Tempo di lettura: 2 minutiIn Italia quest’anno mezzo milione di persone non ha potuto acquistare i farmaci necessari per difficoltà economiche. È quanto emerge dal 7° Rapporto Donare per curare: Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci, promosso dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus e BFResearch e presentato a Milano.
Farmaci e povertà. I numeri
Nel 2019, 473.000 persone povere non hanno potuto acquistare i farmaci di cui avevano bisogno per ragioni economiche. La richiesta di medicinali da parte degli enti assistenziali è cresciuta, in 7 anni (2013-2019) del 28%. Nel 2019, si è raggiunto il picco di richieste, pari a 1.040.607 confezioni di medicinali (+4,8% rispetto al 2018). Servono soprattutto farmaci per il sistema nervoso (18,6%), per il tratto alimentare e metabolico (15,2%), per l’apparato muscolo-scheletrico (14,5%) e per l’apparato respiratorio (10,4%), ma anche presidi medici e integratori alimentari.
Le difficoltà non riguardano solo le persone indigenti: 12.634.000 persone, almeno una volta nel corso dell’anno, hanno limitato – per ragioni economiche – la spesa per visite mediche e accertamenti periodici di controllo preventivo (dentista, mammografia, pap-test ecc…).
I poveri spendono più soldi in farmaci perché fanno meno prevenzione.
Ogni persona spende, in media, 816 euro l’anno per curarsi, mentre i poveri solo 128; tuttavia, le famiglie non povere spendono per i farmaci non coperti dal Servizio Sanitario Nazionale il 42% del proprio budget sanitario, mentre quelle povere il 62,5%. Questo, perché possono investire meno in prevenzione.
Chi ha figli minori ha più difficoltà
Le famiglie povere con figli minorenni sperimentano difficoltà aggiuntive: nel 40,6% dei casi (vs 37,2% delle famiglie povere senza figli), per ragioni economiche, hanno limitato la spesa per visite mediche e accertamenti periodici di controllo preventivo. Le difficoltà sono superiori anche per le famiglie non povere con figli (ha limitato la spesa o rinunciato del tutto il 20,7% di esse) rispetto alle famiglie non povere senza figli (18,3%). Considerando il totale delle famiglie (povere + non povere) ha limitato la spesa o rinunciato del tutto alle cure il 22,9% di quelle con figli, contro il 19,2% di quelle senza.
Spesa per il dentista
Significativa è la spesa delle famiglie povere per il dentista e per i servizi odontoiatrici: solo 2,19 euro al mese, contro 31,16 euro del resto della popolazione. Non è un caso che la cattiva condizione del cavo orale sia diventata un indicatore dello stato di povertà. Le famiglie povere, inoltre, possono spendere solamente 0,79 euro al mese per l’acquisto di articoli sanitari (contro 4,42 euro del resto della popolazione), 1,30 euro per le attrezzature terapeutiche (vs. 12,32), 4,61 euro per i servizi medico ospedalieri (vs. 19,10) e 1,31 euro per i servizi paramedici (vs. 9,35 euro).
Aumenta la quota di spesa totalmente a carico dei cittadini
Contenere la spesa sanitaria, per le famiglie indigenti, è necessario anche a fronte del fatto che la quota totalmente a carico dei cittadini (cioè non coperta dal SSN) è passata, tra il 2016 e il 2018 dal 37,3% al 40,3%. Contestualmente, la quota coperta dal SSN è passata dal 62,7% al 59,7%.
Zia Caterina e il suo desiderio di cambiare il mondo
BambiniA chi la conosce ricorda un po’ il “modello” Patch Adams, anche se il suo stile è decisamente più improntato a Mary Poppins. Zia Caterina è una donna che ha scelto di essere al fianco dei bimbi colpiti da tumore, regalando loro qualcosa che non si può comprare: amore e affetto. La donna è stata accolta a Roma con palloncini colorati, musica e giochi. Un appuntamento importante per lei, doveva comparire in Senato. Zia Caterina a bordo del suo Taxi Milano 25, ha inventato qualcosa di unico: l’ormai celebre Taxi Therapy. Un servizio che ha permesso fino a oggi di accompagnare all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze centinaia di bambini con malattie oncologiche. Tra queste anche Lavinia, di 11 anni, che ha avuto un sarcoma alla testa e che oggi ha raccontato la sua esperienza in Senato. «Durante il secondo ciclo di chemioterapia è apparsa zia Caterina nella mia stanza – spiega – e io sono rimasta senza parole, perché non si incontrano tutti i giorni persone vestite da Mary Poppins pronte a riempirti di affetto ed esaudire i tuoi desideri».
CAMBIARE IL MONDO
Ad accogliere Caterina al Senato, decine di alunni delle scuole elementari e le senatrici Paola Binetti (Udc) e Maria Domenica Castelleone (M5s). Durante il flash mob improvvisato che ha colorato e riempito di musica Piazza Madama, i bambini sono entrati a turno nel taxi di zia Caterina per lasciare doni che verranno consegnati a Natale ai piccoli pazienti che usufruiranno del servizio navetta. Dipinti sul cofano e gli sportelli dell’auto ‘magica’ tanti supereroi: «A ogni supereroe – spiega Caterina – corrisponde un bimbo con la sua storia. Perché bisogna tirare fuori dei poteri straordinari per combattere contro la malattia». Informale e travolgente, con il suo cappello di fiori e i boccoli biondi, zia Caterina ha lanciato il suo messaggio: «Faremo leggi che cambieranno il mondo, ma bisogna partire dalla capacità di donare e donarsi». Sconvolgendo l’etichetta del Senato, ha accettato l’invito a parlare in un contesto istituzionale per portare una richiesta alla politica. «Al Senato – ha detto – chiediamo di fare leggi per permettere ai bambini e alle persone che vivono la malattia di esser messi nelle condizioni di affrontare questo momento difficile nel modo migliore».
Lesioni al volto causate dal cellulare. Lo studio USA
News PresaNon bastavano i potenziali rischi per la salute causati dai raggi, adesso si aggiungono le lesioni provocate al viso a causa delle distrazioni. Lo rileva una ricerca della Rutgers New Jersey Medical School, pubblicata su Jama Otolaryngology, che ha scoperto un picco nel trattamento ai Pronto Soccorso degli Stati Uniti a causa di un uso distratto del cellulare. Si tratta di tagli in viso, lividi e fratture, per fortuna nella maggior parte dei casi lievi. Tuttavia non sono stati inseriti nella ricerca i casi di incidenti stradali gravi in cui sono state riportate lesioni anche al volto. L’ideatore dello studio è stato il dottor Boris Paskhover. Il chirurgo plastico facciale, dopo anni di esperienza nel trattamento di pazienti con problematiche legate al cellulare, ha deciso di indagare quest’aspetto. In particolare, tra coloro che si sono rivolti al dottor Paskhover vi era una donna che si era rotta il naso quando ha lasciato cadere inavvertitamente il cellulare sul viso.
Cellulare e lesioni al volto. Lo studio
Lo studio ha analizzato 20 anni di dati sui Pronto Soccorso di circa 100 ospedali. È stato riscontrato un aumento delle lesioni a causa del cellulare a partire dal 2006, il momento in cui sono stati introdotti i primi smartphone. I ricercatori hanno preso in esame 2.500 pazienti con lesioni alla testa e al collo legate al cellulare dal 1998 al 2017. Tra le lesioni riportate ci sono quelle provocate dal telefono lanciato, in generale nella maggior parte dei casi si tratta di conseguenze a causa di un uso distratto, ad esempio mandando messaggi mentre si cammina, con la conseguenza di inciampare e cadere a faccia in giù sul marciapiede. La maggior parte dei pazienti nello studio non è stata ricoverata in ospedale, ma i ricercatori hanno affermato che il problema dovrebbe essere preso sul serio. Secondo le stime, a livello nazionale, sono state circa 76mila persone ferite durante il lasso di tempo preso in considerazione dallo studio. I casi annuali sono ammontati a meno di 2mila fino al 2006, ma in seguito hanno subito un rapido aumento. Circa il 40 per cento delle problematiche prese in esame riguardavano uomini e donne di un’età compresa tra 13 e 29 anni e molti sono rimasti feriti mentre camminavano, mandavano messaggi o guidavano.
Capelli: tinte e liscianti aumentano rischio tumore al seno. Lo studio Usa
Benessere, Medicina estetica, News PresaLe tinture per capelli o le sostanze liscianti aumenterebbero il rischio di tumore al seno. È quanto emerge da un rapporto del prestigioso ‘National Institute of Environmental Health Sciences’ (‘Istituto nazionale delle scienze ambientali’) che ha rilevato rischi piu’ alti del 9% tra un campione di donne che utilizzava i coloranti permanenti e addirittura del 18% tra chi usava i prodotti per lisciare la chioma. In particolare, un uso frequente di queste sostanze – ogni 5-8 settimane – è stato associato a un incremento dei rischi di cancro della mammella del 31%. Tuttavia i ricercatori invitano ad essere prudenti nell’interpretazione dei risultati, in quanto lo studio ha osservato un ‘legame’ ma non ne ha provato la relazione di causa ed effetto. Come spiegano gli scienziati, ci sono molti fattori che contribuiscono alla formazione dei tumori.
Tinture e liscianti per capelli . Lo studio sui rischi
I dati provengono dall’analisi di 46.709 donne seguite per 8 anni: le volontarie erano parte del cosiddetto ‘Sister study’, in quanto erano tutte sorelle di donne che avevano avuto il tumore. Si tratta quindi di donne con una propensione più alta di sviluppare il cancro del seno, ma, come hanno precisato gli studiosi, i dati sul rischio si applicano alla popolazione generale. Particolarmente colpite sono risultate le donne afro-americane: per loro l’aumento dei rischi legato all’uso di coloranti è stato del 45%.
Ad oggi la Food and drug administration non ha inserito le tinte permanenti per capelli nella lista delle sostanze cancerogene, sostenendo che mancano ancora “prove affidabili”. Lo studio è stato pubblicato sull’ “International Journal of Cancer”. Cosmetica Italia a commento dei risultati dello studio americano mette in guardia dal trarre conclusioni affrettate. Lo studio, sottolinea, è stato sviluppato negli Stati Uniti, dove la legislazione, differente da quella dell’Unione Europea, consente l’utilizzo di sostanze che in Europa non sono permesse. Inoltre ricorda che le colorazioni per capelli sono fra i prodotti più studiati negli ultimi anni e la sicurezza dei prodotti sul mercato UE è stata confermata dalla Commissione europea.
Dna modificato, un esperimento che mette i brividi
News PresaL’intervento sul Dna, l’ingegneria genetica, sta dando alla medicina risultati sino a qualche decennio fa impensabili, c’è però anche un lato “oscuro” di questa tecnica che a volte fa veramente rabbrividire. Il caso che arriva dalla Cina è emblematico, a quanto pare il controverso esperimento del ricercatore Hi Jiankui (convinto di aver fatto nascere due bimbe immuni dall’Hiv grazie alla tecnica Crispr) è fallito. Le bimbe con il Dna modificato non sarebbero immuni, e questo non è neanche l’aspetto peggiore. A rivelarlo alla rivista del Mit sono alcuni esperti che hanno visionato lo studio originale che il ricercatore aveva inviato ad alcune riviste scientifiche.
“FALSO VOLONTARIO”
L’intenzione di Jiankui, che aveva annunciato l’esperimento di “taglia e cuci” sul Dna circa un anno fa ad un congresso scientifico, era di conferire alle bimbe una mutazione genetica che protegge dall’infezione da Hiv. Nel manoscritto, che fu rifiutato da Nature e Jama, il ricercatore afferma nell’abstract di essere riuscito a riprodurre la variante nelle bimbe, e che la tecnica poteva aiutare milioni di persone a rischio di contrarre l’Aids. Dai dati contenuti nello stesso manoscritto, spiega però alla rivista Fyodor Urnov, genetista dell’università di Berkeley, emerge un’altra realtà. «L’affermazione di aver riprodotto la variante è uno sfacciato travisamento della verità – scrive l’esperto -, che può essere descritta solo in un modo: un falso deliberato. Lo studio mostra che il team di ricercatori invece ha fallito nel riprodurre la variante».
MUTAZIONI
L’esperto prosegue dicendo che al posto della variante genetica desiderata i ricercatori «hanno provocato delle altre mutazioni, il cui effetto è sconosciuto». Secondo il manoscritto inoltre, afferma la rivista, i ricercatori non hanno condotto nessun test sulle mutazioni ottenute sugli embrioni per verificarne l’efficacia contro l’Hiv prima di iniziare le gravidanze. I genitori delle gemelline inoltre potrebbero non essere stati informati correttamente sull’esperimento, che non avrebbe ricevuto nessuna approvazione da comitati etici. Una storia che fa venire i brividi e porta alla mente scenari apocalittici di film holliwoodiani quali Io sono leggenda o World War Z. Ma quelli, appunto, sono solo dei film. Questa è vita reale.
Povertà: mezzo milione di italiani non ha potuto acquistare i farmaci nel 2019
FarmaceuticaIn Italia quest’anno mezzo milione di persone non ha potuto acquistare i farmaci necessari per difficoltà economiche. È quanto emerge dal 7° Rapporto Donare per curare: Povertà Sanitaria e Donazione Farmaci, promosso dalla Fondazione Banco Farmaceutico onlus e BFResearch e presentato a Milano.
Farmaci e povertà. I numeri
Nel 2019, 473.000 persone povere non hanno potuto acquistare i farmaci di cui avevano bisogno per ragioni economiche. La richiesta di medicinali da parte degli enti assistenziali è cresciuta, in 7 anni (2013-2019) del 28%. Nel 2019, si è raggiunto il picco di richieste, pari a 1.040.607 confezioni di medicinali (+4,8% rispetto al 2018). Servono soprattutto farmaci per il sistema nervoso (18,6%), per il tratto alimentare e metabolico (15,2%), per l’apparato muscolo-scheletrico (14,5%) e per l’apparato respiratorio (10,4%), ma anche presidi medici e integratori alimentari.
Le difficoltà non riguardano solo le persone indigenti: 12.634.000 persone, almeno una volta nel corso dell’anno, hanno limitato – per ragioni economiche – la spesa per visite mediche e accertamenti periodici di controllo preventivo (dentista, mammografia, pap-test ecc…).
I poveri spendono più soldi in farmaci perché fanno meno prevenzione.
Ogni persona spende, in media, 816 euro l’anno per curarsi, mentre i poveri solo 128; tuttavia, le famiglie non povere spendono per i farmaci non coperti dal Servizio Sanitario Nazionale il 42% del proprio budget sanitario, mentre quelle povere il 62,5%. Questo, perché possono investire meno in prevenzione.
Chi ha figli minori ha più difficoltà
Le famiglie povere con figli minorenni sperimentano difficoltà aggiuntive: nel 40,6% dei casi (vs 37,2% delle famiglie povere senza figli), per ragioni economiche, hanno limitato la spesa per visite mediche e accertamenti periodici di controllo preventivo. Le difficoltà sono superiori anche per le famiglie non povere con figli (ha limitato la spesa o rinunciato del tutto il 20,7% di esse) rispetto alle famiglie non povere senza figli (18,3%). Considerando il totale delle famiglie (povere + non povere) ha limitato la spesa o rinunciato del tutto alle cure il 22,9% di quelle con figli, contro il 19,2% di quelle senza.
Spesa per il dentista
Significativa è la spesa delle famiglie povere per il dentista e per i servizi odontoiatrici: solo 2,19 euro al mese, contro 31,16 euro del resto della popolazione. Non è un caso che la cattiva condizione del cavo orale sia diventata un indicatore dello stato di povertà. Le famiglie povere, inoltre, possono spendere solamente 0,79 euro al mese per l’acquisto di articoli sanitari (contro 4,42 euro del resto della popolazione), 1,30 euro per le attrezzature terapeutiche (vs. 12,32), 4,61 euro per i servizi medico ospedalieri (vs. 19,10) e 1,31 euro per i servizi paramedici (vs. 9,35 euro).
Aumenta la quota di spesa totalmente a carico dei cittadini
Contenere la spesa sanitaria, per le famiglie indigenti, è necessario anche a fronte del fatto che la quota totalmente a carico dei cittadini (cioè non coperta dal SSN) è passata, tra il 2016 e il 2018 dal 37,3% al 40,3%. Contestualmente, la quota coperta dal SSN è passata dal 62,7% al 59,7%.
Emofilia, addio infusioni grazie alla terapia genica
Ricerca innovazioneUna terapia genica per cambiare la vita di chi è affetto da emofilia A. Non si tratta solo di un annuncio, in Italia infatti è stata già trattata la prima paziente. E i risultati sono straordinari. La donna, affetta da questa grave forma di emofilia, è stata trattata nei primi giorni di novembre. Oggi, dopo quasi 4 settimane dall’infusione, è in buone condizioni e sta conducendo la sua vita regolarmente. La terapia, infatti, gli permetterà di evitare per diversi anni le frequenti infusioni cui era stato costretto finora, e di avere una coagulazione del sangue uguale a quella di chiunque altro.
COAGULAZIONE
L’emofilia A è una malattia genetica rara che colpisce 5mila persone in Italia e consiste in un difetto nel sangue che ne impedisce la coagulazione. I pazienti colpiti vanno incontro a episodi di sanguinamento, spontanei o causati da traumi anche banali, che finora si prevenivano con l’infusione anche 3 volte a settimana dei fattori necessari alla coagulazione che da solo non riesce a produrre (ricavati dal plasma di un donatore oppure sintetizzati in laboratorio).
RISCRIVERE IL DNA
La terapia genica, usando dei virus resi innocui come trasportatori di Dna, può “correggere” un difetto genetico. È stata già impiegata per trattare pochissime altre patologie (come la Ada-Scid o malattia dei “bambini in bolla”) e ora per la prima volta in Italia sull’emofilia. Il primo paziente, spiega Flora Peyvandi, responsabile dello studio clinico, «è stato trattato a inizio novembre, e oggi dopo quasi 4 settimane dall’infusione è in buone condizioni e sta conducendo la sua vita regolarmente, senza alcun particolare problema». I risultati «dei nostri studi clinici – aggiunge Silvano Bosari, direttore scientifico del Policlinico – hanno dimostrato che una singola infusione di questa terapia può consentire a un paziente con emofilia grave di poter raggiungere livelli di fattore VIII o fattore IX quasi nella norma per lunghi periodi di tempo, anche per alcuni anni». Una terapia che promette di cambiare la vita di migliaia di persone, costrette ad oggi a sottoporsi a continue trasfusioni.
Adolescenti: “Insonnia Social”. La nuova indagine
Adolescenti, News Presa, PediatriaSi entra in possesso di uno smartphone e di un profilo social in età sempre più precoce. Diminuisce l’attenzione ai sistemi di protezione. Aumentano i casi di cyberbullismo. Diminuisce la già scarsa propensione alla lettura. Un ragazzo su quattro non fa alcuna attività sportiva. Gli adolescenti non dormono abbastanza: vanno a letto tardi e restano “connessi” anche di notte. Qualche segnale positivo arriva solo dai dati sul consumo di alcol: aumenta infatti l’età del primo contatto (in ambiente familiare) con una bevanda alcolica e cresce la percentuale di chi non beve, ma non diminuiscono le “ubriacature” in gruppo. Dal lato della prevenzione: meno della metà frequenta il medico per controlli sistematici, ma ci va solo in caso di necessità. È questa la fotografia degli “appena teenagers” che emerge dall’indagine “Adolescenti e Stili di Vita” realizzata da Laboratorio Adolescenza e Istituto di Ricerca IARD.
L’indagine
L’indagine è stata presentata a Milano e realizzata con la collaborazione della Associazione Culturale Pediatri (ACP) e l’Osservatorio Permanente Giovani ed Alcol. L’indagine – curata da Carlo Buzzi, ordinario di Sociologia dell’Università di Trento, referente dell’area sociologica di Laboratorio Adolescenza e membro del Comitato Scientifico di Istituto IARD – e Maurizio Tucci, Presidente di Laboratorio Adolescenza – si è svolta tra i mesi di novembre 2018 e maggio 2019 su un campione nazionale rappresentativo di 2019 studenti (1027 maschi e 992 femmine) frequentanti la classe terza media inferiore (fascia d’età 13-14 anni). I confronti riportati sono con una analoga indagine svolta nel 2017.
“La ricerca sugli adolescenti italiani – evidenzia Paolo Paroni, Presidente di Rete ITER-Istituto IARD – è una cosa unica e che consente di mettere a fuoco meglio i processi di transizione verso il mondo giovanile e adulto. La collaborazione tra Laboratorio Adolescenza e IARD consente di continuare e sviluppare sempre di più questo lavoro di osservazione e conoscenza. La ricerca mette in luce che se da un lato stili di vita e comportamenti attribuibili all’adolescenza proseguono spesso fino oltre i trent’anni d’età, sull’altro versante assistiamo ad una progressiva anticipazione di questi comportamenti, per cui l’osservazione e le conseguente attenzione sociale, educative e istituzionale, devono tener conto di questi mutamenti”.
Adolescenti e stile di vita. I numeri
Mondo “social”: sempre prima e sempre di più. Circa il 60% ha il suo primo cellulare tra i 10 e gli 11 anni, ma oltre il 28% lo ha avuto in regalo prima dei dieci anni. Solo una esigua minoranza ne entra in possesso dopo i 12 anni.
E non va molto meglio – senza preoccuparsi troppo delle età minime di accesso consentite – con i social: il 54% inizia la sua vita in rete tra gli 11 e i 12, e il 12% prima dei 10 anni.
Confrontando i dati con quelli relativi all’edizione 2017 della medesima indagine si evidenzia – a dispetto degli inutili fiumi di raccomandazioni degli “esperti” – una continua precocizzazione del fenomeno (vedi tabelle 1 e 2), così come è in aumento anche la percentuale dei giovanissimi che non utilizza alcuno strumento di protezione del proprio profilo (11% al 15%) messo a disposizione dal “social”.
A questo si aggiunge che, quanto l’accesso ad un social prevede un’età minima (che loro non hanno) per accedervi, non rinunciano, ma il 47% indica l’età minima per poter accedere, il 20% un’età a caso e il 23% di essere comunque maggiorenne, perché (spiegano i ragazzi nei focus group realizzati a corredo dell’indagine) “così non ti prendono per un bambino”. “Un pericoloso esordio in età pressoché infantile – afferma Maurizio Tucci, Presidente di Laboratorio Adolescenza – quando non si ha assolutamente la necessaria maturità psicologica per poter utilizzare strumenti di comunicazione così potenti e insidiosi anche ad età ben più mature. Ma al di là dei pericoli più visibili – la deriva del cyberbullismo è il più evidente – la permanenza H24 nell’agone della piazza virtuale contribuisce ad aumentare la fragilità di una generazione di adolescenti costantemente in ansia da prestazione. Come se non bastasse sentirsi in competizione in ogni contesto in cui agiscono (dalla scuola, allo sport, a qualunque altra attività svolgano), l’essere costantemente “in vetrina” e psicologicamente dipendenti dal giudizio degli altri manifestato attraverso like e follower li rende insicuri al punto di modificare, probabilmente anche inconsapevolmente, il modo di comunicare tra di loro. Un esempio di questo – prosegue Maurizio Tucci – ci è dato anche dall’uso apparentemente bizzarro della comunicazione orale attraverso lo smarthphone. Tra di loro mai una telefonata vera, ma solo successioni lunghissime di messaggi vocali (a volte anche di contenuto drammatico) che evidentemente li tranquillizzano, perché non costringono a far fronte ad un contraddittorio in tempo reale”.
Circa i social (e gli strumenti di messaggistica) più utilizzati, si conferma il progressivo calo di Facebook e l’incremento di Instagram. Parabola discendente per Ask Fm, mentre è in crescita Snap Chat. Diventa consistente l’utilizzo di Telegram e This Crush (quasi inesistenti nel 2016), mentre non abbiamo rilevato il dato su TikTok, esploso recentissimamente. WhatsApp è praticamente “incorporato” in tutti gli adolescenti.
Sana Alimentazione Italiana: le nuove linee guida presentate oggi
News PresaSono state pubblicate le nuove Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana, a 15 anni dalla edizione precedente. La prima pubblicazione fu nel 1986. Il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea) le ha presentate oggi a Roma e sono le uniche linee guida al mondo con una prefazione FAO – OMS.
L’obiettivo principale delle nuove indicazioni per una sana alimentazione è la prevenzione dell’obesità. Infatti, nella storia del nostro Paese si è passati dalla sottonutrizione di un terzo della popolazione negli anni Trenta al sovrappeso che oggi riguarda quasi il 60% degli italiani, con il 21% di obesi. A peggiorare la situazione c’è la sedentarietà. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità stima infatti che circa il 41% degli europei non svolge nessuna attività fisica nell’arco della settimana, con un conseguente aumento del rischio di malattie croniche.
Linee Guida per una Sana Alimentazione Italiana
Si tratta di 13 direttive, 13 indicazioni contenute in un corposo dossier scientifico. La principale premessa è che nessun alimento dovrebbe essere escluso da una dieta corretta. La dieta mediterranea infatti è completa e varia. In altre parole, non ci sono alimenti buoni e cattivi, l’importante è variare e introdurre le giuste quantità. L’alimentazione deve essere gratificazione, spiegano gli esperti, che bocciano le diete punitive e fallimentari.
Queste nuove direttive rappresentano per l’Italia le uniche indicazioni istituzionali per una alimentazione equilibrata dirette alla popolazione sana, redatte periodicamente dal CREA Alimenti e Nutrizione (oltre un decennio fa era chiamato Istituto Nazionale della Nutrizione e poi INRAN).
Marcello Ticca, (nutrizionista, già INRAN e Presidente della Commissione di Revisione delle Linee Guida) durante l’evento ha ripercorso la storia delle Linee Guida in Italia e ha spiegato come si è arrivati all’ultima revisione 2018, che segue di 15 anni la precedente, mentre Andrea Ghiselli (dirigente di ricerca CREA Alimenti e Nutrizione e Presidente della Commissione di Revisione delle Linee Guida ) e Laura Rossi ( ricercatore CREA Alimenti e Nutrizione e Coordinatore Generale della Commissione di revisione delle Linee Guida) hanno illustrato il lavoro svolto in questa Edizione.
Cancro al fegato, in Campania 5 morti al giorno
News PresaIn Campania si muore ancora troppo a causa di malattie del fegato che potrebbero avere sorti decisamente differenti. Si parla di cirrosi epatica e tumore del fegato, che nella nostra regione contano ancora più di 1.800 decessi l’anno. In particolare, solo per tumore al fegato muoiono in Campania 5 persone ogni giorno. Per fronteggiare questa emergenza si è costituita in Campania una “task force”: medici specialisti, istituzioni ed associazioni di pazienti collaborano ai tavoli tecnici regionali garantendo programmazione, il costante monitoraggio delle esigenze assistenziali nei “contesti reali” ed uno scrupoloso rispetto dei percorsi diagnostico-terapeutico -assistenziali. Il lavoro da fare è enorme, bisogna implementare gli screening e le coperture economiche, mettere un argine alla migrazione sanitaria, far emergere il sommerso e continuare il lavoro di squadra tra specialisti, associazioni di pazienti e istituzioni. Molto di tutto ciò è stato avviato e poi c’è l’ottimo esempio dell’asl Napoli 1 centro che ha creato una “scuola” per familiari di pazienti affetti da malattie al fegato.
IL NETWORK
Il punto sul problema è stato fatto nel corso della prima giornata del corso di aggiornamento che si sta svolgendo al centro congressi della Federico II in via Partenope “Epatologia nel terzo millennio”, promosso dall’ospedale evangelico Betania e coordinato dal dottor Ernesto Claar, responsabile dell’unità operativa di Epatologia della struttura e espressione del network epatologico dell’Asl Na 1 centro. «Ancora una volta – dice Claar – abbiamo dimostrato che fare rete è essenziale, in termini di risultati ottenuti, proposte e coinvolgimento delle realtà coinvolte. Siamo la prima regione in Italia in termini di terapia erogate/popolazione per la cura dell’epatite C. Abbiamo creato una rete efficiente ed efficace per la cura dell’epatocarcinoma attraverso un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale regolato dalla Rete Oncologica Campana, stiamo riuscendo a creare una organizzazione per i trapianti di fegato sempre più valida, incrementando la fiducia dei cittadini e riducendo la migrazione sanitaria».
IL DIBATTITO
A salutare i partecipanti tra gli altri Ciro Verdoliva direttore generale della Asl Napoli 1 centro, Ugo Trama dirigente politica farmaco e dispositivi della Regione Campania, Antonio Corcione responsabile del Centro regionale trapianti che ha puntato sui dati importanti diffusi e ottenuti grazie alla sinergia tra gli specialisti e le istituzioni, seguito da Cordelia Vitiello presidente della Fondazione evangelica Betania e da Luciano Cirica direttore generale dell’ospedale evangelico Betania che ha sottolineato quanto «nella politica di bilancio del governo per la sanità ci sia sempre una differente ripartizione dei fondi e vengano penalizzate regioni come la Campania più esposte a rischio povertà. In Campania abbiamo 200 euro pro capite in meno rispetto alla Lombardia. Ciò va contro i principi legge che devono garantire equità nelle spese mediche. Bisognerebbe seguire, tra i parametri distributivi delle risorse, gli indici di deprivazione socioeconomica». In sala l’onorevole Michela Rostan, vice presidente della Commissione Affari sociali della Camera che ha puntato sull’importanza sociale della cura del malato e su come intervenire anche sul sommerso: «Favorendo screening e mettendo a disposizione risorse economiche si favorirà sicuramente l’eradicazione di malattie come l’epatite C. Se un paziente è individuato (magari coinvolgendo chi opera in carceri, comunità di recupero, medici di base) e curato bene, si ottiene un risparmio economico e ciò è un valore importante per l’intera comunità». E un’iniziativa rilevante dal punto di vista medico ma soprattutto sociale è quella portata avanti dall’Asl Napoli 1 centro, come ha messo in luce Rosa Ruggiero, coordinatore network epatologico Asl Napoli 1 «Abbiamo dato vita alla prima scuola per caregiver riservata ai parenti di pazienti epatopatici che volontariamente hanno aderito. Già abbiamo formato una classe: i familiari dei pazienti sanno come agire e comportarsi per rispondere ai bisogni dei loro cari ammalati. Immaginiamo altre scuole per caregiver per i familiari di chi è affetto da patologie croniche». Coinvolte attivamente le associazioni dei pazienti EpaC (presente il presidente nazionale Ivan Gardini) ed Aitf. Presentati poi dall’infettivologo Vincenzo Messina (responsabile centro prescrittore Aorn Caserta) i dati sul “modello Caserta” in pratica la sinergia tra centro prescrittore, serd e carceri per favorire l’accesso alla terapia di fasce fragili e normalmente lontane dalla diagnosi e cura dell’epatite C.
GIORNATA CONCLUSIVA
Proprio oggi si è tenuto focus su alimentazione durante e dopo la terapia antivirale per HCV, rivolto ai pazienti e ai curiosi. I gastroenterologi Nicola Caporaso, presidente della Fondazione Italiana per la Ricerca in Epatologia Onlus (Fire) e Ernesto Claar, la nutrizionista Federica Claar e lo chef stellato Paolo Gramaglia hanno risposto alle domande dei pazienti e dei loro familiari. Uso del sale, come friggere in modo sano, come trattare i legumi e ottenere una complementazione proteica, come fare un piatto buono con pochi grassi e preservare le proprietà nutritive degli alimenti facendo attenzione ai metodi di cottura, sono solo alcuni degli argomenti dei quali si è parlato.
Trucchi per il viso, il rischio dei superbatteri
News PresaSono i trucchi per il viso gli strumenti più pericolosi da usare. Non si tratta di una bufala, bensì di una realtà alla quale sarebbe bene prestare attenzione. La maggior parte dei prodotti da trucco, si pensi a mascara, spugnette e lucidalabbra sono contaminati da super-batteri potenzialmente letali, come gli escherichia coli e gli stafilicocchi. La maggior parte di lquesti prodotti, infatti, non viene pulita e viene usata ben oltre la data di scadenza. Questa scarsa cura porta a renderli covi ideali per i batteri. A dirlo è una ricerca dell’Aston University pubblicata sul Journal of Applied Microbiology. Nello studio, condotto nel Regno Unito, è emerso che nove prodotti su dieci avevano batteri in grado di causare malattie che vanno dalle infezioni della pelle a quelle del sangue, se usati vicino ad occhi, bocca o tagli ed escoriazioni. Questo rischio è maggiore per le persone immunocompromesse che hanno maggiori probabilità di contrarre infezioni batteriche.
ATTENTI AI TAROCCHI
Le spugnette per il trucco hanno riscontrato i più alti livelli di batteri potenzialmente dannosi, con la stragrande maggioranza (il 93%) che non è mai stata pulita, nonostante oltre i due terzi, il 64%, siano cadute sul pavimento durante l’uso. Oltre alla conservazione e al mantenimento da parte dei consumatori, i ricercatori pongono l’obiettivo sulle produzioni. Per gli studiosi le linee guida dell’Unione europea impongono ai marchi di make-up rigorosi standard igienici. Con la Brexit, proseguono, i consumatori del Regno Unito potrebbero essere ancora più a rischio in quanto non saranno più protetti dalle normative dell’Ue e potrebbero ritrovarsi ad acquistare più prodotti di bellezza dagli Stati Uniti, dove non ci sono requisiti normativi simili agli standard europei.
EFFETTI INDESIDERATI
È bene ricordare che i prodotti cosmetici devono essere sempre applicati sulla pelle sana, mai in caso di irritazioni o tagli, perché non hanno funzioni curative. L’uso quotidiano e ripetuto dei cosmetici, anche se con tutte le precauzioni indicate sull’etichetta, in alcuni soggetti predisposti può dare molti problemi ed effetti indesiderati. Specialmente nella zona di pelle che viene in contatto diretto con il prodotto, si possono verificare creare macchie, punti neri (comedoni), arrossamenti (eritemi), dermatiti da contatto sia di tipo irritativo che allergico, reazioni allergiche e orticaria. Se il cosmetico non viene usato nel modo giusto, come può succedere, ad esempio, utilizzando prodotti non adatti sulle mucose o sugli occhi oppure ingerendoli involontariamente, possono verificarsi danni anche gravi. Attenti sempre all’etichetta e, questo vale a prescindere, usate sempre il buon senso.