Tempo di lettura: 3 minutiUn’alimentazione malsana può provocare anche deficit cognitivi. Lo dimostrano i dati di alcuni studi, da cui emerge una ricaduta negativa su attenzione e concentrazione dopo soli cinque giorni di dieta grassa. In sostanza, se una dieta sana fa bene al cervello perché può aumentare la produzione di neuroni, al contrario una insalubre può danneggiarne la catena di montaggio.
Il cibo incide sul cervello
Le molecole contenute nel cibo, una volta ingerite non stazionano nell’intestino. Vengono trasportate e interagiscono indirettamente anche con il sistema nervoso. Tuttavia, non è il singolo pasto a creare dei danni, ma l’abitudine a mangiare in modo non sano. Gli effetti quindi sono a lungo termine, anche se le ripercussioni su attenzione e concentrazione si osservano dopo soli cinque giorni di dieta grassa. Per quanto riguarda i casi di obesità, alcuni studi dimostrano che la neuroinfiammazione che si associa al peso eccessivo possa essere alla base dei deficit cognitivi.
Dieta: grassi e zuccheri attivano infiammazione
Troppi grassi e zuccheri possono causare infiammazione e stress ossidativo. Di conseguenza aumenta il rischio di danneggiamento delle molecole all’interno delle cellule. Il cervello è molto sensibile a questi processi. Inoltre, un regime ipercalorico può attivare la microglia, che fa insorgere infiammazione sia nell’ippocampo che nell’ipotalamo. La microglia è composta da cellule responsabili della “sorveglianza immunitaria” del sistema nervoso centrale, quando si attivano innescano una risposta infiammatoria.
Michela Matteoli, docente di Humanitas University e direttrice dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche, lo ha spiegato nel suo libro, uscito a settembre, ‘Il talento del cervello’ (Sonzogno editore, collana Scienze per la vita). La neuroscienziata ha descritto le strategie che ciascuno può adottare per preservare e potenziare le funzioni cognitive.
L’area del cervello in cui si formano nuove memorie è l’ippocampo. quella responsabile del controllo della nutrizione e del peso corporeo è l’ipotalamo. In pratica, l’infiammazione del primo influenza negativamente le capacità cognitive, rendendo difficile pianificare, concentrarsi o ricordare. L’infiammazione del secondo, invece, può alterare il comportamento alimentare, addirittura inducendo l’individuo a mangiare ancora di più.
Dieta e plasticità del cervello
Il cervello ha un punto di forza: la plasticità, cioè la proprietà di modificare se stesso e di autoripararsi. È il motivo per cui può evolversi nel corso dell’intera esistenza, espandendosi, letteralmente, e costruendo nuovi collegamenti tra i neuroni. Un talento unico. L’autrice spiega le grandi potenzialità della nostra mente, ma parla anche del nemico principale del sistema nervoso: l’infiammazione cronica, che provoca invecchiamento precoce e innesca patologie come l’Alzheimer, il Parkinson e la depressione.
Ci sono specifici nutrienti e alimenti responsabili di aumentare il rischio di infiammazione del cervello. Altri invece possono potenziare la capacità di memoria e concentrazione. Tra i primi – quindi da ridurre il più possibile – ci sono zuccheri e carboidrati raffinati, in quanto un eccesso di glucosio non è positivo per il cervello. Inoltre vanno ridotti i cibi fritti, in quanto portano all’organismo un carico infiammatorio. Altri alimenti dannosi sono gli insaccati (pancetta, salame, salsiccia). Questi prodotti spesso contengono nitrati, che possono alterare il microbiota intestinale, il cosiddetto secondo cervello. Risulta rischioso anche l’alcol, un uso e abuso cronico può ridurre addirittura il volume delle meningi.
La dieta ‘Mind’
Unisce elementi della dieta mediterranea e della Dash – un regime alimentare senza sale per chi soffre di ipertensione. La dieta Mind è stata pensata per sostenere la salute cognitiva soprattutto in età avanzata. Dai dati raccolti su persone che hanno aderito alla dieta con costanza, emerge che la Mind comporta un rischio inferiore del 53% di sviluppare il morbo di Alzheimer e un declino cognitivo più lento.
In particolare ci sono dieci alimenti individuati come benefici in certe quantità. Si tratta ad esempio dei cereali integrali, (tre porzioni al giorno); legumi (quattro pasti a settimana); olio extravergine di oliva, come condimento principale; verdure a foglia verde (tutti i giorni); frutta, frutti di bosco e frutta secca (in alternanza come spuntini quotidiani).
Lo stile di vita da solo non compensa alimentazione malsana
L’azione dei fattori che influenzano il sistema nervoso è sinergica e continua, sottolinea la neuroscienziata. Questo concetto è stato studiato con il team dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr di Pisa in un protocollo chiamato ‘Train the brain’. I ricercatori hanno esaminato un campione di volontari con decadimento cognitivo lieve, ai quali è stato sottoposto a un mix di attività fisica e cognitiva. La combinazione si è dimostrata efficace nel ridurre il declino e la perdita di volume della materia grigia. Da qui, così come da altri studiati nel mondo, sono state tratte sei strategie fondamentali per tenere in forma il cervello. Sono: stimolazione mentale; movimento; corretta alimentazione; vita sociale; riduzione dello stress e sonno. In sostanza l’esercizio fisico e l’allenamento mentale sono molto potenti se associati a una dieta sana per il cervello.
In conclusione, una dieta sana può mantenere in salute il cervello, riducendo l’infiammazione, aumentando la produzione di nuovi neuroni e influenzando positivamente la plasticità delle sinapsi. Tuttavia, non può risolvere il problema delle neurodegenerazioni. Un fattore determinante è anche la genetica, ma adottate strategie di prevenzione è efficace per ridurre il rischio di infiammazione.
Stress e patologie correlate: dipende da un marcatore
PrevenzioneUn ruolo principale lo avrebbe la proteina MECP2. Una sua riduzione nel sangue sembrerebbe favorire il rischio di sviluppare patologie stress-correlate. Questo riguarda soprattutto donne, che, durante l’infanzia o l’adolescenza, abbiano vissuto esperienze particolarmente avverse. A questa conclusione è giunto uno studio realizzato dai ricercatori del Centro di riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale dell’ISS. I risultati sono pubblicati su Translational Psychiatry.
Patologie correlate allo stress dipendono da un marcatore
I dati suggeriscono che MECP2 possa essere un marcatore di suscettibilità allo stress. Al centro delle indagini la proteina MECP2, ovvero Methyl-CpG binding protein 2. Il suo ruolo è fondamentale per il funzionamento delle cellule nervose. La proteina è nota perché alcune mutazioni del gene che la codifica sono la principale causa della Sindrome di Rett. Questa malattia neurologica rara, molto grave, colpisce fin dalla prima infanzia prevalentemente il genere femminile. Oggi sappiamo che questa proteina, oltre a essere implicata in numerosi processi del neurosviluppo, svolge un ruolo fondamentale nel determinare gli effetti che l’ambiente in cui viviamo ha sul nostro organismo. Lo studio suggerisce un suo coinvolgimento nei processi che predispongono allo sviluppo di psicopatologie indotte dall’esposizione a eventi stressanti nel corso della vita.
I dati dello studio
Sulla base di queste evidenze, i ricercatori hanno analizzato i livelli di MECP2 in campioni di sangue di 63 persone clinicamente sane. I risultati hanno confermato le loro ipotesi. Esiste, cioè, una connessione tra i livelli ridotti di MECP2 e gli esiti disadattivi – quali ansia e depressione – delle esperienze avverse vissute in infanzia. Inoltre, tale legame è più forte tra le donne.
Ulteriori studi per approfondire i meccanismi alla base di questa associazione potranno svelare nuovi bersagli, al fine di realizzare interventi preventivi personalizzati.
La salute mentale nel mondo
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una persona su 8 in tutto il mondo soffre di disturbi mentali come ansia, disturbi dell’umore o disturbi legati ad eventi traumatici e stressanti. L’accesso alle cure è limitato e, spesso, chi non riceve assistenza sviluppa importanti disabilità e va incontro a morte prematura dovuta a condizioni fisiche altrimenti prevenibili o a suicidio.
Allarme dei medici: bimbi a rischio per il virus sinciziale
BambiniDesta qualche allarme l’incremento di accessi in ospedale di bambini colpiti da infezioni respiratorie. Molte terapie intensive sono sotto pressione, benché non siano stati raggiunti livelli di saturazione dei posti disponibili. Ad essere animalo è il numero di bambini che hanno avuto sin qui bisogno di intubazione e ventilazione meccanica invasiva e addirittura, in un caso, il supporto in Extracorporeal Membrane Oxygenation. I casi più gravi sono stati causati dalla coinfezione di virus influenzale e virus respiratorio sinciziale.
CONSEGUENZA DEL COVID
La spiegazione che i medici danno a questa situazione è legata in qualche modo al Covid, perché in molti casi l’uso delle mascherine ha in qualche modo indebolito il sistema immunitario delle mamme, che poi nella fase allattamento non sono riuscite a trasmettere ai figli una protezione adeguata. Dunque, un ruolo importante è legato alla scarsa circolazione virale degli ultimi due anni, resa possibile dalle misure di isolamento e di contenimento del coronavirus. Così, a partire dal mese di ottobre c’è stato un aumento significativo dei ricoveri per infezioni respiratorie nei bambini che, nelle ultime settimane, stanno mettendo in grave crisi i reparti di pronto soccorso pediatrici. Si tratta di infezioni da virus che circolano ogni anno, prevalentemente virus respiratorio sinciziale e virus influenzale che, tuttavia, stanno causando infezioni respiratorie più gravi rispetto agli scorsi anni.
VACCINAZIONI
La popolazione più colpita è rappresentata da bambini tra 0 e due anni, che si confrontano per la prima volta con virus ai quali non sono stati esposti gli scorsi anni. Lo stesso vale per le mamme che non hanno sviluppato difese immunitarie e che non possono quindi passarle ai neonati attraverso latte e placenta. Per altro, la diffusione della vaccinazione antinfluenzale è ancora bassa nelle gravide e nei bambini di età superiore a 6 mesi, per i quali è indicata. Il consiglio dei medici? Vaccinarsi per proteggere i soggetti più fragili.
Diabete e fake news, gli esperti mettono in guardia
News PresaLe società scientifiche scendono in campo contro le false comunicazioni che girano sul web. “È urgente richiamare l’attenzione delle persone con diabete e dei loro caregiver, invitandoli a diffidare dalle fake-news e dalla disinformazione che dilaga online, soprattutto riguardo alle terapie. Si tratta di contenuti spesso privi di qualsiasi fondamento medico-scientifica. Nei casi peggiori sono costruiti addirittura su dati manipolati, proprio al fine di sostenere tesi cliniche e terapeutiche altrimenti prive di ogni credibilità”. A lanciare l’appello sono l’Associazione Medici Diabetologi (AMD) e la Società Italiana di Diabetologia (SID), le Società Scientifiche rappresentative della diabetologia italiana. In particolare, i diabetologi esprimono preoccupazione per la demonizzazione di farmaci indispensabili per la corretta gestione del diabete. Sottolineano l’indiscussa validità scientifica, come la metformina, le statine o ezetimibe, terapie estremamente diffuse per il trattamento del diabete tipo 2 e delle sue complicanze.
Diabete: “non diffidare dei farmaci sicuri sulla base di fake news”
Si tratta di “allarmi infondati che si sono diffusi soprattutto nelle ultime settimane, specificano Graziano Di Cianni, Presidente AMD e Angelo Avogaro, Presidente SID. “Non fanno altro che generare confusione e ansia nei pazienti e nei familiari che se ne prendono cura. Persone che non sempre sono in grado di distinguere le notizie false dalle vere. In modo tutt’altro che sorprendente, l’utente incappato in queste ‘bufale’ viene poi reindirizzato a siti di e-commerce per la vendita di prodotti alternativi”. Questi ultimi “promossi come miracolosi, benché privi di studi clinici in grado di fondarne validità ed efficacia” – concludono i Presidenti.
Affidarsi alle informazioni scientifiche
Le società scientifiche rassicurano i pazienti sulla totale sicurezza ed efficacia delle terapie farmacologiche per la cura del diabete e “prendono le distanze dall’impiego – e più che mai dalla promozione diretta ai pazienti – di qualsiasi terapia non contemplata dalle linee guida internazionali”. AMD e SID ricordano di affidarsi sempre al parere del proprio medico o del proprio diabetologo. La raccomandazione riguarda qualsiasi tipologia di farmaco o integratore che si intenda assumere o in presenza di qualsiasi dubbio sulle terapie in uso.
Gli esperti, infine, sottolineano l’importanza di cercare informazione sul tema diabete, attraverso i siti istituzionali delle Società Scientifiche di riferimento (www.aemmedi.it – www.siditalia.it). Per quanto riguarda i ‘falsi-miti, bufale e fake-news’, invece, il sito dell’Istituto Superiore di Sanità dedica una sezione.
Tecnologia vaccinale a mRNA efficace anche contro i tumori
News Presa, Ricerca innovazioneI vaccini a mRNA potrebbero rivoluzionare l’approccio terapeutico alle patologie neoplastiche. Molti scienziati lo avevano già ipotizzato: l’incredibile sforzo fatto per battere il Covid avrà risvolti anche in altri campi. Detto fatto! La notizia di oggi è che la tecnologia basata sull’Rna messaggero potrebbe portare in pochi anni a una svolta nella lotta contro i tumori.
MELANOMA
Uno studio di Fase II, che ha sperimentato l’utilizzo di un vaccino mRNA di Moderna (denominato al momento mRNA-4157/V940) in combinazione con il farmaco immunoterapico pembrolizumab su 157 pazienti con melanoma allo stadio 3 o 4 già sottoposti a interventi chirurgici, ha dimostrato infatti di ridurre del 44% il rischio di recidiva rispetto alla sola immunoterapia. Se verranno confermati, i risultati rappresenteranno «un’importante notizia anche contro tutti gli altri tumori», spiega Paolo Ascierto, presidente della Fondazione Melanoma e direttore dell’Unità di Oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Pascale di Napoli. Infatti, spiega l’esperto, a differenza dei vaccini utilizzati contro il Covid, uguali per tutti, questo «innovativo trattamento» si basa su «terapie personalizzate».
MUTAZIONI
Nel dettaglio, «si prende il tumore, che è stato resecato, lo si processa e attraverso un algoritmo si selezionano 34 mutazioni presenti nel tumore di quel paziente, realizzando quindi un vaccino personalizzato. Di queste 34 proteine mutate viene fatto l’mRna messaggero che viene inoculato nel paziente. Il nostro sistema immunitario viene quindi istruito a riconoscere come estranee 34 proteine specifiche del paziente». Il principio, spiega Ascierto, è «lo stesso anche per gli altri tumori, proprio perché si lavora sulla personalizzazione del trattamento». Ecco perché se i risultati sul melanoma saranno confermati sarà una buona notizia anche per tutti i pazienti oncologici.
PROSPETTIVE FUTURE
Lo studio di Fase III, che sperimenterà la nuova terapia su un numero più alto di pazienti, partirà nel 2023 e valuterà i suoi effetti anche su altri tipi di tumori. Per avere i risultati definitivi servirà qualche «In genere dal momento in cui inizia l’arruolamento al primo dato possono passare dai 3 ai 5 anni», spiega Ascierto.
Ipercolesterolemia: farmaco riduce eventi avversi cardiovascolari
Ricerca innovazioneL’acido bempedoico ridurrebbe il rischio di gravi eventi cardiovascolari in pazienti affetti da ipercolesterolemia. Pazienti con, o ad alto rischio di sviluppare, malattia cardiovascolare su base aterosclerotica (atherosclerotic cardiovascular disease, ASCVD). A dimostrarlo sono i risultati positivi del trial CLEAR Outcomes. Secondo lo studio, l’acido bempedoico sarebbe il primo inibitore orale dell’ATP citrato-liasi (ACL) a ridurre sia i livelli di colesterolo LDL (C-LDL) che il rischio di eventi cardiovascolari avversi maggiori. I dati completi saranno presentati nel primo trimestre del 2023.
Ipercolesterolemia e rischio eventi avversi
L’endpoint primario è stato raggiunto nello studio di fase 3 sugli esiti cardiovascolari CLEAR Outcomes. Emerge una riduzione statisticamente significativa, rispetto al placebo, del rischio di eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE-4), nei pazienti trattati con 180 mg al giorno di acido bempedoico (con un background di statine nullo o molto basso).
I risultati completi dello studio saranno presentati in un congresso all’inizio del 2023. Successivamente saranno sottoposti alle autorità regolatorie competenti. I risultati iniziali indicano che l’acido bempedoico è il primo inibitore orale dell’ACL a ridurre sia i livelli di colesterolo che il rischio di eventi avversi cardiovascolari maggiori. I risultati sono in linea con le precedenti evidenze significative e con le più recenti linee guida cliniche che evidenziano che più basso è il livello di C-LDL di una persona, minore è il suo rischio cardiovascolare.
Il nuovo studio
“I risultati positivi dello studio CLEAR Outcomes Trial rappresentano un passo fondamentale verso la riduzione dell’impatto delle malattie cardiovascolari in Europa, per i pazienti attualmente ad alto rischio di infarto e ictus”. Lo ha annunciato Kausik Ray, Professore di Sanità Pubblica, Presidente della Società Europea di Aterosclerosi, Direttore ICTU Global e Vicedirettore dell’Imperial Clinical Trials Unit dell’Imperial College di Londra. “Siamo ansiosi di vedere ulteriori dati dello studio nei prossimi mesi e di capire meglio come l’acido bempedoico possa continuare ad aiutare i medici a portare i livelli di colesterolo dei pazienti verso gli obiettivi raccomandati dalle linee guida, riducendo così l’impatto del colesterolo sulla salute cardiovascolare in Europa.”
CLEAR (Cholesterol Lowering via Bempedoic acid, an ATP citrate lyase (ACL)-Inhibiting Regimen) Outcomes è stato uno studio di Fase 3, randomizzato, event-driven, multicentrico, in doppio cieco, controllato con placebo, volto a valutare se il trattamento con acido bempedoico riduce il rischio di eventi cardiovascolari in pazienti con o ad alto rischio di sviluppare malattia aterosclerotica, intolleranza documentata alle statine e livelli elevati di C-LDL [livelli emativi C-LDL ≥ 100 mg/dL (2,6 mmol/L]. Lo studio, che ha terminato l’arruolamento nell’agosto 2019, ha incluso 14.014 pazienti in oltre 1.200 siti in 32 Paesi. I pazienti con ipercolesterolemia sono stati seguiti per almeno 36 mesi di follow-up.
Pazienti fragili: chi sono e quali strumenti contro i nuovi virus
Associazioni pazienti, PrevenzioneLe popolazioni fragili sono immunocompromesse e immunodepresse. Si tratta di anziani o giovani con patologie che interferiscono nella loro capacità di difendersi dalle infezioni. Possono avere comorbidità e multi patologie. I pazienti fragili hanno a monte delle vulnerabilità, condizioni croniche, genetiche, rare.
Nonostante il COVID-19 sia diventato ‘endemico’ ci sono ancora soggetti per i quali il virus presenta ancora molti rischi. Quest’anno, inoltre, anche l’influenza stagionale sembra avere un impatto significativo. Anche a causa del cosiddetto ‘debito di immunità’. I dati australiani arrivati nella nostra estate, infatti, già preannunciavano una situazione emergenziale. Di covid e fragilità se n’è parlato al Convegno promosso da AIP, dove si sono confrontati pazienti di diverse associazioni, clinici e istituzioni.
Virus e pazienti fragili
“L’esperienza del Covid ci ha insegnato che il paziente fragile può essere esposto a qualsiasi tipologia di virus”. Lo sottolinea Alessandro Segato, Presidente AIP Associazione Immunodeficienze Primitive “quindi, non bisogna abbassare la guardia. L’incontro, organizzato con altre associazioni di pazienti, ha l’obiettivo di “aumentare il volume della nostra voce– continua Segato. Al fine di “sensibilizzare le istituzioni a proteggere le persone fragili, con strumenti di prevenzione e cura oggi disponibili (vaccini, antivirali e monoclonali). Rendendoli disponibili nei modi e nei tempi adeguati, anche attraverso l’informazione e la formazione dei medici e dei professionisti della salute. Favorendo la partecipazione protetta al lavoro, alla scuola ed agli altri ambiti sociali in modo che tutte le fasce della popolazione abbiamo strumenti di protezione adeguata alle proprie necessità”.
La medicina proattiva
In questi ultimi due anni e mezzo sono nate nuove possibilità. Gli esperti sottolineano l’importanza di formare la classe medica. L’obiettivo è consentire l’utilizzo di strategie alternative, come gli anticorpi monoclonali. Utili non solo per la cura, ma anche per la profilassi pre-esposizione.
La medicina proattiva è anche detta di ‘iniziativa’. Lo specialista che ha in carico il soggetto fragile ha il compito di invitarlo alla vaccinazione o alla profilassi pre-esposizione. In Italia i primi anticorpi monoclonali sono stati autorizzati da Aifa a novembre 2021. Secondo i report dell’Agenzia, ad oggi la prescrizione degli anticorpi monoclonali va piuttosto a rilento. Ciò riguarda soprattutto i nuovi, indicati per la profilassi pre-esposizione. Anche se il loro utilizzo ha mostrato di diminuire gli accessi in pronto soccorso e le ospedalizzazioni, la durata della malattia e i decessi.
Chi sono i pazienti fragili
I pazienti fragili “sono le persone individuate dal Piano nazionale vaccini anti-Covid-19 per rischio elevato di sviluppare forme gravi di Covid-19”. La causa può essere un danno d’organo pre-esistente, una malattia rara, una compromissione della risposta immunitaria a SARS-CoV-2 (estremamente vulnerabili) o una grave disabilità (fisica, sensoriale, intellettiva, psichica), ai sensi della legge 104 del 1992 art. 3 comma 3. Lo ribadisce la professoressa Alessandra Vultaggio, Specialista in Immunologia all’Ospedale Careggi di Firenze. “In alcune classi di pazienti, che presentano livelli di immuno-compromissione il vaccino non manifesta la stessa efficace che nei sani. Per loro sono fondamentali farmaci antivirali da poter utilizzare nelle fasi iniziali dell’infezione. Lo scopo è limitare i tempi di positività del soggetto, con tante ripercussioni favorevoli sia in termini medici che sociali”.
Medici di famiglia, in tutta Italia la protesta delle visite a lume di candela
News PresaVisite a lume di candela negli studi dei medici di famiglia di tutta Italia. Succederà domani, quando la medicina generale metterà in scena una protesta immaginata dalla Fimmg con il preciso scopo di far comprendere alla politica l’enorme disagio che colpisce la categoria. Una protesta che mira a non intaccare l’assistenza, tantomeno in un momento difficile come quello attuale a causa dell’influenza e del Covid. Così, al crepuscolo (a partire dalle 17.00) per un quarto d’ora le luci degli studi medici si spegneranno e le visite proseguiranno a lume di candela. «Ogni candela accesa rappresenterà il grido d’allarme, le difficoltà e la richiesta di aiuto di un medico di medicina generale e dei suoi pazienti», ricorda il segretario generale di Fimmg Silvestro Scotti. «In maniera simbolica – prosegue – abbiamo deciso di accendere le candele nei nostri studi per sottolineare le condizioni critiche in cui lavorano i medici di famiglia. Ma il nostro allarme resta e non deve restare inascoltato: siamo al lumicino, interveniamo prima che la medicina generale si spenga e con essa il Servizio sanitario nazionale».
DIMENTICATI
Immagine simbolo della protesta, affissa sulle bacheche reali e social dei medici di medicina generale, tre candele che compongono la scritta SSN, ormai consumate dalla fiamma. Poi, la scritta: “Più risorse, meno burocrazia, per i medici di medicina generale”. Forte, dunque, il richiamo di Fimmg alle forze politiche affinché la medicina generale, e quindi la salute dei cittadini, non sia ignorata nei provvedimenti in discussione a sostegno delle imprese e degli studi professionali per sopperire ai costi del caro energia e dell’inflazione. «Non possiamo accettare che la medicina generale sia dimenticata nei provvedimenti dedicati al ristoro dei dipendenti pubblici, per i quali è già stata prevista un’indennità una tantum per il 2023, come anticipo sul prossimo contratto, pari all’1,5 % dello stipendio. Né che sia esclusa, come invece accade, dai provvedimenti del cd. DL Aiuti quater a favore delle imprese. Probabilmente non è ancora chiaro che il medico di famiglia è un libero professionista convenzionato, assimilabile ad una piccola impresa, e come tale tutti gli oneri di gestione del proprio studio professionale sono a suo carico, compresa la presenza di personale amministrativo e sanitario (OSS e infermieri)».
SALVARE IL SISTEMA SANITARIO
Impossibile, dunque, comprendere perché i medici di medicina generale debbano essere esclusi dai provvedimenti che prevedono agevolazioni per le imprese, dal momento che – al contrario di altri professionisti che operano con partite IVA e con costi di gestione a proprio carico – il medico di medicina generale non può adeguare le tariffe delle proprie prestazioni ai costi sostenuti essendo un servizio pubblico regolamentato da una convenzione con il Servizio sanitario nazionale, peraltro ferma al 2018. «Intervenire a sostegno della medicina generale – conclude Scotti – significa consolidare la colonna portante del Sistema sanitario nazionale, garantire a tutti i cittadini parità di accesso alle cure e ad una medicina di prossimità. Nessun medico di medicina generale smetterà mai di battersi per tutelare questi diritti e con essi il rispetto dell’Articolo 32 della nostra Costituzione».
LA CAMPANIA
Tra le regioni che soffrono di più per la carenza di medici di famiglia c’è la Campania, non a caso in regione dovrebbero essere più di 3.000 gli studi che aderiranno alla protesta, più di 500 nella sola città di Napoli. «Depauperare la medicina di famiglia – dicono Corrado Calamaro e Luigi Sparano (Fimmg) – equivale a comprimere fortemente l’assistenza ai tanti cittadini / pazienti che ne hanno bisogni, molti dei quali con patologie croniche che devono essere seguite nel corso degli anni. Noi crediamo in una medicina di famiglia che invece valorizzi la prossimità e il rapporto di fiducia che può esistere solo tra il medico di famiglia e il cittadino che nel corso degli anni è preso in carico».
Dieta: troppi grassi e zuccheri aumentano rischio deficit cognitivi
News PresaUn’alimentazione malsana può provocare anche deficit cognitivi. Lo dimostrano i dati di alcuni studi, da cui emerge una ricaduta negativa su attenzione e concentrazione dopo soli cinque giorni di dieta grassa. In sostanza, se una dieta sana fa bene al cervello perché può aumentare la produzione di neuroni, al contrario una insalubre può danneggiarne la catena di montaggio.
Il cibo incide sul cervello
Le molecole contenute nel cibo, una volta ingerite non stazionano nell’intestino. Vengono trasportate e interagiscono indirettamente anche con il sistema nervoso. Tuttavia, non è il singolo pasto a creare dei danni, ma l’abitudine a mangiare in modo non sano. Gli effetti quindi sono a lungo termine, anche se le ripercussioni su attenzione e concentrazione si osservano dopo soli cinque giorni di dieta grassa. Per quanto riguarda i casi di obesità, alcuni studi dimostrano che la neuroinfiammazione che si associa al peso eccessivo possa essere alla base dei deficit cognitivi.
Dieta: grassi e zuccheri attivano infiammazione
Troppi grassi e zuccheri possono causare infiammazione e stress ossidativo. Di conseguenza aumenta il rischio di danneggiamento delle molecole all’interno delle cellule. Il cervello è molto sensibile a questi processi. Inoltre, un regime ipercalorico può attivare la microglia, che fa insorgere infiammazione sia nell’ippocampo che nell’ipotalamo. La microglia è composta da cellule responsabili della “sorveglianza immunitaria” del sistema nervoso centrale, quando si attivano innescano una risposta infiammatoria.
Michela Matteoli, docente di Humanitas University e direttrice dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche, lo ha spiegato nel suo libro, uscito a settembre, ‘Il talento del cervello’ (Sonzogno editore, collana Scienze per la vita). La neuroscienziata ha descritto le strategie che ciascuno può adottare per preservare e potenziare le funzioni cognitive.
L’area del cervello in cui si formano nuove memorie è l’ippocampo. quella responsabile del controllo della nutrizione e del peso corporeo è l’ipotalamo. In pratica, l’infiammazione del primo influenza negativamente le capacità cognitive, rendendo difficile pianificare, concentrarsi o ricordare. L’infiammazione del secondo, invece, può alterare il comportamento alimentare, addirittura inducendo l’individuo a mangiare ancora di più.
Dieta e plasticità del cervello
Il cervello ha un punto di forza: la plasticità, cioè la proprietà di modificare se stesso e di autoripararsi. È il motivo per cui può evolversi nel corso dell’intera esistenza, espandendosi, letteralmente, e costruendo nuovi collegamenti tra i neuroni. Un talento unico. L’autrice spiega le grandi potenzialità della nostra mente, ma parla anche del nemico principale del sistema nervoso: l’infiammazione cronica, che provoca invecchiamento precoce e innesca patologie come l’Alzheimer, il Parkinson e la depressione.
Ci sono specifici nutrienti e alimenti responsabili di aumentare il rischio di infiammazione del cervello. Altri invece possono potenziare la capacità di memoria e concentrazione. Tra i primi – quindi da ridurre il più possibile – ci sono zuccheri e carboidrati raffinati, in quanto un eccesso di glucosio non è positivo per il cervello. Inoltre vanno ridotti i cibi fritti, in quanto portano all’organismo un carico infiammatorio. Altri alimenti dannosi sono gli insaccati (pancetta, salame, salsiccia). Questi prodotti spesso contengono nitrati, che possono alterare il microbiota intestinale, il cosiddetto secondo cervello. Risulta rischioso anche l’alcol, un uso e abuso cronico può ridurre addirittura il volume delle meningi.
La dieta ‘Mind’
Unisce elementi della dieta mediterranea e della Dash – un regime alimentare senza sale per chi soffre di ipertensione. La dieta Mind è stata pensata per sostenere la salute cognitiva soprattutto in età avanzata. Dai dati raccolti su persone che hanno aderito alla dieta con costanza, emerge che la Mind comporta un rischio inferiore del 53% di sviluppare il morbo di Alzheimer e un declino cognitivo più lento.
In particolare ci sono dieci alimenti individuati come benefici in certe quantità. Si tratta ad esempio dei cereali integrali, (tre porzioni al giorno); legumi (quattro pasti a settimana); olio extravergine di oliva, come condimento principale; verdure a foglia verde (tutti i giorni); frutta, frutti di bosco e frutta secca (in alternanza come spuntini quotidiani).
Lo stile di vita da solo non compensa alimentazione malsana
L’azione dei fattori che influenzano il sistema nervoso è sinergica e continua, sottolinea la neuroscienziata. Questo concetto è stato studiato con il team dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr di Pisa in un protocollo chiamato ‘Train the brain’. I ricercatori hanno esaminato un campione di volontari con decadimento cognitivo lieve, ai quali è stato sottoposto a un mix di attività fisica e cognitiva. La combinazione si è dimostrata efficace nel ridurre il declino e la perdita di volume della materia grigia. Da qui, così come da altri studiati nel mondo, sono state tratte sei strategie fondamentali per tenere in forma il cervello. Sono: stimolazione mentale; movimento; corretta alimentazione; vita sociale; riduzione dello stress e sonno. In sostanza l’esercizio fisico e l’allenamento mentale sono molto potenti se associati a una dieta sana per il cervello.
In conclusione, una dieta sana può mantenere in salute il cervello, riducendo l’infiammazione, aumentando la produzione di nuovi neuroni e influenzando positivamente la plasticità delle sinapsi. Tuttavia, non può risolvere il problema delle neurodegenerazioni. Un fattore determinante è anche la genetica, ma adottate strategie di prevenzione è efficace per ridurre il rischio di infiammazione.
Una nuova arma terapeutica per affrontare il tumore al seno
Farmaceutica, PrevenzioneTumore al seno
Aifa ha approvato un nuovo farmaco che segna un punto importante nella sopravvivenza delle donne che hanno un tumore metastatico della mammella HER2+ che hanno già ricevuto due linee di trattamento. Una notizia importante, se si pensa che in italia sono oltre 40.000 le donne con una diagnosi di carcinoma mammario metastatico, solo in Campania ogni anno si stimano oltre 4.000 nuovi casi di carcinoma al seno. Grazie a questo nuovo farmaco si riduce il rischio di morte del 34%, migliora la sopravvivenza globale e, a due anni, il 51% dei pazienti è vivo rispetto al 40% di quelli trattati con altri farmaci.
NUOVE ARMI
«Nella maggior parte dei casi il carcinoma mammario metastatico non è suscettibile di guarigione», spiega Sabino De Placido, professore Ordinario di Oncologia Medica, Università degli Studi di Napoli Federico II. «Tuttavia la malattia può essere tenuta sotto controllo per lunghi periodi. In particolare, le terapie mirate hanno cambiato la storia del carcinoma della mammella metastatico, determinando in molti casi una lunga aspettativa di vita, molto più elevata rispetto al passato. Resta però un forte bisogno clinico di armi ancora più efficaci per le pazienti con carcinoma della mammella metastatico».
PREVENZIONE
Ancora oggi, l’arma più efficace contro il tumore della mammella è la prevenzione. Nel nostro sistema sanitario lo screening per la diagnosi precoce del tumore mammario si rivolge alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni e si esegue con una mammografia ogni 2 anni. La mammografia è un esame radiologico della mammella, efficace per identificare precocemente i tumori del seno, in quanto consente di identificare i noduli, anche di piccole dimensioni, non ancora percepibili al tatto. I programmi organizzati di screening prevedono che l’esame venga eseguito visualizzando la mammella sia dall’alto verso il basso che lateralmente.
ESAMI DI APPROFONDIMENTO
Una positività alla mammografia non equivale a una diagnosi certa di cancro al seno, anche se indica una maggiore probabilità di essere affette dalla patologia. Per questa ragione, in caso di un sospetto, al primo esame seguono ulteriori accertamenti diagnostici che, all’interno dei programmi organizzati di screening, consistono in una seconda mammografia, in un’ecografia e in una visita clinica. A questi esami può far seguito una biopsia per valutare le caratteristiche delle eventuali cellule tumorali. Soltanto al completamento di questo percorso si ottiene la conferma della diagnosi e, in caso di positività, si dà il via all’iter terapeutico.
L’incredibile mix tra influenza e Covid.
Anziani, BambiniÈ un cocktail pericoloso quello che sta mettendo sotto pressione gli ospedali di tutta Italia. Da un lato l’Australiana, influenza di stagione mai aggressiva come quest’anno; dall’altro la variante Cerberus del Covid. Assieme hanno creato una mappa delle emergenze che non risparmia le regioni “virtuose”, con accessi in pronto soccorso che si sono intensificati del 50% rispetto a quanto si vedeva a settembre. E le previsioni che arrivano dalla Società italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza (Simeu) non sono rosee per le prossime settimane.
IL PICCO
Gli esperti si aspettano che il picco di questa epidemia influenzale arrivi nel pieno delle feste, quando il numero dei pazienti anziani sarà ai massimi e saranno diversi anche i medici ammalati. Da Sud a Nord del paese ci si attende, dunque, una situazione critica. E a gravare su questo tsunami è anche il fatto che l’influenza è arrivata quest’anno in anticipo, con un’ondata iniziata circa 3 settimane fa. Rispetto al normale andamento delle epidemie da virus influenzali, quest’anno si ha un anticipo di circa un mese. I medici vedono numeri che pre pandemia si raggiungevano solo a metà gennaio. I primi ad ammalarsi sono stati i bambini, ma ora l’età si sta alzando.
I VACCINI
Ecco perché sale forte l’appello dei medici alla vaccinazione anti Covid, ma anche a quella anti influenzale. Il vaccino non evita di contrarre il virus, ma lo rende molto meno pericoloso e consente ai più di evitare conseguenze serie. Per i pazienti fragili e anziani la vaccinazione può fare la differenza tra qualche linea di febbre e la necessità di correre in pronto soccorso. Il consiglio, per chi non lo avesse già fatto, è di consultare il proprio medico e prenotare al più presto l’iniezione.