Tempo di lettura: 3 minutiLe tecnologie mediche evolvono costantemente, anche a vantaggio del paziente cronico. Inoltre possono rappresentare un mezzo di prevenzione e cura per la Sanità territoriale. L’indirizzo dato dal recente DM 77 del Ministero della Salute nell’attuazione del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – è l’occasione per rivedere gli approcci e i setting assistenziali (sia ospedalieri che ambulatoriali).
L’obiettivo è ridisegnare il Servizio sanitario per andare maggiormente incontro ai bisogni di salute dei cittadini. Su questi temi si è incentrato l’incontro, dal titolo:“Forme alternative alla degenza e tecnologie abilitanti: quali prospettive regionali per un’appropriatezza erogativa”.
Il dibattito è stato organizzato da MedTronic, azienda di HealthCare Technology, in media partnership con GStrategy. Ha visto la partecipazione di AGENAS – Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – e di professionisti clinici e della governance sanitaria delle Regioni Campania, Piemonte, Puglia e dell’Azienda Provinciale di Trento.
Sono state discusse le prospettive presenti e future della sanità territoriale alla luce del DM 77 e delle risorse del PNRR. Un focus particolare è stato sulla gestione delle cronicità e dei pazienti cardiovascolari, alla luce dell’innovazione tecnologica e normativa.
Sanità territoriale e gestione delle cronicità
“Il nuovo assetto della sanità territoriale – dichiara il Presidente dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, Prof. Enrico Coscioni – previsto dal PNRR Missione Salute, dovrà essere un punto di riferimento continuativo per la presa in carico dei pazienti con cronicità. Tra i quali, appunto, quelli affetti da patologie cardiovascolari.
Agli assistiti andranno offerti servizi come prelievi, ecografie, esami e diagnostica di base. Le Case della Comunità potranno, quindi, alleviare la pressione sui Pronto Soccorso. Potranno dare supporto diagnostico ai medici che hanno in cura pazienti cronici e fragili. Inoltre, come Agenzia della Sanità Digitale, cercheremo di far leva sulle best practice regionali mettendole a disposizione di tutta la Nazione. In particolare per quel che riguarda la diffusione della Telemedicina”.
Tecnologie per la diagnosi
Il caso della gestione del paziente cronico cardiovascolare, affrontato durante l’incontro, può considerarsi un esempio sia delle opportunità che degli ostacoli in questa fase di trasformazione. Infatti, non tutte le anomalie cardiache possono essere individuate attraverso i monitor esterni, che usualmente coprono un arco di monitoraggio tra le 24 ore e i 30 giorni. Diversi pazienti manifestano sintomi come sincope (svenimento), convulsioni, palpitazioni ricorrenti, stordimento o vertigini regolarmente. Tuttavia, non abbastanza spesso da essere rilevati da questi strumenti diagnostici.
Una soluzione possono essere i monitor cardiaci impiantabili (ICM): dispositivi più piccoli di una chiavetta USB. Vengono posizionati appena sotto la pelle del torace per registrare l’attività elettrica del cuore per oltre tre anni. Ad oggi si attestano come una delle soluzioni migliori per diagnosticare la fibrillazione atriale.
I casi di FA e i costi per la Sanità
In Italia il numero di nuovi casi di Fibrillazione Atriale – FA, si può stimare in 154.000 persone ogni anno. Sono circa 150mila i ricoveri per sincopi e circa 13 mila i casi di ictus criptogenico.
Il costo medio di ospedalizzazione ad un anno dal ricovero per i pazienti colpiti da ictus ischemico ed emorragico è pari a € 7.289 e € 9.044 rispettivamente, per singolo paziente. Il costo medio di ospedalizzazione della sincope, invece, sfiora i € 3.000 per singolo paziente. Il caso degli ILR aiuta a capire i meccanismi della sanità e valutare la capacità del sistema di migliorarsi.
Esiste un ostacolo di natura amministrativa all’impiego dei monitor cardiaci impiantabili a livello ambulatoriale. “Lo sviluppo tecnologico – secondo il dott. Franco Ripa Dirigente del settore programmazione dei servizi sanitari e socio-sanitari della Regione Piemonte – è fondamentale per il miglioramento degli esiti in termini di salute.
In tale ambito è necessario ricercare le migliori evidenze scientifiche, applicarle e sottoporle ad attività sistematiche di valutazione. Inoltre è anche molto importante attuare gli interventi con il setting organizzativo più adatto, al fine di coniugare efficacia ed efficienza”.
“L’attuale pratica clinica richiede un ricovero ospedaliero per l’impianto di questi dispositivi – dice il dott.Gaetano Senatore, Direttore S.C. Cardiologia dell’ospedale di Cirie’-Lanzo – ASL TO 4 – che dal punto di vista tecnologico consentirebbero anche un setting ambulatoriale. Un intervento ambulatoriale sarebbe più che semplice per il paziente e più economico per il servizio sanitario”.
Innovare il percorso clinico
Secondo Rocco Palese, Assessore Sanità, Benessere animale, Controlli interni, Controlli connessi alla gestione emergenza Covid-19, Regione Puglia, ”l’innovazione, infatti, impatta sul governo del percorso clinico del paziente cardiovascolare. Questo ci deve portare al riconoscimento di altre patologie che potrebbero essere curate fuori dalle degenze ordinarie. È per questo che le risorse del PNRR vanno ottimizzate: per innovare il percorso clinico”.
“La Campania – sottolinea Ugo Trama, UOD Politica del Farmaco e dispositivi Regione Campania tra i protagonisti del dibattito – sta attuando un programma pilota che possa validare i percorsi ottimizzati dei pazienti cardiovascolari ridefinendone, ad iso-risorse e technology-driven, il setting assistenziale da ricoveri ordinari a day surgery. I benefici correlati ad una gestione ottimale di questi pazienti sarebbero importanti anche in ottica regionale. Con un recupero di risorse derivante dal trattamento delle procedure elencate attraverso un miglioramento dell’appropriatezza e dell’efficienza erogativa”.
Sanità territoriale e forme alternative alla degenza. L’incontro
Economia sanitaria, Ricerca innovazioneLe tecnologie mediche evolvono costantemente, anche a vantaggio del paziente cronico. Inoltre possono rappresentare un mezzo di prevenzione e cura per la Sanità territoriale. L’indirizzo dato dal recente DM 77 del Ministero della Salute nell’attuazione del PNRR – Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – è l’occasione per rivedere gli approcci e i setting assistenziali (sia ospedalieri che ambulatoriali).
L’obiettivo è ridisegnare il Servizio sanitario per andare maggiormente incontro ai bisogni di salute dei cittadini. Su questi temi si è incentrato l’incontro, dal titolo:“Forme alternative alla degenza e tecnologie abilitanti: quali prospettive regionali per un’appropriatezza erogativa”.
Il dibattito è stato organizzato da MedTronic, azienda di HealthCare Technology, in media partnership con GStrategy. Ha visto la partecipazione di AGENAS – Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – e di professionisti clinici e della governance sanitaria delle Regioni Campania, Piemonte, Puglia e dell’Azienda Provinciale di Trento.
Sono state discusse le prospettive presenti e future della sanità territoriale alla luce del DM 77 e delle risorse del PNRR. Un focus particolare è stato sulla gestione delle cronicità e dei pazienti cardiovascolari, alla luce dell’innovazione tecnologica e normativa.
Sanità territoriale e gestione delle cronicità
“Il nuovo assetto della sanità territoriale – dichiara il Presidente dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, Prof. Enrico Coscioni – previsto dal PNRR Missione Salute, dovrà essere un punto di riferimento continuativo per la presa in carico dei pazienti con cronicità. Tra i quali, appunto, quelli affetti da patologie cardiovascolari.
Agli assistiti andranno offerti servizi come prelievi, ecografie, esami e diagnostica di base. Le Case della Comunità potranno, quindi, alleviare la pressione sui Pronto Soccorso. Potranno dare supporto diagnostico ai medici che hanno in cura pazienti cronici e fragili. Inoltre, come Agenzia della Sanità Digitale, cercheremo di far leva sulle best practice regionali mettendole a disposizione di tutta la Nazione. In particolare per quel che riguarda la diffusione della Telemedicina”.
Tecnologie per la diagnosi
Il caso della gestione del paziente cronico cardiovascolare, affrontato durante l’incontro, può considerarsi un esempio sia delle opportunità che degli ostacoli in questa fase di trasformazione. Infatti, non tutte le anomalie cardiache possono essere individuate attraverso i monitor esterni, che usualmente coprono un arco di monitoraggio tra le 24 ore e i 30 giorni. Diversi pazienti manifestano sintomi come sincope (svenimento), convulsioni, palpitazioni ricorrenti, stordimento o vertigini regolarmente. Tuttavia, non abbastanza spesso da essere rilevati da questi strumenti diagnostici.
Una soluzione possono essere i monitor cardiaci impiantabili (ICM): dispositivi più piccoli di una chiavetta USB. Vengono posizionati appena sotto la pelle del torace per registrare l’attività elettrica del cuore per oltre tre anni. Ad oggi si attestano come una delle soluzioni migliori per diagnosticare la fibrillazione atriale.
I casi di FA e i costi per la Sanità
In Italia il numero di nuovi casi di Fibrillazione Atriale – FA, si può stimare in 154.000 persone ogni anno. Sono circa 150mila i ricoveri per sincopi e circa 13 mila i casi di ictus criptogenico.
Il costo medio di ospedalizzazione ad un anno dal ricovero per i pazienti colpiti da ictus ischemico ed emorragico è pari a € 7.289 e € 9.044 rispettivamente, per singolo paziente. Il costo medio di ospedalizzazione della sincope, invece, sfiora i € 3.000 per singolo paziente. Il caso degli ILR aiuta a capire i meccanismi della sanità e valutare la capacità del sistema di migliorarsi.
Esiste un ostacolo di natura amministrativa all’impiego dei monitor cardiaci impiantabili a livello ambulatoriale. “Lo sviluppo tecnologico – secondo il dott. Franco Ripa Dirigente del settore programmazione dei servizi sanitari e socio-sanitari della Regione Piemonte – è fondamentale per il miglioramento degli esiti in termini di salute.
In tale ambito è necessario ricercare le migliori evidenze scientifiche, applicarle e sottoporle ad attività sistematiche di valutazione. Inoltre è anche molto importante attuare gli interventi con il setting organizzativo più adatto, al fine di coniugare efficacia ed efficienza”.
“L’attuale pratica clinica richiede un ricovero ospedaliero per l’impianto di questi dispositivi – dice il dott.Gaetano Senatore, Direttore S.C. Cardiologia dell’ospedale di Cirie’-Lanzo – ASL TO 4 – che dal punto di vista tecnologico consentirebbero anche un setting ambulatoriale. Un intervento ambulatoriale sarebbe più che semplice per il paziente e più economico per il servizio sanitario”.
Innovare il percorso clinico
Secondo Rocco Palese, Assessore Sanità, Benessere animale, Controlli interni, Controlli connessi alla gestione emergenza Covid-19, Regione Puglia, ”l’innovazione, infatti, impatta sul governo del percorso clinico del paziente cardiovascolare. Questo ci deve portare al riconoscimento di altre patologie che potrebbero essere curate fuori dalle degenze ordinarie. È per questo che le risorse del PNRR vanno ottimizzate: per innovare il percorso clinico”.
“La Campania – sottolinea Ugo Trama, UOD Politica del Farmaco e dispositivi Regione Campania tra i protagonisti del dibattito – sta attuando un programma pilota che possa validare i percorsi ottimizzati dei pazienti cardiovascolari ridefinendone, ad iso-risorse e technology-driven, il setting assistenziale da ricoveri ordinari a day surgery. I benefici correlati ad una gestione ottimale di questi pazienti sarebbero importanti anche in ottica regionale. Con un recupero di risorse derivante dal trattamento delle procedure elencate attraverso un miglioramento dell’appropriatezza e dell’efficienza erogativa”.
Obesità, troppi chili in Italia e il 40% dei genitori ignora il problema
Genitorialità, News Presa, PediatriaL’obesità e il sovrappeso in Italia interessano oltre 25 milioni di persone. Si tratta del 46% degli adulti e il 26,3% dei bambini e adolescenti tra i 3 e i 17 anni. I numeri emergono dal 4/o Italian Barometer Obesity Report, riferito all’anno 2021. Il report, presentato oggi, è realizzato da IBDO Foundation in collaborazione con Istat, Coresearch e Bhave e con il contributo non condizionato di Novo Nordisk.
Molti non riconoscono di avere un problema di peso
Una larga quota di italiani non riconosce di avere un problema di peso. Un dato che preoccupa gli esperti. L’11,1% degli adulti con obesità e il 54,6% degli adulti in sovrappeso ritiene di essere normo peso e ben il 40,3% dei genitori di bambini in sovrappeso o obesi considera i propri figli sotto-normo peso.
L’obesità può portare a complicanze, tra cui lo sviluppo di problemi di salute mentale, disturbi cardiaci, diabete di tipo 2, nonché alcuni tumori e problemi a scheletro e articolazioni. “Si stima – spiega Paolo Sbraccia, vicepresidente IBDO Foundation e professore ordinario di Medicina Interna dell’Università di Roma Tor Vergata – che questa malattia causi il 58% dei casi di diabete tipo 2, il 21% dei casi di cardiopatia ischemica e fino al 42% di alcuni tumori e porta a circa 57mila morti annuali solo nel nostro Paese”.
Obesità e peso in eccesso: differenze territoriali e di genere
Dal Report emergono differenze di genere. Tra gli adulti l’11,1% delle donne è obeso contro il 12,9% degli uomini. Tra i bambini e gli adolescenti, il 23,2% delle femmine è in eccesso di peso, contro il 29,2% dei maschi.
Inoltre, emergono differenze territoriali a svantaggio delle zone meridionali e delle isole. Il 31,9% e il 26,1% dei bambini e degli adolescenti al Sud e nelle Isole è in eccesso di peso, rispetto al 18,9% al Nord-Ovest, al 22,1% al Nord-Est e al 22% al Centro.
Le diseguaglianze territoriali si confermano anche tra gli adulti, con un tasso di obesità che varia dal 14% al Sud e 13,6% nelle Isole, al 12,2% del Nord Est, al 10,5% del Nord-Ovest e Centro.
Gli effetti del freddo sulle donne, parla l’esperta
Prevenzione, PsicologiaL’arrivo dell’inverno non passa inosservato soprattutto per le donne. Il freddo, infatti, può influire sull’umore e causare cambiamenti nel ciclo mestruale. L’esperta spiega tutti gli effetti che le basse temperature possono produrre sull’organismo delle donne. Sono tanti i fattori che entrano in gioco, tra cui gli ormoni che risentono, ad esempio, della mancanza di luce solare.
“Ci sono dati interessanti su come le stagioni possono influenzare il dolore del ciclo mestruale. Il freddo in particolare può portare alla costrizione dei vasi sanguigni che possono aumentare il dolore. Ci sono anche interferenze legate alla minore esposizione alla luce solare – spiega la ginecologa Manuela FARRIS – che può portare a un abbassamento dell’umore e a un peggioramento della percezione del dolore”.
Gli effetti della mancanza di luce sugli ormoni
Uno studio ha preso in considerazione i paesi del nord Europa, dove la durata della luce solare d’inverno è molto inferiore rispetto ai paesi del sud Europa. I risultati della ricerca dimostrano come una ridotta esposizione alla luce solare possa influire sulla produzione di ormoni.
“Questo studio analizza come il fattore luce può causare livelli ridotti di FSH che possono portare ad un’ovulazione meno regolare e una maggiore durata del ciclo. Può anche influire sulla produzione di ormoni tiroidei e quindi sul metabolismo e sulla durata del ciclo. Anche la risposta degli ormoni – continua FARRIS – è compromessa a causa della ridotta produzione di vitamina D, frequente in questa popolazione di donne”.
I cambiamenti causati dal freddo
Un sondaggio Census-INTIMINA ha coinvolto oltre 5mila donne, di età compresa tra 18 e 45 anni in Italia, Regno Unito, Stati Uniti, Francia, Spagna. L’indagine ha indagato su alcuni cambiamenti che il freddo può scatenare. Dai risultati emerge un aumento del dolore mestruale che colpisce il 30% delle donne e un ciclo più irregolare (per il 17%). Anche la durata del ciclo cambia come confermato dalle italiane intervistate, che lamentano il fatto che dura di più (per il 14%) o meno (il 10%).
Freddo aumenta gonfiore, emicrania e ansia
Durante la stagione invernale quasi 6 donne su 10 (59%) dichiarano di soffrire di gonfiore e gas, mentre il 45% di emicrania e il 40% di ansia. Circa un terzo afferma di avere diarrea e nausea (35%), ma anche fastidio alla vescica o al retto (33%). La pelle ne risente: il 23% avverte maggiore sensibilità. Un andamento confermato anche dalle italiane ad eccezione di quante soffrono di mal di testa che sembra disturbarle di più con il freddo, vista la percentuale pari al 56%.
“Il dolore è tra i sintomi più frequenti dovuto alla contrazione dell’utero per favorire la mestruazione – precisa FARRIS – con un aumento di prostaglandine che provocano una reazione infiammatoria che può provocare dolore all’utero ma anche agli organi vicini, come la vescica e l’intestino”.
Nei giorni o settimane che precedono le mestruazioni, molte donne avvertono cambiamenti nel ritmo del sonno, il 65% per l’esattezza. Per lo più hanno difficoltà ad addormentarsi (54%) o si svegliano frequentemente (51%). A causa della sindrome premestruale, il 24% delle italiane ha invece difficoltà a svegliarsi mentre aumentano quelle con insonnia (4 su 10).
Freddo e stimolo a fare piu’ pipi’
La relazione tra freddo e stimolo ad urinare si spiega perché il corpo deve mantenere la temperatura costante a 36 gradi per permettere a tutti gli organi di funzionare in condizioni ottimali. Per farlo, l’organismo contrae i vasi sanguigni delle estremità periferiche (piedi e mani) per portare più sangue al cuore per tenerlo al “caldo”. Aumenta quindi la pressione sanguigna, che il corpo cerca di abbassare, e lo fa eliminando i liquidi in eccesso.
Non bisogna però confondere questo stimolo con le piccole perdite urinarie che, per circa la metà delle intervistate (49%) coincidono con una risata, uno starnuto o quando sollevano qualcosa di pesante. Inoltre la maggior parte non sa che questo è un sintomo di disfunzione del pavimento pelvico e che i muscoli del pavimento pelvico possono essere mantenuti forti con gli esercizi giusti.
“Molte donne pensano che queste piccole perdite siano normali, soprattutto se con il freddo aumenta la frequenza in bagno. Incoraggio queste donne a chiedere consiglio sugli esercizi del pavimento pelvico – conclude FARRIS – perché possono fare una differenza sulla qualità di vita e possono anche ridurre la probabilità di problemi futuri come il prolasso, senza contare i benefici che possono avere sulla vita sessuale”.
Microbiota intestinale migliora con lo sport. In che modo
Sport, Stili di vitaIl movimento fa bene a corpo e mente, la scienza lo ribadisce ormai da tempo. Un ultimo studio, però, va oltre e dimostra come l’attività fisica possa influenzare anche il microbiota. Gli studiosi hanno condotto per anni ricerche su animali e sull’uomo, i risultati sono stati spiegati in un articolo pubblicato su Exercise and Sport Sciences Reviews.
Non è ancora chiaro come il movimento riesca a esercitare il suo effetto benefico sul microbiota, ma sono state formulate diverse ipotesi che saranno approfondite con altre ricerche. Lo sport rende più efficiente il flusso sanguigno verso l’intestino, quindi potrebbe essere per effetto di un maggior nutrimento dell’intestino stesso. Questo favorisce, a sua volta, un miglioramento del tono dell’umore, della qualità del sistema nervoso, della gestione dello stress, dell’ansia e del sonno, tutti possibili nemici del microbiota.
Sport, effetti nel sistema immunitario
Inoltre, l’attività fisica produce effetti nel sistema immunitario grazie all’aumentare di comunità batteriche che, attraverso la fermentazione, producono acidi grassi a catena corta come il butirrato. Quest’ultimo è alla base dei processi che contrastano l’infiammazione: causa di molte patologie cronico-degenerative come obesità e diabete, e rafforzare le nostre difese immunitarie. In sostanza, lo sport migliora l’ambiente in cui il microbiota vive. I miglioramenti al microbiota, agevolano la variabilità del suo microbioma, l’insieme dell’intero corredo genetico dei microbi.
Microbiota intestinale: quanto sport fare per migliorarlo
Secondo gli studi, lo sport moderato di 30-60 minuti favorisce la qualità del microbioma. È consigliabile muoversi un’ora tutti i giorni, anziché quattro ore in una volta sola a settimana o tre ogni giorno. Lo stress ossidativo, infatti, è inferiore.
Il microbiota, considerato un vero e proprio organo, è costituito da centomila miliardi di batteri, virus, funghi. Tanto più è ampio e differenziato, tanto più sarà performante. La principale funzione è nutrire le cellule, producendo nutrienti e vitamine da sostanze altrimenti non digeribili, prevenire la colonizzazione di virus e batteri nocivi, rafforzare le difese del sistema immunitario
Gli alimenti da scegliere
Per migliorare il microbiota gli esperti consigliano un’alimentazione varia con più di 30 alimenti vegetali diversi a settimana. Oltre a verdura e frutta, a tavola non devono mancare cereali integrali, grani antichi come miglio e grano saraceno, legumi non decorticati, frutta secca e molta acqua. Le fibre di questi alimenti sono il cibo preferito dei batteri “amici”. Tuttavia, l’alimentazione da sola non basta. L’ultimo studio dimostra che chi cambia la dieta migliora più lentamente rispetto a chi, a parità di dieta, aggiunge una sessione di sport giornaliero. Altri nemici del microbiota intestinale sono gli abusi di farmaci con le cure fai da te e il fumo. Bastano 7-10 giorni per migliorare la situazione.
Editoria: Speciale Salute e Prevenzione di Novembre
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione, SpecialiIn edicola con Il Mattino lo speciale che il network editoriale PreSa dedica ai temi della salute e della prevenzione. Ad aprire lo speciale un approfondimento su una patologa purtroppo molto diffusa, la poliposi nasale, ma anche troppo spesso sottovalutata. Di grande interesse anche il focus sulla chirurgia che ci consente di dire addio agli occhiali e sulla robotica, che sempre più consente interventi di altissima precisione e tempi di degenza ridotti. Tutto questo, e molto altro ancora, nello speciale Salute & Prevenzione che il network PreSa realizza in partnership con Il Mattino.
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HPV: confermata efficacia vaccino. Chi può farlo
PrevenzioneIl vaccino contro il papillomavirus (HPV) è efficace. Una revisione sistemica di 138 studi lo conferma. Il vaccino riduce i tassi di lesioni cervicali, di alto e basso grado. Inoltre riduce alcune patologie non cervicali HPV correlate, sia nelle donne sia negli uomini.
Cos’è il Papilloma virus Umano
L’infezione Hpv colpisce almeno una volta nella vita l’80% delle donne tra i 20 e i 79 anni. Si trasmette principalmente per via sessuale. Sebbene nella maggior parte dei casi sia transitorio e privo di sintomi, talvolta può provocare lesioni benigne della cute e delle mucose.
In casi più rari, se il sistema immunitario non riesce a debellare rapidamente il virus, l’Hpv può portare a forme tumorali quali il tumore della cervice uterina. Questa forma di neoplasia, infatti, è totalmente riconducibile a un’infezione.
Il virus Hpv è responsabile anche di altri tumori in sede genitale (vulva, vagina, ano, pene) ed extragenitale (cavità orale, faringe, laringe). Nei casi di infezione cronica, la lesione tumorale si sviluppa in genere nell’arco di 7-15 anni dal contagio. Finora sono stati identificati più di 120 tipi di Hpv, classificati in base al rischio di trasformazione neoplastica.
Dei 12 ceppi classificati ad alto rischio, due (HPV 16 e 18) sono i principali responsabili dell’evoluzione tumorale dell’infezione. Invece, i ceppi a basso rischio, i sierotipi 6 e 11 sono da soli responsabili di circa il 90% delle verruche genitali.
Lo studio sull’efficacia del vaccino HPV
La metanalisi pubblicata su Expert Review of Vaccines ha preso in esame l’efficacia della vaccinazione per HPV con il vaccino ricombinante quadrivalente (tipi 6, 11, 16 e 18).
La revisione sistematica su 138 studi pubblicati tra il primo marzo 2016 e il 31 marzo 2020, analizza l’impatto e l’efficacia di campo del vaccino per HPV ricombinante quadrivalente implementato nei programmi di immunizzazione di 23 Paesi in Africa, Asia, Europa, Australia, Sud America e Nord America. La nuova ricerca aggiorna i dati di una precedente revisione pubblicata nel 2016.
A cosa serve il vaccino HPV
Dai trial clinici condotti con i due vaccini disponibili (bivalente e quadrivalente) emerge un’efficacia elevata nel proteggere dalle lesioni precancerose e cancerose del collo dell’utero. Un’efficacia superiore al 90% nella popolazione che al momento dell’arruolamento era negativa per i tipi di HPV contenuti nel vaccino.
Le riduzioni maggiori si osservano nelle fasce di età più giovani(14-17 anni). La riduzione interessa fino al 73% delle lesioni cervicali precancerose tra le donne vaccinate.
Protegge anche da altre patologie
Le vaccinazioni riducono anche l’incidenza di condilomi anogenitali nelle donne delle fasce di età target della vaccinazione. Le riduzioni più significative, fino all’88%, si osservano nei gruppi di età più giovane.
Oggi non esiste uno screening di routine raccomandato per la rilevazione di tumori e patologie non cervicali correlate ad HPV. Tuttavia emerge una costante diminuzione complessiva della prevalenza di infezione anale negli uomini vaccinati.
Inoltre, in uno studio si osserva la riduzione nelle forme anali precancerose di alto grado tra uomini che hanno rapporti sessuali con uomini vaccinati rispetto ai non vaccinati.
Chi deve vaccinarsi
La vaccinazione, per avere la massima efficacia, va somministrata prima dell’inizio dell’attività sessuale, cioè prima di un’eventuale esposizione all’infezione da HPV. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda tra i 9 e gli 11 anni.
In Italia, il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale prevede la vaccinazione gratuita a tutti gli adolescenti, non solo femmine, ma anche maschi a partire dalla coorte dei 12enni in tutte le Regioni con vaccino per HPV ricombinante quadrivalente.
Nel 2017 è stato introdotto in Italia il vaccino 9-valente che ha progressivamente sostituito il vaccino quadrivalente. Quest’ultimo, oltre a contenere i 4 ceppi di HPV del precedente vaccino, ha aggiunto altri 5 ceppi oncogeni per proteggere dalle malattie HPV-correlate.
In Italia, il vaccino è raccomandato anche alle donne di 25 anni di età, in concomitanza con la chiamata al primo screening per la citologia cervicale (Pap-test). In generale, l’utilizzo del vaccino anti-HPV è comunque raccomandato per tutte le donne, secondo gli indirizzi delle Regioni.
Depressione per la prima volta in pandemia per il 13% over 45
News PresaIl grave impatto della pandemia sulla salute mentale delle persone è stato appena dimostrato. Secondo i risultati di una ricerca, il 12,9% degli adulti e anziani che non avevano mai avuto sintomi di depressione in vita loro, li ha sviluppati per la prima volta proprio durante la pandemia. Il dato peggiore però riguarda chi aveva una storia di depressione alle spalle: il 45% ha riferito di aver nuovamente avuto i sintomi.
Il legame tra pandemia e depressione. Lo studio
La ricerca è stata coordinata dall’Università di Toronto (Canada) e pubblicata su International Journal of Environmental Research and Public Health. Tra il 2011 e il 2020, gli studiosi canadesi hanno monitorato oltre 20mila persone tra i 45 e i 95 anni. Una persona su 8 senza nessuna passata esperienza di depressione nell’autunno del 2020 ha riferito di sentirsi depressa. L’impatto negativo della pandemia sulla salute mentale è stato ancora più forte tra chi aveva già sperimentato la depressione di recente (il 58,2% si sentiva depresso ad autunno 2020) o nel passato più lontano (33,5%).
Reddito basso, solitudine e conflitti familiari. I fattori di rischio
Il lockdown e le restrizioni sono stati vissuti con maggiore difficoltà dagli adulti e dagli anziani soli. I sintomi depressivi durante il primo anno di pandemia hanno interessato maggiormente le donne nelle fasce di età comprese tra 50-59 anni e 90-96 anni.
I ricercatori hanno identificato anche alcuni fattori più associati allo sviluppo di depressione in pandemia, tra cui reddito e risparmi inadeguati, solitudine, soffrire di dolore cronico, difficoltà ad accedere all’assistenza sanitaria, avere una storia di esperienze infantili avverse e conflitti familiari. Chi provava solitudine o aveva conflitti familiari aveva a un rischio da 3 a 5 volte maggiore di sviluppare depressione durante la pandemia.
Perché spostarsi in bicicletta è una buona idea. Parla l’esperto
Sport, Stili di vitaAndare in bicicletta fa bene. Lo confermano evidenze scientifiche. Utilizzare la bicicletta sia come mezzo di trasporto, sia come allenamento, dà benefici all’organismo e previene varie patologie, tra cui quelle cardiovascolari.
Pedalare è un’attività alla portata di tutti ed è praticabile a qualsiasi età. Consente di mantenere una buona forma fisica, è sicura e contribuisce all’equilibrio psicologico, grazie alla produzione delle endorfine che consegue al suo utilizzo.
Andare in bicicletta fa bene al cuore
“L’attività respiratoria e aerobica richiesta dalla bicicletta provoca, se praticata con costanza, un moderato aumento degli spazi cavitari e dell’ipertrofia delle pareti del cuore, migliorando così la resistenza alla fatica e la capacità respiratoria”. A svelare i meccanismi è il dottor Michele Lagioia, Direttore Medico Sanitario di Humanitas. I benefici al sistema cardiovascolare non finiscono qui. “Andare in bicicletta infatti contribuisce alla diminuzione della pressione arteriosa diastolica, aumenta l’elasticità delle pareti delle vene e incrementa la circolazione del sangue negli arti inferiori, prevenendone il gonfiore e il conseguente affaticamento di circolo”.
Aiuta la forma fisica
“Pedalare aiuta a bruciare grassi e calorie (circa 600 kcal in un’ora di pedalata sostenuta), aiutando così a diminuire l’adipe e migliorare il metabolismo tenendo sotto controllo i livelli di colesterolo, glicemia e trigliceridi. In questo modo risulta attenuato il rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari come infarto e ictus. La bicicletta – grazie alla possibilità di variare in modo ampio e preciso lo sforzo – è anche consigliata, in alcuni casi, a pazienti che si stanno rimettendo da interventi all’apparato cardiaco, ovviamente a intensità ridotta e sotto stretto controllo medico”, sottolinea lo specialista.
Benefici per muscoli, articolazioni e ossa
La bicicletta protegge le cartilagini di anche, ginocchia e caviglie. Grazie al movimento rotatorio della pedalata, ci si allena senza sovraccaricare le articolazioni. Inoltre, la posizione stessa che si assume quando si pedala, protegge anche la colonna vertebrale, perché il peso viene scaricato attraverso la bicicletta su manubrio e sellino.
I muscoli che vengono maggiormente tonificati con il ciclismo, più o meno intenso, sono quelli di polpacci, cosce e glutei, mentre quelli di braccia, torso e parte bassa della schiena vengono comunque sollecitati. La pedalata in piedi aiuta a rinforzare gli addominali.
Dagli spostamenti in città all’allenamento
Usare la bicicletta per spostarsi in città fa bene anche all’ambiente. Inoltre consente di sfruttare il tempo dello spostamento per fare attività fisica e passare più tempo all’aria aperta e godere della luce del sole.” Tuttavia – spiega l’esperto –se spostamenti di pochi chilometri possono rivelarsi un’attività benefica utile a contrastare la sedentarietà, mettere in moto l’organismo e controllare il peso (se la pratica è costante e in combinazione con una dieta sana e uno stile di vita equilibrato), non si possono comunque considerare un vero e proprio allenamento.
Per poter parlare di allenamento, infatti, bisogna sollecitare il corpo con una pedalata impegnata e una percorrenza lunga, di circa 45-60 minuti giornalieri (o più, a seconda del livello di allenamento)”.
A chi è sconsigliata la bicicletta
“Ci sono delle circostanze in cui è opportuno prestare un’attenzione maggiore –spiega l’esperto – in caso di infezioni all’apparato urinario, malattie infiammatorie acute e croniche dei genitali, o emorroidi.
Inoltre chi non è sufficientemente allenato potrebbe andare incontro a sollecitazioni eccessive, è un problema che può riguardare chi soffre di patologie cardiovascolari (che, come abbiamo detto, deve allenarsi sotto stretto controllo medico), ma anche chi è interessato da ernia del disco e lombosciatalgie dovrebbe risolvere il problema prima di riprendere l’attività cicloturistica. In particolare, la colonna lombare e il nervo sciatico possono entrare in sofferenza in caso di carico mal distribuito o posizioni sbagliate.
Il consiglio è dosare le energie in base alla propria forma fisica ed evitare i sovraccarichi, anche utilizzando un buon cardiofrequenzimetro. Una bicicletta adeguata al percorso che si deve effettuare è sicuramente il primo passo per evitare sforzi eccessivi”, conclude lo specialista.
Antibiotici: troppi e assunti male. Allarme morti da batteri resistenti
News PresaI batteri super-resistenti agli antibiotici potrebbero essere la prima causa di morte nel mondo entro il 2050. L’antibiotico-resistenza minaccia in particolare l’Italia.
Il nostro Paese continua ad essere ‘maglia nera’ in Europa, con 15mila morti l’anno per infezioni ospedaliere da batteri resistenti. Si tratta di quasi la metà del totale dei decessi, secondo l’Ecdc. Una ‘pandemia silenziosa’ scatenata da un uso inappropriato degli antibiotici che ha generato la comparsa di batteri resistenti.
Andrea Mandelli, presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani (Fofi), ha fatto luce sul pericolo, in occasione della Giornata europea e della Settimana mondiale di sensibilizzazione sugli antibiotici
“Gli antibiotici sono una delle conquiste fondamentali della ricerca medica che rischiamo di compromettere a causa di un uso eccessivo, e in molti casi improprio, di questi farmaci. Utilizzarli correttamente è una responsabilità di tutti per evitare di ritrovarci in futuro senza strumenti efficaci per combattere le infezioni, ai danni soprattutto di chi è più fragile”– ha spiegato l’esperto.
Italia: 11mila morti l’anno per infezioni resistenti agli antibiotici
“Se non si mettono in pratica comportamenti individuali responsabili e in assenza di politiche e interventi mirati, nel 2050 i cosiddetti batteri super-resistenti saranno la principale causa di morte al mondo, prima di infarto e ictus – continua Mandelli -. L’antibiotico-resistenza preoccupa in particolar modo l’Italia che continua ad essere ‘maglia nera’ in Europa, con circa 11mila morti l’anno per infezioni resistenti agli antimicrobici, secondo l’ECDC.
Per arginare questa ‘pandemia silenziosa’ è quanto mai urgente intensificare gli sforzi delle istituzioni sanitarie e dei professionisti della salute su diversi fronti. Promuovere un uso razionale degli antibiotici, dentro e fuori dagli ospedali. Supportare la ricerca di nuove molecole e aumentare la consapevolezza della popolazione sul pericolo legato alla comparsa di batteri resistenti.
La disinformazione è tra le principali cause di utilizzo inappropriato di antibiotici che si registra, ad esempio, per curare l’influenza o il raffreddore durante il periodo invernale”. “I farmacisti sono consapevoli dell’importante contributo che possono dare per migliorare l’informazione ai cittadini e sensibilizzare rispetto all’adozione di buone pratiche di prevenzione per ridurre il rischio di infezioni.
Facciamo appello alla sensibilità delle istituzioni e di tutti i professionisti della salute impegnati sul territorio per dare vita, insieme, a una grande campagna di informazione rivolta all’opinione pubblica per educare all’uso consapevole degli antibiotici”, conclude il presidente FOFI.
Giornata contro la violenza sulle donne: l’esperto elenca 5 segnali
News Presa“Si poteva evitare?” Una domanda che spesso viene fatta a seguito di situazioni di violenza contro le donne che, troppo spesso, finiscono in tragedie. In occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che si celebra il 25 novembre, lo psichiatra Enrico Zanalda, Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense (SIPF), spiega quali sono i segnali preventivi.
“Bisogna essere consapevoli che le relazioni umane possono essere pericolose soprattutto quando vengono instaurate con persone narcisistiche o dissociali. È difficile rendersi conto di questo quando si è all’interno di un rapporto di coppia – spiega Zanalda. Quando si intuisce un potenziale pericolo bisogna avere la forza e il coraggio di agire senza minimizzare, nascondere o giustificare quei comportamenti. Spesso sono violenze verbali che fanno soffrire e lasciano forti sensazioni di disagio, dimostrando quanto il partner non ci stia rispettando moralmente o addirittura fisicamente”.
Violenza: 5 punti da considerare in una relazione di coppia
Non sottovalutare la sensazione di pericolo.
La prima regola è quella di essere consapevole che le relazioni umane possono essere pericolose. Fai attenzione a non sottovalutare la sensazione di pericolo se l’avverti all’interno di una relazione di coppia. Affrontale con il partner o con le persone con cui hai maggiore confidenza. Solitamente il comportamento violento giunge dopo aver dato reiterati segnali che vengono sottovalutati.
Fai chiarezza e astieniti dai giudizi.
Quando con il partner si affrontano discussioni o chiarimenti, meglio non esprimere giudizi ma esplicitare invece i fatti così come sono avvenuti, avvisandolo che quel comportamento non è tollerabile. Evita l’escalation di aggressività insultandolo per un suo comportamento molesto. Ad esempio non dire “sei un ubriacone perché ieri sera a tavola con gli amici non ti sei contenuto nel bere e abbiamo fatto una figuraccia”, ma avvisalo che ha un problema con l’alcol che si è reso evidente a tutti nella serata precedente.
Impara a gestire le emozioni per evitare sorprese.
All’interno della relazione devi essere consapevole delle tue emozioni e devi saperle gestire per evitare di sottostimare i segnali di pericolo e contenere la tua impulsività. Le nostre emozioni sono la chiave per poter risolvere o peggiorare la relazione. Ecco perché è utile riconoscerle e confrontarci con altri soggetti esterni alla relazione (meglio se professionisti della psiche).
Non accettare ruoli passivi.
Scegliere di non diventare vittima in una relazione, vuol dire volersi bene. Significa avere la dignità di non accettare un ruolo passivo quando avvertiamo di non stare più bene in quella relazione e avvertiamo segnali di pericolo per la nostra dignità. In altre parole, quando la relazione ci provoca prevalentemente sofferenza.
Al primo sospetto di violenza chiedi e accetta aiuto.
Chiedi e accetta l’aiuto degli altri: parenti, amici, istituzioni, associazioni di volontariato per le vittime di violenza, specialisti, centri legali. Fallo al primo comportamento violento del partner, anche se solo verbale, se questo ha determinato una forte sensazione di pericolo e disagio. Affrontare il problema relazionale del pericolo all’inizio della sua comparsa permette in molti casi di risolverlo proteggendo così sia la vittima che il carnefice da un’evoluzione a spirale dell’aggressività.