Tempo di lettura: 3 minutiSpesso la fine delle festività natalizie coincide con la ripresa degli allenamenti. Tuttavia, dopo un periodo di pausa, ogni tipo di attività va ripresa gradualmente. Questo vale anche nel caso della corsa, che si tratti di una ripresa o di un inizio vero e proprio.
Correre fa bene al cuore, al cervello, migliora l’umore e rinforza il sistema immunitario. Gli effetti positivi della corsa sono tanti, ma per non incorrere nel rischio di infortuni ci sono alcuni accorgimenti da prendere in considerazione.
In particolare, “ogni runner, che sia un professionista o meno, deve tenere conto di 5 elementi”. Ne parla il dott. Giuseppe FALVELLA, fisioterapista, specializzato in rieducazione posturale, ortopedica e sportiva.
Esame posturale e baropodometrico
A prescindere dal livello, la prima cosa da fare prima di cominciare a correre è una valutazione posturale e un esame baropodometrico.
“Quest’esame – spiega lo specialista – è fondamentale per capire come avviene l’appoggio del piede, infatti eventuali carichi sbagliati possono avere delle ripercussioni. Appoggiare il piede in modo sbagliato, in maniera continuativa, può ad esempio portare a infortuni muscolari e sovraccarichi articolari, soprattutto del ginocchio e della colonna vertebrale”.
Perciò è importante fare delle valutazioni prima di iniziare, per capire qual è la scarpa adatta anche in base al peso o se c’è la necessità di un plantare. “Correndo tutti i giorni viene sollecitato molto il piede, se non hai le scarpe giuste sei più esposto al rischio di infortuni”.
Il ritmo nella corsa
Alcune persone potrebbero pensare che un ritmo lento possa tenere al riparo da infortuni. In realtà un ritmo lento affatica maggiormente le articolazioni. “Si tratta di un aspetto importante da prendere in considerazione durante la corsa. Correndo in modo lento – si intende inferiore ai 170- 180 passi al minuto – vengono sovraccaricate maggiormente le articolazioni e viene meno la corretta biomeccanica”. Quindi “il ritmo non deve essere lento”, altrimenti si tende ad avere una postura scorretta.
Correre senza tensioni muscolari
Oltre al ritmo e alla postura, un altro aspetto da prendere in considerazione è la tensione muscolare. “Spesso i runner che sono amatoriali tendono a correre con le spalle rigide e le braccia tese, ad esempio. In questo modo, creano tensioni su tutte le strutture muscolari, di conseguenza la corsa non è più fluida e quindi non c’è una biomeccanica corretta. Inoltre, se ad esempio c’è una tensione muscolare maggiore sulle spalle durante la corsa, si disperde energia.
In generale, durante la corsa le braccia vengono mantenute a 90° e il corpo è proteso in avanti. Questo tipo di postura richiede però una buona mobilità, in altre parole le braccia non devono essere rigide, ma devono soltanto essere un aiuto alla biomeccanica, quindi devono essere libere. Contraendo spalle e braccia durante la corsa si creano delle tensioni muscolari e si disperde energia che invece è necessaria.
Il consiglio – continua l’esperto – è quello di creare una mappa mentale prima di iniziare a correre”. Il runner deve essere cosciente prima del movimento che farà: “deve pensare che durante la corsa deve restare morbido con le spalle e con le braccia, ‘lasciando andare la gamba’, al fine di avere una biomeccanica molto più fluida. Quindi il primo passo a livello neuromuscolare è pensare all’esercizio prima di andare a correre”. In sostanza, immaginare il movimento in anticipo.
L’appoggio corretto nella corsa
Ritornando sul tema dell’appoggio, “di solito quando siamo in statica eretta scarichiamo l’80-90% del peso sui talloni. Quindi è molto importante nella corsa un appoggio corretto.
Ci sono tre fasi nella spinta dell’appoggio plantare: l’appoggio, la spinta e la fase di volo, in cui passi da un piede all’altro”. Se per la camminata si parte appoggiando il tallone, per la corsa questo non vale.
“L’appoggio deve avvenire sul mesopiede. Molti runner nella fase di corsa, scaricano – cioè appoggiano – il peso sul tallone. Si tratta di un’abitudine sbagliatissima, perché provoca un sovraccarico del tallone e l’impatto ripetuto sul suolo provoca nel 90 % dei casi sollecitazioni alle strutture superiori, con conseguenti rischi di problematiche articolari, soprattutto alle ginocchia e alla colonna vertebrale.
Per una corsa corretta, ci deve essere una fase di appoggio e soprattutto di spinta sul mesopiede e sull’avampiede. Molto spesso, i runner amatoriali corrono e sbattono i talloni, questo è molto rischioso, soprattutto se fatto in maniera ripetuta”.
Diversificare il tipo di allenamento
“Un altro consiglio utile, spesso sottovalutato dai runner amatoriali, è considerare il tipo di lavoro che si vuole fare durante la corsa: se di resistenza o di velocità.
Nel caso della resistenza, ad esempio, si ottiene con la continuità nell’esercizio, quindi con costanza per un periodo prolungato. Il mio consiglio però è quello di lavorare in maniera integrata”.
In conclusione, il suggerimento è quello di alternare il tipo di allenamento, inserendo esercizi specifici per la velocità e non solo per la resistenza.
Madre e figlia partoriscono a 24 ore di distanza
Genitorialità, News Presa, PediatriaMara e Paola sono due donne che hanno partorito a distanza di 24 ore l’una dall’altra, due donne che hanno in comune più di quanto si possa immaginare. Mara, infatti, è la madre di Paola e assieme a lei è stata ricoverata in questi giorni per questa inconsueta maternità. Le due donne hanno infatti diviso la stanza di degenza all’Ospedale Cardarelli, nel reparto di ostetricia e ginecologia diretto da Claudio Santangelo, e hanno dato alla luce a poco più di 24 ore di distanza due bellissimi bambini: Futura e Giovanni.
PUNTO NASCITA
I due neonanti pesano rispettivamente 3,8 kg e 3,4 kg e sono in ottima salute, così come le loro madri, che già nei prossimi giorni potrebbero essere dimesse. Il punto nascita del Cardarelli viene sempre più scelto da molte mamme per le elevate competenze nella gestione dei parti difficili e per i modi con cui le donne vengono accompagnate al parto. Si tratta di una struttura che si avvale della Terapia Intensiva Neonatale per la gestione dei prematuri e dei bimbi che hanno bisogno di assistenza qualificata già dalle prime ore di vita. Il Cardarelli nel 2022 ha registrato circa 740 parti, segnalandosi per un lieve aumento rispetto all’anno precedente. L’accompagnamento al parto naturale avviene utilizzando la tecnica del parto in acqua, la cromoterapia, l’aromaterapia e, da poco, la tecnica del Rebozo.
GRAVIDANZE A RISCHIO
«Faccio i migliori auguri alle neomamme e ringrazio le ostetriche, gli infermieri, gli OSS e i Medici per il lavoro che fanno nell’accompagnamento delle donne al parto», dice il Dg Antonio d’Amore. «La nostra Azienda si caratterizza per la gestione di gravidanze ad elevato rischio ed a maggiore complessità; anche in questo ambito il nostro ospedale è un punto di riferimento importante, rappresentando una risorsa di primo piano nella gestione delle emergenze. Il nostro obiettivo deve essere promuovere una corretta diagnosi e gestione dei parti potenzialmente a rischio, così da limitare la necessità di intervenire in emergenza».
Dolori mestruali, se eccessivi possono essere campanello d’allarme
Benessere, Medicina funzionale, PrevenzionePer molte donne il dolore durante il ciclo mestruale è purtroppo “routine”. Benché il dolore mestruale sia qualcosa di fisiologico, attenzione a non sottovalutare un dolore eccessivo. A volte un ciclo troppo doloroso può essere legato a patologie ginecologiche che devono essere affrontate. In gergo medico si parla di sindrome del dolore pelvico e dismenorrea, volendo intendere una forma di dolore cronico viscerale, per la quale le donne si rivolgono ai Centri di terapia del dolore.
FERTILITÀ
Quando i sintomi sono così severi da rendere difficili le comuni attività di vita quotidiana, la dismenorrea può essere secondaria e nascondere patologie specifiche dell’apparato genitale, che se non adeguatamente diagnosticate possono avere conseguenze importanti sulla salute della donna, in particolar modo sull’integrità della sua fertilità. Durante la mestruazione, “detriti endometriali” fisiologicamente eliminati per via vaginale, possono in parte ricadere nella cavità peritoneale e generare fenomeni infiammatori, che alimentano stimoli inviati dalla periferia verso il midollo spinale. Modulare la neuroinfiammazione mediante molecole che riportano a funzione fisiologica le cellule è una delle attuali strategie terapeutiche nella gestione delle pazienti con sindrome da dolore pelvico Cronico.
ENDOMETRIOSI
L’endometriosi è una delle più frequenti cause di dismenorrea secondaria, sottolinea Coluzzi, ma purtroppo è tuttora soggetta ad un ritardo diagnostico stimato a livello internazionale oltre 6 anni dalla comparsa dei primi sintomi. Spesso le ragazze giungono alla diagnosi solo in fase di approfonditi accertamenti alla ricerca di una gravidanza che non arriva. La dismenorrea non è un sintomo da sottovalutare, soprattutto quando la sua severità impedisce le attività quotidiane, perché questa può nascondere patologie dell’apparato genitale.
Più frutta e verdura per i bambini che aiutano in cucina. Lo studio
Alimentazione, Genitorialità, PediatriaCoinvolgere i figli più piccoli nella preparazione dei pasti in modo giocoso li convince a consumare più frutta e verdura. Inoltre limita forme estreme di neofobia alimentare (ossia il rifiuto selettivo di taluni alimenti). Questi, in sintesi, i risultati emersi dall’indagine svolta da un team di ricercatori del CREA Alimenti e Nutrizione, su un campione di 99 bambini in età scolare della regione Lazio. Il lavoro è rappresentativo anche a livello nazionale, per esaminare i cambiamenti delle loro abitudini nutrizionali nel corso e nel post pandemia da Covid-19 e l’eventuale impatto sui fenomeni di ripudio di cibi specifici. Durante la pandemia, la convivenza forzata determinata dal lockdown ha prodotto l’aumento del numero dei pasti consumati in famiglia. In più, nel periodo di convivenza forzata la condivisione dei pasti si è associata alla scelta di verdure e legumi: circa il 95% dei bambini che ha consumato maggiormente questi alimenti, infatti, aveva effettuato entrambi i pasti principali nel nucleo familiare e nel 35% dei casi è risultato che ne mangiavano di più rispetto a quanto accadeva nel periodo pre-pandemico.
Lo studio
Un campione di 99 bambini tra i 6 e gli 11 anni ha preso parte a una valutazione retrospettiva effettuata con un questionario autosomministrato. Sono state studiate le abitudini alimentari, i livelli di attività fisica e gli indicatori dello stile di vita sia pre che post pandemia. Inoltre, è stata valutata la neofobia alimentare del bambino utilizzando la “Scala della neofobia alimentare (CFNS)”.
I risultati, pubblicati nel numero di dicembre della rivista scientifica internazionale “Frontiers in Nutrition”, hanno mostrato che, per gran parte del campione (97%), il rifiuto selettivo del cibo non è cambiato durante il periodo della pandemia. Circa il 70% dei partecipanti non ha mutato le proprie abitudini alimentari, con alcune eccezioni che hanno riguardato alcuni sottogruppi che hanno riportato un aumento del consumo di frutta (22,2%), verdura (19,2%) e legumi (21,2%). Com’era prevedibile, a causa delle misure restrittive, è stato rilevante l’impatto della pandemia sulla sedentarietà, che è passata dal 25,3 al 70,7%. La neofobia non è stata associata allo stato ponderale (p-value 0,5). Tuttavia, nei bambini normopeso è stata riscontrata una più alta prevalenza di neofobia di livello intermedio (78,4%). È stato interessante notare come durante l’isolamento sociale, il 39,4% dei bambini studiati sono stati coinvolti nella preparazione dei pasti e come sia aumentata la percentuale che ha condiviso tutti i pasti con la famiglia (32,3% vs. 78,8%).
Più frutta e verdura, forzature non servono
Nello studio condotto dai ricercatori CREA Annalisa Di Nucci, Umberto Scognamiglio, Federica Grant e Laura Rossi, i comportamenti genitoriali non coercitivi in reazione al rifiuto del cibo – cioè il dialogo e la preparazione dei cibi meno graditi in una modalità maggiormente apprezzabile dal bambino – sono stati associati a bassi livelli di neofobia (valore p <0,05). Al contrario, l’unica strategia associata al livello di neofobia è stata la disapprovazione mostrata dal genitore, a cui, infatti, corrisponde nel proprio figlio un livello intermedio o alto di ripudio di cibi.
“Una delle cause del basso consumo di frutta e verdura nei bambini potrebbe essere la neofobia alimentare – spiega Umberto Scognamiglioricercatore CREA Alimenti e Nutrizione che ha coordinato lo studio – definita come la riluttanza a mangiare cibi nuovi o sconosciuti: un comportamento molto comune tra i bambini con un ben definito esordio ed evoluzione. Il nostro studio dimostra come le strategie educative adottate dal genitore al momento del pasto possano influenzare in modo determinante le abitudini alimentari e il livello di neofobia del bambino.”
Blue Monday, come prepararsi al giorno che non esiste
PsicologiaSembrerebbe che l’associazione di un colore a un giorno della settimana non sia sempre un buon segno. Superato il Black Friday di fine novembre, un altro appuntamento fisso di inizio anno è il Blue Monday, associato a un sentimento di malinconia diffusa. Il giorno più triste del 2023 sarà lunedì 16 gennaio, in cui il malumore dovrebbe incombere su tutti noi. Ma quanto ci sarà di vero? Lo psichiatra Enrico Zanalda, Presidente della Società italiana di Psichiatria Forense, analizza un possibile effetto post-pandemia e suggerisce come giocare d’anticipo.
Il giorno più triste dell’anno non ha basi scientifiche
“Non vi è alcun riferimento scientifico per sostenere che si tratti del giorno più triste dell’anno. Ci sono delle costanti come quella di arrivare dopo le lunghe festività natalizie, in uno dei periodi con meno luce e temperature più rigide dell’anno (almeno nel nostro emisfero) avvisandoci che non avremo più festività infrasettimanali. Le vacanze di Natale sono coincise per molti con un ritrovato entusiasmo a viaggiare post-pandemia, che è stato troncato dal rientro in ufficio e che il 16 gennaio segnerà l’inizio della seconda settimana lavorativa completamente intera. Sembra che ad aver stressato l’ipotesi del Blue Monday siano invece delle strategie di marketing per invogliare i consumatori a comprare o a programmare delle vacanze in un periodo in cui non ci sono stop obbligati”.
Il ruolo della pandemia
“L’inizio di un nuovo anno potrebbe rendere tutti più timorosi. In particolare quest’anno, va tenuto conto della recente guerra in Europa, ma soprattutto dei due anni di pandemia e dell’isolamento relazionale dettato dallo smart working. Tuttavia, queste emozioni non per forza si provano il lunedì piuttosto che la domenica o il martedì. Possono essere magari un po’ più accentuate il lunedì perché c’è ancora il ricordo del fine settimana e il peso dell’inizio dell’attività lavorativa.”
Blue Monday, un caso che sia d’inverno?
“Non so se è fondata la questione del Blue Monday ma sicuramente i cambiamenti dell’umore reattivi alle condizioni esterne sono più frequenti con la riduzione della luce naturale. La luce, attraverso il nervo ottico, riequilibra il bilanciamento della melatonina-serotonina e regolarizza i ritmi circadiani sonno-veglia, migliorando anche l’umore. Gioca un ruolo importante anche l’isolamento relazionale che è più frequente con le temperature rigide poiché si tende a rimanere più al chiuso favorendo così la solitudine che soprattutto nelle persone anziane contribuisce a sentimenti di autosvalutazione e depressione”.
Blue Monday, consigli per organizzarsi in tempo
“In generale per evitare cambiamenti dell’umore, suggerisco di dedicare del tempo a se stessi. Sulla base delle priorità di ciascuno, questa gestione del tempo può essere fatta concentrando alcune attività intellettuali, come ad esempio rivolte ai libri, alle mostre d’arte o al cinema o cucina) Oppure aumentare le attività fisiche in palestra, oppure camminando o all’aria aperta. Anche lo yoga e la meditazione possono essere d’aiuto perché coinvolgono entrambi gli ambiti. Consiglio anche di dedicare del tempo agli affetti e alle persone per noi importanti, contribuendo a farle stare bene. Per molte persone diventa terapeutico anche il rapporto con un animale (pet therapy), in cui occuparsi di lui diventa una vera e propria modalità per sentirsi meglio”.
Abuso di alcol, l’Europa maglia nera al mondo. L’Oms: connessione anche con alcune forme di tumore
Benessere, Stili di vitaBere superalcolici fa male per tutti i motivi che ben conosciamo, ma c’è anche una forte connessione con alcune malattie tumorali. A disvelare questa correlazione sono i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che mostrano come in Europa il cancro sia una delle principali cause di morte correlata all’alcol. Gli esperti sottolineano che circa la metà dei casi di cancro al seno alcol-correlati nell’UE sono dovuti ad un consumo leggero o moderato.
TREND DISASTROSO
Sotto la lente dell’Oms, l’Europa mostra anche un trend non proprio virtuoso. Attestandosi come maglia nera al mondo per il consumo di alcol. Otto Paesi dei dieci in cui il consumo di alcol è più forte si trovano infatti in Europa, tra questi l’Islanda e la Norvegia. Hans Henri P.Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa, ha spiegato che «l’alcol è un cancerogeno del gruppo 1, nella stessa categoria dell’arsenico, dell’amianto e del tabacco. Eppure, la maggior parte delle persone non è consapevole dei molti rischi che l’alcol pone alla loro salute».
SENSIBILIZZAZOINE
Il cancro è la principale causa di morte correlata all’alcol nell’UE e nel 2016 quasi 80.000 persone sono morte a causa di tumori correlati all’alcol mentre circa 1,9 milioni di anni di vita sono stati persi a causa di mortalità prematura o disabilità. Dunque l’Oms ha avviato una campagna, finanziata con 10 milioni di euro, per sensibilizzare l’opinione pubblica e i responsabili politici sui legami tra consumo di alcol e rischi di cancro. Il progetto prevede di migliorare le etichette di avvertenza sanitaria per le bevande alcoliche, lo screening dell’alcol, e di rafforzare l’educazione sanitaria sul tema.
Sma: molecola sintetica rallenta malattia. Lo studio italiano
Bambini, Pediatria, Ricerca innovazioneUna piccola molecola sintetica chiamata MR-409, sembra capace di rallentare la progressione della Sma, l’Atrofia Muscolare Spinale. Lo suggerisce una ricerca dell’Università di Torino, pubblicata sulla prestigiosa rivista americana Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas). Questa malattia, rara, neuromuscolare, dell’infanzia produce la perdita dei motoneuroni, le cellule nervose che trasportano i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli, controllandone il movimento. L’incidenza della Sma è di circa 1 su 10.000 nati vivi. I sintomi sono: debolezza, atrofia muscolare progressiva e complicazioni respiratorie.
Alla base della malattia ci sono mutazioni del “gene per la sopravvivenza del motoneurone” e conseguente carenza della proteina Smn (dall’inglese Survival Motor Neuron). Quest’ultima è necessaria per la sopravvivenza e il normale funzionamento dei motoneuroni.
Sma, nuovi sviluppi
La cura della Sma fino a poco fa si concentrava solo sui sintomi, per rendere migliore la vita dei pazienti. Oggi – anche se non si tratta di una cura definitiva – sono stati approvati nuovi farmaci capaci di aumentare la produzione di proteina Smn funzionale. Nell’ultima ricerca, gli studiosi italiani hanno messo in luce nuovi aspetti della MR-409 – prodotta a Miami nel laboratorio del professore Andrew Viktor Schally, Premio Nobel per la Medicina e co-autore del lavoro.
I risultati dimostrano la capacità di migliorare le funzioni motorie, attenuare l’atrofia muscolare e promuovere la maturazione delle giunzioni neuromuscolari in un modello sperimentale di Sma. Inoltre, secondo i ricercatori, MR-409 contrasta la perdita dei motoneuroni e riduce l’infiammazione nel midollo spinale. In conclusione, dai risultati emerge come la MR-409 possa rappresentare un potenziale farmaco, in associazione ad altre terapie. Le prospettive future per il trattamento della Sma, quindi, fanno ben sperare.
Farmaci introvabili, rischio psicosi. Aifa rassicura: nessuna emergenza.
Economia sanitariaDifficile trovare alcuni farmaci essenziali in questo periodo di recrudescenza del Covid e di diffusione dell’influenza. In moltissime farmacie risuona come un mantra la parola “introvabile”. Ad essere spariti dai banchi sono cortisonici per aerosol, antinfiammatori e farmaci e anche alcuni antibiotici ad ampio spettro. Colpevole di questa situazione sono, oltre all’enorme richiesta, le questioni internazionali. E poi, le leggi di mercato che, in alcune circostanze, inducono le industrie a distribuire in mercati esteri dove il prezzo pieno di vendita supera ampiamente quello rimborsato dal Servizio sanitario nazionale.
NESSUN ALLARME
A gettare acqua sul fuoco è Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). «Non c’è un allarme reale», dice. «I farmaci di cui c’è una vera carenza, tra i 3.197 che l’Aifa mette sul sito, sono 30. Di 300 che importiamo dall’estero, 30 sono realmente essenziali. La maggior parte sono farmaci di cui non c’è più la produzione, che non sono in commercio, ma quasi tutti hanno un equivalente o un’alternativa terapeutica. Ci tengo a dire che si tratta forse di una comunicazione non perfetta, un po’ distorta, nel senso che ci vuole un dialogo importante tra medici, farmacisti, associazioni di categoria», aggiunge.
SCORTE
A preoccupare i medici è invece l’effetto psicologico di questa carenza, che sta spingendo alcuni cittadini a fare scorte inutili e dannose. La psicosi sulla carenza di farmaci rischia infatti di tradursi in una corsa all’acquisto, che provocherebbe una mancanza ancor più accentuata dei farmaci. Una spirale psicologica potenzialmente molto pericolosa. I medici lanciano dunque un appello a non farsi prendere la mano e ad affidarsi ai consigli che vengono dati dai canali istituzionali.
Cefalea a grappolo, più grave nelle donne. Come riconoscerla
Benessere, Medicina funzionale, News PresaSi manifesta con un dolore fortissimo interno all’occhio. La cefalea a grappolo è la forma più grave di mal di testa, ma per fortuna è anche la più rara. Nonostante sia più diffusa negli uomini, un nuovo studio suggerisce che sia più invalidante per le donne. La nuova ricerca è coordinata dal Karolinska Institutet di Stoccolma e pubblicata su Neurology.
Cafalea a grappolo, come riconoscerla
Gli attacchi di dolore sono fortissimi, durano dai 15 minuti alle 3 ore e possono andare avanti per molti giorni consecutivi o anche settimane. La cefalea a grappolo colpisce una persona ogni 500-1000 e arriva in genere dopo i 20 anni, anche se non ha limiti di età. Gli uomini sono i più colpiti, soprattutto se fumatori.
Oltre a un lato della testa, con una localizzazione intorno all’occhio, il dolore può estendersi anche sull’area frontale, il volto e la mascella. La cefalea a grappolo può portare anche altri sintomi, come: occhi arrossati o che lacrimano, palpebre abbassate, naso che cola, sudore sulla fronte e un’irrequietezza data dal dolore.
Cefalea nelle donne più spesso male diagnosticata
L’autore dello studio Andrea C. Belin, neurologo del Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia, ha spiegato che spesso il disturbo è male diagnosticato nelle donne, anche per via della somiglianza di alcuni sintomi con l’emicrania. In generale il disturbo si manifesta in modo diverso nei due sessi, è importante che i medici ne siano consapevoli, sottolinea lo studio.
Il lavoro svedese ha coinvolto 874 persone con diagnosi di cefalea a grappolo, di cui il 34% erano donne. Secondo i numeri le donne hanno più probabilità di ricevere una diagnosi di cefalea a grappolo cronica (18%) rispetto agli uomini (9%). Inoltre, nelle donne gli attacchi duravano di più, con l’8% delle partecipanti che aveva attacchi di mal di testa che si ripetevano in media per 4-7 mesi, rispetto al 5% degli uomini.
Per quanto riguarda i partecipanti maschi, invece, gli attacchi lunghi duravano meno di un mese nel 30% dei casi, rispetto al 26% delle donne. In particolare le donne avevano più spesso attacchi durante l’arco della giornata (74% e 63%), oltre a più probabilità di avere un membro della famiglia con una storia di cefalea a grappolo (15% e 7%). Tuttavia le informazioni erano riportate dagli stessi partecipanti, ciò rappresenta un limite dello studio.
Lo Zenzero è un alleato del benessere
Benessere, News Presa, Stili di vitaLo zenzero, usato come integratore, aiuta a combattere il colesterolo cattivo. A dirlo è uno studio dell’American Heart Association, che ha dimostrato come questo alimento abbia un impatto positivo. Ovviamente, aggiunto ad una sana alimentazione e un pizzico di sport. Ma non è tutto, altre ricerche hanno infatti dimostrato che lo zenzero ha la capacità di migliorare la pressione sanguigna e aiuta a mantenere i livelli di glucosio nel sangue. Ovviamente, lo zenzero non può in nessun caso sostituire una terapia farmacologica.
IN TAVOLA
Non molto diverso è l’impiego dello zenzero come alimento da tavola, quindi non come integratore. In questo caso, la spezia – assicurata ad una tipica dieta occidentale – abbassa la pressione sanguigna. Un buon alleato se adoperato anche da chi ha un rischio più elevato di malattie cardiache. L’effetto specifico dello zenzero non è stato individuato, ma questi risultati suggeriscono che incorporare lo zenzero nella dieta o aggiungerlo agli alimenti per migliorare il sapore può avere benefici per le malattie cardiache. Se si aggiunge lo zenzero a cibi salutari, ad esempio le verdure, questo le fa magari apprezzare e si otterranno benefici mangiando più vegetali.
RICETTE E INFUSI
Lo zenzero si sposa bene con un’intera gamma di verdure diverse, in particolare le carote, e con il pollo, una fonte di proteine relativamente sana.Lo zenzero può essere anche usato per ottimi infusi, con proprietà antinfiammatoria e – secondo alcuni specialisti – dimagranti. Al di là di questi effetti, che non sono ancora stati dimostrati da studi scientifici, per molti a vincere è il gusto. Quello dello zenzero, fresco e un po’ pungente, è molto apprezzato ed è perfetto dopo pasti un po’ impegnativi.
Corsa: 5 consigli per non correre rischi. Parla l’esperto
Rubriche, SportSpesso la fine delle festività natalizie coincide con la ripresa degli allenamenti. Tuttavia, dopo un periodo di pausa, ogni tipo di attività va ripresa gradualmente. Questo vale anche nel caso della corsa, che si tratti di una ripresa o di un inizio vero e proprio.
Correre fa bene al cuore, al cervello, migliora l’umore e rinforza il sistema immunitario. Gli effetti positivi della corsa sono tanti, ma per non incorrere nel rischio di infortuni ci sono alcuni accorgimenti da prendere in considerazione.
In particolare, “ogni runner, che sia un professionista o meno, deve tenere conto di 5 elementi”. Ne parla il dott. Giuseppe FALVELLA, fisioterapista, specializzato in rieducazione posturale, ortopedica e sportiva.
Esame posturale e baropodometrico
A prescindere dal livello, la prima cosa da fare prima di cominciare a correre è una valutazione posturale e un esame baropodometrico.
“Quest’esame – spiega lo specialista – è fondamentale per capire come avviene l’appoggio del piede, infatti eventuali carichi sbagliati possono avere delle ripercussioni. Appoggiare il piede in modo sbagliato, in maniera continuativa, può ad esempio portare a infortuni muscolari e sovraccarichi articolari, soprattutto del ginocchio e della colonna vertebrale”.
Perciò è importante fare delle valutazioni prima di iniziare, per capire qual è la scarpa adatta anche in base al peso o se c’è la necessità di un plantare. “Correndo tutti i giorni viene sollecitato molto il piede, se non hai le scarpe giuste sei più esposto al rischio di infortuni”.
Il ritmo nella corsa
Alcune persone potrebbero pensare che un ritmo lento possa tenere al riparo da infortuni. In realtà un ritmo lento affatica maggiormente le articolazioni. “Si tratta di un aspetto importante da prendere in considerazione durante la corsa. Correndo in modo lento – si intende inferiore ai 170- 180 passi al minuto – vengono sovraccaricate maggiormente le articolazioni e viene meno la corretta biomeccanica”. Quindi “il ritmo non deve essere lento”, altrimenti si tende ad avere una postura scorretta.
Correre senza tensioni muscolari
Oltre al ritmo e alla postura, un altro aspetto da prendere in considerazione è la tensione muscolare. “Spesso i runner che sono amatoriali tendono a correre con le spalle rigide e le braccia tese, ad esempio. In questo modo, creano tensioni su tutte le strutture muscolari, di conseguenza la corsa non è più fluida e quindi non c’è una biomeccanica corretta. Inoltre, se ad esempio c’è una tensione muscolare maggiore sulle spalle durante la corsa, si disperde energia.
In generale, durante la corsa le braccia vengono mantenute a 90° e il corpo è proteso in avanti. Questo tipo di postura richiede però una buona mobilità, in altre parole le braccia non devono essere rigide, ma devono soltanto essere un aiuto alla biomeccanica, quindi devono essere libere. Contraendo spalle e braccia durante la corsa si creano delle tensioni muscolari e si disperde energia che invece è necessaria.
Il consiglio – continua l’esperto – è quello di creare una mappa mentale prima di iniziare a correre”. Il runner deve essere cosciente prima del movimento che farà: “deve pensare che durante la corsa deve restare morbido con le spalle e con le braccia, ‘lasciando andare la gamba’, al fine di avere una biomeccanica molto più fluida. Quindi il primo passo a livello neuromuscolare è pensare all’esercizio prima di andare a correre”. In sostanza, immaginare il movimento in anticipo.
L’appoggio corretto nella corsa
Ritornando sul tema dell’appoggio, “di solito quando siamo in statica eretta scarichiamo l’80-90% del peso sui talloni. Quindi è molto importante nella corsa un appoggio corretto.
Ci sono tre fasi nella spinta dell’appoggio plantare: l’appoggio, la spinta e la fase di volo, in cui passi da un piede all’altro”. Se per la camminata si parte appoggiando il tallone, per la corsa questo non vale.
“L’appoggio deve avvenire sul mesopiede. Molti runner nella fase di corsa, scaricano – cioè appoggiano – il peso sul tallone. Si tratta di un’abitudine sbagliatissima, perché provoca un sovraccarico del tallone e l’impatto ripetuto sul suolo provoca nel 90 % dei casi sollecitazioni alle strutture superiori, con conseguenti rischi di problematiche articolari, soprattutto alle ginocchia e alla colonna vertebrale.
Per una corsa corretta, ci deve essere una fase di appoggio e soprattutto di spinta sul mesopiede e sull’avampiede. Molto spesso, i runner amatoriali corrono e sbattono i talloni, questo è molto rischioso, soprattutto se fatto in maniera ripetuta”.
Diversificare il tipo di allenamento
“Un altro consiglio utile, spesso sottovalutato dai runner amatoriali, è considerare il tipo di lavoro che si vuole fare durante la corsa: se di resistenza o di velocità.
Nel caso della resistenza, ad esempio, si ottiene con la continuità nell’esercizio, quindi con costanza per un periodo prolungato. Il mio consiglio però è quello di lavorare in maniera integrata”.
In conclusione, il suggerimento è quello di alternare il tipo di allenamento, inserendo esercizi specifici per la velocità e non solo per la resistenza.