Tempo di lettura: 5 minutiGennaio è stato il mese della prevenzione del tumore al collo dell’utero. Un mese per ricordarci che la prevenzione va fatta tutto l’anno. Ne ha parlato la Dott.ssa Maria Rita Rampini Specialista in Ostetricia e Ginecologia, esperta in diagnosi e terapia dell’infertilità. “La prevenzione è un concetto fondamentale in medicina. Prevenire qualsiasi tipo di patologia consente di agire prima dell’insorgere della malattia stessa”.
In particolare, il tumore del collo dell’utero “colpisce la zona della cervice. Si tratta di una parte dell’utero che sporge in vagina, dando la possibilità al ginecologo di poterlo osservare e di poterlo esaminare facilmente. Ciò infatti viene fatto in genere nella prima tappa della visita ginecologica, attraverso lo strumento che si chiama speculum, grazie al quale si ha la possibilità di visionare il collo ed eseguire dei test”. Tuttavia “sono necessari esami specifici per la prevenzione del tumore che oggi per fortuna abbiamo a disposizione”.
Tumore al collo dell’utero, i numeri e come prevenire
Il tumore del collo dell’utero non è il più diffuso, ma è comunque il terzo più frequente nella popolazione femminile nonostante, da molti anni, siano stati pianificati dei programmi di prevenzione estremamente efficaci.
“Il grande vantaggio di questo tipo di tumore – continua la specialista – è il decorso lentissimo. Quindi dall’insorgenza delle eventuali prime cellule alterate all’insorgenza di un tumore vero e proprio invasivo possono passare tanti anni, anche 15 anni, per dare un’idea. Ecco perché la prevenzione è fondamentale. Oggi, quando ci troviamo di fronte a situazioni avanzate, significa che non c’è stato un controllo per lunghi anni. Fare esempi di storie vere spesso può far capire l’importanza degli screening di prevenzione. Ricordo il caso di una donna, con un esito purtroppo sfavorevole, era la madre di una mia paziente storica, la quale non aveva più fatto una visita dall’ultimo parto, cioè circa 40 anni prima. A seguito di perdite si è rivolto a me e a scoperto di avere un tumore in stato avanzato. Queste sono situazioni che oggi non dovrebbero più esistere. La cultura della prevenzione va inculcata soprattutto nelle ragazze giovani”.
Gli ultimi dati epidemiologici dell’Istituto Superiore di Sanità dicono che l’attuale incidenza in Italia di tumore del collo uterino è di 7 casi ogni 100.000 donne all’anno. I dati di cui disponiamo attualmente ci dicono che in Italia circa l’80% delle donne fa correttamente uno screening. Manca ancora quel 20%, infatti ad oggi tutti i nuovi casi di tumore che vengono diagnosticati, sono proprio in donne che riconoscono qualche carenza nel loro percorso di screening.
Hpv e prevenzione del tumore al collo dell’utero
Oggi la prevenzione ha fatto grandi passi in avanti. “In passato ad esempio non si era in grado di individuare questo famoso hpv (Human Papilloma Virus). Oggi sappiamo che questo virus è il principale responsabile del tumore al collo dell’utero”. Si tratta del 95-98% dei casi. “Oggi, quindi, la prevenzione passa proprio dall’individuazione del Papilloma virus che è un tipo di infezione asintomatica. Proprio per questo, se una candida spinge a correre dal ginecologo per una visita a causa dei fastidi e prurito, per il papilloma virus questo non succede. Perciò va individuato attraverso esami specifici”.
Come si può individuare l’hpv? “Attraverso il pap-test che è quello tradizionale, ad esempio. Durante questo test, con una spatola molto ridotta il ginecologo toglie una piccola parte di cellule superficiali del collo dell’utero. Dall’analisi del campione è possibile individuare, oltre a banali infezioni, anche alterazioni cellulari. Oggi, però, c’è un’evoluzione di questo test tradizionale e si chiama thin- prep. Un sistema analogo di raccolta di cellule del collo uterino che viene poi – con una tecnica particolare di laboratorio – messa su una fase liquida, permettendo uno studio più accurato delle cellule e l’eventuale individuazione di lesioni molto iniziali. Queste lesioni possono essere di vario livello e fanno scattare ulteriori indagini.
Per quanto riguarda l’hpv, esistono molti ceppi, come in tutti i virus, e non tutti hanno la stessa gravità. In generale si dividono tra quelli ad alto e basso rischio. Dei test specifici sono in grado di individuare il ceppo. Tra i più implicati nell’insorgenza del cancro del collo dell’utero ci sono i ceppi 16 e 18. Un’altra indagine da seguire a seguito del pap-test positivo è la colposcopia. In quest’esame, attraverso delle sostanze, si può studiare il collo dell’utero e fare anche delle biopsie. Infatti, togliendo un piccolo pezzettino, l’indagine istologica è ancora più chiara. In donne che fanno regolarmente prevenzione, incontrare delle lesioni non è un evento raro. Accade sia in donne giovani, sia meno giovani. Questo, quindi, non deve buttarci nel panico, bisogna a quel punto solo essere operativi. In molti casi si può risolvere velocemente, nei casi peggiori in cui c’è uno stato iniziale, spesso basta asportare la piccola parte interessata dalla degenerazione. In sostanza, per arrivare a un cancro degenerativo e invasivo bisogna trascurarsi per tanto tempo”.
Informare le giovani ragazze
A quanti anni si comincia a fare prevenzione? “Il prima possibile. Le giovani donne, dopo il primo rapporto sessuale è opportuno che si rivolgano al ginecologo per fare un primo screening. Una visita completa, infatti, si può eseguire dopo il primo rapporto. Oggi le linee guida sulla prevenzione sono in fase di revisione. Prima si consigliava di fare un pap-test tutti gli anni, oggi si è visto che i tempi si possono anche allungare oltre. Gli screening del servizio sanitario nazionale spesso richiamano le pazienti a distanza di due o tre anni quando il pap test è negativo; proprio per via della lenta evoluzione di questo tipo di tumore.
Come specialista, cerco sempre di far capire l’importanza della prevenzione alle giovani ragazze, anche scherzando. Spesso, infatti, dico loro: se volete fare le donne, fatele completamente. La parola d’ordine è prevenzione. In linea generale una visita ginecologica una volta all’anno è sempre fondamentale, al di là dei test di prevenzione specifici”. Il discorso della prevenzione dell’HPV “è legato anche alla prevenzione di tutte le malattie a trasmissione sessuale. Infatti, rientra nel grande gruppo, in cui ce ne sono altre (come ad esempio la clamidia) che magari non sono pericolose da un punto di vista cancerogeno, ma lo sono per esempio per la fertilità. Spesso possono essere asintomatiche e si può correre il rischio di un danno tubarico che magari rende impossibile il concepimento”.
Inoltre, non bisogna dimenticare la prevenzione nell’ambito della mammella, “in cui il tumore è molto più presente e l’età media si è abbassata molto. Mi è capitato di recente di riscontrare carcinomi della mammella in ragazze di 26 e 28 anni. Il ginecologo infatti si deve occupare della sfera femminile in maniera completa, attraverso la visita, consigliando un’eco mammaria ecc.”.
Vaccino per hpv utile a tutte le età
“Nell’ambito dell’HPV, negli ultimi anni abbiamo un altro strumento fondamentale che è la vaccinazione. Anche se il nostro sistema nazionale lo prevede solo per le giovani ragazze intorno ai 12 anni, io lo consiglio ad ogni età. Gli studi, infatti, dimostrano che il vaccino porta benefici anche dopo aver contratto il virus, perché aumenta le difese immunitarie. Nei virus, infatti, funziona così: più si aumentano le difese immunitarie più si è protetti. Sembra quindi che la vaccinazione funzioni anche dopo averlo preso, perché ti aiuta a combatterlo.
Nelle ragazze è ancora più importante, perché in genere in quella fascia di età c’è una maggiore promiscuità sessuale. Si tende a cambiare più spesso il partner, infatti un altro discorso fondamentale riguarda i maschi. Se prima si ignorava un po’, ora è emerso chiaramente come i ragazzi possono contrarre il virus ed essere portatori sani. Inoltre nei maschi è anche più difficile l’individuazione. Ormai ci sono dati importanti che evidenziano come sia opportuno vaccinare anche loro, che sono spesso i serbatoi asintomatici. Quindi la vaccinazione dei maschi è importante anche per preservare la salute delle donne. Si tratta di un atto responsabile di cui tutti dovremmo occuparci. Oggi trovare un cancro del collo dell’utero è come una sconfitta per tutti, perché abbiamo tutti gli strumenti per evitarlo. Serve solo fare prevenzione”.
Rossetti, perché non è una buona idea condividerli anche tra cognate
Benessere, Medicina estetica, PrevenzioneCondividere rossetti, lucida labbra e altri cosmetici non è una buona idea. Il tema è emerso persino in un episodio raccontato nel libro del principe Harry, dal titolo ‘Spare’. In pratica, Meghan Markle avrebbe offeso la cognata, la principessa del Galles, Kate Middleton, per averle chiesto in prestito il lucidalabbra. Sia pur con riluttanza e fastidio, Kate avrebbe tuttavia accettato mirziamov.ru . Prendendo spunto dalla storia, il New York Times ha analizzato il tema con esperti, spiegando il perché non sia igienico.
Non ci sono dati precisi su quanto sia probabile che i patogeni si diffondano da persona a persona attraverso i prodotti per le labbra. Lo sottolinea Ami Zota, docente di Scienze della salute ambientale presso la Columbia University Mailman School of Public Health. Tuttavia, ha aggiunto, virus e batteri possono annidarsi su superfici appiccicose come rossetti, balsami e unguenti anche per giorni. Resta da capire quanto siano pericolosi.
Virus e batteri possono diffondersi da persona a persona tramite i rossetti?
In generale, gli agenti patogeni non sono tutti uguali. Alcuni si diffondono più facilmente di altri e allo stesso modo può variare il loro tempo di permanenza sulle superfici, spiega Laleh Gharahbaghian, professore di Medicina d’urgenza presso la Stanford Medicine. In sostanza, i comuni virus del raffreddore e dell’influenza possono restare sugli oggetti anche per settimane. Tuttavia, non c’è un grande rischio di trasmettere l’influenza o il Covid-19 condividendo il lucidalabbra, sebbene la trasmissione sia sempre possibile. Lo dichiara Tina Bhutani, dermatologa dell’Università della California a San Francisco.
Questi tipi di virus, infatti, infettano maggiormente le persone quando inalano particelle che li contengono. Un rischio molto maggiore, invece, riguarda la diffusione del virus dell’herpes simplex, che può causare l’herpes labiale. Difatti, le persone con herpes della bocca sono più contagiose in fase acuta.
Prendere in prestito i cosmetici per le labbra non espone solo al rischio di contrarre l’herpes. Un altro pericolo sono le infezioni da stafilococco, ha affermato la dottoressa A. Yasmine Kirkorian, capo della dermatologia presso il Children’s National Hospital di Washington.
In conclusione, gli esperti concordano sul fatto che prendere in prestito cosmetici in generale può essere davvero rischioso. Il rischio riguarda soprattutto i prodotti che entrano in contatto con la saliva o le mucose degli occhi, canali fondamentali per la trasmissione di virus.
Ortoterapia diminuisce stress in pazienti con anoressia nervosa
PrevenzioneL’ortoterapia aiuta a diminuire lo stress in pazienti con anoressia nervosa di tipo restrittivo. Inoltre migliora la percezione corporea e il disagio affettivo. Lo rivela uno studio pilota condotto da un gruppo di esperti del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, degli Istituti di fisiologia clinica (Ifc) e di scienza e tecnologie dell’informazione “A. Faedo” (Isti) del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa, della Fondazione IRCCS Stella Maris, e della Clinica Riabilitativa dell’Infanzia e dell’Adolescenza “Gli orti di Ada” di Calambrone (Pisa).
Ortoterapia contro l’anoressia. Lo studio
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nutrients, ha coinvolto un campione di ragazze adolescenti con una diagnosi di anoressia nervosa di tipo restrittivo e con un indice di massa corporea minore di 16. Per dodici settimane le pazienti hanno seguito, oltre al trattamento clinico convenzionale, anche un percorso di ortoterapia che prevedeva di coltivare ortaggi, piante ornamentali e officinali e di caratterizzarne forme, colori e odori.
All’inizio e alla fine del trattamento le ragazze hanno ricevuto una valutazione psichiatrica ed è stato loro somministrato un test di identificazione olfattiva per valutare sia la sensorialità relativa agli odori, sia lo stress indotto. In particolare, quest’ultimo è stato valutato dai gruppi Cnr – gli ingegneri Lucia Billeci e Alessandro Tonacci del Cnr-Ifc e Sara Colantonio e Maria Antonietta Pascali del Cnr-Isti- attraverso la misurazione dei parametri di frequenza cardiaca e della sua variabilità tramite una fascia cardiaca, della conduttanza cutanea, e attraverso la mappatura termica del volto.
I risultati sono stati paragonati a quelli ottenuti da un gruppo di pazienti sottoposte al solo trattamento clinico convenzionale. Le analisi statistiche delle variabili cliniche e fisiologiche hanno così mostrato che i livelli di risposta allo stress sono migliorati nel tempo solo nel gruppo che ha svolto ortoterapia.
“Al termine dell’esperienza ai partecipanti è stato rilasciato un ‘certificato di merito’ nominandoli ‘pollici verdi’ – ha raccontato la professoressa Cristina Nali dell’Università di Pisa – Impegnarsi nella pratica di accudire le piante porta a rilassare la mente e il corpo e a prendere responsabilità verso gli esseri viventi che stiamo coltivando. È così possibile, oltre ad accrescere la propria salute, anche imparare il concetto di sequenza temporale, i cicli colturali e la stagionalità dei prodotti”.
L’anoressia nervosa
“L’anoressia nervosa di tipo restrittivo è un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione che porta al rifiuto di mangiare e di mantenere il peso corporeo nella norma, con persistente mancanza di riconoscimento della gravità della condizione di sottopeso ed è la principale causa di morte tra i disordini mentali – spiegano Olivia Curzio di Cnr-Ifc, Sandra Maestro della Clinica “Gli Orti di Ada” e Vittorio Belmonti di IRCCS Stella Maris.
Se come è noto le attività all’aria aperta e a contatto della natura hanno effetti benefici sul benessere psicofisico di tutte le persone, cominciano a essere noti studi clinici che dimostrano gli effetti positivi dell’ortoterapia sulla riduzione dei livelli di stress anche in soggetti psichiatrici”.
Il team di ricerca era composto da Sandra Maestro, Nicola Zannoni della Clinica Riabilitativa dell’Infanzia e dell’Adolescenza “Gli Orti di Ada”; Vittorio Belmonti, Carlotta Francesca De Pasquale della Fondazione IRCCS Stella Maris; Lorenzo Cotrozzi, Cristina Nali, Francesca Venturi del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa; Lucia Billeci, Olivia Curzio, Maria-Aurora Morales, Alessandro Tonacci dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr; Sara Colantonio e Maria Antonietta Pascali dell’ Istituto di scienza e tecnologie dell’Informazione “A. Faedo” del Cnr.
Psicofarmaci per “sballarsi”, allarme per la nuova moda
Adolescenti, Pediatria, Stili di vitaSempre più adolescenti assumono psicofarmaci per “sballarsi”. L’allarme arriva dalla Società Italiana di Neuro-Psico-Farmacologia (Sinpf) riunita a Milano e Venezia in occasione del suo XXIV Congresso nazionale e, comprensibilmente, fa tremare molti genitori che si domandano quali siano i rischi e come fare a cogliere qualche campanello d’allarme.
RISCHIO ALTISSIMO
Gli psichiatri spiegano che gli psicofarmaci, insieme ad un percorso terapeutico a 360 gradi sono fondamentali per curare le malattie mentali anche nei giovani e nei giovanissimi. Molte patologie curate per tempo nei giovani, garantiscono loro un futuro. Ma se questi farmaci sono invece usati con modalità non corrette, ad esempio per “sballarsi” possono avere ripercussioni negative. Proprio per le loro caratteristiche, gli psicofarmaci usati in modo improprio possono causare un rischio altissimo per la salute. Addirittura possono mettere in pericolo la vita di chi ne fa abuso.
SENSIBILIZZARE
Da qui la necessità, avvertono gli specialisti, di avviare campagne di sensibilizzazione e informazione e di azioni educazionali, anche con il coinvolgimento delle Istituzioni: dalla scuola, alla classe medica, dai medici di medicina generale alle famiglie. Grande attenzione va riservata anche alla combinazione di questi medicinali con l’alcol, un mix che può divenire letale. Purtroppo, anche sul fronte del “Binge drinking”, ovvero dell’abbuffata di alcol, i dati descrivono una situazione molto problematica. Sempre più giovanissimi fanno un uso smodato di superalcolici, soprattutto nel week end, con l’obiettivo di sballarsi. Senza comprendere che questo “sballo” può costare molto caro.
Violenza sui medici. “La legge c’è, ma vanno applicati i protocolli”
PsicologiaIl bilancio degli atti di violenza negli ospedali è arrivato nel 2022 a un totale di 85 casi rispetto ai 60 dell’anno precedente. I luoghi più colpiti sono i centri di medicina d’urgenza e psichiatria. Nella classifica delle segnalazioni giunte, dopo Puglia e Sicilia a quota 20, seguono Toscana (8), Campania e Piemonte (7), Lombardia (6), Calabria (5).
Ieri la questione è stata affrontata dall’Osservatorio nazionale sulla sicurezza delle professioni sanitarie e sociosanitarie, riunito alla presenza del Ministro della Salute Orazio Schillaci. È stata sottolineata l’importanza della applicazione della legge 113 del 2020 sulla sicurezza degli operatori. A breve partirà anche il tavolo dedicato ai pronto soccorso, dove si verificano con più frequenza i casi di aggressione, per dare risposte concrete in termini di riorganizzazione con particolare attenzione al problema del sovraffollamento.
“Quello che sta succedendo è il risultato del rifiuto della morte e della sofferenza, sommato allo scadimento della figura del Medico – precisa Enrico Zanalda, Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense – che viene messo in discussione perché ritenuto non all’altezza dei risultati attesi dal paziente che è sempre più condizionato dal dr Google”.
Violenza: viene meno il ruolo sociale, come negli anni 70 per gli insegnanti
Dagli anni Novanta si è assistito a un’aggressione sistematica della figura del medico. Inoltre sono aumentate le cause contro operatori sanitari ed Ospedali. “Per impedire che questo fenomeno potesse bloccare l’assistenza, la legge è intervenuta già due volte: prima con la legge Balduzzi e poi con quella Gelli/Bianco. Dall’aggressione mediata dagli avvocati, siamo passati a quella diretta. È stata distrutta la figura istituzionale del Medico – prosegue Zanalda – che non è rispettato nonostante sia incaricato di pubblico servizio. Questa è una carica insufficiente a difenderlo dalle aggressioni. Si ripete quanto successo negli anni 70 con la categoria degli insegnanti a cui viene data la colpa dell’insuccesso scolastico dei figli. Anche per i Medici è venuto meno quel ruolo sociale che incuteva rispetto: se il malato non guarisce la colpa è del medico o dell’organizzazione sanitaria che non è stata efficiente”.
Violenza negli ospedali, la legge esiste ma non vengono applicati i protocolli
“La legge 113 del 2020 contiene delle buone proposte per tutelare i professionisti della sanità, anche se tuttavia non è sufficiente perché serve investire sulla professionalità e sulla tecnologia per rendere attrattivo il servizio sanitario. Oggi assistiamo a una fuga dallo stesso – commenta Zanalda – perchè lavorarci ha perduto dignità. Inoltre le leggi, oltre che promulgate, vanno poi applicate. Nella Legge 113/2020 è previsto che vi siano dei protocolli tra le ASL e le Forze dell’Ordine ma non mi risulta siano stati applicati. Attualmente la gran parte delle aggressioni (verbali e non solo), non vengono denunciate perché è il sanitario che deve effettuare l’esposto. Questo oltre che un’ulteriore perdita di tempo, rende il medico visibile all’autore del reato che potrebbe in futuro effettuare delle ritorsioni. Numerosi sono gli operatori sanitari che hanno il timore ad esporsi presentando la denuncia”.
Le reazioni allo sconvolgimento emotivo dovuto alla malattia
“La malattia, specie se acuta, determina uno sconvolgimento emotivo oltre che nel malato anche nelle persone vicine a lui. Quando i pazienti giungono in Pronto Soccorso accompagnati dai parenti, il livello emotivo è molto elevato. Aumenta ancora di più quando si tratta della salute dei figli o della donna in gravidanza. Basta una piccola incomprensione o un ritardo in una risposta organizzativa per determinare l’aggressione. Nei reparti di psichiatria invece – continua Zanalda – la questione è legata soprattutto alla mancanza di consapevolezza della malattia che, se presente, determina una mancata collaborazione alle cure e talvolta il rifiuto delle stesse. Questi aspetti poi vengono talvolta enfatizzati dalla scarsa diffusione culturale delle problematiche collegate alla salute mentale” .
Investiamo sul nostro personale, evitando di importare altri medici
L’Osservatorio ha sottoposto all’attenzione del ministro le principali problematiche su cui sono impegnati i gruppi di lavoro (raccolta dei dati per un monitoraggio puntuale, collaborazione con le regioni, campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini per una maggiore consapevolezza del rapporto di fiducia con i medici e gli operatori sanitari, formazione per il personale sanitario). “Ritengo che siano iniziative lodevoli se accompagnate a un corretto investimento di risorse per il Servizio Sanitario Pubblico. Viceversa saranno dei palliativi che non giungono all’essenza del problema. Bisogna permettere ai professionisti della salute di operare in condizioni ottimali sia come ambiente che come condizioni di lavoro.
La salute è il bene principale di tutte le persone e bisogna che investiamo sull’organizzazione in modo che torni a essere attrattiva. Le ultime notizie di cronaca – conclude Zanalda – riportano il reclutamento di medici cubani presso alcuni ospedali del nostro territorio: non è così che si risolve il problema dei gettonisti in Pronto Soccorso. Premiamo economicamente il personale che lavora in condizioni svantaggiate come orari e luoghi, determinando così il desiderio di lavorarci da parte di chi si laurea e specializza”
Malattie rare, l’appello delle associazioni: #uniamoleforze
News PresaL’appello è forte e chiaro: #uniamoleforze ed è l’hashtag di una nuova campagna che servirà a sensibilizzare l’Italia sul tema delle malattie rare. Anzi, sulle difficoltà che una persona con malattia rara deve affrontare quotidianamente. L’iniziativa è promossa per tutto il mese di febbraio, da UNIAMO – Federazione Italiana delle Malattie Rare, in occasione della 16a edizione del Rare Disease Day. Insieme a una sensibilizzazione out-of-home, con la brandizzazione di autobus, tram e metropolitane in 6 città italiane, verranno organizzati altrettanti eventi di sensibilizzazione con la presenza delle più alte cariche politiche e istituzionali.
SOCIAL
Per questo importante scopo si mobiliterà anche il mondo dei social. Saranno infatti coinvolti alcuni tra i più affermati influencer, ma anche persone con malattia rara, Associazioni e cittadini. Tutti potranno partecipare e far sentire la propria vicinanza usando una grafica coordinata e prendendo parte a momenti focali sul racconto delle “storie” dei pazienti. Sarà poi la splendida voce di Luca Ward ad accompagnare video e podcast che saranno trasmessi su canali tv e radio.
SENSIBILIZZARE LA POLITICA
Le tematiche – spiega una nota – affrontate durante il mese di febbraio sono quelle scaturite dai tavoli di lavoro promossi dalla Federazione, dalla presentazione di MonitoRare – il Rapporto sulla condizione delle persone con malattia rara – fino agli Stati generali delle malattie rare. Condensate nelle «effemeridi», le pubblicazioni di UNIAMO dovrebbero orientare la politica e le istituzioni nei prossimi mesi. «La campagna di quest’anno toccherà varie regioni, perché sono le istituzioni fondamentali per la presa in carico delle persone con malattia rara», dice la presidente di UNIAMO, Annalisa Scopinaro. «È necessario mettere a terra il grande sistema costruito in questi anni, facendo sentire i pazienti e le loro famiglie meno sole e ‘prese per mano’ fin dal momento della comparsa dei primi sintomi», aggiunge.
DATE E TAPPE
La campagna verrà inaugurata il 1° febbraio presso il Ministero della Salute, con il lancio del video e del podcast, alla presenza del ministro Schillaci. Seguiranno eventi a Pescara (3 febbraio), Firenze (6), Roma (15), Napoli (16), Genova (17), Bari (20) e quindi, a finire, di nuovo Roma (28), al Senato, per l’incontro di chiusura, il racconto delle storie dei pazienti e l’appello finale alla politica. Si potrà partecipare alla campagna in vari modi sul portale UNIAMO.
Tumore del collo dell’utero evitabile con prevenzione. Parla l’esperta
PrevenzioneGennaio è stato il mese della prevenzione del tumore al collo dell’utero. Un mese per ricordarci che la prevenzione va fatta tutto l’anno. Ne ha parlato la Dott.ssa Maria Rita Rampini Specialista in Ostetricia e Ginecologia, esperta in diagnosi e terapia dell’infertilità. “La prevenzione è un concetto fondamentale in medicina. Prevenire qualsiasi tipo di patologia consente di agire prima dell’insorgere della malattia stessa”.
In particolare, il tumore del collo dell’utero “colpisce la zona della cervice. Si tratta di una parte dell’utero che sporge in vagina, dando la possibilità al ginecologo di poterlo osservare e di poterlo esaminare facilmente. Ciò infatti viene fatto in genere nella prima tappa della visita ginecologica, attraverso lo strumento che si chiama speculum, grazie al quale si ha la possibilità di visionare il collo ed eseguire dei test”. Tuttavia “sono necessari esami specifici per la prevenzione del tumore che oggi per fortuna abbiamo a disposizione”.
Tumore al collo dell’utero, i numeri e come prevenire
Il tumore del collo dell’utero non è il più diffuso, ma è comunque il terzo più frequente nella popolazione femminile nonostante, da molti anni, siano stati pianificati dei programmi di prevenzione estremamente efficaci.
“Il grande vantaggio di questo tipo di tumore – continua la specialista – è il decorso lentissimo. Quindi dall’insorgenza delle eventuali prime cellule alterate all’insorgenza di un tumore vero e proprio invasivo possono passare tanti anni, anche 15 anni, per dare un’idea. Ecco perché la prevenzione è fondamentale. Oggi, quando ci troviamo di fronte a situazioni avanzate, significa che non c’è stato un controllo per lunghi anni. Fare esempi di storie vere spesso può far capire l’importanza degli screening di prevenzione. Ricordo il caso di una donna, con un esito purtroppo sfavorevole, era la madre di una mia paziente storica, la quale non aveva più fatto una visita dall’ultimo parto, cioè circa 40 anni prima. A seguito di perdite si è rivolto a me e a scoperto di avere un tumore in stato avanzato. Queste sono situazioni che oggi non dovrebbero più esistere. La cultura della prevenzione va inculcata soprattutto nelle ragazze giovani”.
Gli ultimi dati epidemiologici dell’Istituto Superiore di Sanità dicono che l’attuale incidenza in Italia di tumore del collo uterino è di 7 casi ogni 100.000 donne all’anno. I dati di cui disponiamo attualmente ci dicono che in Italia circa l’80% delle donne fa correttamente uno screening. Manca ancora quel 20%, infatti ad oggi tutti i nuovi casi di tumore che vengono diagnosticati, sono proprio in donne che riconoscono qualche carenza nel loro percorso di screening.
Hpv e prevenzione del tumore al collo dell’utero
Oggi la prevenzione ha fatto grandi passi in avanti. “In passato ad esempio non si era in grado di individuare questo famoso hpv (Human Papilloma Virus). Oggi sappiamo che questo virus è il principale responsabile del tumore al collo dell’utero”. Si tratta del 95-98% dei casi. “Oggi, quindi, la prevenzione passa proprio dall’individuazione del Papilloma virus che è un tipo di infezione asintomatica. Proprio per questo, se una candida spinge a correre dal ginecologo per una visita a causa dei fastidi e prurito, per il papilloma virus questo non succede. Perciò va individuato attraverso esami specifici”.
Come si può individuare l’hpv? “Attraverso il pap-test che è quello tradizionale, ad esempio. Durante questo test, con una spatola molto ridotta il ginecologo toglie una piccola parte di cellule superficiali del collo dell’utero. Dall’analisi del campione è possibile individuare, oltre a banali infezioni, anche alterazioni cellulari. Oggi, però, c’è un’evoluzione di questo test tradizionale e si chiama thin- prep. Un sistema analogo di raccolta di cellule del collo uterino che viene poi – con una tecnica particolare di laboratorio – messa su una fase liquida, permettendo uno studio più accurato delle cellule e l’eventuale individuazione di lesioni molto iniziali. Queste lesioni possono essere di vario livello e fanno scattare ulteriori indagini.
Per quanto riguarda l’hpv, esistono molti ceppi, come in tutti i virus, e non tutti hanno la stessa gravità. In generale si dividono tra quelli ad alto e basso rischio. Dei test specifici sono in grado di individuare il ceppo. Tra i più implicati nell’insorgenza del cancro del collo dell’utero ci sono i ceppi 16 e 18. Un’altra indagine da seguire a seguito del pap-test positivo è la colposcopia. In quest’esame, attraverso delle sostanze, si può studiare il collo dell’utero e fare anche delle biopsie. Infatti, togliendo un piccolo pezzettino, l’indagine istologica è ancora più chiara. In donne che fanno regolarmente prevenzione, incontrare delle lesioni non è un evento raro. Accade sia in donne giovani, sia meno giovani. Questo, quindi, non deve buttarci nel panico, bisogna a quel punto solo essere operativi. In molti casi si può risolvere velocemente, nei casi peggiori in cui c’è uno stato iniziale, spesso basta asportare la piccola parte interessata dalla degenerazione. In sostanza, per arrivare a un cancro degenerativo e invasivo bisogna trascurarsi per tanto tempo”.
Informare le giovani ragazze
A quanti anni si comincia a fare prevenzione? “Il prima possibile. Le giovani donne, dopo il primo rapporto sessuale è opportuno che si rivolgano al ginecologo per fare un primo screening. Una visita completa, infatti, si può eseguire dopo il primo rapporto. Oggi le linee guida sulla prevenzione sono in fase di revisione. Prima si consigliava di fare un pap-test tutti gli anni, oggi si è visto che i tempi si possono anche allungare oltre. Gli screening del servizio sanitario nazionale spesso richiamano le pazienti a distanza di due o tre anni quando il pap test è negativo; proprio per via della lenta evoluzione di questo tipo di tumore.
Come specialista, cerco sempre di far capire l’importanza della prevenzione alle giovani ragazze, anche scherzando. Spesso, infatti, dico loro: se volete fare le donne, fatele completamente. La parola d’ordine è prevenzione. In linea generale una visita ginecologica una volta all’anno è sempre fondamentale, al di là dei test di prevenzione specifici”. Il discorso della prevenzione dell’HPV “è legato anche alla prevenzione di tutte le malattie a trasmissione sessuale. Infatti, rientra nel grande gruppo, in cui ce ne sono altre (come ad esempio la clamidia) che magari non sono pericolose da un punto di vista cancerogeno, ma lo sono per esempio per la fertilità. Spesso possono essere asintomatiche e si può correre il rischio di un danno tubarico che magari rende impossibile il concepimento”.
Inoltre, non bisogna dimenticare la prevenzione nell’ambito della mammella, “in cui il tumore è molto più presente e l’età media si è abbassata molto. Mi è capitato di recente di riscontrare carcinomi della mammella in ragazze di 26 e 28 anni. Il ginecologo infatti si deve occupare della sfera femminile in maniera completa, attraverso la visita, consigliando un’eco mammaria ecc.”.
Vaccino per hpv utile a tutte le età
“Nell’ambito dell’HPV, negli ultimi anni abbiamo un altro strumento fondamentale che è la vaccinazione. Anche se il nostro sistema nazionale lo prevede solo per le giovani ragazze intorno ai 12 anni, io lo consiglio ad ogni età. Gli studi, infatti, dimostrano che il vaccino porta benefici anche dopo aver contratto il virus, perché aumenta le difese immunitarie. Nei virus, infatti, funziona così: più si aumentano le difese immunitarie più si è protetti. Sembra quindi che la vaccinazione funzioni anche dopo averlo preso, perché ti aiuta a combatterlo.
Nelle ragazze è ancora più importante, perché in genere in quella fascia di età c’è una maggiore promiscuità sessuale. Si tende a cambiare più spesso il partner, infatti un altro discorso fondamentale riguarda i maschi. Se prima si ignorava un po’, ora è emerso chiaramente come i ragazzi possono contrarre il virus ed essere portatori sani. Inoltre nei maschi è anche più difficile l’individuazione. Ormai ci sono dati importanti che evidenziano come sia opportuno vaccinare anche loro, che sono spesso i serbatoi asintomatici. Quindi la vaccinazione dei maschi è importante anche per preservare la salute delle donne. Si tratta di un atto responsabile di cui tutti dovremmo occuparci. Oggi trovare un cancro del collo dell’utero è come una sconfitta per tutti, perché abbiamo tutti gli strumenti per evitarlo. Serve solo fare prevenzione”.
Allattare al seno fa bene al bambini, ma senza cellulare
Bambini, Genitorialità, PediatriaAllattare al seno. Allattare il neonato al seno, quando possibile, è importante per la salute dei piccoli. Più di quanto si possa crede. A dirlo, e a spiegare i benefici dell’allattamento al seno, sono gli specialisti della Società Italiana di Pediatria. Proviamo allora a ripercorrere le tappe più importanti di questa spiegazione, così da sostenere le mamme alle prime armi, tra dubbi e comprensibili incertezze.
PRIMO CONTATTO
Secondo i pediatri, nelle prime ore dopo il parto è essenziale stabilire un contatto “pelle a pelle” tra madre e bambini. Questo contatto permette di stabilizzare l’attività cardio-respiratoria del neonato, regolare la sua temperatura corporea, favorire un normale valore di glicemia ed avviare al meglio l’allattamento al seno. Se il bimbo è nato a termine e senza complicazioni si può stabilire fin da subito un contatto pelle a pelle (skin-to-skin). In queste 2 ore bocca e naso del neonato devono essere sempre visibili dalla mamma per evitare che la respirazione sia ostruita dalle sue mammelle.
NO AI SOCIAL
Una pratica da evitare, purtroppo comune a molte madri dei giorni nostri, è quella di iniziare ad usare il cellulare dopo il parto. Si è calcolato che in media le neo mamme inviano circa 30 messaggi nelle due ore successive al parto. Questo fenomeno di condivisione, pur comprensibile, è molto negativo perché distrae dal vivere a pieno e dal vivo il momento della nascita del proprio bambino. Nelle ore seguenti al parto non esiste una posizione ideale per allattare: molte donne allattano sedute o semi sedute, con la schiena e le gambe sostenute. Vi è anche un’altra possibilità, la cosiddetta “biological nurturing “, in cui la mamma è in posizione con la schiena semi reclinata, sostenuta attraverso l’utilizzo di più cuscini, e con il bimbo sopra di lei. Occorre in tutti i casi essere vigili sul fatto che il piccolo respiri bene e abbia un buon colorito. Anche per questo è bene che la neo mamma sia concentrata sul bambino, più che sul telefono.
RIPOSO
Uno degli aspetti che tormenta molte neo mamme è quello del riposo. I pediatri ricordano che chiedere che il bimbo sia portato nel nido non è qualcosa di cui vergognarsi: la stanchezza dopo il parto può colpire tutte le donne, in misura diversa anche in base all’esperienza legata alla nascita del bambino. Se ci si sente particolarmente provate – dicono – meglio optare perché il piccolo stia nella nursery, prendere qualche ora di riposo e poi allattare il bambino e prendersene cura, per quanto possibile. «L’allattamento al seno, quando possibile, è un toccasana per la salute del bambino e della mamma e consolida il cosiddetto bonding, il legame mamma-bimbo. È una pratica sicura non bisogna quindi avere alcuna paura».
Grassi trans industriali nei cibi. OMS: tossici, vanno eliminati
Alimentazione, Benessere, News Presa, One healthSono 5 miliardi le persone esposte: tra i rischi procurati dai grassi trans, ci sono anche le malattie cardiache.
“Il grasso trans è una sostanza chimica tossica che uccide e non dovrebbe avere posto nel cibo. È ora di sbarazzarsene una volta per tutte”. Lo ha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tedros Adhanom Ghebreyesus, oggi a Ginevra. Sebbene siano stati fatti molti progressi in questo senso, il direttore ha ricordato che cinque miliardi di persone in tutto il mondo rimangono ancora esposte ai danni alla salute provocati dai grassi trans, le malattie cardiache in particolare.
Dove si trovano i grassi trans
L’assunzione di grassi trans è responsabile fino a 500.000 morti premature per malattia coronarica ogni anno in tutto il mondo, spiega l’Oms. Sono prodotti industrialmente e si trovano negli alimenti confezionati, nei prodotti da forno, negli oli da cucina e nelle creme spalmabili. Attualmente, 9 dei 16 paesi con la più alta percentuale stimata di decessi per malattia coronarica causati dall’assunzione di grassi trans, non hanno una politica di best practice. Si tratta di Australia, Azerbaigian, Bhutan, Ecuador, Egitto, Iran, Nepal, Pakistan e Repubblica di Corea.
Gli obiettivi
Il mondo è fuori strada in termini di raggiungimento dell’obiettivo dell’eliminazione totale nel 2023 dei grassi trans industriali dal cibo. A ribadirlo è l’Oms.
Dal nuovo rapporto ‘Countdown to 2023 WHO Report on global trans fat deleted 2022’ emerge che dal 2018, quando l’Oms ha chiesto l’eliminazione globale di queste sostanze entro il 2023, la parte della popolazione mondiale protetta da politiche basate sulle migliori pratiche per sopprimerli è aumentata di quasi sei volte. Sono 43 i paesi che hanno implementato politiche di best practice pari a 2,8 miliardi di persone protette a livello globale (36% della popolazione mondiale). Tuttavia, cinque miliardi di persone restano non protette, come sottolinea l’Oms.
Antonella Fragiello, l’ex miss scomparsa per un tumore alle ovaie
News Presa«Sono lontana da te da qualche giorno e non c’è minuto della giornata in cui non penso a quanto io sia fortunata ad averti nella mia vita. Sei l’aria che respiro, il mio sorriso più bello, il mio sguardo più luminoso. Sei raro. Sei tu. Ti amo». Parole che commuovono quelle affidate ai social da Antonella Fragiello, ex finalista di Miss Italia nel 2004, prematuramente scomparsa dopo aver combattuto con tutte le proprie forze contro un tumore alle ovaie. Antonella, che negli anni scorsi aveva perso la mamma per la stessa malattia, avrebbe compiuto 38 anni il prossimo 11 agosto.
COS’È
Vista la mancanza di sintomi nelle fasi iniziali, il tumore dell’ovaio è una delle forme di tumore più pericolose per le donne. Le funzioni dell’ovaio sono due: produrre ormoni sessuali femminili (estrogeni e progesterone) e ovociti (le cellule riproduttive femminili). Nelle donne fertili e non in stato di gravidanza, ogni mese le ovaie producono un ovocita che si muove verso l’utero per essere eventualmente fecondato. Il cancro dell’ovaio è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule dell’organo, il più delle volte le cellule epiteliali (ovvero non quelle che producono gli ovuli). Anche le cellule germinali e quelle stromali, gli altri due tipi cellulari presenti nell’ovaio, possono però essere all’origine di un tumore.
SINTOMI
Come detto, questo tipo di tumore non causa sintomi nelle sue fasi iniziali. Ma non mancano dei campanelli d’allarme ai quali prestare attenzione: addome gonfio, meteorismo (presenza di aria nella pancia), bisogno frequente di urinare. Tra gli altri possibili sintomi sono inclusi dolore addominale o pelvico, sanguinamento vaginale, stipsi o diarrea e anche sensazione di estrema stanchezza. Nelle fasi più avanzate di malattia potrebbero presentarsi anche senso di nausea, perdita di appetito. Dunque, sintomi generici che potrebbero essere legati a cause che non hanno nulla a che vedere con un tumore dell’ovaio.
PREVENZIONE
Visto che non esistono ad oggi programmi di screeningh per la diagnosi precoce del tumore dell’ovaio, è importante sottoporsi una visita annuale dal ginecologo che esegue la palpazione bimanuale dell’ovaio e l’ecografia transvaginale di controllo possono facilitare una diagnosi precoce. In casi particolari, ad esempio nel caso di una mutazione del gene BRCA1 o 2 una delle opzioni da è l’asportazione chirurgica delle ovaie e delle tube di Falloppio dopo i 40 anni.
Anca: le giuste proteine per evitare frattura nelle donne
Alimentazione, Benessere, One health, Stili di vitaIl giusto quantitativo di proteine ogni giorno e una regolare attività fisica protegge le donne dal rischio di frattura dell’anca. Lo conferma uno studio inglese che ha coinvolto oltre 26.000 donne tra i 35 e i 69 anni. Sono proprio le donne, infatti, ad avere un rischio maggiore, a causa di un più rapido e consistente indebolimento delle ossa rispetto agli uomini, specialmente dopo la menopausa.
Le giuste proteine per proteggere le anche
Il rischio di frattura dell’anca si può ridurre con il giusto apporto di proteine. L’apporto proteico raccomandato dalle linee guida, è pari a 0.9 grammi per chilogrammo di peso corporeo, che aumentano a 1,1 grammi dopo i 60 anni. Nello studio, al termine di un follow-up medio di oltre 22 anni, e previo aggiustamento per il ruolo di possibili fattori confondenti, è emerso che un aumento dell’apporto di proteine pari a 25 g/die si associa a una riduzione del rischio di fratture d’anca fino al 45%, ma solamente per le donne sottopeso. Il motivo è da ricercare nel basso indice di massa corporea (BMI) che può ridurre l’ammortizzamento della forza d’impatto sull’anca durante le cadute, e nascondere un probabile deficit calorico, e dunque anche proteico.
Anche lo stile di vita incide sul rischio di frattura dell’anca
«Le donne sottopeso che aumentano l’assunzione di proteine derivanti in maniera indifferente da carne, pesce o prodotti vegetali, si avvicineranno probabilmente di più allo standard consigliato, che normalmente potrebbero non raggiungere, riducendo il rischio di frattura – spiega Elena Dogliotti, biologa nutrizionista e supervisore scientifico per Fondazione Umberto Veronesi. Nelle persone normopeso o sovrappeso il rischio non risulta ridotto perché, con ogni probabilità, il loro consumo quotidiano di proteine è già idoneo, senza bisogno di aggiunte. Un apporto adeguato di proteine, dunque, è importante per garantire un rischio ridotto di frattura dell’anca, in particolar modo in un’età avanzata in cui la perdita muscolare e il turnover osseo vengono compromessi dal punto di vista metabolico»
Oltre all’alimentazione, incide sul rischio la regolare attività fisica. Infatti, una massa muscolare ridotta, così come una minore elasticità articolare, sono associati a un aumento del rischio di frattura dell’anca, anche a causa dell’equilibrio e della mobilità ridotti.