare l’integrazione fatica a conseguire i suoi scopi.
A cura di Giulia Liperini, Chiara Paoli, Alessandra Testi
Vaccini, un piano di recupero per la campania
News PresaSui vaccini i pediatri napoletani della Fimp sono pronti a recuperare un paziente alla volta. Parte da questo presupposto il progetto voluto dal segretario provinciale Antonio D’Avino e da Roberto Sassi, referente del centro studi sindacale. L’impegno è quello di puntare sull’informazione e sul rapporto di fiducia medico-paziente. «La decisione di proporre un piano di supporto a quelli già esistenti – dice Antonio D’Avino – è legata alle valutazioni sulle coperture vaccinali in Regione Campania che, come tutti sanno, non è delle migliori. L’ultima conferma è arrivata dalla valutazione sui Livelli Essenziali di Assistenza, dalla quale è scaturita una sollecitazione alle Asl, da parte del Commissario Straordinario Joseph Polimeni, ad adoperarsi per incrementare le coperture relative ad Esavalente e trivalente MMR».
Best practice
Il piano che la Fimp Napoli vorrebbe esportare a livello regionale si basa in realtà su un’esperienza virtuosa del 2014 del Servizio Epidemiologia e Prevenzione della Asl Napoli 3 Sud. In quell’occasione era stato prodotto un progetto di recupero vaccinale che vedesse pienamente coinvolti i Pediatri di famiglia dell’Asl. «Quel progetto – aggiunge il dottor Sassi – prendeva le mosse da un dato “felicemente anomalo”, un unico Distretto Sanitario dell’Asl che riusciva a raggiungere e superare i tassi di copertura ottimali, posti al di sopra del 95%». Quel Distretto Sanitario era anche l’unico che, per motivi di carenza del personale, aveva da tempo affidato tutte le vaccinazioni ai soli Pediatri di famiglia. Tutti i Pediatri di famiglia furono coinvolti, a vario titolo. Quindi, potendo scegliere se impegnarsi in una fase di counselling, dedicato ai genitori dei bambini non ancora vaccinati, oppure inserirsi direttamente nella fase vaccinale, da operare presso il proprio ambulatorio o presso il Centro vaccinale distrettuale. Il ruolo su cui la Pediatria territoriale vuole puntare in futuro è il cosiddetto “counselling avanzato”, in cui si invitano in ambulatori dedicati ed in tempi prestabiliti i genitori dei bambini inadempienti per confrontarsi su tutti i vantaggi delle vaccinazioni ed analizzare insieme le criticità che hanno spinto il genitore a non vaccinare il proprio figlio.
Mai più ultimi
«Se l’obiettivo è quello di non essere mai più ultimi nelle coperture vaccinali – dice D’Avino – allora è il momento di mettere in campo un’azione concreta, capillare e testata con successo. Il Progetto della Asl Napoli 3 Sud è stato il primo, era limitato nel tempo, aveva lo scopo anche di definire quale potesse essere il ruolo della Pediatria di famiglia all’interno del sistema vaccinazioni. Il risultato ottenuto ha soddisfatto la dottoressa Antonietta Costantini, direttore generale aziendale, che ha voluto scommettere sulla collaborazione con la pediatria territoriale e che ha potuto anche definire una mappa delle attività vaccinali dei singoli Distretti Sanitari. Verificando con cifre concrete l’impegno dei singoli Centri Vaccinali, dei Distretti Sanitari, e con attività di verifica sulle criticità tecniche e di personale».
Così in Europa muoiono 4milioni di persone ogni anno
News Presa, PrevenzioneCon l’aumento della sedentarietà e un’alimentazione sempre più orientata al fast food l’incidenza delle malattie cardiovascolari è più che raddoppiata. In Europa sono 4milioni i decessi annui legati alle malattie del cuore, e il 55 per cento di queste morti sono al femminile. Ai costi altissimi in termini di vite si aggiungono poi quelli, non meno forti, in termini economici. Le malattie cardiovascolari costano ai contribuenti circa 210 miliardi di euro l’anno.
Il colesterolo degli italiani
Come rilevato dai dati dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare (Health Examination Survey) dalla fine degli Anni 90 ad oggi il valore medio del colesterolo degli italiani è aumentato in maniera significativa sia negli uomini (dal 205 a 211 mg/dl) che nelle donne (da 207 a 217 mg/dl). Stesso trend per quel che riguarda l’ipercolesterolemia, passata dal 20,8 al 34,3 per cento negli uomini e dal 24 al 36,6 per cento nelle donne. Il dato che sorprende è che gli uomini si curano meglio delle donne: quelli che raggiungono l’obiettivo con il trattamento sono aumentati dal 13,5 al 24 per cento del totale, mentre le donne “a target” sono cresciute dal 9,6 per cento al 17,2 per cento del totale.
Quando cominciare a misurare il colesterolo
Uno dei problemi che può disorientare i pazienti è che non esistono criteri condivisi né su quando iniziare lo screening per le dislipidemie, né su ogni quanto ripetere gli esami. Né tantomeno a quale età smettere di misurare il colesterolo. Il medico dovrebbe regolarsi sulla base del profilo di rischio individuale del paziente, ma è comunque raccomandabile fare un primo screening negli uomini intorno ai 40 anni e nelle donne intorno ai 50 o in post-menopausa, come suggerito anche dalle linee guida Esc. Questa valutazione andrebbe tuttavia anticipata (intorno ai 35 anni nei maschi e a 45 anni nelle femmine) nei soggetti con familiarità per ipercolesterolemia e/o eventi cardiovascolari in età giovanile e in pazienti diabetici e con arteriopatia periferica, a prescindere dall’età. «Il forte impatto patogenetico di un livello elevato di colesterolemia totale ed il basso costo del test potrebbero suggerire comunque il dosaggio in occasione di un prelievo di routine, in un’ottica di medicina di popolazione o del territorio con ruolo opportunistico e funzione anticipatoria – sottolinea il professor Massimo Volpe, presidente eletto della Siprec – attualmente in Italia non è previsto il dosaggio gratuito dei valori di C-Ldl per diversi gruppi di pazienti affetti da dislipidemia».
Come, quando e soprattutto su chi intervenire con i farmaci?
Solo sui soggetti ad alto rischio, o anche in quelli a rischio intermedio o addirittura basso? La sensibilizzazione riguardo la correzione degli stili di vita deve essere offerta a tutti fin da giovanissimi e in questo la medicina del territorio riveste un’importanza strategica.
Su colesterolo e il rischio cardiovascolare gli esperti della Società italiana per la prevenzione Cardiovascolare (Siprec), in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e la Fondazione italiana per il cuore, hanno redatto un position, fornendo indicazioni su esami e terapie da effettuare. Il documento è stato presentato oggi a Napoli, nel corso del XV° Congresso nazionale Siprec.
La medicina di genere approda nelle Università italiane e nel Diritto
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneLa medicina di genere rappresenta un’evoluzione in campo medico e realizza terapie molto più specifiche. La ‘medicina delle donne’, per la prima volta, entra ufficialmente nelle Università italiane e nel Diritto. Un passo avanti che si realizza proprio a ridosso della Festa della donna e annunciato qualche giorno fa in occasione del convegno ‘Chi l’ha detto che donne e uomini sono uguali?’, promosso da Farmindustria.
“E’ necessario battersi per il riconoscimento del diritto alla salute delle donne. E’ infatti singolare – ha affermato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin – pensare che nel 2017 ci sia ancora qualcuno che non riconosce la diversità uomo-donna per la medicina. Spesso viene detto che una medicina di genere ha dei costi troppo elevati, ma in realtà tutta la medicina moderna tende all’approccio della personalizzazione, e il primo passo è dunque proprio il riconoscimento delle differenze”.
Il tema della salute della donna sarà portato al prossimo G7 dei ministri della Salute in programma a Milano il prossimo novembre, ha detto Lorenzin. I nuovi livelli di assistenza oggi prevedono già qualcosa in più rispetto a prima: “dai nuovi screening gratuiti in gravidanza al riconoscimento di patologie come l’endometriosi, che solo in Italia colpisce 300 mila donne”. Il ministro ha anche sottolineato che bisogna lavorare di più sulla prevenzione. E la ‘svolta’, secondo gli esperti, potrà dunque arrivare proprio dall’affermazione della medicina di genere ed il primo passo è la sua ‘ufficializzazione’ nei corsi universitari. Da quest’anno accademico infatti, ha annunciato il presidente della Associazione Conferenza dei corsi di laurea in Medicina e chirurgia, Andrea Lenzi, “i 59 presidenti dei corsi di laurea in Medicina hanno deciso che tutti questi corsi di laurea avranno nell’ambito delle loro discipline, da endocrinologia a medicina interna, l’insegnamento della medicina di genere, che è la prima tappa per la medicina personalizzata”. Questo, ha chiarito, “non perchè la medicina per gli uomini e per le donne siano due medicine differenti, ma perchè la terapia e la diagnostica vanno declinate in funzione del sesso”.
La medicina di genere entra per la prima volta anche nel Diritto italiano, con la Legge delega sulle professioni sanitarie all’esame alla Camera, ha affermato la presidente della commissione Sanità del Senato Emilia Grazie De Biasi. Inoltre, “la mia proposta – ha affermato – è arrivare ad un protocollo d’intesa con i ministeri dell’Università e della Salute, oltre che con le Regioni, per attuare un Piano per la promozione della medicina di genere che possa essere però puntualmente monitorato”. E una iniziativa ‘rosa’ è anche quella annunciata dal presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi: corsi di formazione e informazione sui farmaci, sull’appropriatezza terapeutica e sulla prevenzione destinati in primo luogo alle donne, con l’obiettivo di partire con programmi mirati già nelle scuole.
Contro i suicidi anche l’intelligenza artificiale
News Presa, Prevenzione, PsicologiaPrevenire il suicidio, soprattutto di adolescenti, grazie a Facebook. L’iniziativa non è di oggi, ma ora sono in arrivo nuovi strumenti e nuove funzionalità . Gli strumenti per la prevenzione saranno attivi anche per i post Live in tempo reale e verrà sperimentato l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per facilitare l’identificazione di messaggi a rischio. E bene ricordare che la partnership tra Facebook e Telefono Azzurro è nata nel 2014 per garantire e mettere a disposizione di persone a rischio suicidio un immediato servizio di assistenza, grazie all’attivazione di strumenti automatici legati alla digitazione nel motore di ricerca Facebook di parole “a rischio”.
Telefono e chat
Si tratta di un’operazione globale condotta da Facebook insieme a realtà locali dei rispettivi paesi in cui opera, associazioni che mettono a disposizione servizi e linee telefoniche per il pronto intervento e la gestione delle emergenze. In Italia, come detto, il compito è stato affidato a Telefono Azzurro attraverso il numero 19696 e con la chat dedicata. Chi viene segnalato può quindi scegliere se contattare un amico, una linea di assistenza (in questo caso la linea 114 e l’1.96.96 di Telefono Azzurro) o ricevere suggerimenti di supporto.
I dati italiani
Purtroppo il binomio “suicidi e adolescenza” è un binomio molto frequente anche nel nostro paese. Basti pensare che dal 1 gennaio 2015 e al 13 giugno 2016 il Centro Nazionale di Ascolto 1.96.96 e chat di Telefono Azzurro hanno gestito complessivamente 3.806 casi. Di questi, 282 casi (il 7,4% del totale) riguardano richieste di aiuto e intervento per tentativi di suicidio o ideazioni, e di atti auto lesivi. Il 47% delle richieste di aiuto ricevute riguarda ideazioni suicidarie o, nel 45% dei casi atti autolesivi. Gli altri casi riguardano tentativi di suicidio. Nell’85,3% dei casi segnalati la richiesta di aiuto è fatta da un bambino/adolescente e l’84,4% dei casi contatta direttamente chi sta compiendo atti autolesivi / sta pensando al suicidio. Spesso il Centro Nazionale di Ascolto viene contattato da ragazze (77,8% dei casi), a volte amiche della persona in difficoltà (29,3% dei casi). Nella maggior parte dei casi il minore coinvolto in queste richieste di aiuto è solo uno (92,6% dei casi), adolescente in più di 1 caso su 2 (59,2% dei casi; 15-18 anni); spesso femmina (78,8% dei casi).
Il caso Cantone
E’ triste ma doveroso ricordare la storia di Tiziana Cantone, giovane donna arrivata al suicidio dopo essere stata travolta da uno scandalo che la rete ha alimentato e reso virale. Anche su Facebook purtroppo furono in molti a perseguitarla con post anche molto crudeli. Forse senza rendersi conto che spesso le parole possono ferire quanto, se non più delle armi.
Siani alla Federico II, perché «Ridere fa bene alla salute»
News PresaDopo il grande successo del film Mister Felicità, Alessandro Siani incontra studenti e docenti della Federico II per affrontare un tema a lui molto caro: «Ridere fa bene alla salute». E proprio questo è il titolo dell’appuntamento che l’attore e regista ha fissato per lunedì prossimo, nell’ambito del ciclo #nonsolomedicina promosso dalla Scuola di Medicina e Chirurgia e dall’Azienda ospedaliera federiciana. Ad introdurre Siani ci saranno il presidente Luigi Califano e il direttore generale Vincenzo Viggiani. Sarà invece Ignazio Senatore, psichiatra e critico cinematografico, a intervistare l’ospite d’eccezione.
Il ruolo delle endorfine
In attesa di ascoltare quanto avrà da raccontare Alessandro Siani è Luigi Califano ha spiegare che «l’effetto benefico della risata sul nostro organismo è scientificamente riconosciuto. Una fragorosa risata non solo stimola le endorfine, sostanze chimiche prodotte dal cervello che aiutano a sentirsi bene, ma riduce gli ormoni dello stress nel corpo, aiutandolo a distendersi e a rilassarsi».
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=vINolcyXFO4[/youtube]
Confronto di esperienze
Il ciclo di eventi #nonsolomedicina prevede appuntamenti periodici con personaggi del mondo dell’arte, della cultura, dello sport e dello spettacolo, invitati a portare la loro esperienza nelle aule universitarie con l’obiettivo di favorire l’integrazione dei saperi. Tra gli appuntamenti già realizzati, quelli con Vincenzo Salemme, Maurizio De Giovanni, Gennaro Rispoli, Edoardo Bennato e Gino Strada. Tutti pronti insomma per lunedì 13 marzo (ore 15.00) nell’Aula Magna di Scienze Biotecnologiche in via Tommaso de Amicis, 95.
Il tono dei cinguettii in rete rivela l’andamento di una dieta
Alimentazione, News Presa, Prevenzione, PsicologiaUna ricerca ha studiato la correlazione tra l’esito di una dieta e il tono dei cinguettii espressi sul popolare social network. Insomma, il successo o il fallimento di una dieta è ‘scritto’ nei tweet. Chi dimostra un certo ottimismo attraverso la piattaforma è più probabile che abbia centrato gli obiettivi. La percentuale di accuratezza con cui può essere previsto è del 77 per cento, secondo lo studio, e si basa sui sentimenti espressi nelle frasi e nelle parole sul social basato su un numero limitato di caratteri.
Questa conclusione emerge da una ricerca del Georgia Institute of Technology, che sarà presentata alla 20th ACM Conference on Computer-Supported Cooperative Work and Social Computing, dal 25 febbraio al primo marzo negli Usa. I ricercatori hanno preso in esame più di due milioni di tweet, sommati agli aggiornamenti di una app conta-calorie, MyFitnessPal, relativi a 700 persone.
Dai risultati è emerso che coloro che riuscivano a tenere fede agli obiettivi della dieta esprimevano sentimenti più positivi, erano più proiettati verso il futuro e avevano un network sociale più ampio. Inoltre, si focalizzavano di più su argomenti relativi alla salute e al fitness e interagivano maggiormente con gli altri. “Abbiamo osservato che gli utenti erano molto più propensi a condividere ricette sane, offrire suggerimenti sull’alimentazione e l’esercizio fisico, e riferire i propri progressi- spiega Munmun De Choudhury, autrice principale della ricerca- una più grande rete di amici e seguaci, oltre che un maggiore coinvolgimento, significano per queste persone un sistema di supporto più forte e una probabilità di adesione alla dieta migliore”.
Al contrario, coloro che non erano riusciti a centrare gli obiettivi della dieta mostravano di avere un tono palesemente negativo su Twitter e tendevano ad esprimere più ansia e disagio nei loro ‘cinguettii’. Anche pochi caratteri, quindi, possono dire tanto.
Dal Pascale un nuovo terremoto sulla sanità campana
News PresaE’ una specie di terremoto quello che ormai da settimane sta investendo la sanità campana. Partita da un ospedale di frontiera, il Loreto Mare, l’onda lunga delle inchieste della magistratura è arrivata a travolgere anche l’Istituto Nazionale per i Tumori di Napoli. Stavolta non si tratta di centinaia di arresti, ma di nomi eccellenti sì. A finire ai domiciliari è stato nientedimeno che il direttore generale dell’Asl Napoli 1 Centro, e oltre a lui un noto primario del Pascale e la moglie. A portare avanti le indagini è stata la Guardia di Finanza nell’ambito di un’operazione su irregolarità negli appalti . I reati ipotizzati sono corruzione e turbativa d’asta.
Rabbia e indignazione
Incredulità, stupore ma anche delusione e rabbia sono i sentimenti di chi percorre i viali e i corridoi dell’Istituto. Al Pascale non si parla d’altro. Anzi, non si `sussurra´ d’altro soprattutto tra il personale medico e sanitario. Capannelli di medici e personale sanitario si incontrano all’ingresso degli edifici, nel parcheggio ma quando ci si avvicina subito si dileguano perché «bisogna tornare a lavorare». Nessuno se la sente di commentare quanto accaduto oggi. Ma se chi lavora al Pascale non è di tante parole, ben diverso è l’atteggiamento di chi purtroppo è lì per curarsi o per accompagnare un parente, un amico. Tra i cittadini c’è chi non nasconde la rabbia e chi invece è sorpreso. «La verità è che in Italia e qui in Campania ancora di più – dice un uomo di Caserta, in attesa di un amico che è a fare degli esami – non si sa più cosa sia l’onestà, il rispetto degli altri, del lavoro onesto e sudato. Vogliono solo i soldi e più ne hanno e più ne vogliono. Non c’è più l’umiltà». Monta la rabbia tra i pazienti. «Ai cittadini aumentano le tasse – dice una coppia – il ticket per fare gli esami che qui al Pascale valgono in alcuni casi la vita, ci sono le file d’attesa e poi si scoprono queste cose».
In difesa del Pascale
Ma se c’è chi non nasconde la rabbia, dall’altra c’è anche chi chiede «di non fare di tutta l’erba un fascio». «Ho sentito degli arresti – commenta un uomo over 50 – ma qui c’è anche tanta gente che lavora onestamente, che si prende cura di chi ha bisogno». Dello stesso parere anche una coppia. «Noi purtroppo abbiamo avuto bisogno di cure qui al Pascale – racconta l’uomo – ci siamo trovati benissimo. Siamo stati seguiti e curati. Sentire questi fatti – prosegue – ci lascia increduli e sorpresi». Secondo l’uomo, «il problema è che nella sanità girano troppi soldi e chi ne viene a contatto poi vuole averne sempre di più. Ci auguriamo – concludono – che questa brutta storia non screditi tutto l’ospedale».
L’Ordine dei medici
Per il leader partenopeo dei camici bianchi «ciò che sta accadendo ci spinge ad interrogarci sul valore della deontologia. Anzi sul valore che alcuni colleghi medici danno al giuramento che hanno prestato. E’ il caso che l’Ordine si interroghi e si chieda “cosa si è sbagliato?”, ma soprattutto “cosa si può fare per riportare al centro della professione l’etica e la moralità?”. Allo stesso tempo ribadisco però che questi medici non rappresentano l’intera categoria e non possiamo permettere che l’immagine del medico sia rovinata da questi esempi negativi».
La guerra e le “ferite invisibili” sui bimbi. In Siria uno su 4 ha problemi mentali.
Bambini, News Presa, Prevenzione, PsicologiaLa guerra, la distruzione, la morte, la paura, segnano per sempre la vita dei bambini. Un dramma che interessa molte zone del mondo, dove i bimbi crescono (quando ce la fanno) nel terrore e nella disperazione.
A sei anni dall’inizio del conflitto in Siria, sono 5,8 milioni i bambini che vivono ancora sotto i bombardamenti e un bambino su quattro rischia conseguenze devastanti sulla salute mentale. Sono almeno 3 milioni i piccoli che hanno oggi sei anni e non hanno mai conosciuto altro che la guerra: si stima che siano oltre 470.000 le vittime dall’inizio del conflitto. L’85% della popolazione siriana vive in condizioni di povertà e 4,6 milioni di persone vivono in aree assediate o difficilmente raggiungibili. Sono 6,3 milioni gli sfollati all’interno della Siria e 4,9 milioni – tra cui 2,3 milioni di bambini – sono rifugiati e hanno dovuto lasciare il Paese.
Questa la fotografia della Siria scattata dal nuovo rapporto “Ferite invisibili”, presentato da Save the Children, l’Organizzazione internazionale indipendente che per la prima volta indaga – attraverso interviste e testimonianze raccolte tra adulti e minori all’interno del Paese l’impatto psicologico sui bambini coinvolti nel conflitto siriano.
La ricerca è stata condotta tra dicembre 2016 e febbraio 2017 su 458 tra bambini, adolescenti e adulti all’interno di 7 tra i 14 governatorati della Siria, nelle aree dove attualmente Save the Children e i suoi partner locali hanno la possibilità di lavorare, principalmente in zone controllate dalle forze dell’opposizione, includendo aree assediate o molto difficili da raggiungere.
Due bambini su tre dicono di aver perso qualcuno che amavano, la loro casa è stata bombardata o sono rimasti feriti a causa del conflitto. Il 50% degli adulti denuncia che gli adolescenti ormai fanno uso di droghe per affrontare lo stress, le violenze domestiche sono aumentate e il 59% degli intervistati conosce bambini e ragazzi reclutati nei gruppi armati, alcuni anche sotto i 7 anni. Secondo l’81% degli adulti intervistati, i bambini sono diventati più aggressivi, sia nei confronti dei genitori e dei familiari che degli amici. Sono tantissimi i bambini che soffrono di minzione involontaria e di frequente enuresi notturna (lo riferisce il 71% degli adulti) e quelli che la notte non riescono a dormire per gli incubi, la paura del buio, dei bombardamenti, della perdita della famiglia. La metà degli adulti intervistati denuncia che i bambini che non riescono più a parlare e sono molti anche quelli che commettono atti di autolesionismo, che sfociano spesso in tentativi di suicidio.
“Questa ricerca dimostra che le conseguenze del conflitto sui bambini siriani sono devastanti. Bambini che sognano di morire per poter andare in Paradiso e avere così un posto dove poter mangiare e stare al caldo o che sperano di essere colpiti dai cecchini per arrivare in ospedale e magari poter scappare dalle città assediate. Genitori che preferiscono dare in spose le proprie figlie ancora bambine perché non possono occuparsi di loro, generandone la disperazione che in alcuni casi le porta addirittura al suicidio. Bambini lasciati orfani della guerra che pur di avere qualcosa da mangiare si uniscono ai gruppi armati” denuncia Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia.
Una delle più grandi paure dei bambini che vivono ancora in Siria è proprio quella delle bombe: basta il rumore di un aereo che passa o delle grida per generare terrore nei bambini, anche una porta sbattuta dal vento può provocare reazioni di panico.
“Odio gli aerei, perché hanno ucciso mio padre”, dice continuamente Marwan, un bambino di circa 6 anni di Aleppo che non è più capace di parlare ma sa soltanto gridare.
Sono 3,7 milioni i bambini che sono nati durante il conflitto e quelli che hanno meno di 12 hanno passato già la metà della loro vita in una condizione di continuo imminente pericolo. Molti di loro soffrono di incubi notturni e hanno difficoltà ad addormentarsi per il terrore di non svegliarsi più. La mancanza di sonno e di riposo è estremamente pericolosa per la salute fisica e mentale dei bambini e può portare a gravi conseguenze di natura psichiatrica nonché a malattie a volte mortali.
Sono tantissimi i bambini che smettono di parlare, che soffrono di tremendi mal di testa, difficoltà a respirare e paralisi temporanee degli arti. E tanti i bambini e gli adolescenti che per combattere la paura si rifugiano nelle droghe, nell’alcool o compiono atti di autolesionismo.
In soli due mesi nella città assediata di Madaya, lo staff medico ha segnalato a Save the Children almeno 6 casi di bambini che hanno tentato il suicidio, il più giovane aveva 12 anni.
Una delle principali paure dei bambini è quella di essere strappati alle famiglie e ai loro cari con violenza. Due bambini su tre dicono di aver perso uno dei loro cari. Molti hanno visto uccidere i propri genitori, familiari, amici o li hanno persi perché sono spariti o sono stati arrestati.
Nel febbraio 2017 erano ancora 650.000 le persone all’interno delle 13 aree assediate, tra cui molti bambini rimasti soli. È qui che i bambini vivono il dramma dell’assedio, della mancanza di aiuti, medicine, carburante per scaldarsi e quello della fame.
Bambini che hanno perso i propri cari, che non possono andare a scuola e che devono trovare il modo per sopravvivere diventando improvvisamente adulti per sfuggire alla povertà. Tantissimi vanno a lavorare nei mercati, come ambulanti per la strada, per aiutare i familiari che spesso sono rimasti feriti dalle bombe e non possono più procurarsi una fonte di reddito.
Più della metà degli adulti intervistati ha dichiarato di conoscere bambini che utilizzano pistole e molte sono le testimonianze di bambini anche sotto i sette anni reclutati per combattere.
Questi bambini sono i più vulnerabili dal punto di vista delle conseguenze psicologiche e con loro anche le bambine, spesso costrette a matrimoni precoci, un fenomeno ormai in crescita in molte aree del paese. I genitori, non potendo curarsi di queste bambine, le obbligano a sposarsi con uomini di famiglie più ricche che si possano occupare di loro, pensando di tenerle così lontane anche dal rischio di abusi e violenze sessuali. Alcune tentano il suicidio pur di evitare di finire in spose a uomini che non vogliono. “Nelle nostre strutture abbiamo ricevuto molte giovani ragazze che avevano tentato il suicidio a causa della pressione delle famiglie a sposarsi, perché non volevano farlo o non volevano il partner che era stato scelto per loro. Sono tantissimi anche i casi di abusi sessuali e stupri su ragazze giovanissime”, spiega una psicologa che opera nel sud della Siria.
La mancanza di educazione è una delle più grandi paure dei bambini e l’impossibilità di andare a scuola crea loro grandi problemi oltre che nell’apprendimento, anche nella socializzazione: dall’inizio del conflitto sono più di 4.000 le scuole che sono state attaccate, circa due al giorno. Una scuola su tre è danneggiata da bombe o è stata trasformata in rifugio per sfollati e circa 150.000 tra insegnanti e personale educativo, hanno lasciato il Paese. Le scuole che rimangono in piedi continuano ad essere obiettivi di attacchi indiscriminati e la maggior parte dei bambini e degli adolescenti non può frequentarle. Il 50% dei bambini che frequentano ancora la scuola dicono di avere paura ad andarci perché non si sentono al sicuro e la maggior parte dice di aver perso “il senso del futuro” senza la possibilità di studiare.
“Ci sono bambini come mio fratello che hanno dimenticato tutto quello che avevano imparato a scuola. Lui non sa più fare neanche due più due. Tanti non sanno riconoscere più neanche le lettere dell’alfabeto. Non vado più a scuola da due anni e ho paura del mio futuro. Gli anni passano e io non so cosa farò senza un’istruzione”, racconta Zainab, 11 anni, da un campo di sfollati interno alla Siria.
La mancanza di aiuto e di supporto psicologico
Anche prima dell’inizio della guerra, in Siria non c’erano molti psicologi infantili e solo due ospedali pubblici psichiatrici per 21 milioni di persone. Lo stigma sociale radicato nella cultura del paese nei confronti dei problemi di natura mentale, è un’altra barriera molto forte che ha impedito lo sviluppo di questo ambito di supporto medico per i bambini. La guerra ha esacerbato questo gap, in un momento in cui è invece cresciuta la necessità di intervento. Solo il 20% delle strutture sanitarie attualmente funzionanti offrono servizi di salute mentale di base e la richiesta di posti eccede quelli disponibili. Dopo il conflitto restano pochi specialisti in questa materia e anche loro sono sopraffatti e necessitano di supporto, per aver vissuto eventi traumatici. La mancanza di fondi dedicati a questo tipo di attività è inoltre uno dei problemi fondamentali per consentire agli interventi di supporto psicologico ancora in essere, di non doversi interrompere.
Sono 2,3 milioni i bambini che hanno abbandonato il paese in cerca di sicurezza e aiuto, fuggendo per la maggior parte nei paesi limitrofi, Turchia, Giordania, Libano e Iraq. Questi bambini hanno subito forti traumi e la maggior parte di loro sono stati testimoni di violenze estreme che li hanno costretti a fuggire. La prima causa di stress è rappresentata dalle difficilissime condizioni economiche in cui si trovano le famiglie sfollate: molti adulti non riesco a fare lavori legali in conseguenza del loro status di rifugiati, che impedisce loro anche di accedere a scuole e strutture sanitarie e li fa vivere in una sorta di limbo. Uno studio condotto tra i rifugiati in Turchia, ad esempio, mostra come il 45% dei bambini sfollati in questo paese soffrano di disturbi traumatici da stress (un dato dieci volte più alto rispetto alla media mondiale) e il 44% di loro soffre di depressione.
I bambini rifugiati sono al sicuro da bombardamenti e combattimenti, per cui vivono una condizione difficile ma che può essere alleviata grazie ad un intervento di supporto psicosociale che con il tempo è in grado di ricondurre i bambini ad una condizione di infanzia più serena. Una delle paure più grandi, anche per loro, resta quella dei bombardamenti – spiegano gli operatori psicosociali che li supportano nei campi di sfollati – ma man mano che passa il tempo i bambini riescono a convincersi di essere al sicuro e ricominciano a dormire la notte e a non svegliarsi più ogni volta che sentono un rumore, con la paura di morire. Per i bambini che vivono ancora in Siria, invece, la paura non va mai via.
“La continua esposizione ad eventi traumatici e a esperienze negative ha portato la maggior parte dei bambini siriani a vivere una condizione di stress tossico, con conseguenze sul loro stato di salute mentale e fisica, che può interrompere il loro sviluppo. Nonostante la condizione psicologica di questi bambini sia drammatica, sono comunque estremamente resilienti. Non sono ancora desensibilizzati alla violenza e provano ancora emozioni importanti. Non siamo al punto di non ritorno e per questo è fondamentale intervenire subito e restituire loro quella speranza di futuro di cui hanno bisogno.”conclude Valerio Neri.
A sei anni esatti dall’inizio di una delle tragedie più gravi della nostra epoca Save the Children vuole ancora una volta accendere i riflettori sul conflitto in Siria. Per questo domenica 12 marzo 2017 alle ore 17.30, presso la Galleria Vittorio Emanuele a Milano (lato Silvio Pellico), si terrà l’evento pubblico “Ferite di guerra”. Le note del Maestro Giovanni Allevi e le voci degli attori Cesare Bocci e Isabella Ferrari racconteranno la quotidianità che vivono milioni di bambini siriani, ancora oggi intrappolati nelle città assediate o nel limbo dei campi profughi nei paesi limitrofi.
Dermatite atopica severa, presto nuove terapie
News Presa, Ricerca innovazioneDermatite atopica severa per molti è un termine vuoto, sentito in tv o magari letto su una rivista medica. Per altri, invece, è come una sentenza di condanna, visto che ancora oggi non esiste una terapia adeguata. In Italia, secondo i dermatologi, l’informazione e la raccolta di dati epidemiologici sono ancora insufficienti, soprattutto nei soggetti con una forma severa o grave, che rappresentano una minoranza. Tuttavia, per comprendere la portata del problema, o dei problemi, causati dalla dermatite atopica vale la pena di rifarsi ad un nuovo sondaggio di “Understand AD” condotto su 505 americani adulti (dai 18 anni di età in su) affetti da questa malattia in forma moderata o severa.
Ecco alcuni dati: il 53% ha riportato che la malattia ha avuto un impatto negativo sulla propria vita quotidiana. L’82% ha cambiato il proprio stile di vita per gestire la malattia, ad esempio scegliendo una carriera che limita le interazioni con altre persone. E ancora, il 55% ha riportato che la malattia ha minato la sicurezza in sé stessi, il 49% ha parlato di problemi a riposare. Il 28% è ansioso in ragione della propria dermatite atopica, mentre il 23% delle persone si è detto addirittura depresso (in alcuni casi il paziente arriva a tentare il suicidio). Il 20%, infine, ha confessato che la malattia ha avuto effetti negativi sulla capacità di mantenere la propria occupazione.
Sai cos’è la dermatite atopica? Questa è la domanda che ciascuno dovrebbe porsi, perché la dermatite atopica, le cui cause scatenanti non sono ancora ben comprese, può colpire davvero chiunque. La malattia si manifesta con eruzioni cutanee e prurito che diviene insopportabile, tanto da provocarsi graffi e lacerazioni. Si formano delle croste spesso sanguinanti. Dal prurito si passa poi al dolore.
Gli errori più comuni
Chi soffre di dermatite atopica, anche in forma grave, commette spesso errori legati alla scarsa conoscenza della patologia o anche, purtroppo, alla disperazione. «Alcuni di questi errori – spiega la professoressa Ketty Peris, – Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dermatologia del Policlinico Gemelli – consistono nel sottoporsi a frequenti docce. Ci si lava in maniera eccessiva, senza considerare che l’acqua secca molto la pelle e quindi può avere un effetto negativo. Dopo ogni doccia sarebbe bene idratarsi in maniera adeguata». Alcuni pazienti, aggiunge la professoressa, non usano una giusta quantità di crema o spesso usano prodotti dannosi. «Per la dermatite atopica il problema non è quantitativo, ma qualitativo». E anche un uso eccessivo di creme può essere un errore. «Spesso vediamo che c’è un abuso di corticosteroidi topici che, usati impropriamente, possono produrre effetti indesiderati».
Nuove terapie
«Il prossimo futuro – conclude la professoressa – ci dà grandi speranze. Ci sono molti farmaci nuovi in arrivo che si somministreranno sotto cute. Questi farmaci saranno presto in commercio e, visto che anche la nostra struttura ha partecipato ai trials clinici, sappiamo che hanno effetti importanti. Risolvono molto bene la sintomatologia, eliminando quel prurito atroce che porta alla disperazione molti pazienti». Oltre le manifestazioni cliniche c’è l’aspetto psicologico. Infatti, trattandosi di una malattia della pelle, troppo spesso vengono sottovalutate le ricadute sulla psiche. Molte persone colpite da dermatite atopica severa tendono a isolarsi, a perdere fiducia in sé. I rapporti con gli altri diventano sempre più rari e difficili, perché gli sguardi delle persone sono spesso inquisitori e insistenti e c’è anche chi crede, sbagliando, che la dermatite atopica possa essere contagiosa. «Sfortunatamente – dice Julie Block, presidente e CEO della l’Associazione Nazionale Eczema degli Stati Uniti (NEA) – c’è la percezione sbagliata che la dermatite atopica sia solo una condizione della pelle che le persone possono affrontare da sole. In realtà è una malattia immunologica a carattere sistemico che ha un impatto enorme sulla vita dei pazienti. Noi vogliamo che le persone che vivono con questa malattia sappiano che non sono soli e che siamo impegnati a sostenere la causa per migliori cure e trattamenti, fornendo supporto e alzando il livello di consapevolezza circa questa seria ma troppo spesso trascurata malattia». La NEA sta supportando, in tutti gli Stati Uniti, la campagna Understand AD per accrescere la consapevolezza e la conoscenza della dermatite atopica severa nei cittadini. In Italia, in cui manca ancora la dimensione reale della patologia così come del suo impatto sociale ed economico, sarebbero quanto mai utili strategie di sensibilizzazione dei cittadini, in attesa che la ricerca possa portare a breve sul mercato soluzioni terapeutiche specifiche ed efficaci.