Tempo di lettura: 2 minutiIn Europa la salute è al secondo posto tra le voci di spesa pubblica (7,1 % di spesa in percentuale sul Pil). Al primo posto si trovano pensioni e servizi sociali con il 19,1% di incidenza sul Pil. Tuttavia, le differenze tra gli Stati membri ci sono. A fare un quadro della situazione sono gli ultimi dati dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea (relativi al 2016).
Danimarca (8,6%), Francia (8,1%) e Austria (8%) hanno registrato le percentuali più alte di spesa pubblica per la salute tra gli Stati membri. Danimarca e Regno Unito puntano di più sull’ospedale, Spagna, Finlandia e Svezia sul territorio. Per l’Italia valori sempre in media Ue o a metà classifica. L’incidenza della spesa per la salute crolla a Cipro, Lettonia, Polonia, Lussemburgo e Ungheria, tutte al di sotto del 4,8%. Alla protezione sociale l’Italia destina il 20% del Pil.
La spesa pubblica in protezione sociale più elevata è in Finlandia e la più bassa in Irlanda. Questa voce è stata la più grande area di spesa delle amministrazioni pubbliche nel 2016 in tutti gli Stati membri dell’Ue. Otto Stati membri: Finlandia, Francia, Danimarca, Austria, Italia, Grecia, Svezia e Belgio – destinano almeno il 20% del Pil alla protezione sociale, mentre Irlanda, Lituania, Romania, Lettonia, Malta, Repubblica ceca e Bulgaria hanno speso ciascuno meno del 13% del Pil. La spesa per la protezione sociale può essere poi suddivisa in una serie di sottogruppi.
Pensioni
Il primo comprende le pensioni, cioè la spesa delle amministrazioni pubbliche per la “vecchiaia” che rappresentava bensì il 10,2% del Pil in media Ue. La più alta nel 2016 è stata in Grecia (16,0%), seguita da Finlandia (13,7%), Francia e Italia (entrambi il 13,5%) e Austria (13,0%). Al contrario, l’Irlanda (3,5%), la Lituania (5,9%), Cipro (6,2%) e Paesi Bassi (6,7%) hanno registrato le azioni più basse.
Salute
La spesa “sanitaria” è, quindi, la seconda voce più consistente delle spese delle amministrazioni pubbliche dopo le spese per la “protezione sociale”. Nell’Ue-28, la spesa totale delle amministrazioni pubbliche in materia di “salute” è stata in media del 7,1% del Pil.
Ospedali
Per quanto riguarda il peso dell’ospedale sul Pil, con la media Ue rilevata nel 2015 al 3,4% e quella dell’Italia al 3%, al top c’è la Danimarca col 6,1% seguita dal Regno Unito con il 5,7% mentre sul versante opposto, a parte le nazioni dove il dato 2016 non è stato rilevato, l’incidenza più bassa la registrano il Lussemburgo con lo 0,1% e Cipro con l’1,9 per cento.
Considerando i servizi sul territorio quelli definiti “ambulatoriali”, la media Ue è di un’incidenza sul Pil del 2,2% e l’Italia è al 2,6%, ma al livello massimo c’è la Spagna col 4,7%, seguita da Finlandia (3,2%) e Svezia (3%), mentre l’incidenza di questi servizi è bassissima (0,1%) a Cipro e in Romania seguite (0,5%) da Estonia e Grecia e dalla Bulgaria allo 0,6% e il Regno Unito allo 0,7 per cento.
Istruzione
Danimarca e Svezia (6,9% del Pil), Belgio (6,4%) e Finlandia (6,1%) hanno registrato le maggiori quote di spesa pubblica per l ‘istruzione nel 2016.
promuoviamo salute
Se la prevenzione è «roba da uomini»
PrevenzioneSe per le donne andare dal ginecologo è qualcosa di ordinario, per i signori la prevenzione è ancora un concetto misterioso. Dal primo al terzo tempo della vita, nelle fasce d’età 16-25, 25-45, over45, la lunga partita della salute maschile passa per il fischietto di un arbitro che può correre al fianco di ogni uomo. Dall’adolescenza alla vecchiaia e controllare ogni fase di gioco. Proprio come già avviene per le donne, che nel ginecologo hanno un riferimento costante della propria salute, anche gli uomini possono contare su un alleato per la vita: l’urologo di fiducia.
Prevenzione Alpha
Su questi presupposti nasce la campagna Prevenzione Alpha, prima campagna nazionale per la salute maschile, promossa dalla Società Italiana di Urologia in collaborazione e con il patrocinio del Ministero della Salute. «L’urologo è lo specialista della salute maschile – spiega il professor Vincenzo Mirone, responsabile della comunicazione della Siu – e la prima visita deve avvenire già in adolescenza. È un cambiamento di mentalità necessario. Le famiglie devono comprendere che ogni età ha le sue problematiche e l’urologo è in grado di accompagnare il paziente nel percorso di cura adeguato, se necessario, o di tranquillizzarlo. Il nostro obiettivo, con “Prevenzione Alpha”, è di far conoscere a tutti quanto conta la prevenzione e quanto sia fondamentale abbattere i tabù che ancora aleggiano sulla salute sessuale del maschio. Le cifre allarmanti sul calo della fertilità e sul boom di disfunzioni erettili devono non banalmente preoccupare ma portare le persone all’abitudine a controllarsi, come già fanno le donne con la visita ginecologica e dunque su questo possono solo insegnarci».
Cambio di passo
La campagna non si accontenterà di dare indicazioni generiche sulla salute, ma entrerà nel merito della corretta alimentazione, dei comportamenti errati da evitare, delle misure e dei rimedi per vivere meglio. La salute sessuale e riproduttiva maschile è sempre più a rischio, il ruolo degli urologi è di andare oltre gli allarmismi e guidare la popolazione verso il cambiamento attivo. È inutile dire che un uomo su tre è a rischio infertilità se poi non si spiega come fare per migliorare la situazione. Insomma, conoscere è il primo passo per stare meglio.
Il decalogo della salute
Giocattoli, fidget spinner tra i più pericolosi
News PresaMettereste un coltello o un pericoloso acido nelle mani di vostro figlio piccolo? Certamente no. Però, inconsapevolmente, si rischia spesso di lasciare che si diverta con giocattoli pericolosi. In Europa esiste n sistema di allerta rapida anche sui prodotti non alimentari, una rete che serve a monitorare i rischi e agire di conseguenza. In cima alla lista ci sono spesso prodotti contraffatti, per i quali però è difficile se non impossibile agire in modo radicale. I bazar orientali, ormai ovunque in qualsiasi citta europea, sono pieni di articoli di dubbia provenienza. Tuttavia, visti i costi molto contenuti, questi articoli vengono venduti a migliaia ogni giorno.
Di moda
Ma quali sono i giocattoli più pericolosi? Anche tra quelli legali, in cima alla lista pare ci siano i fidget spinner. Di gran voga l’anno scorso tra i più piccoli, rappresentano la categoria di prodotti con il maggior numero di segnalazioni, circa 2.201 quelle inviate nel 2017 al sistema europeo di allerta rapida sui prodotti pericolosi non alimentari. A dirlo è il rapporto annuale sul sistema, presentato dalla commissaria Ue per la tutela dei consumatori Vera Jourova. Oltre ai giocattoli (29% delle segnalazioni), in cima alla lista dei prodotti pericolosi rilevati e rimossi dai mercati ci sono i veicoli a motore (20%). Per quanto riguarda l’Italia, i giocattoli (30%) sono superati da segnalazioni sulle sostanze chimiche (40%).
Serrare i controlli
Le oltre 2.000 segnalazioni di prodotti pericolosi inviate al sistema europeo di allerta rapida sono «solo la punta dell’iceberg» e i paesi membri dovrebbero «aumentare i controlli». Così l’organizzazione europea dei consumatori Beuc commenta in una nota i risultati del rapporto 2017. «Gli Stati membri – dichiara la direttrice dell’associazione Monique Goyens – devono aumentare urgentemente il numero di controlli e l’importo delle multe per tutte le categorie di prodotti di consumo, dai cosmetici ai fitness watch fino ai bollitori».
Attacchi informatici in sanità. Nasce gruppo di studio coordinato dall’Iss
Economia sanitaria, Ricerca innovazioneHa il compito di mettere in sicurezza i dati in sanità. Cybersecurity è il primo gruppo di studio nel nostro Paese, nato per difendere i sistemi informatici in ambito sanitario. Il gruppo, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, é nato da un’iniziativa congiunta del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali, del Centro Nazionale di Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica, in collaborazione con la Polizia postale e delle Comunicazioni e con la partecipazione di esperti di varie università italiane. Il fine è sviluppare le conoscenze e le metodologie di difesa dei sistemi informativi che sono utilizzati ogni giorno nella sanità italiana. E del resto, basta dare un’occhiata ai numeri per capire un fenomeno che interessa tutte le realtà del Paese, incluse le pmi. Secondo i dati diffusi da Accenture: in Italia ogni azienda subisce in media un costo di ben 5,5 milioni di euro all’anno a causa di attacchi informatici. Una ricerca condotta da Fortinet, colosso americano della cyber security, sui 450 principali fornitori al mondo di programmi di sicurezza informatica, solo nell’ultimo trimestre del 2016 c’erano stati oltre 700 mila attacchi al minuto contro le organizzazioni sanitarie.
Insomma, innovazione e sviluppo passano dall’uso sicuro delle tecnologie digitali e di telecomunicazione. In un momento storico, nel quale il numero di aggressioni informatiche fa registrare un netto incremento su scala mondiale, il gruppo metterà a punto strategie anche di crescita culturale sul tema della sicurezza dei sistemi informativi e dei dispositivi connessi in rete. L’attività del Gruppo è di tipo tecnico-scientifico e basata sul contributo di conoscenze e di esperienza degli esperti di settore.
I componenti del gruppo saranno:
Prof. Fabrizio Baiardi (Università di Pisa), Dott.ssa Nunzia Ciardi (Direttore Polizia Postale e delle Comunicazioni), Prof. Claudio Cilli (Pres. del Rome Chapter ISACA), Prof. Alberto Marchetti Spaccamela (Università di Roma “La Sapienza”), Avv. Gabriele Faggioli e Avv. Maria Cristina Daga (CLUSIT, Politecnico di Milano), Ing. Giuliano Pozza (Pres. AISIS), Prof. Paolo Prinetto (Pres. CINI), Ing. Maurizio Rizzetto (AIIC), Ing. Francesco Vellucci(Digital SIT), Prof. Stefano Zanero (Politecnico di Milano).
Promuoviamo salute
Scars of life, quando le cicatrici diventano medaglie
News PresaModelle che hanno attraversato l’inferno della malattia mostrano come medaglie le cicatrici di una battaglia combattuta e vinta. Si chiama «Scars of life» la mostra fotografica ospitata al Cardarelli di Napoli fino al 30 marzo e realizzata in collaborazione con il Comitato Ad Astra. Gli scatti sono quelli del fotografo Daniele Deriu, che su Facebook spiega «Ho sempre mostrato i “segni di una lotta” nei miei lavori. Alcune volte appena percepiti, altre volte assai più evidenti. Le cicatrici servono a ricordarci che siamo dei sopravvissuti. Sono le memorie delle nostre battaglie, le ustioni dei nostri personali inferni. Alcune donne hanno accettato di mostrarle, di lasciare una testimonianza. “Ecco guardate”, dicono, dall’inferno si può tornare. Lottare non è vano».
Non abbiate paura
Con questa mostra il Cardarelli di Napoli si è posto ancora una volta al fianco delle donne. «Vogliamo mostrarvi – ha detto il direttore generale Ciro Verdoliva – l’insulto al corpo delle donne dovuto a malattie importanti come trapianti di cuore, amputazioni, tumori. Sono donne che mostrando le loro cicatrici vogliono dare coraggio a chi quella battaglia la sta ancora portando avanti e vive in un inferno». Ed è a queste donne che Verdoliva si rivolge nel dire: «Non abbiate paura, affidatevi anche nelle mani dei professionisti del Cardarelli che hanno il solo scopo di lavorare per garantire la salute».
Testimonial d’eccezione
Testimonial dell’iniziativa è l’attrice Cristina Donadio: «Orgogliosa, felice ed emozionata», anche perché lei stessa è una di quelle donne che ha conosciuto l’inferno della malattia, e ne è uscita. «Questa mostra fotografica – ha sottolineato – rende onore e vita alle donne meravigliose colpite da tumore e spero di poter essere fotografata anche io al più presto. Ritengo che ogni donna che ha attraversato l’avventura del tumore si porta dietro un segno, ha un valore aggiunto e quel segno racconta il nostro essere guerriere per noi e per gli altri». Donadio ha affrontato la sua malattia a Napoli (prima, durante e dopo) e ora può raccontare con fierezza di aver vinto la propria battaglia.
Quali Stati spendono di più in salute e pensioni? Dati Eurostat
Economia sanitariaIn Europa la salute è al secondo posto tra le voci di spesa pubblica (7,1 % di spesa in percentuale sul Pil). Al primo posto si trovano pensioni e servizi sociali con il 19,1% di incidenza sul Pil. Tuttavia, le differenze tra gli Stati membri ci sono. A fare un quadro della situazione sono gli ultimi dati dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea (relativi al 2016).
Danimarca (8,6%), Francia (8,1%) e Austria (8%) hanno registrato le percentuali più alte di spesa pubblica per la salute tra gli Stati membri. Danimarca e Regno Unito puntano di più sull’ospedale, Spagna, Finlandia e Svezia sul territorio. Per l’Italia valori sempre in media Ue o a metà classifica. L’incidenza della spesa per la salute crolla a Cipro, Lettonia, Polonia, Lussemburgo e Ungheria, tutte al di sotto del 4,8%. Alla protezione sociale l’Italia destina il 20% del Pil.
La spesa pubblica in protezione sociale più elevata è in Finlandia e la più bassa in Irlanda. Questa voce è stata la più grande area di spesa delle amministrazioni pubbliche nel 2016 in tutti gli Stati membri dell’Ue. Otto Stati membri: Finlandia, Francia, Danimarca, Austria, Italia, Grecia, Svezia e Belgio – destinano almeno il 20% del Pil alla protezione sociale, mentre Irlanda, Lituania, Romania, Lettonia, Malta, Repubblica ceca e Bulgaria hanno speso ciascuno meno del 13% del Pil. La spesa per la protezione sociale può essere poi suddivisa in una serie di sottogruppi.
Pensioni
Il primo comprende le pensioni, cioè la spesa delle amministrazioni pubbliche per la “vecchiaia” che rappresentava bensì il 10,2% del Pil in media Ue. La più alta nel 2016 è stata in Grecia (16,0%), seguita da Finlandia (13,7%), Francia e Italia (entrambi il 13,5%) e Austria (13,0%). Al contrario, l’Irlanda (3,5%), la Lituania (5,9%), Cipro (6,2%) e Paesi Bassi (6,7%) hanno registrato le azioni più basse.
Salute
La spesa “sanitaria” è, quindi, la seconda voce più consistente delle spese delle amministrazioni pubbliche dopo le spese per la “protezione sociale”. Nell’Ue-28, la spesa totale delle amministrazioni pubbliche in materia di “salute” è stata in media del 7,1% del Pil.
Ospedali
Per quanto riguarda il peso dell’ospedale sul Pil, con la media Ue rilevata nel 2015 al 3,4% e quella dell’Italia al 3%, al top c’è la Danimarca col 6,1% seguita dal Regno Unito con il 5,7% mentre sul versante opposto, a parte le nazioni dove il dato 2016 non è stato rilevato, l’incidenza più bassa la registrano il Lussemburgo con lo 0,1% e Cipro con l’1,9 per cento.
Considerando i servizi sul territorio quelli definiti “ambulatoriali”, la media Ue è di un’incidenza sul Pil del 2,2% e l’Italia è al 2,6%, ma al livello massimo c’è la Spagna col 4,7%, seguita da Finlandia (3,2%) e Svezia (3%), mentre l’incidenza di questi servizi è bassissima (0,1%) a Cipro e in Romania seguite (0,5%) da Estonia e Grecia e dalla Bulgaria allo 0,6% e il Regno Unito allo 0,7 per cento.
Istruzione
Danimarca e Svezia (6,9% del Pil), Belgio (6,4%) e Finlandia (6,1%) hanno registrato le maggiori quote di spesa pubblica per l ‘istruzione nel 2016.
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Caso Marfella, medici divisi. Il dg Bianchi: «Nessuno ci fermerà»
News Presa, RubricheSapendo che il vostro oncologo napoletano (ammalatosi di cancro alla prostata) ha scelto di volare a Milano per farsi operare, anziché farsi curare nell’ospedale nel quale lavora, voi cosa fareste? La domanda è più che legittima, e certamente se la stanno ponendo moltissimi pazienti dell’Istituto Pascale di Napoli dopo le incredibili rivelazioni pubblicate dal Corriere del Mezzogiorno su quello che è ormai divenuto per tutti il «caso Marfella». L’oncologo napoletano, come si legge nell’articolo del Corriere a firma di Roberto Russo, un mese fa ha scoperto di avere un cancro alla prostata. Nella sfortuna, avrebbe detto qualcuno, è stato fortunato, perché conosce bene la materia e lavora all’Istituto per i tumori di Napoli. Insomma, avrà modo di ricevere le migliori cure. La scelta di Marfella apre invece ad uno scenario molto diverso. «Non ho difficoltà a far sapere che, pur lavorando al Pascale, sono in lista di attesa per operarmi all’Ieo di Milano».
Luci e ombre
Le dichiarazioni di Marfella, ferma la sua libertà di scegliere dove e come curarsi, hanno scatenato un comprensibile polverone. Trai sui detrattori c’è chi afferma che un comportamento simile sia poco utile a tutti quei pazienti che sono in cura a Napoli e che ora potrebbero sentirsi persi. A favore di Marfella quanti invece lo lodano per il coraggio di aver detto le cose come stanno. Molti pareri discordanti anche all’interno della categoria dei medici. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, di certo il dibattito delle prossime settimane servirà ad accendere i riflettori su un tema molto delicato e complesso. E chi sa che tutto questo non possa alla fine mettere un punto, in un senso o nell’altro, a dubbi e incertezze che ci sono da ben prima del «caso Marfella».
«Nessuno ci fermerà»
Intanto, la reazione dell’Istituto di Napoli è essenzialmente in una lettera a firma del direttore generale Attilio Bianchi: «Il dottor Antonio Marfella, nostro dipendente, al quale va tutta la mia umana comprensione, ha scoperto di recente di essere affetto da un tumore. Naturalmente, in quanto paziente, ha il diritto di scegliere in piena libertà le cure da ricevere e il luogo dove riceverle. Tuttavia la scelta di rendere pubblica la sua condizione di malattia e con essa il luogo dove curarsi non può trasformarsi in un ingiustificato, ingeneroso e gratuito discredito per l’istituzione sanitaria e di ricerca per la quale lavora da oltre trenta anni e che ogni giorno si prende cura di tanti uomini e donne che come il dottor Marfella sono colpiti dal cancro e che vivono la malattia con grande dignità, certezza di cura e speranza di guarigione. Una speranza di guarigione che sempre di più si trasforma in sconfitta della malattia grazie all’impegno quotidiano di tanti medici, ricercatori, infermieri e tecnici che non si arrendono mai. Una speranza che sempre più si invera in una istituzione di ricerca e cura che, come la Fondazione Pascale, è divenuta punto di riferimento oncologico non solo del meridione d’Italia. Le dichiarazioni alla stampa del dott. Marfella che feriscono tutti noi, ma che soprattutto feriscono quanti si affidano alle cure del nostro Istituto, non ci debbono indurre a reazioni impulsive, ma debbono, invece, essere l’occasione per spiegare meglio quanto stiamo facendo e quanto siamo cresciuti e quanto ancora cresceremo. Nessuno ci fermerà. Ci spinge l’urgenza di sconfiggere il cancro.
Paura dell’aereo? Il cervello impara a vincerla
PsicologiaDopo ventitré anni, durante i quali non era più riuscita a solcare il cielo a causa di una paura scatenata da un atterraggio di emergenza, Vania Colasanti, grazie alla cura del neurologo Rosario Sorrentino, è tornata tra le nuvole. Soprattutto ha riacquistato la voglia di volare e l’entusiasmo di trasmettere questo successo terapeutico ai timorosi del volo. In Italia, stando alle stime di Doxa, sono il 53,3% della popolazione. I timorosi dell’aereo spesso, bloccati dall’angoscia, non viaggiano e si privano della conoscenza di luoghi lontani. Le aveva provate proprio tutte Colasanti: psicoterapie varie, metodi alternativi, ma nulla di tutto ciò era riuscito a sbloccarla. Ma perché una sana paura diventa fobia? Cos’è a mandare in tilt il cervello al punto da far rinunciare al bello della vita? Per rispondere a queste domande è nato il libro “Grazie al cielo”. Un percorso scientifico nei misteri della materia grigia e dei principali meccanismi che scatenano l’ansia. Qui i passeggeri non sono solo i reduci del variegato “pianeta panico” (persone che non riuscivano ad attraversare gallerie, autostrade, luoghi affollati), ma anche temerari professionisti che guardano il cielo da un’angolazione privilegiata: astronauti, piloti, ingegneri che svelano le meraviglie del volo anche da un punto di vista tecnico.
Oltre al viaggio per vacanza, per cultura o per crescita personale, c’è chi è costretto a volare per lavoro. Un’imprenditore, un medico cardiologo e addirittura la moglie di un pilota d’aereo: anche loro sono stati aviofobici (quelli che mai e poi mai salirebbero su un velivolo). Le loro paure ora superate sono raccontate nel libro scritto dalla giornalista Vania Colasanti e dal neurologo Rosario Sorrentino che l’ha aiutata a vincere la fobia. Il libro sarà presentato questo pomeriggio, 12 marzo a Rizzoli Galleria a Milano.
Gli attacchi di panico, spiega Sorrentino, lasciano il loro ricordo depositato in un ‘cassetto’ della memoria e sono pronti a riemergere come se si fosse trattato di un’esperienza negativa vissuta poco prima. La terapia farmacologica va iniziata a piccole dosi già alcuni giorni prima del volo prova. Ma non basta prendere una pillola per superare una paura, il percorso si basa sulla sostituzione di una situazione piacevole, quale diventa il volo, al posto di una dolorosa e spiacevole, fiaccando nel paziente quell’ansia anticipata che gli impedisce di volare. Ma questo vale per tante tipologie di panico: c’è chi non se la sente di viaggiare su treni ad alta velocità, o chi va in vacanza in un albergo distante da non più di cento metri da un ospedale. La cura c’è e comincia da non aver paura di aver paura e di non aver vergogna di parlarne.
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Morti improvvise: tra i 50 e i 70 mila casi in Italia come Astori
Prevenzione, SportNon c’è solo il nome del giovane capitano Davide Astori. Le statistiche parlano chiaro: in Italia ci sono dai 50 ai 70 mila casi di morti ‘improvvise’. Decessi che sfuggono al controllo, come sembra sia successo al capitano della Fiorentina, ritrovato morto nella sua stanza nel ritiro di Udine, poco prima di pranzo. I cardiologi parlano di patologie che non possono essere controllate. Per questo può succedere anche agli sportivi, costantemente sotto osservazione.
Il dottor Valerio Sanguigni, cardiologo dell’universita’ Tor Vergata di Roma, ha detto all’Ansa, che vi sono delle patologie talmente rare e fuori controllo che non possono essere diagnosticate o curate: quando si verificano, spesso, è troppo tardi. Tra esempi di malattie incontrollabili, il cardiologo ne cita alcune, come “la displasia aritmogena del ventricolo, una cardiopatia congenita”; oppure “ci puo’ essere un’embolia polmonare, un vaso cerebrale rotto o una anomalia del ritmo cardiaco”.
Insomma, nessun controllo è mai sicuro al cento per cento. Anche quando si tratta di atleti olimpici, l’arresto cardiaco può essere causato da problemi congeniti.
Nel 2015, uno studio dell’Istituto di Medicina dello Sport del Coni ha indagato le patologie cardiache nascoste. Gli atleti di 31 discipline estive e 14 invernali sono stati sottoposti all’elettrocardiogramma sotto sforzo e a riposo ma anche all’ecocardiogramma. Su 171 soggetti sono state trovate anomalie cardiache, in 6 casi talmente gravi da determinare l’esclusione dalle competizioni.
“I controlli in Italia sono tra i migliori al mondo – ha detto Sanguigni – ma ci sono patologie che sfuggono, anche molto rare. Purtroppo le aritmie cardiache sono imprevedibili, non è vero che avvengono sempre dopo uno sforzo. Le percentuali sono basse, ma l’epidemiologia prevede una serie di malattie genetiche latenti e sconosciute che sfuggono anche ai controlli che fa uno sportivo professionista”.
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Alessandra: così il golf mi ha salvata dal baratro
SportOltre i pregiudizi e la malattia, anche se questa si chiama Charcot-Marie Tooth (più nota con l’acronimo CMT). La storia è quella di Alessandra Donati, classe 1966 e romagnola Doc, tornata a vivere grazie al golf nonostante da sempre stia lottando contro una neuropatia demielinizzante progressiva e senza cura. «Il golf – dice sorridendo – è la chiave della mia rinascita. Iniziare a giocare mi ha permesso di accettare la malattia e di sentirmi finalmente uguale agli altri. Sul green ho trovato solidarietà, amici e pace interiore. Ho iniziato tardi, ma adesso non voglio più smettere».
Un vero esempio
Quella di Alessandra è una storia che trasmette coraggio e che certamente dev’essere d’esempio nel modo di affrontare la vita. Lei ha trovato nel golf il proprio coraggio, ma di fondo è servita tata forza di volontà per non arrendersi mai. Neanche di fronte ad una malattia che si caratterizza per la perdita di tono muscolare e della sensibilità al tatto, in particolare agli arti inferiori al di sotto del ginocchio. Eppure Alessandra compete oggi ad alto livello. «Credevo fosse impossibile – dice – specie nelle mie condizioni. E invece il green mi sta dando tante soddisfazioni. Questo è uno sport che supera davvero ogni barriera. E permette di giocare alla pari con il tuo avversario». Attualmente al 54simo posto del Ranking European Disabled Golf Association (associazione europea che raggruppa tutti i golfisti disabili) e 6a Lady assoluta, la Donati ci ha preso gusto.
Verso l’Open di Svezia
«Il 3 aprile parteciperò alla Pro Am del Campionato Nazionale Open – torneo dell’Italian Pro Tour – al Golf Club Le Fonti di Castel San Pietro Terme (Bologna). Poi andrò in Francia per un altro torneo e quindi gareggerò sia all’Open d’Italia che all’Open di Svezia per disabili». Il green l’ha stregata. «Voglio confessare una cosa. Con il golf ho imparato ad accettare la mia malattia. Prima di conoscere questo universo tutto era più difficile. Mi vergognavo e comportavo come se non avessi nulla. Era la cosa peggiore che potessi fare. Le persone mi evitavano guardandomi con molto imbarazzo. Camminavo in maniera goffa e soffrivo di complessi d’inferiorità. Da quando ho cominciato ad accettarmi, sul green è cambiato tutto. Ho trovato amici e solidarietà. E persone che si sono aperte raccontandomi dei loro problemi e, in alcuni casi, delle loro malattie. E’ stato come rinascere, in maniera però consapevole».
Forza di volontà e tenacia.
Queste le caratteristiche di Alessandra. Che sul green non usufruisce di alcun vantaggio, se non di quello di poter contare su una golf cart (per spostarsi da una buca all’altra) per problemi certificati di deambulazione. Il suo desiderio? «Vorrei vedere sempre più donne sul green per rendere finalmente questo sport, assolutamente non d’élite, meno maschilista. Sono sicura che grazie alla Ryder Cup e ai progetti della Federgolf l’Italia riuscirà in questa impresa. L’edizione italiana della sfida Usa-Europa – conclude – è un’opportunità unica per il nostro Paese. La FIG, che a livello di atleti paralimpici sta facendo un grande lavoro, mettendo a disposizione maestri e anche wild-card per partecipare a gare nazionali, riuscirà a centrare questa mission».
Mattarella: discriminazione donne freno a sviluppo del Paese
News Presa, PrevenzioneLa discriminazione è un freno allo sviluppo, le pari opportunità sono l’ “antidoto all’immobilismo sociale”. Lo ha detto il Capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo messaggio per la Giornata Internazionale delle donne.
Un discorso incentrato sul contributo femminile allo sviluppo della Repubblica e alle discriminazioni ancora in atto. Il presidente Mattarella dal Quirinale fa un discorso politico e richiama tutti ad avere “senso di responsabilità” e pensare al bene generale dei cittadini.
“Abbiamo ancora e avremo sempre bisogno di questa attitudine: del senso di responsabilità di saper collocare al centro l’interesse generale del Paese e dei suoi cittadini”, ha detto in un alla vigilia delle delicate consultazioni politiche da cui, dopo il clima di tensione della campagna elettorale, può derivare un Governo solo se i partiti metteranno da parte gli interessi particolari per trovare una convergenza politica.
“Oggi le donne sono più consapevoli – dice Mattarella – più presenti e responsabili nella politica, nella cultura, nell’impresa, nella scuola, in tutti gli altri luoghi di lavoro. Non ancora quanto dovrebbero, e quanto sarebbe utile. Ma l’8 marzo ricorda alla coscienza, e alla cultura, del popolo italiano la centralità della questione femminile. Una questione a cui l’intera società è chiamata a dare una risposta all’altezza della libertà e della dignità che la nostra Costituzione ci ha fatto raggiungere”. Ancora oggi “persistono barriere da superare, squilibri da colmare, ma abbiamo sempre nuove prove di come le pari opportunità delle donne costituiscano uno degli antidoti più forti alle chiusure oligarchiche, all’immobilismo sociale, alle diseguaglianze economiche”.
“La piena parità nel lavoro è un motore di sviluppo. La discriminazione, invece, ne costituisce un freno. Queste leggi hanno favorito la crescita del Paese, attraverso il cammino di liberazione della donna. Nei rapporti di lavoro, non può esserne mai messa in discussione la dignità. Ancor oggi vi sono ostacoli e disparità nell’accesso al lavoro, nella retribuzione, nella mobilità. Talvolta gli ostacoli rendono difficile la conciliazione con i tempi di cura della famiglia. Le barriere possono alzarsi fino a odiose discriminazioni nei licenziamenti. Le dimissioni in bianco, forzose, imposte, sono contrarie alla legge. Occorre vigilare per assicurare il rispetto delle norme. L’Italia non può permettersi di rinunciare alla ricchezza dell’apporto del lavoro femminile“.
Infine il tema della violenza sulle donne. “Le molestie, le violenze fisiche e morali che talvolta irrompono nei rapporti professionali e di lavoro o tra le mura domestiche, ferendo le coscienze, prevaricando libertà e speranze, costituiscono una realtà inaccettabile, e purtroppo tuttora presente” conclude il presidente.
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