Tempo di lettura: 6 minutiLa Celiachia è una malattia intestinale infiammatoria permanente con tratti di auto-immunità. Nei soggetti geneticamente predisposti viene scatenata dall’assunzione del glutine. Si stima che solo il 3% delle persone predisposte sviluppi effettivamente la malattia. Il glutine è un complesso proteico che si trova in alcuni cereali, come frumento, segale, orzo, farro, spelta, grano Khorasan (spesso in commercio come KAMUT®), triticale.
Sintomi
La celiachia ha un quadro clinico molto variabile, sia per gravità sia per gli organi che colpisce. Si va dalla forma classica (diarrea, dolori addominali, perdita di peso) a forme più atipiche che portano a sintomi extra-intestinali (ad esempio: vomito, affaticamento, perdita di capelli, ulcere e lesioni ricorrenti nella bocca, infertilità, abortività spontanea, disturbi del comportamento alimentare). Le persone celiache spesso tendono a sviluppare malattie autoimmuni, come tiroidite, lupus, diabete di tipo 1.
Una variante epidermica della Celiachia è la Dermatite Erpetiforme che provoca lesioni cutanee che regrediscono dopo l’eliminazione del glutine dalla dieta. La diagnosi di Celiachia inizia dal medico di medicina generale e dal pediatra, prevede analisi del sangue di specifici anticorpi e biopsia dell’intestino tenue, eseguiti mentre la dieta comprende ancora
glutine. La dieta senza glutine è l’unica terapia disponibile e va seguita per tutta la vita.
Numeri della celiachia in Italia
Sono 251.939 le persone celiache in Italia (dati Ministero della Salute, 2022). Le donne sono oltre il doppio degli uomini. Inoltre consolidate evidenze scientifiche epidemiologiche stimano che la celiachia riguardi l’1% della popolazione, in Italia e nel mondo. Nel nostro paese, quindi, sono circa 400 mila i casi non ancora diagnosticati.
Giornata mondiale della Celiachia
“La celiachia e il diabete di tipo 1 hanno un impatto sulla salute e sul servizio sanitario che non deve essere sottovalutato e l’Italia con il programma di screening nazionale per la popolazione pediatrica sta dando un segnale rilevante di attenzione e di impegno. Un impegno continuo e costante, in sinergia con le associazioni e il Parlamento, che va dalla prevenzione ai contributi per la dieta, dalla formazione all’informazione fino alla ricerca”. Con queste parole, il Ministro della Salute, Prof. Orazio Schillaci, ha aperto i lavori di un incontro tenutosi a palazzo Giustiniani, in concomitanza con la Giornata Mondiale della Celiachia che si celebra il 16 maggio. Un evento promosso dalla Sen. Elena Murelli, presidente dell’Intergruppo Parlamentare Malattia Celiaca, Allergie Alimentari e Alimenti ai Fini Medici Speciali che ha visto il confronto tra rappresentanti delle istituzioni, clinici, esponenti delle associazioni di pazienti e del mondo advocacy.
Ruolo dell’informazione
In Italia il 56 per cento della popolazione dichiara di essere affatto o poco informato sulla celiachia e il 30 per cento ritiene che questa condizione patologica non sempre può essere grave. Una fotografia, offerta da un’analisi condotta dall’Istituto Bhave,in collaborazione con la rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IHPB), che conferma la sottovalutazione nel percepito di questa malattia cronica autoimmune e che, in buona parte, ci dice del molto che ancora resta da fare per informare, sensibilizzare, organizzare e formare.
Tutti presupposti, questi, per rendere più omogeneo ed efficiente in tutte le regioni la risposta sanitaria e innalzare il livello della qualità della vita di oltre 250 mila pazienti celiaci già diagnosticati, ma anche per favorire l’identificazione e la diagnosi certa di un segmento di popolazione – si stima che sia di almeno 350mila persone – che non è mai stato diagnosticato. Una malattia che, secondo la relazione al Parlamento del Ministero della Salute, registra 9/10.000 casi ogni anno, colpendo il 70 per cento della popolazione femminile e il restante 30 per cento di quella maschile, con una tendenza in crescita costante.
Scopo dell’incontro, a un anno dalla costituzione dell’Intergruppo Parlamentare, dare conto delle attività sviluppate da questo organismo alla luce di un preciso patto di legislatura e dello stato dell’arte del Disegno di Legge 623 (Protezione dei soggetti malati di celiachia e disposizioni per la prevenzione e l’informazione in merito alla malattia) attualmente all’esame del Senato – del quale la stessa Sen. Murelli è prima firmataria – ma anche valutare lo stato di attuazione della Legge 130/2023 in materia di programmi diagnostici per l’individuazione della celiachia e del diabete in età pediatrica, oltre a raccogliere elementi per l’attività da sviluppare in futuro da parte dei membri del Comitato Tecnico-scientifico e Sociale (CTSS) che affianca il lavoro dell’Intergruppo Parlamentare.
Celiachia spesso non diagnosticata
“La celiachia è una malattia autoimmune sempre più frequente e i casi non diagnosticati sono molti, come molte e in aumento sono le allergie alimentari. Queste problematiche nutrizionali hanno estrema necessità di una nuova stagione basata su una “convergenza sociale” sempre più ampia tra sanità, azioni educativo-scolastiche, formazione e, più in generale, cultura dell’intervento” – ha dichiarato la Sen. Elena Murelli in apertura dei lavori – sono queste le direttrici alla base dell’impegno del nostro intergruppo parlamentare, concepite all’insegna di una costruttiva collaborazione con il Ministero della Salute e il Governo. Per quanto riguarda il Disegno di legge di cui sono prima firmataria – ha proseguito la Sen. Murelli – è prevista la circolarità, sull’intero territorio nazionale dei buoni utilizzati mensilmente dai celiaci per comprare prodotti senza glutine, che ora hanno valenza regionale. Inoltre, è prevista la dematerializzazione dei buoni nelle quattro Regioni che ancora li utilizzano in modo cartaceo.
Riteniamo poi fondamentale l’informazione, non solo nelle scuole, ma soprattutto la formazione, in primis quella degli operatori HO.RE.CA. È anche previsto l’inserimento nella certificazione HACCP di un modulo specifico per la celiachia, in modo tale che siano tutti informati sul pericolo della contaminazione nel processo di preparazione e somministrazione dei cibi per garantire un pasto senza glutine per tutti. Abbiamo fatto passi avanti, molti sono i negozi specializzati e le aziende che hanno diversificato la produzione, aprendo ai prodotti gluten free. L’opera di sensibilizzazione è importante – aggiunge la senatrice – specie per i più giovani, per non subire discriminazioni con possibili ricadute psicologiche”.
Linee guida
Linee guida concepite con un riferimento alle più avanzate esperienze internazionali e definite in sintonia con le associazioni dei pazienti, formazione e sensibilizzazione nel mondo della scuola, oltre che nel settore dell’hospitality e della ristorazione, semplificazione/sburocratizzazione e omogeneità di accesso sul territorio ai cibi gluten-free, potenziamento e valorizzazione dell’attività di screening per una diagnosi precoce sulla popolazione, specie in ambito pediatrico, grazie ad una solida formazione dei clinici. “Questi sono i pilastri sui quali deve poggiare la nuova stagione di un più efficiente contrasto della celiachia – ha dichiarato Rossella Valmarana, Presidente dell’Associazione Italiana Celiachia – un tema di salute pubblica che interessa la vasta platea dei pazienti celiaci, oltre a due milioni di persone colpite da allergie alimentari in Italia”.
Formazione dei clinici
Dell’importanza dell’adeguata formazione dei clinici ai fini di una diagnosi precoce si è occupata durante i lavori la Prof.ssa Antonella Polimeni, rettrice della Sapienza Università di Roma, che nel corso del suo intervento, ha messo in evidenza come la formazione basata sulla conoscenza scientifica della malattia celiaca nella medicina specialistica sia il vero traguardo per lo screening precoce della malattia e come le lesioni sentinella possano talora essere l’unica osservazione clinica della stessa.
Il Dott. Giuseppe Cerrone, capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Merito e Pubblica Istruzione e membro del CTSS dell’Intergruppo Parlamentare, ha sottolineato che “l’obiettivo del Ministero dell’istruzione e del merito è, da un lato, quello di rafforzare la formazione professionale dei docenti prevedendo, grazie ad uno specifico intervento previsto nel Disegno di legge 623, che durante il percorso annuale di formazione e prova del personale docente ed educativo vengano svolte attività formative e di sensibilizzazione sulla celiachia e sulla dieta senza glutine e, dall’altro, quello di favorire la promozione di attività e iniziative didattiche all’interno di tutte le scuole del sistema nazionale di istruzione che rendano consapevoli i giovani studenti sulla rilevanza delle intolleranze alimentari. Con particolare riguardo, poi, agli istituti alberghieri, il Ministero dell’istruzione e del merito si impegnerà, altresì, a supportare la previsione del Disegno di legge 623 affinché i relativi percorsi di studio prevedano il rafforzamento da parte degli studenti di specifiche competenze relative alla preparazione e al servizio di prodotti per la malattia celiaca e la dieta senza glutine”.
La centralità della formazione riguarda anche il segmento sociale di coloro che sono impegnati nel variegato mondo degli operatori/preparatori/somministratori alimentari, dal cui operato dipende la sicurezza delle persone con celiachia. Il Dott. Umberto Scognamiglio della Società Italiana di Nutrizione Umana ha affermato: “Tutti i professionisti della nutrizione hanno l’importante compito di educare non solo i pazienti affetti da celiachia o i loro familiari, ma anche quanti a vario titolo sono responsabili delle offerte alimentari nel settore pubblico e commerciale. Ci riferiamo alla aziende di ristorazione collettiva così come alla ristorazione commerciale i cui operatori devono avere contezza delle buone pratiche per la gestione degli alimenti per i soggetti celiaci, della loro preparazione e conservazione, al fine di limitare il più possibile i pericoli legati alla contaminazione di glutine nell’alimento consumato dal celiaco”.
L’indagine condotta dall’Istituto Bhave, ha posto in evidenza anche un altro dato piuttosto interessante: tra le preoccupazioni dei genitori di bambini celiaci si pone al primo posto – 26 per cento – il rischio che il bambino possa mangiare qualcosa di non idoneo alla sua dieta, condividendo il cibo con altri bambini; un esempio, questo, che indica una volta di più quali e quante siano le problematiche che caratterizzano la quotidianità di pazienti e famiglie; problematiche che troverebbero buona parte della soluzione con attività di sensibilizzazione nelle scuole, contribuendo alla crescita di cittadini capaci di accettare le differenze alimentari. In questo l’attività quotidiana delle associazioni pazienti può essere un valido aiuto per le istituzioni e gli enti pubblici.
Dieta senza glutine, unica terapia
La dieta senza glutine, rigorosa e da seguire tutta la vita, è l’unica terapia per chi ha la celiachia. A
supporto dei pazienti e delle famiglie e allo scopo di prevenire le gravi complicanze della malattia
non curata, il Servizio Sanitario Nazionale garantisce ai celiaci una assistenza integrativa prevista nei
Livelli Essenziali di Assistenza – LEA. Per facilitare i pazienti e le famiglie nella selezione degli
alimenti idonei alla propria dieta tra quelli considerati a rischio, AIC realizza e pubblica ogni anno il
Prontuario degli Alimenti, un manuale che raccoglie circa 20.000 prodotti reperibili sul mercato,
inseriti dopo un accurato controllo degli ingredienti e dei processi produttivi.
Il Prontuario viene distribuito a tutti gli associati AIC, ai servizi di ristorazione, alle mense, ai
ristoranti, ai dietisti e, per i soci, è consultabile anche online e dalla APP AIC Mobile.
Melanoma in aumento, nuove raccomandazioni
Prevenzione, Associazioni pazienti, Bambini, NewsSono state pubblicate sull’European Journal of Cancer le raccomandazioni stilate da esperti provenienti da 5 continenti e da società scientifiche internazionali. Si tratta della prima consensus mondiale di esperti sulla prevenzione dei tumori della pelle, tra cui il melanoma, e sulla corretta fotoprotezione basata su evidenze scientifiche. Secondo gli specialisti l’esposizione intenzionale e imprudente alle radiazioni solari o alle fonti artificiali di radiazioni UV per abbronzarsi è un comportamento malsano e andrebbe evitato perché rappresenta il “driver” principale dell’insorgenza dei tumori della pelle.
La parola d’ordine è: proteggersi con un’adeguata fotoprotezione, utilizzare indumenti, cappello a tesa larga e occhiali da sole. Inoltre applicare senza lesinare una protezione solare con fattore 30-50 + ed etichetta UVA su tutte le aree cutanee che non possono essere protette dagli indumenti. Infine gli specialisti dicono no all’utilizzo dei lettini solari.
Queste raccomandazioni sono state prodotte da esperti internazionali provenienti da 5 continenti – Africa, America, Asia, Australia ed Europa – e dalle società scientifiche European Association of Dermato Oncology, Euromelanoma, Euroskin, European Union of Medical Specialists e Melanoma World Society.
La consensus internazionale di esperti ha visto come coautrici le professoresse Maria Concetta Fargnoli, Vice Presidente SIDeMaST e Professore Ordinario di Dermatologia presso l’Università degli Studi dell’Aquila e Ketty Peris Past President SIDeMaST e Professore Ordinario di Dermatologia presso l’Università Cattolica di Roma. Tra gli italiani anche la professoressa Caterina Longo dell’Università di Modena e Reggio Emilia, il professore Giovanni Pellicani dell’Università Sapienza di Roma e Iris Zalaudek dell’Università di Trieste.
I numeri del melanoma
Nelle popolazioni con la pelle chiara, si stima che fino al 95% dei tumori cheratinocitari maligni, quali il carcinoma basocellulare e squamocellulare, e il 70-95% dei melanomi siano causati dalle radiazioni UV. In altre parole, una percentuale significativa di tumori della pelle può essere prevenuta riducendo le radiazioni UV inutili ed eccessive attraverso un’efficace fotoprotezione.
Vacanze invernali fattore di rischio per scottature
“La maggioranza della popolazione europea va in vacanza al sole, spesso più volte all’anno – evidenzia la professoressa Maria Concetta Fargnoli – questo comportamento è profondamente radicato, sarà difficile da modificare e tale cambiamento potrà richiedere decenni. Dobbiamo quindi iniziare con messaggi chiari e inequivocabili, sicuramente radicali, ma che andrebbero inclusi nell’attività educazionale per il paziente. Si guadagnerebbe inoltre molto tempo se almeno i dermatologi parlassero la stessa lingua”.
Freepik
Aumenta incidenza del melanoma
L’aumento dell’incidenza del melanoma, rileva lo studio, può essere evidenziato analizzando l’andamento nel lungo termine. Ad esempio, nel 1950 il Registro dei tumori danese ha documentato un caso di melanoma ogni 100mila abitanti, passando a tre casi ogni 100mila nel 1970, quindi a dieci casi nel 1990, 25 casi nel 1990 e 50-70 casi previsti per il 2036.
L’aumento di 50 volte in meno di 90 anni è unico tra tutti i tumori e l’andamento dell’incidenza dei tumori cheratinocitari è molto simile, secondo gli studi.
Bambini più a rischio
Gli individui di pelle chiara, in particolare i bambini, dovrebbero quindi ridurre al minimo la loro esposizione alle radiazioni UV, adottando misure di protezione solare quando si prevede che l’indice UV, che quantifica l’intensità della radiazione UV solare sulla superficie terrestre, raggiunge il valore di 3 o superiore.
“Un’adeguata fotoprotezione – spiega la Professoressa Ketty Peris – deriva dalla combinazione di più misure quali cercare l’ombra, l’utilizzo di indumenti, cappelli e occhiali e l’applicazione di schermi solari sulle zone scoperte. Tuttavia, nella pratica clinica, le persone tendono a sovrastimare la protezione fornita dagli schermi solari, con una falsa sensazione di rassicurazione quando vanno al mare e si espongono al sole. Questo potrebbe favorire un comportamento a rischio per l’insorgenza dei tumori della pelle”.
Come proteggersi con abiti e occhiali
Secondo gli esperti, risultano strategiche le proprietà protettive di abiti, cappelli e occhiali da sole. Gli studi epidemiologici dimostrano una riduzione del rischio di scottature solari, di sviluppo di nevi nei bambini e di melanoma proprio grazie alla protezione solare offerta dagli abiti rispetto alle creme solari.
Le proprietà protettive degli indumenti variano in base al tipo di fibra (poliestere, nylon > lana, seta > cotone), alla densità della trama, al colore (i coloranti contribuiscono a bloccare i raggi UV), al design (ad esempio, maniche lunghe, colletto) e all’incorporazione di molecole che assorbono i raggi UV. Gli indumenti con un elevato fattore di protezione UV sono inoltre particolarmente utili in condizioni di elevata esposizione ai raggi UV, come gli sport all’aperto e gli sport acquatici. I cappelli dovrebbero avere tese larghe per proteggere il cuoio capelluto, il viso, il collo e le orecchie.
Un’adeguata fotoprotezione, aggiungono le esperte, dovrebbe perciò includere la riduzione della fotoesposizione intenzionale modificando le abitudini di vita in riferimento all’andare al mare e alla ricerca dell’abbronzatura: “Questo consentirebbe di continuare a svolgere le nostre attività professionali o di svago esponendoci al sole in sicurezza e senza danni”.
Prevenzione riduce il peso economico della patologia
La protezione dai raggi UV ha un ritorno positivo in termini di investimento perché consente di ridurre l’incidenza della malattia e quindi il suo peso economico. Dai dati della WHO un tumore su 3 è un tumore della pelle. La riduzione dell’esposizione ai raggi UV rappresenta quindi una strategia cruciale per controllare la recente epidemia di tumori cutanei.
“I politici dovrebbero comunicare al pubblico messaggi forti sulla protezione dai raggi UV e scoraggiare l’uso di fonti di radiazioni UV artificiali commerciali, attraverso una regolamentazione rigorosa o preferibilmente un divieto. Dovrebbero garantire la comunicazione e l’educazione della popolazione sull’indice UV giornaliero, ad esempio con i bollettini meteorologici, e creare strutture con ombra all’aperto nelle scuole e nelle aree ricreative” suggerisce infine la prof Fargnoli.
I cibi Cenerentola della dieta mediterranea
Alimentazione, News, Stili di vitaDici dieta mediterranea e pensi all’olio extravergine d’oliva e alle verdure di stagione. Certo, non è un errore, ma c’è molto di più. A ricordarci degli “alimenti Cenerentola” è una dettagliata indagine condotta da diverse università mediterranee, che ha riscoperto l’importanza di alimenti come noci, semi, spezie, oltre a uova, latticini e persino il vino rosso. Tutti pilastri della dieta mediterranea, troppo spesso trascurati a causa della “standardizzazione alimentare”.
Comprendere la dieta mediterranea
Il Journal of Translational Medicine ha pubblicato una review curata da un consorzio di istituzioni accademiche provenienti da diverse regioni del Mediterraneo, tra cui gli atenei di Catania, Parma, il Politecnico delle Marche, l’Irccs Neuromed di Pozzilli e l’Universidad Europea del Atlántico in Spagna. Questo studio mette in evidenza la necessità di una maggiore consapevolezza e comprensione della dieta mediterranea nella sua interezza.
Il Festival dei Cinque Colori
Un momento importante per riscoprire l’importanza di tutti gli alimenti della dieta mediterranea è il Festival dei Cinque Colori, giunto alla sua seconda edizione e di scena al Maschio Angioino di Napoli. Questi alimenti spesso trascurati, come uova, latticini, noci, semi, spezie e vino rosso, sono al centro dell’attenzione di medici, artisti, sportivi e rappresentanti delle istituzioni. Maria Teresa Carpino, presidente dell’associazione Pancrazio e mente dietro il Festival dei Cinque Colori, spiega che il numero 5 simboleggia i 5 colori del benessere, ognuno legato a specifici alimenti cruciali per un’alimentazione equilibrata. Questi colori rappresentano una vasta gamma di componenti della dieta mediterranea, spesso trascurate nelle discussioni tradizionali.
Dai cereali ai latticini
Giuseppe Morino, pediatra e dietologo dell’ospedale Bambino Gesù nonché direttore scientifico del Festival, ricorda che frutta, verdura e olio d’oliva sono ampiamente studiati, altri alimenti come cereali integrali, legumi, noci, semi, erbe e spezie, uova, latticini e vino rosso hanno ricevuto meno attenzione. Le uova, spesso viste come fonte di colesterolo, sono invece ricche di proteine, vitamine e minerali essenziali. Le prove scientifiche indicano che le proteine delle uova sono facilmente digeribili e forniscono una serie di amminoacidi essenziali. I latticini, come latte, burro, yogurt e formaggi, sono parte integrante della dieta mediterranea da millenni. Nonostante i timori riguardo agli acidi grassi saturi, le evidenze suggeriscono che il loro impatto sul colesterolo LDL sia limitato.
Noci e spezie
Le noci e i semi sono altri elementi chiave spesso trascurati. Mentre le noci sono associate a un minor rischio di malattie cardiometaboliche, l’effetto dei semi sulla salute è ancora oggetto di studio. Le erbe e le spezie, ampiamente utilizzate nella cucina mediterranea, offrono numerosi benefici per la salute, tra cui proprietà antiossidanti e antinfiammatorie. Infine, il vino rosso, consumato moderatamente, è parte integrante della tradizione mediterranea, nonostante le controversie sul consumo di alcol nelle linee guida dietetiche moderne. Naturalmente, serve sempre il buon senso, ma ampliare la consapevolezza sui vari alimenti che compongono la dieta mediterranea può portare a una migliore comprensione dei suoi molteplici benefici per la salute e favorire scelte alimentari più consapevoli e salutari.
Parkinson, studio rivela nuovi meccanismi
News, Ricerca innovazioneLa bradicinesia (lentezza nei movimenti) e la rigidità muscolare – sintomi della malattia di Parkinson – hanno un’evoluzione indipendente e rispondono in maniera diversa ai trattamenti nel corso del tempo. È quanto hanno scoperto i ricercatori dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (Isernia), dell’Università Sapienza di Roma e dell’Università di Grenoble, attraverso uno studio condotto in collaborazione con altri colleghi di istituzioni scientifiche italiane ed internazionali. Prima dei risultati di questa nuova ricerca si pensava infatti che, contrariamente al tremore, bradicinesia e rigidità fossero strettamente correlati tra loro nella progressione della patologia.
La ricerca sul Parkinson
La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Annals of Neurology, ha esaminato i dati clinici di 301 pazienti affetti da malattia di Parkinson trattati con stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation – DBS) e seguiti per quindici anni. Questa terapia prevede l’inserimento di elettrodi all’interno del cervello in grado di regolare il funzionamento di alcuni circuiti nervosi attraverso impulsi elettrici, migliorando i disturbi tipici della malattia di Parkinson. Una sorta di “pacemaker” per il sistema nervoso. L’intervento è noto per il suo impatto positivo sui sintomi motori della malattia di Parkinson, ma finora, la comprensione di come i diversi sintomi rispondano al trattamento nel lungo termine è stata limitata.
Nuove scoperte
“Con il nostro studio – afferma il professor Antonio Suppa, coordinatore della ricerca – abbiamo scoperto che la bradicinesia e la rigidità, pur essendo entrambi sintomi motori, mostrano evoluzioni cliniche differenti dopo l’intervento di stimolazione cerebrale profonda. Questo ci fa pensare che i meccanismi alla base della bradicinesia e della rigidità possano essere diversi tra loro, un dato che apre la strada ad una nuova interpretazione dei meccanismi neuronali implicati nella malattia di Parkinson”.
“La ricerca – conclude il dottor Alessandro Zampogna, primo autore dello studio – indica che una personalizzazione del trattamento, adattandolo alle caratteristiche del singolo paziente, potrebbe migliorare significativamente la qualità della vita dei malati. Per questo motivo le prossime ricerche punteranno proprio ad approfondire le modalità di stimolazione cerebrale profonda e, soprattutto, ad esplorare come le variazioni nei parametri di stimolazione possano influenzare diversamente i sintomi cardine della malattia”.
Celiachia in aumento: 70% donne. Giornata mondiale
Alimentazione, Associazioni pazientiLa Celiachia è una malattia intestinale infiammatoria permanente con tratti di auto-immunità. Nei soggetti geneticamente predisposti viene scatenata dall’assunzione del glutine. Si stima che solo il 3% delle persone predisposte sviluppi effettivamente la malattia. Il glutine è un complesso proteico che si trova in alcuni cereali, come frumento, segale, orzo, farro, spelta, grano Khorasan (spesso in commercio come KAMUT®), triticale.
Sintomi
La celiachia ha un quadro clinico molto variabile, sia per gravità sia per gli organi che colpisce. Si va dalla forma classica (diarrea, dolori addominali, perdita di peso) a forme più atipiche che portano a sintomi extra-intestinali (ad esempio: vomito, affaticamento, perdita di capelli, ulcere e lesioni ricorrenti nella bocca, infertilità, abortività spontanea, disturbi del comportamento alimentare). Le persone celiache spesso tendono a sviluppare malattie autoimmuni, come tiroidite, lupus, diabete di tipo 1.
Una variante epidermica della Celiachia è la Dermatite Erpetiforme che provoca lesioni cutanee che regrediscono dopo l’eliminazione del glutine dalla dieta. La diagnosi di Celiachia inizia dal medico di medicina generale e dal pediatra, prevede analisi del sangue di specifici anticorpi e biopsia dell’intestino tenue, eseguiti mentre la dieta comprende ancora
glutine. La dieta senza glutine è l’unica terapia disponibile e va seguita per tutta la vita.
Numeri della celiachia in Italia
Sono 251.939 le persone celiache in Italia (dati Ministero della Salute, 2022). Le donne sono oltre il doppio degli uomini. Inoltre consolidate evidenze scientifiche epidemiologiche stimano che la celiachia riguardi l’1% della popolazione, in Italia e nel mondo. Nel nostro paese, quindi, sono circa 400 mila i casi non ancora diagnosticati.
Giornata mondiale della Celiachia
“La celiachia e il diabete di tipo 1 hanno un impatto sulla salute e sul servizio sanitario che non deve essere sottovalutato e l’Italia con il programma di screening nazionale per la popolazione pediatrica sta dando un segnale rilevante di attenzione e di impegno. Un impegno continuo e costante, in sinergia con le associazioni e il Parlamento, che va dalla prevenzione ai contributi per la dieta, dalla formazione all’informazione fino alla ricerca”. Con queste parole, il Ministro della Salute, Prof. Orazio Schillaci, ha aperto i lavori di un incontro tenutosi a palazzo Giustiniani, in concomitanza con la Giornata Mondiale della Celiachia che si celebra il 16 maggio. Un evento promosso dalla Sen. Elena Murelli, presidente dell’Intergruppo Parlamentare Malattia Celiaca, Allergie Alimentari e Alimenti ai Fini Medici Speciali che ha visto il confronto tra rappresentanti delle istituzioni, clinici, esponenti delle associazioni di pazienti e del mondo advocacy.
Ruolo dell’informazione
In Italia il 56 per cento della popolazione dichiara di essere affatto o poco informato sulla celiachia e il 30 per cento ritiene che questa condizione patologica non sempre può essere grave. Una fotografia, offerta da un’analisi condotta dall’Istituto Bhave,in collaborazione con la rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IHPB), che conferma la sottovalutazione nel percepito di questa malattia cronica autoimmune e che, in buona parte, ci dice del molto che ancora resta da fare per informare, sensibilizzare, organizzare e formare.
Tutti presupposti, questi, per rendere più omogeneo ed efficiente in tutte le regioni la risposta sanitaria e innalzare il livello della qualità della vita di oltre 250 mila pazienti celiaci già diagnosticati, ma anche per favorire l’identificazione e la diagnosi certa di un segmento di popolazione – si stima che sia di almeno 350mila persone – che non è mai stato diagnosticato. Una malattia che, secondo la relazione al Parlamento del Ministero della Salute, registra 9/10.000 casi ogni anno, colpendo il 70 per cento della popolazione femminile e il restante 30 per cento di quella maschile, con una tendenza in crescita costante.
Scopo dell’incontro, a un anno dalla costituzione dell’Intergruppo Parlamentare, dare conto delle attività sviluppate da questo organismo alla luce di un preciso patto di legislatura e dello stato dell’arte del Disegno di Legge 623 (Protezione dei soggetti malati di celiachia e disposizioni per la prevenzione e l’informazione in merito alla malattia) attualmente all’esame del Senato – del quale la stessa Sen. Murelli è prima firmataria – ma anche valutare lo stato di attuazione della Legge 130/2023 in materia di programmi diagnostici per l’individuazione della celiachia e del diabete in età pediatrica, oltre a raccogliere elementi per l’attività da sviluppare in futuro da parte dei membri del Comitato Tecnico-scientifico e Sociale (CTSS) che affianca il lavoro dell’Intergruppo Parlamentare.
Celiachia spesso non diagnosticata
“La celiachia è una malattia autoimmune sempre più frequente e i casi non diagnosticati sono molti, come molte e in aumento sono le allergie alimentari. Queste problematiche nutrizionali hanno estrema necessità di una nuova stagione basata su una “convergenza sociale” sempre più ampia tra sanità, azioni educativo-scolastiche, formazione e, più in generale, cultura dell’intervento” – ha dichiarato la Sen. Elena Murelli in apertura dei lavori – sono queste le direttrici alla base dell’impegno del nostro intergruppo parlamentare, concepite all’insegna di una costruttiva collaborazione con il Ministero della Salute e il Governo. Per quanto riguarda il Disegno di legge di cui sono prima firmataria – ha proseguito la Sen. Murelli – è prevista la circolarità, sull’intero territorio nazionale dei buoni utilizzati mensilmente dai celiaci per comprare prodotti senza glutine, che ora hanno valenza regionale. Inoltre, è prevista la dematerializzazione dei buoni nelle quattro Regioni che ancora li utilizzano in modo cartaceo.
Riteniamo poi fondamentale l’informazione, non solo nelle scuole, ma soprattutto la formazione, in primis quella degli operatori HO.RE.CA. È anche previsto l’inserimento nella certificazione HACCP di un modulo specifico per la celiachia, in modo tale che siano tutti informati sul pericolo della contaminazione nel processo di preparazione e somministrazione dei cibi per garantire un pasto senza glutine per tutti. Abbiamo fatto passi avanti, molti sono i negozi specializzati e le aziende che hanno diversificato la produzione, aprendo ai prodotti gluten free. L’opera di sensibilizzazione è importante – aggiunge la senatrice – specie per i più giovani, per non subire discriminazioni con possibili ricadute psicologiche”.
Linee guida
Linee guida concepite con un riferimento alle più avanzate esperienze internazionali e definite in sintonia con le associazioni dei pazienti, formazione e sensibilizzazione nel mondo della scuola, oltre che nel settore dell’hospitality e della ristorazione, semplificazione/sburocratizzazione e omogeneità di accesso sul territorio ai cibi gluten-free, potenziamento e valorizzazione dell’attività di screening per una diagnosi precoce sulla popolazione, specie in ambito pediatrico, grazie ad una solida formazione dei clinici. “Questi sono i pilastri sui quali deve poggiare la nuova stagione di un più efficiente contrasto della celiachia – ha dichiarato Rossella Valmarana, Presidente dell’Associazione Italiana Celiachia – un tema di salute pubblica che interessa la vasta platea dei pazienti celiaci, oltre a due milioni di persone colpite da allergie alimentari in Italia”.
Formazione dei clinici
Dell’importanza dell’adeguata formazione dei clinici ai fini di una diagnosi precoce si è occupata durante i lavori la Prof.ssa Antonella Polimeni, rettrice della Sapienza Università di Roma, che nel corso del suo intervento, ha messo in evidenza come la formazione basata sulla conoscenza scientifica della malattia celiaca nella medicina specialistica sia il vero traguardo per lo screening precoce della malattia e come le lesioni sentinella possano talora essere l’unica osservazione clinica della stessa.
Il Dott. Giuseppe Cerrone, capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Merito e Pubblica Istruzione e membro del CTSS dell’Intergruppo Parlamentare, ha sottolineato che “l’obiettivo del Ministero dell’istruzione e del merito è, da un lato, quello di rafforzare la formazione professionale dei docenti prevedendo, grazie ad uno specifico intervento previsto nel Disegno di legge 623, che durante il percorso annuale di formazione e prova del personale docente ed educativo vengano svolte attività formative e di sensibilizzazione sulla celiachia e sulla dieta senza glutine e, dall’altro, quello di favorire la promozione di attività e iniziative didattiche all’interno di tutte le scuole del sistema nazionale di istruzione che rendano consapevoli i giovani studenti sulla rilevanza delle intolleranze alimentari. Con particolare riguardo, poi, agli istituti alberghieri, il Ministero dell’istruzione e del merito si impegnerà, altresì, a supportare la previsione del Disegno di legge 623 affinché i relativi percorsi di studio prevedano il rafforzamento da parte degli studenti di specifiche competenze relative alla preparazione e al servizio di prodotti per la malattia celiaca e la dieta senza glutine”.
La centralità della formazione riguarda anche il segmento sociale di coloro che sono impegnati nel variegato mondo degli operatori/preparatori/somministratori alimentari, dal cui operato dipende la sicurezza delle persone con celiachia. Il Dott. Umberto Scognamiglio della Società Italiana di Nutrizione Umana ha affermato: “Tutti i professionisti della nutrizione hanno l’importante compito di educare non solo i pazienti affetti da celiachia o i loro familiari, ma anche quanti a vario titolo sono responsabili delle offerte alimentari nel settore pubblico e commerciale. Ci riferiamo alla aziende di ristorazione collettiva così come alla ristorazione commerciale i cui operatori devono avere contezza delle buone pratiche per la gestione degli alimenti per i soggetti celiaci, della loro preparazione e conservazione, al fine di limitare il più possibile i pericoli legati alla contaminazione di glutine nell’alimento consumato dal celiaco”.
L’indagine condotta dall’Istituto Bhave, ha posto in evidenza anche un altro dato piuttosto interessante: tra le preoccupazioni dei genitori di bambini celiaci si pone al primo posto – 26 per cento – il rischio che il bambino possa mangiare qualcosa di non idoneo alla sua dieta, condividendo il cibo con altri bambini; un esempio, questo, che indica una volta di più quali e quante siano le problematiche che caratterizzano la quotidianità di pazienti e famiglie; problematiche che troverebbero buona parte della soluzione con attività di sensibilizzazione nelle scuole, contribuendo alla crescita di cittadini capaci di accettare le differenze alimentari. In questo l’attività quotidiana delle associazioni pazienti può essere un valido aiuto per le istituzioni e gli enti pubblici.
Dieta senza glutine, unica terapia
La dieta senza glutine, rigorosa e da seguire tutta la vita, è l’unica terapia per chi ha la celiachia. A
supporto dei pazienti e delle famiglie e allo scopo di prevenire le gravi complicanze della malattia
non curata, il Servizio Sanitario Nazionale garantisce ai celiaci una assistenza integrativa prevista nei
Livelli Essenziali di Assistenza – LEA. Per facilitare i pazienti e le famiglie nella selezione degli
alimenti idonei alla propria dieta tra quelli considerati a rischio, AIC realizza e pubblica ogni anno il
Prontuario degli Alimenti, un manuale che raccoglie circa 20.000 prodotti reperibili sul mercato,
inseriti dopo un accurato controllo degli ingredienti e dei processi produttivi.
Il Prontuario viene distribuito a tutti gli associati AIC, ai servizi di ristorazione, alle mense, ai
ristoranti, ai dietisti e, per i soci, è consultabile anche online e dalla APP AIC Mobile.
Post Covid, cos’è la Mip-C
Covid, News, Ricerca innovazioneLa pandemia da Covid è ormai alle spalle, ma come si presupponeva il virus ha ancora in serbo qualche scherzo. Un recente studio condotto da un gruppo di ricercatori internazionali ha portato alla luce una scoperta significativa: la ricerca, pubblicata su eBIOMedicine, ha identificato una nuova condizione autoimmune associata al Sars-CoV-2.
Sindrme autoimmune
Questa nuova sindrome, denominata “autoimmunità Mda5 e polmonite interstiziale contemporanea con Covid” o più semplicemente Mip-C, è il retaggio terribile del virus ed è preoccupante perché può svilupparsi anche in individui che presentano sintomi lievi o addirittura nessun sintomo di Covid. Secondo quanto riportato nello studio, sono stati identificati otto decessi su 60 casi descritti, fatto che mette in evidenza la gravità potenziale di questa condizione.
Non è come il Covid
Tuttavia, gli esperti rassicurano che al momento il numero di casi è limitato e non rappresenta una minaccia. Quindi, benché sia importante portare avanti questi studi, per gli esperti è fondamentale sottolineare che al momento non rappresenta un problema diffuso nella pratica clinica. Sì, il Sars-CoV-2 può innescare reazioni autoimmuni e potenzialmente esacerbare alcune condizioni preesistenti, ma non ci sarebbe motivo di credere che questo possa generare un nuovo allarme.
Monitoraggio
La scoperta solleva importanti questioni sulla comprensione del Covid-19 e delle sue implicazioni a lungo termine sulla salute. Anche se al momento la Mip-C sembra essere un fenomeno raro, la ricerca continua a illuminare i meccanismi complicati di interazione tra il virus e il sistema immunitario umano. Dunque, anche questo studio sottolinea l’importanza di continuare a monitorare da vicino i pazienti post-Covid e di condurre ulteriori ricerche per comprendere appieno le implicazioni a lungo termine del virus.
Maggiore comprensione
Se la scoperta della Mip-C può suscitare preoccupazioni legittime, è importante mantenere una prospettiva equilibrata. Gli esperti sottolineano che, sebbene il Covid-19 abbia portato alla luce nuove sfide mediche, la maggior parte delle persone che si riprendono dall’infezione non sviluppa complicazioni autoimmuni gravi. Tuttavia, la ricerca continua a essere fondamentale per affrontare queste sfide emergenti.
Cellule tumorali dormienti
News, Ricerca innovazioneLe cellule tumorali dormienti sono un vero e proprio enigma nella battaglia contro il cancro. Mentre alcune di queste cellule si staccano dal tumore primario per rimanere inerti, altre si trasformano in metastasi, causando oltre il 90% dei decessi correlati al cancro. Tuttavia, una recente ricerca condotta dall’Università di Heidelberg e dal Centro Tedesco per la Ricerca sul Cancro (DKFZ) ha gettato luce su questo fenomeno, aprendo nuove prospettive per la terapia oncologica.
Lo studio
Pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Cancer a febbraio 2024, lo studio ha svelato un intricato meccanismo che regola il destino delle cellule tumorali dopo il distacco dal tumore primario. Attraverso esperimenti condotti su modelli animali, i ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sulle metastasi polmonari, identificando una possibile spiegazione per la dormienza cellulare.
Il DNA delle cellule tumorali
Il cuore della scoperta risiede nell’approccio epigenetico. Le modifiche alla struttura del DNA, note proprio come modifiche epigenetiche, influenzano l’espressione genica senza alterare la sequenza del DNA. Tra queste, la metilazione del DNA ha attirato particolare interesse. Gli scienziati hanno osservato che le cellule tumorali con un basso livello di metilazione tendono a rimanere in uno stato di dormienza, mentre quelle con un DNA più metilato sono propense a generare metastasi. Già oggi esistono molte terapie per combattere le metastasi e il rischio che si formino, ma i limiti sono ancora enormi.
Prevenzione del rischio
Mentre alcune cellule si arrestano, insomma, altre proliferano all’interno dei vasi sanguigni, avviando il processo metastatico. Ma cosa significa tutto questo per la terapia del cancro? Secondo gli autori dello studio, questa scoperta potrebbe rivoluzionare il modo in cui affrontiamo il cancro. Utilizzando i dati di metilazione del DNA, potremmo essere in grado di prevedere il rischio di recidiva nei pazienti, consentendo un intervento terapeutico mirato e personalizzato.
Verso nuove cure
Tuttavia, prima di tradurre questi risultati nella pratica clinica, è necessario validare questi meccanismi nei tumori umani. Gli studi futuri dovranno confermare se le scoperte fatte nei modelli animali possano essere applicate alle persone. Questa ricerca non solo fornisce una maggiore comprensione della dormienza delle cellule tumorali, ma offre anche una speranza tangibile nella lotta contro le metastasi. Con ulteriori approfondimenti, potremmo finalmente risolvere uno dei più grandi problemi in campo oncologico: il cancro metastatico.
Post partum, 7-8 neomamme su 10 con malinconia
Bambini, Genitorialità, NewsDopo il parto si affronta un periodo di adattamento che dura generalmente sei settimane. In questo periodo, la madre si trova a fronteggiare una serie di cambiamenti nel suo corpo e nelle sue emozioni, mentre cerca di riorganizzare la sua vita quotidiana. Si stima che 7-8 neomamme su 10 sperimentino, nel post partum, uno stato di malinconia chiamata Baby (o maternity) blues. Si tratta di una fase transitoria che dura normalmente una settimana/dieci giorni, dovuta alla brusca riduzione dei livelli ormonali. È tuttavia importante porre attenzione a questo periodo poiché il 20 per cento delle donne che presentano Baby blues può manifestare successivamente un peggioramento dei sintomi e un’evoluzione in una depressione post partum.
Cosa prevede il SSN
Attualmente, il sistema sanitario nazionale non ha un percorso standardizzato di visite post-parto. Di solito, si programma una visita con un ginecologo o un’ostetrica dopo circa quaranta giorni dal parto. Alcuni ospedali offrono servizi di assistenza post-parto, i principali punti di riferimento sono le strutture locali come i Consultori, che offrono visite a domicilio gratuite da parte di ostetriche, consulenze presso la struttura, supporto telefonico, assistenza all’allattamento, corsi di massaggio infantile, supporto psicologico, visite ginecologiche e consulenze sulla contraccezione post-parto. Inoltre, ci sono associazioni locali che offrono sostegno gratuito alle neomamme e forniscono spazi per il confronto e la condivisione.
Prevenzione post partum, il progetto di Fondazione Onda
Fondazione Onda ha rilanciato il progetto, nato nel 2010, con nuovi strumenti informativi attraverso il sito www.depressionepostpartum.it: FAQ, con il supporto incondizionato di Haleon. Sul sito, oltre alle informazioni utili per affrontare ansia e depressione perinatale, è disponibile l’elenco dei Centri e delle associazioni aderenti all’iniziativa di Fondazione Onda ETS, censiti nella sezione “Trova Aiuto” per la consultazione da parte dell’utenza. Si tratta di una rete di oltre 80 enti sul territorio che offre aiuto concreto neomamme.
Supporto post partum
«Per informare le donne sull’importanza del periodo post partum – dichiara Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda ETS – e in particolare sugli aspetti emotivi e psicologici che possono emergere in questo delicato momento della vita, abbiamo coinvolto medici esperti che hanno risposto a una serie di domande fornendo informazioni preziose e rassicuranti. Sappiamo quanto sia cruciale sentirsi supportate e ben informate durante il periodo post partum, sia per il benessere della madre che per quello del neonato. È per questo che abbiamo realizzato anche un decalogo e video interviste, con l’intento di non lasciare sole le donne in questa fase delicata, ma di accompagnarle con consigli pratici e approfondimenti utili».
Prevenzione post partum, dall’alimentazione al supporto psicologico
«Il periodo dopo il parto è molto faticoso per la neomamma, sia in termini fisici che emotivi», spiega Irene Cetin, Direttrice Ostetricia Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano, Professoressa Ordinaria di Ginecologia all’Università degli Studi di Milano. «A livello fisico, il pavimento pelvico, cioè il piano muscolare che sostiene la pelvi, viene sottoposto a notevole stress già durante la gravidanza e poi durante il parto: importante quindi seguire i consigli di ostetrica e ginecologo al momento della dimissione dall’ospedale. I 40 giorni dopo il parto che vengono chiamati puerperio sono un periodo molto delicato per la vita della donna, che è appena reduce dal periodo della gravidanza.
In questo periodo inizia anche la fase dell’allattamento che richiede attenzione dal punto di vista di idratazione e alimentazione; sicuramente in questo periodo, dopo tutta la fatica della gravidanza e del parto, è probabile che ci sia bisogno di integrazioni con vitamine e minerali. Il periodo del post-parto, pur essendo un momento tanto atteso, può anche essere accompagnato da qualche difficoltà emotiva perché il calo degli ormoni porta a un aumento di rischio di una vera e propria depressione.
Questa situazione va riconosciuta, affrontata e curata, chiedendo aiuto sia in ospedale che nelle strutture territoriali. La vicinanza e l’ascolto alla neomamma risultano quindi di fondamentale importanza per sostenerla, aiutarla in una corretta alimentazione con una particolare attenzione alla supplementazione, e supportarla psicologicamente per la ripresa di una vita normale».
Anniverno: sintomi non vanno sottovalutati
«L’epoca del post-partum è sovente identificata come un periodo di benessere fisico e mentale per la donna, che dopo la ripresa dal parto si trova ad accompagnarsi al nuovo nato pensato in genere come un periodo di grande soddisfazione materna», commenta Roberta Anniverno, Responsabile Centro Psiche Donna, ASST Fatebenefratelli Sacco – Ospedale Macedonio Melloni. «In realtà il benessere perinatale non è un vantaggio fisiologicamente acquisito, che tutte le donne sperimentano come sovente si immagina. Il periodo del post-partum deve essere infatti attenzionato sia a livello fisico che mentale.
Gravidanze che possono esitare in parti complicati possono lasciare conseguenze sia sul piano ostetrico ginecologico sia sul piano psichico. Tutto è superabile con le indicazioni e le cure giuste, ma con tempi e con esiti diversi da quelli che una puerpera normalmente si attende. Portare attenzione alla fisicità della donna neomamma, al suo sentirsi nel corpo che di nuovo cambia, al suo percepire sintomi che vanno riferiti ed indagati, aiuta a costruire un assetto fisico capace di sostenere la cura per il proprio bambino. “Se sto male e non mi curo non sono di aiuto a me stessa e neppure a mio figlio”. La medesima cosa si incontra sul piano psichico, sappiamo come i primi mesi di post-partum siano quelli più delicati per la comparsa di sintomi ansiosi o di depressione e come non vadano sottovalutate anche le alterazioni emotive relative alla brusca caduta estroprogestinica, che costituiscono il Baby blues e che si dissolvono entro 7-10 gg dopo il parto.
Il benessere mentale della puerpera è importante da proteggere e da attenzionare poiché influisce sulla relazione di cura con il proprio bambino. Non si tratta tanto e solo della capacità di prendersi cura del proprio figlio, di occuparsi dei suoi bisogni primari, quanto di entrare in una graduale sintonizzazione emotiva che permette di costruire quella che viene indicata come una sana relazione di attaccamento che fa evolvere la diade in una sorta di danza armonica e funzionale per il neurosviluppo del proprio bambino».
Sclerosi tuberosa: colpisce 1 bambino su 6.000
BambiniLa sclerosi tuberosa è una malattia genetica rara. Non è una malattia della quale si sente parlare spesso, benché colpisca un bambino ogni 6.000 nuovi nati. È dovuta all’alterazione di uno dei geni (TSC1 o TSC2) che contengono le informazioni necessarie per produrre le proteine che contribuiscono a impedire lo sviluppo di tumori. Questa malattia, infatti, è caratterizzata dalla formazione di tumori benigni multipli (amartomi) localizzati prevalentemente a livello cerebrale, renale, cardiaco, polmonare e cutaneo. Le manifestazioni cliniche variano da soggetto a soggetto; nei casi più complessi possono portare a disabilità gravi, impattando notevolmente sulla qualità di vita dei bambini e delle loro famiglie.
Ospedale Bambino Gesù
Sono oltre 150 i bambini e i ragazzi con sclerosi tuberosa assistiti al Bambino Gesù negli ultimi 3 anni. Si tratta di una delle più ampie casistiche a livello nazionale di pazienti pediatrici affetti da questa malattia genetica rara che colpisce diversi organi con manifestazioni cliniche anche molto gravi. Nella Giornata internazionale di sensibilizzazione sulla malattia (mercoledì 15 maggio) l’Ospedale Pediatrico della Santa Sede ospita l’incontro scientifico per specialisti e famiglie promosso dall’Associazione Sclerosi Tuberosa, alla presenza del prof. John Bissler, nefrologo di fama internazionale.
Sclerosi tuberosa: la diagnosi
La diagnosi precoce, già in epoca prenatale, prima della comparsa dei sintomi, permette ai clinici di identificare diversi segni di allarme e, quindi, di mitigare il decorso della malattia. Non esiste al momento una cura specifica e risolutiva, tuttavia, grazie alla ricerca scientifica e alla disponibilità di nuovi farmaci, è possibile trattare in modo efficace le singole manifestazioni e complicanze. Considerato il numero degli organi coinvolti e l’estrema variabilità dei sintomi, al Bambino Gesù la gestione dei pazienti è multidisciplinare.
I dati
Sono oltre 150, negli ultimi 3 anni, i bambini e i ragazzi affetti da sclerosi tuberosa assistiti al Bambino Gesù, la maggior parte dei quali di età compresa tra i 6 e i 14 anni. Nel periodo considerato sono stati disposti 620 ricoveri e day hospital, vale a dire una media di 4 ospedalizzazioni a paziente. Nel 45% dei casi, si tratta di bambini che arrivano da fuori regione Lazio per accedere al percorso multidisciplinare dedicato alla patologia.
Équipe dedicata
All’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Centro di riferimento nazionale per il trattamento della sclerosi tuberosa, un’équipe di specialisti diverse aree (neurologo, nefrologo, genetista, dermatologo, oculista, cardiologo, broncopneumologo, neuropsichiatra, neurochirurgo, radiologo interventista) coordinata dai medici dell’Unità di Neurologia dello Sviluppo, si occupa del trattamento dei bambini e ragazzi affetti dalla malattia. Le visite e gli esami previsti all’interno del percorso in day hospital vengono stabiliti sulla base delle necessità del singolo paziente. Sul fronte della ricerca scientifica, l’Ospedale è coordinatore di uno studio che mira, attraverso l’analisi del microbiota intestinale, a individuare nuovi elementi (biomarcatori) che possano predire l’evoluzione di questa malattia rara. Secondo le conoscenze attuali, infatti, le manifestazioni della sclerosi tuberosa non sono ancora del tutto prevedibili.
Tutti fumatori per colpa dell’inquinamento
News, Prevenzione, Stili di vitaSalutisti o no, vivere nelle grandi città ci trasforma tutti in fumatori. Pur senza aver mai acceso una sigaretta, l’effetto dell’inquinamento sui nostri polmoni è spesso paragonabile ai danni causati dal tabacco. Insomma, facciamo tanto per tenerci in forma, ma quanto incide l’inquinamento atmosferico sulla salute dei nostri polmoni? Una domanda che non possiamo sottovalutare, soprattutto perché nel 2024 alcune delle principali città italiane hanno fatto registrare dati di inquinamento atmosferico da record. Insomma, a poco sembra essere valsa la decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2021 di aggiornare le linee guida relative alla qualità dell’aria, abbassando i limiti per le sostanze inquinanti.
Polmoni sotto attacco
Negli ultimi anni, sempre più studi scientifici hanno messo in luce la stretta correlazione tra inquinamento atmosferico, condizioni climatiche avverse e gravi problemi di salute respiratoria. I gas di scarico delle auto, i fumi delle industrie e le particelle sottili presenti nell’aria sono una vera minaccia per il nostro sistema respiratorio e il rischio di sviluppare, o veder peggiorare, malattie come asma, bronchite e BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva) è sempre più alto.
Sintomi
Sono sempre più le ricerche scientifiche che sempre più evidenze indicano le polveri sottili come uno dei principali colpevoli nell’aumentare l’incidenza di neoplasie polmonari. Ma quali sono i sintomi ai quali è bene prestare attenzione? Gli specialisti non hanno dubbi: tosse persistente, difficoltà respiratorie, stanchezza cronica e infezioni ricorrenti sono i campanelli d’allarme che non vanno sottovalutati e che richiedono l’attenzione di uno specialista pneumologo.
Consigli
Chi soffre di asma può (e certamente dovrebbe) adottare alcune precauzioni per limitare l’esposizione alle sostanze inquinanti. Un aiuto può arrivare dalle app che consentono di monitorare la qualità dell’aria ed evitare di pianificare attività all’aperto nei giorni in cui l’inquinamento è più elevato. Per quanto possa essere fastidiosa, una valida alleata è la mascherina, che riesce a filtrare gran parte delle particelle e delle polveri dannose. Infine, quando si pratica attività fisica all’aperto in città, è sempre consigliabile farlo durante le prime ore del mattino, quando le concentrazioni di polveri sottili sono più basse, e preferire percorsi meno trafficati.
Patologie cardiovascolari 1ª causa di morte. La prevenzione
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, Farmaceutica, RubricheSecondo i dati ISTAT, nel 2021 le patologie cardiovascolari, con oltre 216mila decessi, hanno pesato per il 30,8% sulla mortalità. Sindromi coronariche acute (attacco cardiaco; infarto miocardico; angina instabile), scompenso e insufficienza cardiaca, patologie strutturali del cuore come stenosi aortica, rigurgito mitralico e tricuspidale rappresentano le prime cause di ospedalizzazione e decesso.
Negli ultimi anni è migliorata la prognosi, grazie alle nuove strategie terapeutiche, mediche e interventistiche e ai programmi di prevenzione secondaria. Tuttavia, spesso i miglioramenti rischiano di rimanere isolati se competenze e risorse disponibili non vengono condivise tra i vari centri. Per superare questo limite, le quattro Unità Operative di Cardiologia della Sicilia orientale (Catania, Messina, Ragusa, Siracusa) lanciano la “Sicilian Cardiovascular Academy”, un modello estensibile ad altre realtà regionali che prevede la messa in rete di know-how e strumenti, per offrire a ogni paziente la migliore prestazione possibile. Inoltre, si punta alla formazione continua del personale sanitario (clinico, chirurgico, tecnico, inferimieristico).
Prevenzione secondaria delle patologie cardiovascolari
La ricerca e le nuove tecnologie, anche nell’ambito delle patologie cardiovascolari, hanno rivoluzionato il percorso di diagnosi e cura. “Le nuove terapie permettono di guardare con maggiore ottimismo al futuro, ma bisogna intervenire sulla prevenzione secondaria – sottolinea Marco Contarini, Direttore del Dipartimento di Emergenza dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Siracusa e Direttore della Cardiologia del PO Umberto I di Siracusa.
”Non basta la raccomandazione al soggetto sano di un corretto stile di vita (prevenzione primaria), ma serve attenzione per chi abbia già una patologia conclamata. Chi ha avuto un infarto o è stato sottoposto a un intervento di angioplastica – prosegue – non può definirsi guarito, ma ha superato un evento acuto grazie alla cardiologia interventistica e resta soggetto al rischio di una recidiva”.
Recidive, fattori di rischio e nuove terapie
“Per ridurre le probabilità di nuovi eventi, si devono gestire i fattori di rischio: ipercolesterolemia, diabete, obesità – Antonio Micari, Professore Ordinario di Cardiologia presso Università di Messina, Direttore Cardiologia Invasiva -. Per la prima ci sono farmaci innovativi che hanno dimostrato di ridurre la mortalità con poche somministrazioni eseguite sottocute. Per diabete e obesità, invece, esistono nuovi trattamenti, già molto diffusi negli Stati Uniti, che riducono anche il rischio di decesso. Inoltre, le tecniche più moderne consentono di ridurre dell’80% la recidiva della Fibrillazione Atriale, che è la prima causa di ictus sopra i 50 anni”.
Patologie cardiovascolari, una rete per mettere il paziente al centro
Per mettere il paziente al centro e intervenire sui fattori di rischio, è necessaria una rete di diversi centri che condividano tra loro il know-how e le tecnologie in continua evoluzione. Inoltre, sottolineano gli specialisti, serve una divisione di compiti tra il territorio, che deve farsi carico delle riacutizzazioni più semplici e svolgere una funzione di filtro, e la cardiologia ospedaliera, che interviene nei casi più gravi con il ricovero.
“Da qui è emersa la nostra esigenza di discutere e confrontarsi con tutti gli specialisti impegnati in ambito cardiologico – spiega Antonino Nicosia, Direttore Dipartimento Cardio-Neuro-Vascolare, ASP Ragusa – La rete a cui lavoriamo rappresenta un nuovo sistema di cura in grado di erogare la prestazione sanitaria opportuna, nel luogo e nei tempi corretti mediante percorsi interconnessi che offrano al paziente il trattamento adatto, indipendentemente da dove questi si trova e considerando la limitatezza di risorse. La Sicilian Cardiovascular Academy si propone di coinvolgere in un network tutti i cardiologi dell’Isola, di fare rete per crescere insieme, per poi formare anche i pazienti”.