Tempo di lettura: 2 minutiTutti i giorni in palestra, tanta attenzione all’alimentazione e cura spasmodica della propria pelle. Poi, arrivate alla prova dello specchio, tutto è rovinato a causa di una vena varicosa. Per molte donne un vero e proprio incubo. Ne abbiamo parlato con uno dei massi esperti in Italia, il dottor Lanfranco Scaramuzzino, ed è proprio lui a suggerire qualche prezioso consiglio.
«Oggi – dice – grazie all’avvento degli ultrasuoni è possibile mappare accuratamente il sistema venoso, questo ha reso possibile lo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche definite conservative, la scleroterapia ad esempio viene fatta con farmaci meno aggressivi e rischiosi, ma sopratutto è aumentata la possibilità per gli specialisti del settore di confrontarsi e di mettere a punto tecniche sempre più precise e meno invasive».
Il problema è solo estetico o anche funzionale?
«Nelle fasi iniziali solo estetico, ma poi diventa un rischio per la salute perché si può incorrere in complicazioni tipiche di questa malattia come tromboflebiti, ulcere, ipodermite e sindrome post flebitica. Ai primi campanelli d’allarme meglio rivolgersi ad un flebologo».
Lanfranco Scaramuzzino
Si tratta di un problema ereditario?
«Non è dimostrata una precisa ereditarietà ma è senz’altro riconosciuta una familiarità; è molto probabile che in una famiglia in cui la madre sia affetta da vene varicose alcuni dei figli possano presentare una situazione varicosa».
Fattori di rischio?
«Mi spiace dirlo ma la gravidanza è uno dei fattori di rischio principali. Questo perché i cambiamenti ormonali e l’aumento di volume dell’utero possono determinare un significativo aggravamento della malattia. Per questo le pazienti con questo problema devono essere seguite fino al termine della gestazione. Altri fattori di rischio sono l’obesità, la sedentarietà, gli squilibri ormonali, la terapia sostitutiva ormonale in menopausa e una trombofilia familiare».
Cosa determina questa malattia?
«Si tratta di vene dilatate e tortuose nelle quali aumenta la pressione venosa per un malfunzionamento delle valvole che non riescono a trattenere il sangue, di conseguenza invece che andare dal piede verso il cuore tende a refluire in basso».
Quindi basterebbe sostituire le valvole per arrestare la malattia?
In un certo senso si, in realtà molto spesso non sono ammalate o assenti le valvole, ma è la parete della vena che tende a dilatarsi e quindi non permette più il combaciare delle alette delle valvole. L’idea di sostituire le valvole non è nuova, già da molti anni si segue anche questa strada e sono utilizzati al giorno d’oggi anche degli interventi che propongono una ricostruzione delle principali valvole».
Un consiglio per prevenire l’insorgere della malattia?
«Innanzitutto una corretta alimentazione ricca di fibre e vitamina C, e molta attenzione al peso. Bisogna sempre verificare l’appoggio del piede che rappresenta una pompa periferica e la cui efficienza è particolarmente importante per il benessere delle vene; vanno perciò evitate tutte quelle scarpe, molto di moda ora, che non consentono di flettere correttamente il piede. Banditi i tacchi a spillo. La scarpa ideale è il classico mocassino da donna con un tacco di circa 3 – 4 centimetri. Il consiglio migliore è quello di camminare il più possibile».
La pillola anticoncezionale maschile è più vicina
Farmaceutica, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazionePresto potranno essere gli uomini a pensare di evitare gravidanze indesiderate prendendo la pillola anticoncezionale. Un gruppo di scienziati della Wolverhampton University (Regno Unito), in collaborazione con l’Università di Aveiro (Portogallo), ha scoperto, infatti, un modo per rendere infertili temporaneamente gli uomini. I ricercatori sono riusciti a capire come “spegnere” la capacità degli spermatozoi di nuotare e quindi di fecondare naturalmente l’ovocita di una donna. Questo potrebbe aiutare gli studiosi a mettere a punto una pillola ad azione rapida o uno spray nasale da prendere un po’ prima del rapporto sessuale e scongiurare il rischio gravidanza. Gli effetti, spiegano gli scienziati, sparirebbero nel giro di pochi giorni.
Questi risultati potrebbero aiutare gli studiosi a mettere a punto una pillola ad azione rapida o uno spray nasale da prendere un po’ prima del rapporto sessuale, per scongiurare il rischio gravidanza.
“I risultati sono sorprendenti e quasi istantanei”, ha detto John Howl, uno dei ricercatori che ha lavorato allo sviluppo del nuovo composto anticoncezionale. “Quando si prendono gli spermatozoi sani e si aggiunge il nostro composto, nel giro di pochi minuti gli spermatozoi non possono muoversi”, ha aggiunto. Quindi il composto, chiamato peptide cellula-penetrante, entra dentro gli spermatozoi e li “paralizza”. “Questo è un approccio del tutto unico, che nessun altro ha mai fatto prima”, ha detto Howl. I test sono stati condotti in laboratorio su spermatozoi di bovino e su spermatozoi umani. I risultati, stando a quanto riportato dal quotidiano Daily Mail, saranno presto pubblicati su una rivista scientifica.
Da un semplice stick, la conferma dell’ autismo
Prevenzione, Ricerca innovazioneLa rivoluzione potrebbe essere in uno stick che si colora in modo diverso a contatto con le urine. Uno strumento da sottoporre a neonati considerati a rischio di sviluppare autismo.
Lo studio è nelle mani del neonatologo Vassilios Fanos di Cagliari e del dottor Michele Mussap, direttore dell’Unità Operativa Complessa Medicina di Laboratorio dell’Ospedale San Martino-Ist di Genova, che sta lavorando per identificare i composti chiave da ricercare per procedere allo sviluppo del test. Con questa ricerca, grazie alle tracce di composti prodotti dal corpo e identificabili nelle urine, si potrebbe arrivare a sviluppare un test di screening sui neonati per sapere chi è a maggior rischio di sviluppare questa malattia.
Se realizzato con queste modalità, il test potrebbe avere costi molto bassi, essere di semplice esecuzione e fornire un possibile strumento per eseguire controlli adeguati ed eventuali trattamenti. Tra le cause dell’autismo, oltre alla genetica, ci sarebbe infatti una serie di altri fattori collegati con l’ambiente che influenzano la placenta materna e il neonato, come l’alimentazione e i farmaci eventualmente assunti durante la gravidanza che possono agire sui batteri presenti nell’intestino del futuro bebè. «L’alterazione dell’equilibrio dei batteri alla nascita può contribuire allo spettro autistico, alterando l’asse intestino-cervello», precisa Mussap: «Metaboliti “anomali”, prodotti da un ecosistema intestinale sbilanciato, passano facilmente in circolo, superando una mucosa intestinale più permeabile. A causa delle loro piccole dimensioni, arrivano al sistema nervoso centrale, modificando alcuni processi metabolici nel cervello in sviluppo e determinando una suscettibilità individuale alla malattia».
SINDROME OVAIO POLICISTICO, ENDOCRINOLOGI: MONITORARE PESO BAMBINE
News Presa“La sindrome dell’ovaio policistico colpisce, in Italia, una fetta di popolazione femminile in età fertile che oscilla, a seconda delle etnie, da un 5 ad un 20% della popolazione generale. Nel caso di pazienti che presentano sovrappeso o franca obesità si può superare anche il 50%”.
E’ quanto sostiene in una nota l’Associazione Medici Endocrinologi (AME) a conclusione del mese dedicato alla prevenzione della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), “complessa alterazione funzionale del sistema riproduttivo causata dall’aumento degli ormoni maschili che può causare alopecia androgenetica, irsutismo e disturbi mestruali”.
“La PCOS causa dunque importanti effetti sulla salute della donna di tipo estetico, metabolico e riproduttivo. È caratterizzata dall’ingrossamento delle ovaie, dalla presenza di cisti ovariche multiple e da alterazioni endocrinologiche e metaboliche (iperandrogenismo, resistenza all’insulina e conseguente iperinsulinemia)”.
“Data l’eterogeneità delle manifestazioni cliniche e le molteplici comorbilità spesso già presenti al momento della diagnosi di PCOS – aggiunge Vincenzo Toscano, past president dell’Associazione Medici Endocrinologi (AME) – è fondamentale sensibilizzare i medici che potrebbero più facilmente venire a contatto con tali pazienti. I pediatri per primi possono individuare le bambine a maggior rischio di sviluppo di PCOS (per esempio per basso peso alla nascita, pubarca anticipato o prematuro, ipertricosi pre-puberale, obesità infantile) e possono promuovere un adeguato stile di vita, con particolare attenzione alla dieta, all’attività fisica aerobica e al mantenimento di un normale peso corporeo. Altrettanto importanti – continua Toscano – sono medici di base, ginecologi, dermatologi e gli stessi endocrinologi, che devono essere in grado di diagnosticare correttamente la sindrome, escludendo altre patologie interferenti, più rare ma a volte anche più gravi, e intervenire adeguatamente, tenendo conto sia delle richieste della paziente sia del trattamento degli altri aspetti che potrebbero influire sul rischio globale a medio e lungo termine”.
Erba sintetica dei campi sportivi contaminata dai batteri
News Presa, Prevenzione, SportI campi in erba sintetica degli impianti sportivi potrebbero essere l’incubo di tutte le mamme apprensive. Sarebbero, infatti, contaminati dai batteri. Tra Escherichia coli, stafilococchi e carica batterica aerobia totale, i campi di calcio calcetto e tennis artificiali si rivelano focolai di microrganismi potenzialmente dannosi per la salute degli sportivi. L’ipotesi è stata lanciata da Cinzia Randazzo, docente di Microbiologia Agro-alimentare, dell’Università di Catania, in seguito ad uno studio condotto le scorse settimane su impianti sportivi.
“Ci siamo posti l’obiettivo di stimare il grado di contaminazione di campi sportivi in erba artificiale. Le analisi – spiega la professoressa Randazzo – sono state eseguite su svariati punti del manto di campi appartenenti a differenti impianti sportivi, con differenti gradi di usura. I risultati, simili tra i campi, hanno evidenziato una carica microbica totale pari a 10.000 unità formanti colonie (ufc) per cm2, presenza di stafilococchi pari a 1.000 ufc per cm2 e presenza di Escherichia coli pari a 100 ufc per cm2. Tale studio, assolutamente innovativo, rappresenta la prima indagine sullo stato di contaminazione dei campi in erba, apre nuovi scenari e pone nuovi quesiti”. “Questi risultati – del tutto preliminari – conclude la studiosa – pongono le basi per ulteriori indagini microbiologiche sia per comprendere l’origine della contaminazione e dello sviluppo microbico (acqua impiegata per il lavaggio dei campi, calpestio dei giocatori, gocce di sudore e di sangue disperse per piccole abrasioni, sputi, condizioni climatiche ecc.) sia, soprattutto, per mettere a punto soluzioni efficaci per garantire la qualità igienico-sanitaria degli impianti sportivi a tutela della salute di chi li frequenta, soprattutto giovani e giovanissimi”. Si calcola che in Italia siano oltre duemila i campi in erba sintetica, soprattutto di calcio e calcetto, diffusi in modo unitario sul territorio, con una presenza maggiore nel sud del Paese. Insomma, se lo sport è importantissimo per la salute, meglio non praticarlo sull’erba sintetica.
Aterosclerosi: da Pisa una nuova terapia
News Brevi, News Presa, Ricerca innovazioneL’aterosclerosi è una delle cause principali delle malattie cardiovascolari. Come proteggersi? Una risposta arriva da Pisa: è sufficiente silenziare il “fattore di von Willebrand”, una proteina che rende l’endotelio capace di originare lo stress ossidativo.
Ricercatori del Laboratorio di Medicina Critica Traslazionale (Trancrilab) dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna, dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR e della Fondazione Toscana G. Monasterio hanno infatti individuato una nuova terapia che permetterebbe di proteggere dalle conseguenze dell’aterosclerosi non solo il cuore, ma anche altri organi.
Lo studio ha evidenziato come la nuova strategia renda possibile proteggere gli organi dalla disfunzione endoteliale, primo stadio verso l’aterosclerosi. Questa disfunzione, infatti, si caratterizza non solo per un aumento dello stress ossidativo e dell’attività pro-coagulante, ma anche per un’aumentata produzione di un potente vasocostrittore come l’endotelina-1 e per la riduzione della biodisponibilità di un gas vasodilatatore come l’ossido nitrico. Se si trovasse una soluzione per diminuire le fonti endogene di stress ossidativo, si potrebbe aprire una nuova strada alla prevenzione dell’insorgenza dell’aterosclerosi in tutta la popolazione.
Il fattore di “von Willebrand” è essenziale nel determinare l’attivazione della NADPH ossidasi, principale sorgente endogena di anione superossido, per il quale non sono stati ancora trovati efficaci inibitori farmacologici. La conoscenza di questo meccanismo ha permesso di porre le basi per una terapia genica, dosabile come un farmaco, per prevenire i danni agli organi.
Articolazioni del ginocchio riparate con cellule del naso
News Presa, Ricerca innovazione, SportLe articolazioni danneggiate di un ginocchio si possono riparare usando il naso. Per l’esattezza: utilizzando le cellule cartilaginee del setto nasale. A mettere a punto questa nuova strategia, dimostrando che funziona, è stato un gruppo di ricercatori dell’Università di Basilea, in Svizzera. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Lancet. La procedura consiste nel prelevare, tramite biopsia, minuscoli campioni di cartilagine dal setto nasale dei pazienti. Questi campioni vengono poi trattati in laboratorio con un fattore di crescita che stimola le cellule della cartilagine a moltiplicarsi e crescere. Circa un mese dopo si ha a disposizione abbastanza cartilagine sana per poterla utilizzare, modella e impiantare nel ginocchio dei pazienti andando così a sostituire la cartilagine danneggiata. La procedura è stata testata su 10 pazienti con lesioni gravi alle articolazioni delle ginocchia, otto uomini e due donne con un’età compresa tra i 19 e i 52 anni. Di questi, dopo due anni, nove hanno mostrato miglioramenti significativi nel movimento e, in generale, nella qualita’ della vita. Il paziente rimanente è stato alla fine escluso a causa di ulteriori lesioni subite mentre faceva sport. L’età non ha influenzato i risultati. Questo significa che può essere utilizzata anche su anziani affetti di osteoartrite, una patologia degenerativa molto diffusa nei soggetti in avant con l’età.
Scarpe alla moda? Sono una minaccia per le vene
News Presa, PrevenzioneTutti i giorni in palestra, tanta attenzione all’alimentazione e cura spasmodica della propria pelle. Poi, arrivate alla prova dello specchio, tutto è rovinato a causa di una vena varicosa. Per molte donne un vero e proprio incubo. Ne abbiamo parlato con uno dei massi esperti in Italia, il dottor Lanfranco Scaramuzzino, ed è proprio lui a suggerire qualche prezioso consiglio.
«Oggi – dice – grazie all’avvento degli ultrasuoni è possibile mappare accuratamente il sistema venoso, questo ha reso possibile lo sviluppo di nuove tecniche chirurgiche definite conservative, la scleroterapia ad esempio viene fatta con farmaci meno aggressivi e rischiosi, ma sopratutto è aumentata la possibilità per gli specialisti del settore di confrontarsi e di mettere a punto tecniche sempre più precise e meno invasive».
Il problema è solo estetico o anche funzionale?
«Nelle fasi iniziali solo estetico, ma poi diventa un rischio per la salute perché si può incorrere in complicazioni tipiche di questa malattia come tromboflebiti, ulcere, ipodermite e sindrome post flebitica. Ai primi campanelli d’allarme meglio rivolgersi ad un flebologo».
Lanfranco Scaramuzzino
Si tratta di un problema ereditario?
«Non è dimostrata una precisa ereditarietà ma è senz’altro riconosciuta una familiarità; è molto probabile che in una famiglia in cui la madre sia affetta da vene varicose alcuni dei figli possano presentare una situazione varicosa».
Fattori di rischio?
«Mi spiace dirlo ma la gravidanza è uno dei fattori di rischio principali. Questo perché i cambiamenti ormonali e l’aumento di volume dell’utero possono determinare un significativo aggravamento della malattia. Per questo le pazienti con questo problema devono essere seguite fino al termine della gestazione. Altri fattori di rischio sono l’obesità, la sedentarietà, gli squilibri ormonali, la terapia sostitutiva ormonale in menopausa e una trombofilia familiare».
Cosa determina questa malattia?
«Si tratta di vene dilatate e tortuose nelle quali aumenta la pressione venosa per un malfunzionamento delle valvole che non riescono a trattenere il sangue, di conseguenza invece che andare dal piede verso il cuore tende a refluire in basso».
Quindi basterebbe sostituire le valvole per arrestare la malattia?
In un certo senso si, in realtà molto spesso non sono ammalate o assenti le valvole, ma è la parete della vena che tende a dilatarsi e quindi non permette più il combaciare delle alette delle valvole. L’idea di sostituire le valvole non è nuova, già da molti anni si segue anche questa strada e sono utilizzati al giorno d’oggi anche degli interventi che propongono una ricostruzione delle principali valvole».
Un consiglio per prevenire l’insorgere della malattia?
«Innanzitutto una corretta alimentazione ricca di fibre e vitamina C, e molta attenzione al peso. Bisogna sempre verificare l’appoggio del piede che rappresenta una pompa periferica e la cui efficienza è particolarmente importante per il benessere delle vene; vanno perciò evitate tutte quelle scarpe, molto di moda ora, che non consentono di flettere correttamente il piede. Banditi i tacchi a spillo. La scarpa ideale è il classico mocassino da donna con un tacco di circa 3 – 4 centimetri. Il consiglio migliore è quello di camminare il più possibile».
Cancro, chi ha problemi economici muore prima
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneChi si ammala di cancro e ha problemi economici muore prima. Non è una supposizione bensì una scioccante certezza emersa da uno studio del Pascale e della Sun di Napoli. Lo studio, presentato al congresso dell’Esmo a Copenhagen, è stato condotto mettendo insieme i dati di 16 sperimentazioni cliniche realizzate in Italia tra il 1999 e il 2015, coordinate proprio dall’Istituto dei Tumori di Napoli. Nel complesso, hanno partecipato a queste sperimentazioni 3.670 pazienti affetti da cancro del polmone, della mammella e dell’ovaio. Già all’inizio dello studio è stato constatato che un quarto dei pazienti riportava difficoltà economiche di grado variabile e che queste persone avevano un rischio del 35% in più di avere un peggioramento della propria qualità di vita rispetto a chi non aveva problemi finanziari. Inoltre, in un altro 22% di pazienti, i problemi economici aumentavano durante il trattamento chemioterapico e in queste persone il rischio di morte aumentava del 20% rispetto a chi non riferiva problemi.
«I dati – spiega il dottor Franco Perrone – sono importanti almeno per due ragioni, per la prima volta abbiamo dati che fotografano un paese europeo e sono, purtroppo, coerenti con quanto è stato già segnalato negli Stati Uniti dove però non esiste servizio sanitario nazionale. La dimensione, inoltre, dell’effetto negativo sulla sopravvivenza della tossicità finanziaria è simile alla dimensione dell’effetto benefico di alcuni nuovi farmaci».
Questo cosa significa?
«L’impatto di una “cura” contro la tossicità finanziaria avrebbe un effetto molto rilevante, e ovviamente senza effetti collaterali. In realtà ci aspettavamo che i pazienti con problemi economici avessero un peggioramento della qualità di vita più in generale, perché è intuitivo che questi due concetti siano collegati. Ci ha sorpreso, invece, trovare che il rischio di morte aumenta per i pazienti che peggiorano i problemi economici durante il trattamento».
Cosa si può fare in termini di governo della sanità?
«Il dibattito in sanità negli ultimi anni si è concentrato sul problema del costo dei farmaci, che aumenta in maniera irragionevole e sottrae risorse rilevanti. I nostri dati sono un campanello d’allarme e spingono a riflettere sul fatto che buona sanità non significa mettere solo farmaci a disposizione dei medici e dei pazienti».
La soluzione è politica?
«Evidentemente. Esiste altro su cui si può e si deve migliorare, all’interno di un sistema pubblico che rappresenta – e i nostri dati lo confermano – una solida base, per soddisfare i bisogni di assistenza degli ammalati di cancro. Inutile dire che le difficoltà economiche dello Stato e i tagli alla sanità non aiutano». Dunque, i soldi non fanno la felicità, ma a quanto pare aiutano a vivere più a lungo.
Ipertensione: è una questione genetica. Lo rivela studio globale
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneDiciassette milioni di italiani soffrono di ipertensione. All’origine ci sarebbe un fattore genetico secondo un nuovo studio globale. Si tratta di un terzo della popolazione coinvolto nel disturbo, uno dei maggiori elementi di rischio per le malattie cardiovascolari e la morte prematura. Si stima che sia responsabile di un carico di malattia globale e mortalità prematura maggiore di qualsiasi altro fattore di rischio, ma solo un paziente iperteso su quattro è adeguatamente curato. Uno dei più estesi studi genetici sulla pressione arteriosa realizzati fino ad oggi che ha interessato 347.000 soggetti ha rivelato che trentuno nuovi geni sono legati alla pressione del sangue. Le scoperte riguardano i cambiamenti del DNA in tre geni che hanno effetti molto più importanti sulla pressione arteriosa nella popolazione rispetto a quanto ipotizzato in passato, suggerendo nuovi bersagli per il trattamento.
La ricerca è stata condotta congiuntamente dalla Queen Mary University di Londra e dall’Università di Cambridge e ha riunito 200 ricercatori provenienti da 15 paesi, compresi diversi centri italiani. Sono stati studiati i genotipi e le cartelle cliniche dei soggetti (sani e con diabete, malattia coronarica e ipertensione) provenienti da tutta Europa, Stati Uniti, Pakistan e Bangladesh, per trovare collegamenti tra il loro patrimonio genetico e la salute cardiovascolare.
La maggior parte delle scoperte sulla pressione arteriosa fino ad ora hanno riguardato varianti genetiche comuni che hanno piccoli effetti su di essa. Lo studio pubblicato su Nature Genetics, invece, ha trovato varianti in tre geni che sembrano essere rari nella popolazione, ma che hanno fino a due volte l’effetto delle precedenti sulla pressione sanguigna.
“Sappiamo già da studi precedenti che la pressione alta è un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari”, ha commentato la professoressa Patricia Munroe della Queen Mary University di Londra, autrice dello studio. “Trovare altre regioni geniche associate alla condizione ci permetterà di mappare e capire i nuovi percorsi biologici attraverso i quali la malattia si sviluppa, e anche mettere in evidenza nuovi potenziali bersagli terapeutici. Questo potrebbe anche rivelare farmaci che sono già esistenti, ma che ora potrebbero essere utilizzati per trattare l’ipertensione”.
Un altro studio complementare, pubblicato sempre su Nature Genetics e condotto da Patricia Munroe e Christopher Newton-Cheh (della Harvard Medical School), ha scoperto 17 nuovi geni coinvolti nella regolazione della pressione sanguigna, che giocano un ruolo nei tessuti oltre a quello svolto dai reni.
“L’ampiezza del nostro studio ci ha permesso di identificare varianti genetiche possedute da meno di una persona su cento, che influenzano la regolazione della pressione sanguigna”, ha dichiarato la dottoressa Joanna Howson dell’Università di Cambridge, autrice dello studio. “Anche se sappiamo da tempo che la pressione arteriosa è un fattore di rischio per la malattia coronarica e l’ictus, il nostro studio ha dimostrato che ci sono fattori di rischio genetici comuni alla base di queste condizioni”.
“Gli studi genetici su larga scala continuano ad espandere il numero di geni che possono contribuire allo sviluppo di malattie cardiache, o fattori di rischio come l’ipertensione”, ha spiegato il professor Jeremy Pearson, vicedirettore medico presso la British Heart Foundation, che ha finanziato la ricerca insieme al National Institute for Health Research (NIHR), ai National Institutes of Health (NIH), al Wellcome Trust e al Medical Research Council.
“Ma finora la maggior parte dei geni scoperti in questi studi hanno, singolarmente, solo effetti molto esigui sul rischio, anche se possono fornire indizi preziosi per nuovi bersagli farmacologici”, continua Pearson. “Questo studio ha portato quasi a 100 il numero di geni implicati nel controllo della pressione sanguigna e ha inoltre identificato tre geni che hanno grandi effetti sulla pressione arteriosa rispetto a quanto trovato in passato”.
Stile di vita sano diminuisce il rischio tumore
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneLo stile di vita influisce sul rischio di sviluppare un tumore, anche quando c’è una predisposizione genetica. Lo ha stabilito una nuova ricerca: chi fa attività fisica, ad esempio, riesce a mitigare il rischio di sviluppare il cancro all’intestino. Questo vale anche per quelle persone – in particolare gli uomini – che hanno un profilo genetico di alto rischio. Lo dimostrano i risultati dello studio realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Institute of Cancer Research di Londra. Lo studio, le cui conclusioni sono state pubblicate sulla rivista Genetics in Medicine, ha permesso di far emergere risultati incoraggianti in merito ai profili di rischio. Ad esempio, gli uomini di 50 anni che hanno un alto rischio genetico di sviluppare il cancro intestinale hanno un rischio del 29 per cento di sviluppare la malattia entro i prossimi 25 anni. Ma vivendo in modo sano questo rischio potrebbe scendere a partire da 13 per cento. ”Questo tipo di tumore – ha spiegato il principale autore della ricerca, Richard Houlston- è tra i più pericolosi e il numero di casi è in costante aumento. Se siamo in grado di identificare le persone che sono a forte rischio, sia attraverso fattori genetici che di stile di vita, possiamo cominciare a dare loro messaggi di salute mirati, volti ad aiutarli a fare scelte che potrebbero impedire l’insorgere della malattia”.