Tempo di lettura: 3 minutiMarzo è (o visto il momento storico sarebbe più opportuno dire «dovrebbe essere») il mese dedicato al mieloma multiplo. Molto attiva nel rispondere alle esigenze dei pazienti e delle famiglie che lottano contro questa malattia è l’Associazione italiana leucemie. «Ail si occupa di sostegno alla ricerca e di sviluppo di attività si aiuto per i pazienti affetti da tumore del sangue e per i loro familiari», spiega il presidente Sergio Amadori, onorario di Ematologia all’Università Tor Vergata di Roma. «Il mieloma è una patologia che ha fatto registrare negli ultimi anni grandissimi progressi – aggiunge Amadori – oggi ci sono molti farmaci di precisione dei quali i pazienti possono beneficiare. È importante continuare con un’opera di sensibilizzazione per far capire a tutti che, sostenendo la ricerca scientifica, si possono raggiungere risultati terapeutici insperati dieci anni fa. Noi lo facciamo con una serie di iniziative anche dedicate esclusivamente al mieloma».
Da oltre 50 anni infatti Ail è al fianco dei malati contro i tumori del sangue, i linfomi e il mieloma con l’obiettivo di sostenere la ricerca e l’assistenza, sensibilizzare l’opinione pubblica e, per la prima volta dopo 26 anni, vista l’emergenza coronavirus, non potrà scendere in piazza con le sue uova di Pasqua. Ma è chiaro quanto sia importante in questo momento non esporsi, soprattutto per proteggere i più fragili.
Al di là delle tante attività messe in campo dall’Ail, rimane centrale la necessità di diffondere maggiore consapevolezza e attenzione sulla malattia e le opzioni terapeutiche disponibili. Si parla di un tumore del midollo osseo che rappresenta il dieci per cento, circa, di tutte le neoplasie del sangue e l’1 per cento di tutti i tumori in assoluto. A spiegarlo è Pellegrino Musto, presidente della Società italiana di ematologia sperimentale e direttore della ematologia del Policlinico di Bari. «Questa patologia – dice il professore universitario – colpisce prevalentemente gli anziani, l’età media è di circa settant’anni. Non sono rari, tuttavia, i pazienti più giovani». Dal punto di vista strettamente clinico, il mieloma ha sintomi abbastanza peculiari. Musto spiega che si associa ad anemia e dolori alle ossa, soprattutto alla colonna vertebrale, dove la malattia si localizza in più sedi (da qui il termine «multiplo»). Può verificarsi, inoltre, un coinvolgimento del rene, un aumento del calcio nel sangue e portare a una particolare suscettibilità alle infezioni.
Visto al microscopio, «il mieloma multiplo presenta una proliferazione nel midollo osseo di quelle che chiamiamo “plasmacellule”, deputate alla produzione degli anticorpi, ma in una forma cosiddetta “monoclonale”». Semplificando, si tratta di cellule che sono tutte dello stesso tipo e che producono una singola proteina anticorpale, detta appunto componente monoclonale, che si può identificare facilmente con un semplice esame del sangue. «Può capitare – sottolinea Musto – che vi sia una componente monoclonale nel sangue, ma che non ci siano i segni clinici della malattia. Questi casi non vanno trattati, ma necessitano di controlli periodici con cui si possono intercettare precocemente eventuali evoluzioni di tipo neoplastico, che potrebbero, tuttavia, anche non esserci mai».
Negli ultimi 10 anni il mieloma multiplo ha visto l’arrivo di moltissimi nuovi farmaci che si sono mostrati efficaci. «Si pensi che fino a non molti anni fa si arrivava in media a tre anni di sopravvivenza, oggi parliamo di almeno 7-8 anni. Ma dati recenti suggeriscono che c’è anche una quota del 5-10 per cento di pazienti che potremmo considerare guariti». L’orientamento degli specialisti è quello di procedere per i pazienti anziani con terapie continuative, che tendono a cronicizzare, per quanto possibile, la malattia. Nei più giovani si opta di norma per trattamenti più intensivi, che comprendono il trapianto autologo di cellule staminali e che comunque oggi prevedono una terapia di mantenimento. «L’obiettivo – conclude Musto – è di arrivare alla malattia minima residua negativa», una condizione in cui è quasi impossibile identificare quel che resta del tumore.
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione
#NoiCiSiamo, Sanofi scende in campo per l’Italia
FarmaceuticaDieci tonnellate a settimana di gel disinfettante per le mani, una quantità importante che verrà prodotta in uno dei laboratori Sanofi e che sarà donata al Comitato Generale di Crisi dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile per tutta la durata dell’emergenza Covid. E’ solo una piccola parte dell’iniziativa #NoiCiSiamo che l’azienda ha messo in campo su più e che si propone di garantire la continuità terapeutica per i pazienti, grazie alla produzione e alla fornitura di farmaci essenziali, e al contempo la sicurezza dei propri collaboratori. In una delle più imponenti operazioni di solidarietà mai realizzata, tutti gli stabilimenti italiani di Sanofi si sono attivati per supportare le comunità locali, donando mascherine FFP3 alla Protezione Civile per l’Ospedale de L’Aquila e tute DPI di III categoria a favore della Protezione Civile della Regione Abruzzo e molto altro. Hubert De Ruty, presidente e amministratore delegato di Sanofi Italia, parla di un’operazione che raccoglie iniziative concrete a sostegno dell’enorme emergenza sanitaria e sociale che l’Italia sta attraversando in queste giornate drammatiche. «Siamo in costante contatto con Farmindustria e con tutto il comparto farmaceutico- spiega – sono orgoglioso del lavoro che tutte le persone di Sanofi Italia stanno facendo con grande senso di responsabilità».
LA RICERCA DI UN VACCINO
Ciò che trapela di questa grande azione a sostegno della comunità è anche l’impegno in favore della ricerca di un vaccino. Sanofi ha infatti una divisione vaccini e una grande esperienza acquisita in occasione dell’epidemia di SARS. Ecco perché oggi Sanofi tra lavorando per accelerare lo sviluppo di un vaccino per COVID-19, in collaborazione con la Biomedical Advanced Research and Development Authority (BARDA) che è parte del Dipartimento di salute e servizi umani degli Stati Uniti. Inoltre Sanofi, in collaborazione con Regeneron, ha avviato un programma di sviluppo clinico per valutare l’anticorpo monoclonale sarilumab (attualmente indicato per l’artrite reumatoide) nei pazienti ospedalizzati con infezioni gravi da COVID-19. Questa sperimentazione coinvolgerà anche centri e pazienti in Italia.
UN’ORA PER L’ITALIA
C’è poi una donazione molto speciale che sta facendo parlare e che commuove. I dipendenti di Sanofi in Italia che hanno aderito all’iniziativa #NoiCiSiamo hanno devoluto un’ora o più del proprio lavoro su base volontaria. L’azienda ha poi raddoppiato l’importo donato dai colleghi e lo ha moltiplicato fino a raggiungere la somma di 600mila euro a supporto della Protezione Civile per la gestione dell’emergenza. E c’è l’ok dal management a donare 200mila confezioni di trattamento a base di idrossiclorochina al Sistema Sanitario Nazionale, per le strutture italiane che ne faranno richiesta per trattare i pazienti con complicanze da COVID-19. Sebbene, a oggi, non vi siano dati clinici sufficienti per stabilire con certezza l’efficacia clinica e la sicurezza dell’idrossiclorochina nel trattamento delle infezioni da COVID-19, in Italia molti team di clinici stanno prevedendo temporaneamente questo utilizzo. La donazione complessiva a favore della Protezione Civile e del Sistema Sanitario Nazionale ammonta ad un valore di oltre 2 milioni di euro.
MALATI RARI
#NoiCiSiamo significa anche prendersi cura dei malati rari. Ecco perché l’azienda si è resa disponibile ad estendere anche alle regioni in cui non è ancora attivo il servizio d’infusione domiciliare per le proprie terapie enzimatiche sostitutive per le malattie rare da accumulo lisosomiale. È un servizio che l’azienda offre da diversi anni a qualunque struttura ne faccia richiesta, senza costi per il paziente e per il Sistema Sanitario Nazionale. Un supporto per chi vive con una malattia rara, oggi ancora più prezioso.
Ascensori, pc e telefonini: quei contatti pericolosi
News Presa, Prevenzione«Teniamoci distanti oggi per abbracciarci più forte domani». L’appello partito dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, viene rilanciato da ogni ospedale d’Italia. Ma quali consigli si possono dare a chi lavora in un momento così difficile? Prima di tutti si sono mossi intuendo la portata del problema, quando ancora la parola pandemia era un tabù, i medici del lavoro. Lo spiega la presidente della Società italiana di medicina del lavoro e professore ordinario all’Università di Messina Giovanna Spatari: «Abbiamo colto i segnali e ci siamo attrezzati. Ma il problema principale è stato che le persone non erano pronte: non avevano consapevolezza del problema. Il nostro impegno è stato anche quello di far capire che le precauzioni sanitarie, finalizzate a contenere la circolazione del virus, non potevano valere solo per gli ambiti lavorativi, ma dovevano essere utilizzate anche nei contesti familiari».
Un messaggio difficile da far passare, quando ancora il pericolo del virus sembrava lontano. Così chi rispettava le distanze a lavoro, poi si ritrovava in ambienti pubblici o privati affollati. Ma, spiega Spatari, non è tardi, «ora più che mai siamo chiamati a un’enorme responsabilità. Ciascuno deve fare la sua parte». Per le aziende questo significa «agevolare l’applicazione delle norme che sono state poste a tutela della sanità pubblica. Si pensi allo smart-working, dove possibile, al rispetto delle distanze delle postazioni di lavoro, alla sanificazione dei locali e così via». Proprio in questo contesto il ruolo del medico del lavoro è centrale, da svolgere in sinergia con tutte le altre figure deputate alla prevenzione del rischio.
Più nel dettaglio, Andrea Magrini (ordinario di medicina del lavoro all’Università Tor Vergata di Roma) ricorda che la trasmissione del virus avviene tramite le goccioline di saliva, che possono investirci direttamente o che possono contagiare attraverso il contatto con superfici infette. «Questo secondo aspetto – dice Magrini – è molto sottovalutato. Non possiamo azzerare il rischio, ma possiamo ridurlo di molto». Ecco perché il consiglio è di «disinfettare accuratamente pc, tablet o smartphone. Sono strumenti che adoperiamo di continuo e che possono tenderci una trappola inattesa». Non meno pericolose sono le maniglie delle porte e i tasti degli ascensori. «Bene lavare le mani e usare gel disinfettante». Magrini considera, invece, meno utili i guanti monouso al di fuori degli ambenti sanitari: «Si contaminano e dovrebbero essere sostituiti di continuo, ma chiaramente non è possibile. Al limite, possono servire a ricordarci di non portare le mani al viso, al naso o alla bocca. I guanti sono invece indispensabili se si deve prestare assistenza a chi certamente è positivo al virus». Il medico consiglia di evitare, per quanto possibile, i mezzi pubblici, dove i poggiamano sono evidentemente un rischio. «Meglio spostarsi in moto o in auto».
Tra le cose più difficili, scardinare le abitudini come quella di fermarsi al distributore in ufficio per un caffè, una bibita o uno snack. Quanto ai condizionatori d’aria degli uffici, Magrini spiega che «non ci sono evidenze rispetto a problemi causati da questi impianti. Comunque, è sempre bene favorire una buona areazione aprendo le finestre».
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione
Coronavirus resistere allo choc
News Presa, Prevenzione, PsicologiaOra che il virus non è più un pericolo da guardare al Tg e l’Italia intera è costretta a fare i conti con l’emergenza, come si può convivere con l’epidemia della paura? Non è semplice gestire l’ansia generata da un nemico che non si riesce a vedere e contro il quale non esistono armi efficaci. Per David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, visualizzare tre concetti può essere d’aiuto. «In primo luogo, esistono comportamenti protettivi efficaci. Secondo, la maggior parte delle persone ha solo conseguenze modeste e, terzo, non si deve mai dimenticare che è possibile gestire la paura. Anzi, un giusto atteggiamento psicologico ci aiuta ad avere una paura che ci spinge a fare le cose giuste». Uno dei problemi più sentiti è dato dalla perdita della quotidianità. «Viviamo in un contesto di emergenza e dobbiamo capire cosa comporta sul piano sociale e psicologico ma può aiutarci a far crescere la solidarietà: proteggere gli altri e noi stessi è qualcosa che va di pari passo. Vinceremo questa battaglia se sapremo affrontarla come comunità, non come singoli». Lazzari aggiunge che c’è poi un’emergenza mediatica alla quale si deve fare fronte. «In passato ci sono state epidemie più gravi, ma hanno avuto meno amplificazione perché non c’erano i social. Esporsi troppo alle notizie negative genera uno stato di allarme permanente nell’organismo.
È bene informarsi, ma usiamo le tecnologie per passare ore positive, per condividere qualcosa con i nostri cari in questi giorni di forzata permanenza in casa». C’è poi uno strano risvolto, in alcuni la crisi sembra aver alleviato ansie e fobie pregresse. È un po’ quello che si potrebbe definire “effetto dinosauro”. Per usare le parole di Lazzari: «Una minaccia più grande che rimpiazza quelle più piccole. L’adrenalina che nasce da questa emergenza può mettere in secondo piano le ansie con cui conviviamo di solito. Ma il fenomeno non vale per tutti, in alcuni casi capita il contrario, le persone si sentono ancor più intrappolate». Ed è proprio un’indagine realizzata dall’Ordine nazionale degli psicologi che è emerso che il 75% degli italiani dice che è stressato per questa emergenza. È importante non vergognarsi a chiedere aiuto quando serve. Una riflessione condivisa da Rossella Aurilio, presidente della Società italiana di psicologia e psicoterapia relazionale (Sippr). Aurilio spiega che anche solo dover vivere in un ritmo e in un tempo diverso dal solito è qualcosa che sta generando grandi ansie. «Non è facile starsene faccia a faccia con il proprio io. Credo però che sia anche un’opportunità perché la nostra routine spesso non ce lo consente. O peggio, siamo noi che cerchiamo di sfuggire a questo confronto».
La presidente Sippr ribadisce che alcune personalità, soprattutto con tratto ansioso, hanno difficoltà a guardarsi dentro. «Sono donne e uomini che hanno la giornata sempre molto piena e ben organizzata, proprio per sfuggire a quella sottile angoscia legata al dover avere a che fare con la parte profonda di sé». Il problema è che oggi, e chissà per quanto, stare a casa è la sola scelta sensata. La sola opzione. Dunque, come fare? «Dentro di noi albergano grandi risorse: dobbiamo andare oltre il disagio iniziale, riattivare le reti relazionali. In questo momento – prosegue Aurilio – le relazioni familiari tornano in primo piano e questo può essere un bene». Il passaggio successivo deve essere quello di ritrovare attraverso il dialogo e la convivenza, anche se “forzata”, una sintonia perduta.
E poi ci sono i social che in questa fase possono essere, se usati bene, di grande aiuto. «Abbiamo la possibilità di essere vicini gli uni agli altri come mai prima. Questo virus sta riuscendo nell’impresa di far diventare veramente sociali i social. Abbiamo sempre parlato della solitudine della rete, oggi che siamo isolati nelle nostre case la rete ci avvicina». La cura per ansie e paure, comprensibili visto il momento, è insomma quella di condividere. La Sippr sta attivando dei numeri di ascolto legati all’emergenza in ciascuna sede regionale. «Una linea che cercherà di dare un sostegno – conclude Aurilio – a chi soffre, a chi ha bisogno di avere un confronto e un conforto per le ansie generate dalla pandemia. Non perdiamo mai di vista una certezza: questa crisi finirà presto».
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione
Ecco «Moskowitz» la malattia rara colpisce le donne
PrevenzioneUna malattia autoimmune del sangue che colpisce più spesso le donne. Chi soffre di Porpora trombotica trombocitopenica acquisita (aTTP) o malattia di Moskowitz presenta come sintomi più ricorrenti sanguinamenti e disturbi neurologici e cognitivi, che possono degenerare rapidamente. «In Italia, nel 2014 l’Istituto superiore di sanità ha identificato 227 casi di aTTP, con un’età media intorno ai 40 anni e un’incidenza maggiore tra le donne (76,2 per cento) rispetto agli uomini (23,8 per cento) – spiega Giovanni Di Minno, del Dipartimento di Medicina clinica e chirurgia alla Federico II .
«La mortalità da aTTP durante la fase acuta della malattia è elevata varia tra il 90 per cento in assenza di trattamento e il 10-20 per cento in presenza di trattamento con plasmaferesi e immunosoppressione. Il 17 per cento dei pazienti è refrattario al trattamento con plasmaferesi e immunosoppressione, con conseguente aumento della mortalità (˜40% dei casi). I decessi si registrano entro 30 giorni dalla diagnosi, in particolare entro le prime 2 settimane». Questa patologia rara «è data dalla presenza di anticorpi inibitori dell’enzima AdamtsS13, responsabile del processo di degradazione del fattore di von Willebrand (vWF) nella sua forma «ultralarge». Il vWF è una glicoproteina del sangue, la cui funzione primaria è di reclutare le piastrine a livello dei vasi danneggiati, e quindi di bloccare le perdite emorragiche».
La maggior parte dei casi di aTTP è scatenata da gravidanza, interventi chirurgici, neoplasie, lupus eritematoso sistemico, trapianto di cellule staminali o avviene in corso di trattamenti farmacologici. Sono quindi fondamentali diagnosi e trattamento tempestivi. Per gli episodi di aTTP, negli adulti, in associazione a plasmaferesi e a plasmaferesi±steroidi è disponibile da pochi mesi un nuovo trattamento con un nanoanticorpo: unica terapia specifica, ad oggi registrata per tale patologia».
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione
Mieloma multiplo: il balzo nelle cure
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneMarzo è (o visto il momento storico sarebbe più opportuno dire «dovrebbe essere») il mese dedicato al mieloma multiplo. Molto attiva nel rispondere alle esigenze dei pazienti e delle famiglie che lottano contro questa malattia è l’Associazione italiana leucemie. «Ail si occupa di sostegno alla ricerca e di sviluppo di attività si aiuto per i pazienti affetti da tumore del sangue e per i loro familiari», spiega il presidente Sergio Amadori, onorario di Ematologia all’Università Tor Vergata di Roma. «Il mieloma è una patologia che ha fatto registrare negli ultimi anni grandissimi progressi – aggiunge Amadori – oggi ci sono molti farmaci di precisione dei quali i pazienti possono beneficiare. È importante continuare con un’opera di sensibilizzazione per far capire a tutti che, sostenendo la ricerca scientifica, si possono raggiungere risultati terapeutici insperati dieci anni fa. Noi lo facciamo con una serie di iniziative anche dedicate esclusivamente al mieloma».
Da oltre 50 anni infatti Ail è al fianco dei malati contro i tumori del sangue, i linfomi e il mieloma con l’obiettivo di sostenere la ricerca e l’assistenza, sensibilizzare l’opinione pubblica e, per la prima volta dopo 26 anni, vista l’emergenza coronavirus, non potrà scendere in piazza con le sue uova di Pasqua. Ma è chiaro quanto sia importante in questo momento non esporsi, soprattutto per proteggere i più fragili.
Al di là delle tante attività messe in campo dall’Ail, rimane centrale la necessità di diffondere maggiore consapevolezza e attenzione sulla malattia e le opzioni terapeutiche disponibili. Si parla di un tumore del midollo osseo che rappresenta il dieci per cento, circa, di tutte le neoplasie del sangue e l’1 per cento di tutti i tumori in assoluto. A spiegarlo è Pellegrino Musto, presidente della Società italiana di ematologia sperimentale e direttore della ematologia del Policlinico di Bari. «Questa patologia – dice il professore universitario – colpisce prevalentemente gli anziani, l’età media è di circa settant’anni. Non sono rari, tuttavia, i pazienti più giovani». Dal punto di vista strettamente clinico, il mieloma ha sintomi abbastanza peculiari. Musto spiega che si associa ad anemia e dolori alle ossa, soprattutto alla colonna vertebrale, dove la malattia si localizza in più sedi (da qui il termine «multiplo»). Può verificarsi, inoltre, un coinvolgimento del rene, un aumento del calcio nel sangue e portare a una particolare suscettibilità alle infezioni.
Visto al microscopio, «il mieloma multiplo presenta una proliferazione nel midollo osseo di quelle che chiamiamo “plasmacellule”, deputate alla produzione degli anticorpi, ma in una forma cosiddetta “monoclonale”». Semplificando, si tratta di cellule che sono tutte dello stesso tipo e che producono una singola proteina anticorpale, detta appunto componente monoclonale, che si può identificare facilmente con un semplice esame del sangue. «Può capitare – sottolinea Musto – che vi sia una componente monoclonale nel sangue, ma che non ci siano i segni clinici della malattia. Questi casi non vanno trattati, ma necessitano di controlli periodici con cui si possono intercettare precocemente eventuali evoluzioni di tipo neoplastico, che potrebbero, tuttavia, anche non esserci mai».
Negli ultimi 10 anni il mieloma multiplo ha visto l’arrivo di moltissimi nuovi farmaci che si sono mostrati efficaci. «Si pensi che fino a non molti anni fa si arrivava in media a tre anni di sopravvivenza, oggi parliamo di almeno 7-8 anni. Ma dati recenti suggeriscono che c’è anche una quota del 5-10 per cento di pazienti che potremmo considerare guariti». L’orientamento degli specialisti è quello di procedere per i pazienti anziani con terapie continuative, che tendono a cronicizzare, per quanto possibile, la malattia. Nei più giovani si opta di norma per trattamenti più intensivi, che comprendono il trapianto autologo di cellule staminali e che comunque oggi prevedono una terapia di mantenimento. «L’obiettivo – conclude Musto – è di arrivare alla malattia minima residua negativa», una condizione in cui è quasi impossibile identificare quel che resta del tumore.
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione
La memoria? Si rinforza con l’esercizio fisico
SportL’attività fisica fa bene anche alla memoria. Uno studio ha dimostrato che sei settimane di intensa attività fisica – brevi sessioni nell’arco di 20 minuti – portano miglioramenti significativi in quella che è chiamata memoria ad alta interferenza. Insomma, il cervello si allena anche con l’attività fisica, ma oggi grazie a questo studio c’è diretta una correlazione con la memoria. Questo tipo di funzione, nello specifico, consente, ad esempio, di distinguere la propria auto da un’altra della stessa marca e modello. Inoltre chi è più in forma sperimenta un aumento del fattore neurotrofico cerebrale, una proteina che supporta la crescita, la funzionalità e la sopravvivenza delle cellule cerebrali.
La ricerca è stata realizzata dalla McMaster University, in Canada e pubblicata su Journal of Cognitive Neuroscience. Gli studiosi hanno preso in esame 95 adulti sani, che per sei settimane hanno svolto esercizio fisico, in alcuni casi combinato con un training cerebrale, oppure sono rimasti sedentari. Sia nel caso di coloro che hanno svolto esercizio che in quello in cui all’attività fisica è stato combinato al training cerebrale risultavano migliorate le prestazioni di memoria ad alta interferenza, a differenza di quanto accadeva nel gruppo di controllo. Questi risultati sono utili agli studiosi per fare un’analisi anche sugli anziani: l’autrice della ricerca Jennifer Heisz, infatti, ha sottolineato come sia probabile poter ipotizzare maggiori benefici su di loro, dato che questo tipo di memoria diminuisce con l’età.
Coronavirus o allergia? Ecco come distinguere
News Presa, PrevenzioneCon le prime fioriture, i primi pollini che lievemente svolazzano nelle città oggi deserte per la pandemia di Coronavirus, iniziano implacabili i primi sintomi delle allergie primaverili. Ma in questi giorni la domanda più frequente che si pongono gli oltre 18 milioni di italiani che soffrono di allergie più o meno gravi è la seguente: E’ allergia o coronavirus? Cerchiamo di chiarire. I sintomi principali e caratteristici delle allergie sono: starnuti a raffiche e naso che cola molto con secrezione limpida. A questi sintomi tipici molto spesso si associano anche congiuntivite, tosse, lacrimazione ed occhi arrossati: questi ultimi sintomi spesso presenti anche nelle fasi iniziali dell’infezione da Covid-19. Uno dei sintomi non associati alle manifestazioni allergiche è sicuramente la febbre, che invece è frequentemente presente nelle infezioni sintomatiche o paucisintomatiche da Coronavirus.
Insomma chi è allergico in questa stagione deve seguire i consigli e le terapie prescritte dal proprio allergologo generalmente a base di antistaminici e corticosteroidi inalatori che riducono la sintomatologia. Se i sintomi delle allergie dopo 5 giorni non regrediscono allora è il caso di rivolgersi nuovamente al medico curante per un ulteriore valutazione ed approfondimento.
Le persone con allergie sono più’ a rischio di contrarre il Coronavirus?
Secondo uno studio svolto dai ricercatori cinesi di Wuan, pubblicato sulla rivista Allergy, su un campione – va specificato – molto ristretto di 140 pazienti ricoverati con Covid-19, nessuno di loro soffriva di malattie allergiche o asma. Un campione ancora troppo piccolo per escludere le allergie come maggiore fattore di rischio per contrarre il virus.
Allergici o meno, il consiglio – anzi l’obbligo – in questi giorni, per ridurre il rischio di contagio e di diffusione del Coronavirus è soltanto uno: #restateacasa
Cancro al colon: alimenti ricchi di fibre ridurrebbero mortalità
AlimentazioneChi consuma alimenti ricchi di fibre o ne aumenta il consumo dopo una diagnosi di tumore del colon avrebbe una probabilità di morire di cancro più bassa rispetto a chi assume meno fibre. Lo suggerisce uno studio coordinato da Andrew Chan dell’Harvard Medical School e del Massachusetts General Hospital di Boston, pubblicato su JAMA Oncology.
Chan e colleghi hanno raccolto i dati elaborati da un’indagine che ha tenuto sotto controllo per almeno otto anni 1.575 adulti con tumore del colon, sottoposti a una dieta che valutava la quantità di fibre consumate. Durante il follow-up, sarebbero morte 773 persone, di cui 174 di tumore.
Rispetto a chi assumeva meno fibre, ogni cinque grammi in più di questi composti sarebbero stati associati a una riduzione del 22% della probabilità di morire a causa di cancro al colon, nonché a una riduzione del 14% della morte per qualsiasi causa. Ma anche cambiare dieta avrebbe benefici. Sembra, inoltre, che il tipo di fibra faccia la differenza.
“I cereali e gli alimenti integrali sarebbero associati al minor rischio di morire di cancro”, spiega Chan. E ogni cinque grammi in più di fibre da cereali sarebbero associati a una riduzione del rischio di morire di tumore del 33% e del rischio di morire per qualsiasi altra causa del 22%. Le fibre vegetali, invece, non sarebbero associate a una riduzione significativa del rischio di morire per tumore, ma ogni cinque grammi aggiunti alla dieta avrebbero ridotto del 17% il rischio di morire per qualsiasi altra causa. Infine, le fibre della frutta non avrebbero effetti.
Melanoma, ecco come è fatto un neo che uccide
PrevenzioneQuando si affronta il melanoma la battaglia inizia allo specchio. Il professor Nicola Mozzillo non ha dubbi, il modo più efficace per sopravvivere a questo tumore della pelle e quello di individuarlo in tempo. La cosa difficile è riconoscerlo, ma solo se non si conosce il proprio corpo. «A partire da quando si è ragazzi, tutti dovremmo dedicare qualche minuto allo specchio per controllare i nostri nei. L’obiettivo è quello di individuare il “brutto anatroccolo”, che altro non è se non un neo che ha cambiato forma o colore». Il professor Mozzillo spiega anche che si può risparmiare tempo se si guarda nei posti giusti. In particolare gli arti e il tronco. «Il melanoma – aggiunge l’esperto – è forse l’unica malattia che scrive la propria diagnosi sulla pelle dei pazienti con il suo inchiostro. Nella maggior parte dei casi non è difficile capire se serve una visita extra dal dermatologo, basta sapere cosa cercare».
La regola dell’Abcd
Un neo diventato melanoma
Una delle regole più conosciute è quella dell’alfabeto. Abcd sono le lettere che ci aiutano a capire quando un neo si sta trasformando in un problema. Molti la conoscono già, ma ripetere non fa mai male. La A sta per “asimmetria”, immaginiamo di dividere il neo a metà con una linea verticale, dobbiamo verificare se le due parti sono uguali (simmetriche) oppure diverse tra loro. Se la macchia è asimmetrica è bene farsi controllare. B sta per “bordi”, che solitamente devono essere regolari. Se sono irregolari e frastagliati è sospetto. C come “colore”, che non dovrebbe cambiare nel tempo e dev’essere uniforme. D come “dimensioni”, che dovrebbero essere modeste (in media un diametro di 2-3 millimetri). Quindi, se la macchia è piuttosto grande, con un diametro oltre i 6 millimetri, è il momento di consultare uno specialista. Infine, E come “evoluzione”. Se la macchia si modifica velocemente cambiando aspetto, forma, colore o dimensioni; oppure se inizia a diventare pruriginosa, è bene allertarsi e rivolgersi al dermatologo. Senza mai dimenticare che una visita dermatologica andrebbe fatta una volta l’anno. Cinque minuti spesi bene, perché possono salvare la vita.
Editoria, Speciale Salute e Prevenzione di Marzo in edicola
News Presa, SpecialiOggi è in edicola, all’interno del quotidiano Il Mattino, lo speciale “Salute e Prevenzione” in partnership con PreSa, oppure clicca qui: https://prevenzione-salute.com/wp-content/uploads/2020/03/salute-e-prevenzione.ultimo.pdf