Tempo di lettura: 3 minutiL’innovazione prosegue la sua corsa in molti ambiti della medicina, tra cui la gastroenterologia. Se ne parla al convegno internazionale “New challenges in Gastroenterology”, in corso a Palermo.
Non è un caso la scelta della Sicilia, infatti è l’unico esempio a livello nazionale in cui sono presenti tre reti assistenziali dedicate: quella per le MICI – Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (SN-IBD Sicilian Network Inflammatory Bowel Disease), la rete epatologica e la rete per le emergenze gastroenterologiche.
Test molecolari e infezione da Helicobacter pylori
La crescente resistenza agli antibiotici complica la gestione delle infezioni, come quella da Helicobacter pylori a cui è dedicata, in parte, la prima sessione sul tratto gastrointestinale superiore. Il batterio, secondo gli studi epidemiologici, è presente in una persona su due nel mondo. Nella maggior parte dei casi, l’infezione non porta ad alcun sintomo, mentre in altri può provocare ulcere gastriche o duodenali e favorire lo sviluppo di neoplasie allo stomaco.
“La resistenza del batterio ai trattamenti antibiotici è diventata motivo di grande preoccupazione e richiede un’attenta selezione e revisione delle strategie terapeutiche. Oggi l’attenzione è infatti sui test molecolari per il rilevamento di Helicobacter pylori e la suscettibilità agli antibiotici”, commenta il dottor Ambrogio Orlando, direttore della IBD Unit della Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti “Villa Sofia-Cervello” di Palermo.
Pancreas: lesioni sentinella
“Un punto cruciale della patologia pancreatica – afferma il dottor Roberto Di Mitri, direttore dell’Unità di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’ARNAS Ospedale Civico di Palermo – è oggi rappresentato dalle lesioni cistiche che registrano il dato di prevalenza intorno al 20%. Negli ultimi anni, l’aumento del fenomeno ha consentito, grazie ad un perfezionamento della diagnosi precoce ed all’implementazione della diagnostica complessa, l’identificazione delle situazioni a rischio evolutivo verso il cancro del pancreas. Identificare e caratterizzare con metodiche sempre più affinate queste lesioni consente di rilevare in maniera più efficace e precocemente i casi, dal momento che questi pazienti vengono inseriti in programmi di follow-up, da inviare eventualmente al trattamento chirurgico”, ribadisce il dottor Roberto Di Mitri.
Malattie fegato
Se per il trattamento delle malattie croniche epatiche di origine virale sono stati fatti passi da gigante grazie ai nuovi farmaci antivirali, per le patologie epatologiche legate alla sindrome metabolica, vale a dire la steatosi e la steatoepatite, assistiamo a una crescita dell’emersione di casi. L’alimentazione scorretta, la scarsa attività fisica, e l’eccesso ponderale hanno un ruolo nella diffusione della sindrome metabolica che può manifestarsi anche con le malattie epatiche.
MICI, la svolta dai farmaci biotecnologici
Una delle sfide che riguardano da vicino l’Italia è la crescita dell’incidenza e della prevalenza delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI). Oggi si stima che queste patologie abbiano un’incidenza intorno ai 10-15 nuovi casi su 100mila abitanti l’anno. Il dato tuttavia è sottostimato e si ipotizza che in Italia i pazienti siano oltre 280mila, di cui almeno 20 mila in Sicilia. L’esordio delle MICI avviene a qualsiasi età, ma il picco si registra nella fascia fra i 20 e i 40 anni.
“Negli ultimi 15-20 anni – spiega il dottor Ambrogio Orlando – il trattamento delle MICI è stato rivoluzionato dall’utilizzo dei farmaci biotecnologici e dalle piccole molecole che hanno modificato il decorso clinico della malattia di Crohn e della colite ulcerosa, determinando una riduzione significativa delle recidive di malattia, delle complicanze, delle ospedalizzazioni e degli interventi chirurgici”.
Il ruolo del microbiota
“Negli ultimi cinque anni – prosegue Orlando -, il microbiota ha assunto un ruolo maggiore e si pensa che questo sia alla base dell’origine di malattie funzionali ed organiche. È possibile che in un futuro non troppo lontano l’influenza del microbiota possa entrare nel management di alcune malattie gastrointestinali. Il microbiota intestinale è stato inoltre ritenuto responsabile anche di patologie al di fuori dell’apparato gastro intestinale, come per esempio la sindrome metabolica, alcuni tumori e malattie neurologiche”.
Screening colon retto
Per quanto riguarda i farmaci per il trattamento della malattia celiaca e dell’intestino irritabile. “In particolare per questo ultimo, i dati ci dicono come sia in crescita nella popolazione mondiale – osserva Orlando -. Durante il convegno verrà discusso se tale disturbo funzionale sia legato a un disordine psicosomatico o a una vera e propria malattia organica”.
L’intelligenza artificale per la diagnosi
L’ultima sessione è dedicata alla endoscopia digestiva con l’innovazione tecnologica. “L’introduzione dell’intelligenza artificiale – continua il dottor Di Mitri – è uno strumento di grande importanza che gioca un ruolo nello screening e nell’individuazione delle lesioni precoci che conducono al cancro del colon. Ma non solo. Numerosi studi pubblicati stanno applicando l’intelligenza artificiale anche all’ecoendoscopia, una tecnologia che negli ultimi venti anni è stata usata prevalentemente per la diagnosi e la stadiazione dei tumori del tubo digerente e del tratto bilio-pancreatico. Queste innovazioni giungono in un periodo in cui si registra un aumento dell’incidenza delle patologie oncologiche del distretto bilio-pancreatico, probabilmente correlate agli stili di vita quali ambiente ed alimentazione”.
Un milione e 200 mila pazienti con fragilità severa in Italia, virus un rischio
Associazioni pazienti, CovidPer chi ha un sistema immunitario compromesso o una immunodeficienza congenita e al vaccino non risponde allo stesso modo della popolazione generale, il virus SARS-CoV-2 è ancora un rischio. Ci sono un milione e 200mila pazienti con fragilità severa in Italia: significa che il sistema immunitario non sempre riesce a difendersi efficacemente da virus e infezioni. La fragilità interessa un terzo della popolazione, non solo anziana.
Pazienti, clinici e istituzioni hanno fatto il punto durante il Convegno “Fragili! Proteggere con cura… Covid e infezioni virali, pericolo scampato?” realizzato dall’Associazione AIP OdV. Per loro, in caso di Covid-19, la terapia con antivirali o anticorpi monoclonali deve essere avviata al più presto – spiegano gli specialisti. Quest’ultima è indicata per i soggetti fragili in politerapia o che non possono assumere antivirali, grazie all’assenza di interazioni farmacologiche. L’obiettivo di queste terapie è quello di bloccare l’ingresso del virus prima che riesca ad entrare nella cellula ospite.
“I pazienti con immunodeficienze congenite e acquisite vivono con preoccupazione il prossimo arrivo della stagione influenzale: nonostante le nuove indicazioni vaccinali indicate nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 23-25, le informazioni corrette su come gestire le infezioni non sono adeguatamente diffuse. Abbiamo bisogno di essere maggiormente tutelati. Per noi non vale la ‘normalizzazione’ del virus come fattore endemico e paghiamo un prezzo altissimo anche per eventuali ospedalizzazioni che vanno evitate il più possibile” è l’appello di Alessandro Segato, Presidente di AIP – Associazione Immunodeficienze Primitive.
Virus un rischio con fragilità
“Per le persone con fragilità, in caso di sintomi riconducibili al Covid-19, è necessario accelerare i tempi della diagnosi, eseguendo immediatamente un tampone e avviare al più presto la terapia con antivirali e anticorpi monoclonali” spiega il professor Federico Perno, Direttore di Microbiologia Clinica e Diagnostica di Immunologia Ospedale Bambin Gesù di Roma. “Il virus cambia continuamente e il fatto che la diffusione sia stata contenuta dalla vaccinazione non significa che non sia più rischioso, specialmente per alcune categorie di persone. La fragilità interessa un terzo della popolazione, non solo anziana. Basti pensare che la stessa influenza, che non gode della stessa attenzione, provoca tantissimi decessi ogni anno. Valutare il coefficiente di rischio di ogni paziente e prendere le opportune precauzioni per salvaguardarli è obbligatorio”. Inoltre, nell’ambiente circolano decine di altri patogeni che mettono sotto attacco continuo chi ha un sistema più debole.
Mentre l’andamento del Covid-19 ci racconta di una normalizzazione e l’OMS ha dichiarato la fine della pandemia, per alcuni le malattie virali rimangono un elemento di allerta. In Italia, infatti, si contano ancora circa 30 morti al giorno per infezioni SARS-CoV-2.
Vaccino resta fondamentale
“La protezione individuale e collettiva tramite vaccinazione” ha sottolineato Filippo Cristoferi, Responsabile delle Relazioni Istituzionali di AIP OdV “la diagnosi precoce e tempestiva e una pronta somministrazione del farmaco monoclonale sono pertanto le semplici linee di azione che devono vedere una collaborazione sinergica di pazienti, medici e sanitari”.
Le istituzioni sanitarie, ed in particolare le Regioni, e la politica devono facilitare la conoscenza, tramite informazione e comunicazione dedicata e multicanale, e interventi che semplifichino il percorso di accesso alle terapie.
Chi sono i fragili in Italia
I pazienti ‘fragili’ italiani sono quelli individuati dal Piano Nazionale Vaccini anti-Covid-19 per rischio elevato di sviluppare forme gravi della malattia, a causa di un danno d’organo, una malattia rara, gravi disabilità fisiche o compromissione della risposta immunitaria (come nel caso delle persone con Immunodeficienza Primitiva).
HIV: farmaci a lunga durata efficaci, ma vaccino ancora lontano
Prevenzione, Ricerca innovazioneOggi le terapie antiretrovirali contro l’HIV includono sempre nuove classi di farmaci e modalità di somministrazione. Tuttavia, secondo i dati, non emerge una piena consapevolezza sulle nuove terapie da parte dei pazienti. Il vaccino, invece, resta ancora un’ipotesi lontana, ma la ricerca scientifica va avanti. Se ne è parlato negli scorsi giorni a Bari nella XV edizione di ICAR – Italian Conference on AIDS and Antiviral Research. I nuovi trattamenti hanno reso l’HIV un’infezione cronica, grazie all’assunzione della terapia antiretrovirale che rende il virus non più rilevabile nel sangue.
“Oggi esiste un ventaglio di terapie antiretrovirali completo, arricchito negli ultimi anni da altre classi di farmaci e nuove modalità di somministrazione – sottolinea il Prof. Sergio Lo Caputo, copresidente ICAR – Questi successi terapeutici si vanno ad aggiungere alla terapia antiretrovirale che in oltre il 70-80% dei pazienti è assunta in un’unica compressa. Il successo è dovuto non solo ai risultati clinici sulla persona che vive con Hiv, ma anche al fatto che oltre il 95% delle persone che assume la terapia ottiene una carica virale non dosabile, ossia non trasmette il virus, riducendo le nuove infezioni.
Un altro aspetto fondamentale è la terapia personalizzata: è possibile scegliere un regime terapeutico appropriato a seconda del tipo di paziente e della fase che sta attraversando. La medicina di precisione mette al centro il paziente, la sua qualità di vita e le sue problematiche. Inoltre, per il futuro sono allo studio farmaci sia per iniettiva sottocutanea, con somministrazione una volta ogni sei mesi, che per via orale, una compressa ogni quattro settimane. Ulteriori potenzialità che completano un quadro rivoluzionario, grazie a una terapia che impatta pochissimo sulla quotidianità e garantisce efficacia a lungo termine e bassa tossicità”.
A Icar primi studi italiani sui long acting
La rimborsabilità decretata nel 2022 di uno dei principali trattamenti long acting, Cabotegravir Rilpivirina, permette un primo bilancio dell’esperienza in real life. A ICAR 2023 sono stati presentati i primi studi italiani. I risultati confermano l’efficacia e la sicurezza di CAB+RPV a lunga durata d’azione. “Ad oggi abbiamo i risultati degli studi registrativi di CAB+RPV long acting con somministrazione intramuscolare ogni 4 settimane in persone naïve al trattamento e con somministrazione intramuscolare ogni 8 settimane in persone con esperienza di trattamento, con un tasso di fallimento virologico contenuto dell’1%-5%, ma accompagnato spesso da resistenza a entrambi i farmaci – spiega la Prof.ssa Francesca Ceccherini Silberstein, copresidente ICAR. Nel complesso, attraverso gli studi presentati a ICAR vengono mostrati i risultati di efficacia e tollerabilità di più di 500 persone che hanno iniziato questo nuovo trattamento in Italia”.
“In uno studio romano viene descritta una coorte di pazienti con somministrazione domiciliare di CAB+RPV a lunga durata d’azione, con una somministrazione parenterale ogni 4 settimane, attraverso una ‘unità di assistenza domiciliare’. Lo studio ha confermato l’efficacia e la tollerabilità del trattamento, sottolineando anche quanto possa essere utile una strategia domiciliare in pazienti difficili da trattare – prosegue la Prof.ssa Francesca Ceccherini Silberstein. In uno studio milanese, su più di 300 persone, la probabilità a 3 mesi di fallimento al trattamento con il regime a lunga durata d’azione era bassa (del 3,5%). In un altro studio, condotto a Brescia, un questionario anonimo offerto ai pazienti in cura presso l’Ambulatorio Malattie Infettive e Tropicali ha evidenziato che coloro che fossero a conoscenza della disponibilità di farmaci long acting sono ancora pochi (il 57,5% non ne aveva mai sentito parlare)”.
Lontano vaccino contro l’hiv, ma la ricerca va avanti
Nonostante i progressi scientifici raggiunti con i trattamenti antiretrovirali, resta ancora lontana l’ipotesi di un vaccino in grado di prevenire l’HIV. “L’infezione da HIV non vede possibilità di eradicazione né di un vaccino preventivo – evidenzia il Prof. Sergio Lo Caputo. Proprio nei primi mesi del 2023 è stata diffusa la notizia che l’ulteriore trial vaccinale non ha avuto risultati soddisfacenti ed è stato interrotto a causa della complessità del virus. I continui miglioramenti a livello terapeutico permettono comunque un miglioramento nella qualità di vita e riducono le nuove infezioni, proponendo la terapia come forma di prevenzione, a cui si deve aggiungere una maggiore diffusione del test rapido per identificare le persone con HIV. Con queste strategie potremo arrivare a un’ulteriore riduzione di nuovi casi”.
MICI: dai farmaci biotecnologici all’intelligenza artificiale. Il futuro
Farmaceutica, Prevenzione, Ricerca innovazioneL’innovazione prosegue la sua corsa in molti ambiti della medicina, tra cui la gastroenterologia. Se ne parla al convegno internazionale “New challenges in Gastroenterology”, in corso a Palermo.
Non è un caso la scelta della Sicilia, infatti è l’unico esempio a livello nazionale in cui sono presenti tre reti assistenziali dedicate: quella per le MICI – Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (SN-IBD Sicilian Network Inflammatory Bowel Disease), la rete epatologica e la rete per le emergenze gastroenterologiche.
Test molecolari e infezione da Helicobacter pylori
La crescente resistenza agli antibiotici complica la gestione delle infezioni, come quella da Helicobacter pylori a cui è dedicata, in parte, la prima sessione sul tratto gastrointestinale superiore. Il batterio, secondo gli studi epidemiologici, è presente in una persona su due nel mondo. Nella maggior parte dei casi, l’infezione non porta ad alcun sintomo, mentre in altri può provocare ulcere gastriche o duodenali e favorire lo sviluppo di neoplasie allo stomaco.
“La resistenza del batterio ai trattamenti antibiotici è diventata motivo di grande preoccupazione e richiede un’attenta selezione e revisione delle strategie terapeutiche. Oggi l’attenzione è infatti sui test molecolari per il rilevamento di Helicobacter pylori e la suscettibilità agli antibiotici”, commenta il dottor Ambrogio Orlando, direttore della IBD Unit della Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti “Villa Sofia-Cervello” di Palermo.
Pancreas: lesioni sentinella
“Un punto cruciale della patologia pancreatica – afferma il dottor Roberto Di Mitri, direttore dell’Unità di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’ARNAS Ospedale Civico di Palermo – è oggi rappresentato dalle lesioni cistiche che registrano il dato di prevalenza intorno al 20%. Negli ultimi anni, l’aumento del fenomeno ha consentito, grazie ad un perfezionamento della diagnosi precoce ed all’implementazione della diagnostica complessa, l’identificazione delle situazioni a rischio evolutivo verso il cancro del pancreas. Identificare e caratterizzare con metodiche sempre più affinate queste lesioni consente di rilevare in maniera più efficace e precocemente i casi, dal momento che questi pazienti vengono inseriti in programmi di follow-up, da inviare eventualmente al trattamento chirurgico”, ribadisce il dottor Roberto Di Mitri.
Malattie fegato
Se per il trattamento delle malattie croniche epatiche di origine virale sono stati fatti passi da gigante grazie ai nuovi farmaci antivirali, per le patologie epatologiche legate alla sindrome metabolica, vale a dire la steatosi e la steatoepatite, assistiamo a una crescita dell’emersione di casi. L’alimentazione scorretta, la scarsa attività fisica, e l’eccesso ponderale hanno un ruolo nella diffusione della sindrome metabolica che può manifestarsi anche con le malattie epatiche.
MICI, la svolta dai farmaci biotecnologici
Una delle sfide che riguardano da vicino l’Italia è la crescita dell’incidenza e della prevalenza delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI). Oggi si stima che queste patologie abbiano un’incidenza intorno ai 10-15 nuovi casi su 100mila abitanti l’anno. Il dato tuttavia è sottostimato e si ipotizza che in Italia i pazienti siano oltre 280mila, di cui almeno 20 mila in Sicilia. L’esordio delle MICI avviene a qualsiasi età, ma il picco si registra nella fascia fra i 20 e i 40 anni.
“Negli ultimi 15-20 anni – spiega il dottor Ambrogio Orlando – il trattamento delle MICI è stato rivoluzionato dall’utilizzo dei farmaci biotecnologici e dalle piccole molecole che hanno modificato il decorso clinico della malattia di Crohn e della colite ulcerosa, determinando una riduzione significativa delle recidive di malattia, delle complicanze, delle ospedalizzazioni e degli interventi chirurgici”.
Il ruolo del microbiota
“Negli ultimi cinque anni – prosegue Orlando -, il microbiota ha assunto un ruolo maggiore e si pensa che questo sia alla base dell’origine di malattie funzionali ed organiche. È possibile che in un futuro non troppo lontano l’influenza del microbiota possa entrare nel management di alcune malattie gastrointestinali. Il microbiota intestinale è stato inoltre ritenuto responsabile anche di patologie al di fuori dell’apparato gastro intestinale, come per esempio la sindrome metabolica, alcuni tumori e malattie neurologiche”.
Screening colon retto
Per quanto riguarda i farmaci per il trattamento della malattia celiaca e dell’intestino irritabile. “In particolare per questo ultimo, i dati ci dicono come sia in crescita nella popolazione mondiale – osserva Orlando -. Durante il convegno verrà discusso se tale disturbo funzionale sia legato a un disordine psicosomatico o a una vera e propria malattia organica”.
L’intelligenza artificale per la diagnosi
L’ultima sessione è dedicata alla endoscopia digestiva con l’innovazione tecnologica. “L’introduzione dell’intelligenza artificiale – continua il dottor Di Mitri – è uno strumento di grande importanza che gioca un ruolo nello screening e nell’individuazione delle lesioni precoci che conducono al cancro del colon. Ma non solo. Numerosi studi pubblicati stanno applicando l’intelligenza artificiale anche all’ecoendoscopia, una tecnologia che negli ultimi venti anni è stata usata prevalentemente per la diagnosi e la stadiazione dei tumori del tubo digerente e del tratto bilio-pancreatico. Queste innovazioni giungono in un periodo in cui si registra un aumento dell’incidenza delle patologie oncologiche del distretto bilio-pancreatico, probabilmente correlate agli stili di vita quali ambiente ed alimentazione”.
Sanità, medici e pazienti uniti in difesa del servizio pubblico
Associazioni pazienti, News PresaÈ un vero e proprio allarme quello che si leva da tutte le Regioni d’Italia da parte di medici e pazienti per mettere in guardia su rischi della devolution in sanità, ma anche per denunciare un sistema di assistenza che ormai sta virando sempre più velocemente verso il privato.
MANI LEGATE
L’Iniziativa più forte, anche sotto il profilo simbolico, è quella adottata a Napoli. Medici e cittadini si sono presentati in conferenza stampa con le mani legate. La clamorosa protesta ha coinvolto le principali organizzazioni sindacali (che nel loro complesso rappresentano per la Campania oltre 120.000 dirigenti medici, veterinari e sanitari dipendenti del SSN) e 15 associazioni di cittadini e pazienti. La richiesta alla politica è stata quella di assumere un chiaro impegno in difesa del Servizio sanitario nazionale pubblico.
FLASH MOB
La stessa protesta è andata in scena in quasi tutti gli ospedali Campani, dando vita ad un flash mob che ha visto assieme, senza alcuna distinzione, camici bianchi e cittadini. Nessuna rivendicazione sindacale, solo la giustificata preoccupazione nei confronti di una sanità pubblica ormai prossima al tracollo. «Da tempo – dicono sindacati e pazienti – assistiamo ad un processo che mina la sostenibilità, l’equità e l’accesso alle cure». Fortissima la denuncia dei rischi legati alla devolution. Sindacati e pazienti sottolineano infatti come il diritto Costituzionale alla salute è oggi declinato nelle Regioni in 21 modi diversi. Un sistema destinato a peggiorare a causa dell’autonomia differenziata che accentuerà le diseguaglianze nell’accesso alle cure che costringono gli ammalati a viaggi della speranza sulla direttrice Sud-Nord.
AUTONOMIA DIFFERENZIATA
«I processi di autonomia differenziata avviati dal Governo e dalle Regioni accentueranno drammaticamente le differenze tra gruppi sociali e aree geografiche, trasformando il diritto alla salute in un bene di lusso che costringerà i cittadini a pagare le cure di tasca propria o a rinunciare all’accesso alle cure quando non potranno permetterselo. Sarà sempre meno sostenibile per gli operatori sanitari, sia per condizioni organizzative che economiche, lavorare nella propria Regione al Sud per cui aumenterà la migrazione non solo dei pazienti ma anche degli operatori, al Nord se non addirittura all’estero». Un sistema che evolve sempre più rapidamente verso il privato, dove solo chi potrà permetterselo riceverà cure adeguate.
DA NORD A SUD
La protesta di Napoli è certamente tra le più forti, ma sono decine le manifestazioni che oggi hanno preso vita da Bolzano a Catania, coinvolgendo complessivamente altre 20 città in tutto lo stivale. Non un caso, visto che l’Italia è fanalino di coda per spesa sanitaria in Europa, sia per valori pro-capite a parità di potere d’acquisto, sia per percentuale di PIL, ed il definanziamento pluridecennale ha prodotto un continuo ridimensionamento della Sanità pubblica con progressiva privatizzazione dei servizi sanitari. «Oltre a rivendicare finanziamenti adeguati – dicono i sindacati – chiediamo una seria riforma che tuteli veramente il diritto alla salute, che affronti le emergenze e criticità sia negli ospedali che nel territorio. La crisi degli ospedali non si esaurisce nei Pronto soccorso, sovraffollati di pazienti e sostenuti da pochi medici e professionisti sanitari allo stremo delle forze ed in condizioni lavorative sempre più precarie e rischiose».
Trattamenti estetici: + 130 % richieste in Italia, 73% adolescenti ne ha fatto uso
Medicina estetica, Prevenzione, PsicologiaNegli ultimi anni si assiste a un’impennata delle richieste di trattamenti di medicina e chirurgia estetica nel nostro Paese. Secondo i dati si tratta di un aumento del 130 per cento rispetto al 2020. L’assenza di una regolamentazione precisa in materia aumenta il rischio di imbattersi in figure improvvisate o non autorizzate. A mettere in guardia sui pericoli, soprattutto per le fasce più vulnerabili, come i teenagers, sono i vertici della SIDeMaST – riuniti in occasione del 97° Congresso Nazionale, in corso a Napoli. L’obiettivo è anche dare agli esperti più strumenti anche per la valutazione psicologica. Sono soprattutto i ragazzi e le donne ad essere più influenzati nelle scelte da canoni di bellezza spesso irreali proposti di continuo sui social.
I dati sui trattamenti
Secondo le stime disponibili, i trattamenti di medicina e chirurgia estetica sono aumentati almeno del 20% nell’ultimo anno. Inoltre si stima che le richieste siano cresciute del 67% rispetto al 2019 e addirittura del 130% rispetto al 2020 (dati SICPRE). Condizioni di vita meno confortevoli, lo smart working e la maggior sedentarietà hanno portato molte persone a riflettere sulla propria condizione fisica e a far ricorso a delle “tecniche migliorative”. I trattamenti più richiesti vanno dalla esfoliazione profonda della cute all’autotrapianto dei bulbi piliferi, fino ai filler di acido ialuronico, alla tossina botulinica, ai peeling chimici e ai fili di trazione.
“Formare dermatologi e medici preparati e coscienziosi, fornendo loro nozioni e occasioni di approfondimento deve essere missione imprescindibile di SIDeMaST – spiega la dott.ssa Maria Carmela Annunziata, Dirigente Medico presso la UOC di Dermatologia Clinica della Federico II di Napoli e Membro della SIDeMaST. La medicina estetica è finalizzata al raggiungimento e al mantenimento della salute intesa come benessere psicologico e fisico. Nella società contemporanea l’immagine costituisce un elemento fondamentale per rapportarsi agli altri e pertanto necessita di cure e cura. È evidente che soltanto un approccio clinico può garantire non solo l’efficacia, ma soprattutto l’adeguatezza dei diversi interventi nel rispetto e salvaguardia del paziente”.
Trattamenti estetici e dismorfismi
I disturbi psicologici come ad esempio i dismorfismi corporei aumentano con la diffusione dei social media. Lo specialista ha il compito di accertare l’idoneità del paziente ai trattamenti. La valutazione dell’aspetto psicologico e psicopatologico è una tappa iniziale del percorso dermocorrettivo. Questo vale soprattutto nei pazienti più giovani. Uno studio rivela che in Italia il 73% delle adolescenti italiane ha ammesso di aver fatto ricorso a qualche forma di trattamento estetico. Vengono fatti soprattuto per le cicatrici da acne, la rimozione dei peli superflui o delle smagliature, per la cellulite, ma anche per rimpolpare le labbra e migliorare il naso (rinofiller) “I trattamenti estetici non sono certamente una novità – spiega la dott.ssa Maria Pia De Padova, coordinatrice del Gruppo SIDeMaST di Dermatologia estetica – ma se prima rappresentavano una risorsa per la popolazione più adulta che voleva migliorarsi e apparire sempre al meglio e per quanti volevano correggere i propri difetti fisici, a volte condizionanti, oggi sempre più giovani e in particolar modo i giovanissimi vogliono sentirsi al passo con i look ‘social’, omologandosi ai propri coetanei e a un ideale estetico standardizzato dai social media”.
La corsa verso l’illusione
Il medico ha il compito di indirizzare al meglio i pazienti per questo è importante l’aggiornamento continuo sulle tecniche innovative. Un aspetto problematico in particolare per i più giovani è – conclude la dottoressa De Padova: “l’idealizzazione della bellezza e la convinzione diffusa che il successo nella vita sia in qualche modo intrecciato con gli attributi fisici. Diventa dunque fondamentale valutare come adeguate le procedure di interventi estetici eseguiti nell’interesse della salute e dell’equilibrio psicologico del paziente. Non sono ad esempio incoraggiabili tutte le procedure volte al raggiungimento della bellezza ideale, all’alterazione dei propri tratti etnici che possono successivamente causare vere e proprie crisi di identità”.
Alopecia e nuove terapie, colpisce 2% della popolazione, anche donne
Associazioni pazienti, News Presa, PsicologiaL’alopecia areata è tra le più comuni malattie autoimmuni e nelle forme gravi porta alla perdita totale dei capelli. Sebbene interessi il 2% della popolazione – 1 paziente ogni 85 e soprattutto giovani entro i 30 anni – oggi è ancora un argomento tabù. Le conseguenze si manifestano anche sulla salute mentale dei pazienti. Nel frattempo la ricerca continua a fare passi in avanti e ha portato terapie innovative di medicina rigenerativa per il follicolo pilifero. Si usano soprattutto per l’alopecia androgenetica – che colpisce circa 4 milioni di donne italiane – e per la caduta di capelli stagionale o per fattori scatenanti come il parto, le diete, gli interventi chirurgici e le infezioni come il Covid. Se ne è parlato al 97esimo Congresso della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST) in corso a Napoli.
Alopecia, cause e disturbi
L’Alopecia areata colpisce 147 milioni di persone nel mondo. Può assumere più forme e livelli di gravità: da una a più chiazze fino alla caduta completa di capelli e peli del corpo. “L’alopecia areata è una malattia autoimmune che interessa potenzialmente tutti i follicoli piliferi presenti sul tegumento cutaneo, esitando così in alopecia totale ed universale, che consistono nella perdita di tutti i capelli ed i peli del soma, con grave disagio psicologico. Pertanto in tale patologia si associano sia alterazioni immunitarie sia, nel 75% dei pazienti, dei gravi disturbi psicologici” sottolinea Prof.ssa Bianca Maria Piraccini, Professoressa ordinaria e Direttrice dell’Unità Complessa Dermatologia – Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.
“I circuiti alla base dell’alopecia areata sono le vie di trasduzione JAK/STAT, in particolare JAK 1 e JAK 2 – spiega il Prof Alfredo Rossi, Professore Associato – U.O.C. di Dermatologia Centro per lo studio sulla fisiopatologia degli Annessi Cutanei Sapienza Università di Roma – questo nuovo dato patogenetico ha dato il via ad approcci terapeutici dedicati a questa malattia, come l’inibitore orale approvato dall’Ema per l’alopecia areata nel luglio del 2022. Questa conquista terapeutica metterà il clinico nella condizione di poter guarire un maggior numero di pazienti e soprattutto disporre di un farmaco prescrivibile per tale malattia”.
Colpite anche le donne
Le patologie del cuoio capelluto interessano anche le donne. L’alopecia androgenetica, cioè la progressiva perdita dei capelli, che nell’immaginario collettivo è spesso legata al sesso maschile, oggi è molto diffusa anche nelle donne. Le italiane che ne soffrono – con pesantissime ripercussioni psicologiche – sono circa 4 milioni, circa il 13% della popolazione femminile. La causa è una ipersensibilità dei follicoli piliferi agli ormoni androgeni o a disturbi dell’equilibrio ormonale, in particolare alla variazione del livello degli estrogeni e degli androgeni. Per questo si manifesta soprattutto in menopausa – quando si abbassa il livello degli estrogeni – ma può fare il suo esordio anche in altre fasce di età: “L’alopecia androgenetica può spaventare, soprattutto una donna – spiega la dott.ssa Cantelli – e può avere un impatto psicologico anche molto importante. Nella donna può essere curata e contrastata con una terapia ad hoc. Esistono poi diverse tecniche innovative che possono stimolare i capelli in accompagnamento alle terapie sistemiche e supportare l’attivazione del follicolo pilo-sebaceo e la ricrescita dei capelli”.
Stanchezza ed emicrania, può essere una carenza di ferro
Alimentazione, News Presa, PrevenzioneSonnolenza, dolore alle gambe, emicrania e stanchezza cronica. Sono alcuni dei sintomi più frequenti di una carenza di ferro, o meglio di valori al di sotto della norma della sideremia. In casi più importanti, si può sperimentare anche dolore al petto vertigini e palpitazioni. Una condizione, in somma, che incide sulla qualità di vita e sulla salute in modo sensibile.
LE CAUSE
Diverse possono essere le ragioni di un valore fuori scala, in questo caso al di sotto della norma. Una sideremia bassa può essere causata da un regime alimentare scorretto, ad esempio in caso di diete drastiche e non calibrate da uno specialista. Problemi intestinali, possono essere un’altra causa. Se c’è un ridotto assorbimento del ferro a livello intestinale (a causa di celiachia, diarrea cronica, abuso di lassativi, morbo di Crohn ed altre malattie del tratto gastrointestinale). Ancora, nelle donne flussi mestruali troppo abbondanti o emorragia nel tratto digerente a causa di un’ulcera.
COS’È
Al di là di queste cause, possono poi essercene altre legate a specifiche patologie. E, come sempre, il compito di effettuare una diagnosi spetta al medico. Ma cos’è la sideremia? E cosa indica? Questo valore ci rappresenta la concentrazione del ferro “di trasporto” presente nel sangue. Nel sangue, infatti, il ferro è legato in parte a una proteina che funge da vettore, la cosiddetta transferrina. Per altra parte è inglobato nell’emoglobina e, infine, è associato ad altre proteine minori (come la ferritina). La sideremia misura la quantità di ferro legata alla transferrina. Dal momento che quest’ultima può esistere in una forma satura (cioè associata al ferro) oppure libera, il valore di sideremia fornisce un’indicazione anche sulla quota della proteina legata al ferro.
TERAPIE
Com’è ovvio, per riportare i valori a livelli ottimali è necessario prima di tutto avere una diagnosi accurata. Quindi è necessario individuare la causa scatenante di questa insufficienza di ferro. Ancora una volta, la raccomandazione è quella di non ricorrere al fai da te. Deve essere un medico a stabilire sulla base dei sintomi e di accertamenti specifici quale sia il motivo di valori troppo bassi. In aggiunta ad eventuali terapie mediche solitamente viene consigliata l’assunzione di ferro, che però a volte può provocare fastidi quali la nausea. Sul mercato esistono diversi prodotti che su prescrizione possono essere adatti alle esigenze di ciascuno.
Alcol, un bicchiere per ridurre il rischio di ictus e infarti
Benessere, News Presa, Ricerca innovazioneSta facendo discutere uno studio del Massachusetts General Hospital secondo il quale un consumo moderato di alcol, non importa se birra o vino, riduce il rischio di ictus e infarti del 20%. La ricerca apre un nuovo capitolo nell’eterna discussione tra chi ritiene che l’alcol sia un fattore di rischio, anche con un consumo moderato, e chi invece ritiene che un bicchiere ogni tanto possa far bene. Ora, questo nuovo studio si propone come ago della bilancia e promette di svelare la ragione dei benefici dell’alcol (in dosi moderate) sulla salute cardiovascolare.
EFFETTO CALMANTE
Per Ahmed Tawakol, tra i direttori di dipartimento dell’ospedale del Massachusetts, il segreto è nell’effetto calmante che qualche bicchiere può favorire. In particolare, un consumo lieve (non più di un bicchiere al giorno per le donne e due per gli uomini) diminuisce l’ansia, rilassa il sistema nervoso e influisce positivamente sulle attività del cervello. Il meccanismo di base, però, non sarebbe da imputare alle alterazioni indotte dall’alcol rispetto a pressione sanguigna o colesterolo, bensì dal suo impatto sul cervello.
LE IMMAGINI
Ben più di una supposizione, visto che i medici lo hanno verificato analizzando le immagini di centinaia di risonanze magnetiche cerebrali di pazienti le cui abitudini erano state seguite e registrate nella “Biobank” del Mass General Brigham hospital. Ne è venuto fuori che i pazienti che bevono in media meno di 14 drink a settimana hanno mostrato probabilità decisamente inferiori di avere un infarto o un ictus di chi non beveva affatto. Inoltre, le analisi cerebrali hanno evidenziato tra i bevitori leggeri o moderati una risposta allo stress dell’area della amigdala decisamente più bassa della norma.
ANSIA E STRESS
Taewakol ha chiarito che la riduzione delle probabilità di infarti e ictus è risultata del 20% per tutti e del 40% per le persone che soffrivano di ansia. C’è però un monito da lanciare: l’uso di alcol, anche lieve, continua ad essere associato ad un aumento dei marker di infiammazione e dei rischi di cancro; rischi che aumentano quando a bere sono i giovani. Quindi, ancora una volta, non è tutto oro quello che luccica.
Prevenzione melanoma: dalla ricerca filtri solari su misura
Associazioni pazienti, PrevenzioneCresce l’incidenza dei tumori della pelle ma le nuove terapie e le tecniche diagnostiche aumentano le possibilità di gestione della patologia. Se i mezzi per prevenire i tumori della pelle – in particolare il melanoma – fanno leva sull’innovazione, il primo passo è sempre una corretta fotoprotezione. L’esposizione solare incontrollata è infatti un fattore di rischio per tutti i tipi di tumori della pelle. Così come avviene nelle cure, diventate personalizzate, grazie alla ricerca sono stati sviluppati filtri solari su misura per ogni paziente.
A fare il punto è il congresso della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse, in corso a Napoli. “La prevenzione rimane sempre l’arma principale. E in questo scenario il dermatologo svolge un ruolo determinante: diventa non solo il medico in grado di saper riconoscere queste patologie, ma anche di prevenirle” – ha sottolineato Massimiliano Scalvenzi, Direttore della scuola di specializzazione in Dermatologia e Venereologia Università di Napoli Federico II.
Melanoma, le nuove terapie
L’incidenza dei tumori della pelle è in costante aumento. Il carcinoma basocellulare è diventato il primo tumore in Italia per incidenza: colpisce 150 persone su 100 mila ogni anno, il melanoma fino a 10 persone su 100 mila, con un tasso di mortalità di 5-6 persone su 100 mila ogni anno.
Oggi la diagnosi è più accurata, dal semplice esame clinico all’uso del dermatoscopio. Inoltre, le tecniche di diagnosi, sempre più sofisticate e non invasive, riconoscono la natura benigna o maligna di una lesione cutanea con un’accuratezza simile a quella di un esame istologico ma senza chirurgia.
Anche i nuovi farmaci permettono di gestire carcinomi cutanei inoperabili e melanomi in stadi avanzati. Le terapie mirate hanno superato la chemioterapia tradizionale, con risultati efficaci e ottimi dati sul profilo di sicurezza. “Oggi – prosegue il Prof. Scalvenzi – abbiamo un ampio ventaglio di opzioni terapeutiche, che spaziano dall’immunoterapia fino alle cosiddette “targeted therapies” che permettono una gestione ottimale di tumori cutanei avanzati, anche metastatici, garantendo ai pazienti una buona qualità di vita assieme ad ottimi risultati in termini di prognosi. Sempre nell’ambito della terapia, la gestione multidisciplinare tra dermatologo, oncologo e chirurgo plastico si è dimostrata spesso l’arma vincente, superando il limite delle conoscenze e abilità del singolo specialista e dimostrando la collaborazione come strategia ottimale per poter seguire il paziente nel suo percorso diagnostico-terapeutico. L’esame clinico dermatologico annuale, con follow-up più ravvicinati in caso di bisogno, rimane comunque l’arma vincente al fine di una corretta prevenzione a cui tutti dovrebbero sottoporsi”.
Come ridurre il rischio di tumori cutanei
Esiste la predisposizione genetica su cui si può intervenire, sottolinea la dott.ssa Alessia Villani, ricercatrice della Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, così come ci sono molte abitudini quotidiane che possono essere corrette.
La fotoprotezione ha un ruolo chiave nella prevenzione. L’esposizione solare incontrollata è infatti un fattore di rischio per tutti i tipi di tumori della pelle: “anche in questo ambito – conferma la specialista – grazie alle molteplici ricerche in ambito dermatologico e cosmetologico, sono stati sviluppati numerosissimi filtri solari che hanno permesso di realizzare tanti prodotti diversi. I filtri chimici e fisici rimangono comunque quelli maggiormente utilizzati. Quello che è cambiato, però, è stata l’aggiunta di eventuali fattori protettivi (nicotinammide, vitamine, etc.), la disponibilità di vari livelli di fotoprotezione, nonché l’arricchimento dell’offerta sia con numerose formulazioni e metodi di somministrazione (spray, creme, resistenza all’acqua, etc.) sia con prodotti specifici per tutti i tipi di pelle (foto danneggiata, acneica, rosaceiforme, etc.). Tutto questo ha permesso di arrivare ad avere un solare su misura per ogni paziente. Anche qui, quindi, il ruolo del dermatologo nel corretto inquadramento del solare da utilizzare è diventato prioritario”.
Malattie della pelle, il ruolo del clima, lo stigma sociale. Al via congresso
Associazioni pazienti, PrevenzioneAttraverso la pelle spesso emergono i primi segni di patologie internistiche. La cute, infatti, separa gli organi interni dall’ambiente esterno. “Il dermatologo svolge spesso la funzione di sentinella e di regista. Interagisce infatti con l’ematologo quando a partire dal prurito diffuso diagnostica un linfoma, con il gastroenterologo quando il paziente con psoriasi o idrosadenite suppurativa mostra i segni di una patologia infiammatoria cronica intestinale. E ancora, con il reumatologo in caso di artrite reumatoide e anche con lo psichiatra quando il paziente presenta lesioni autoindotte. Ecco perché l’errata e obsoleta considerazione di medico ‘superficiale’ va ormai sovvertita”. Così la prof.ssa Serena Lembo, Presidente del 97° Congresso Nazionale SIDeMaST, ha aperto il meeting dei dermatologi italiani ieri a Napoli. Mission dei dermatologi, sottolinea la presidente, è anche quella di rinsaldare l’alleanza medico-paziente. Hanno il compito di sostenere le persone nel combattere lo stigma sociale che spesso accompagna le malattie della pelle.
Lo stigma sociale
“Quando si affrontano patologie che, essendo visibili a tutti, provocano una sorta di stigmatizzazione sociale che impatta negativamente sulla qualità di vita delle persone, la relazione medico paziente diventa cruciale. Questo è infatti un passo fondamentale per la riuscita del percorso diagnostico-terapeutico. Oggi i dermatologi – prosegue Lembo – sono molto attenti alla qualità della comunicazione con il paziente, alla disponibilità all’ascolto, all’empatia e all’accoglienza. Il paziente ha bisogno di sentirsi accolto, compreso e supportato, prima di intraprendere ogni terapia, proprio come accade per pazienti cardiopatici od oncologici”.
Grazie alla ricerca oggi ci sono terapie sempre più innovative, a partire da quelle contro il melanoma, e non solo. “Nel corso degli ultimi anni – spiega la Prof.ssa Ketty Peris, Prof. Ordinario di Dermatologia dell’Università Cattolica di Roma, Past President SIDeMaST – abbiamo assistito ad un cambiamento epocale nell’approccio terapeutico di molte patologie dermatologiche immuno-mediate come la psoriasi, la dermatite atopica e l’idrosadenite suppurativa. Un analogo ed eccellente progresso è stato ottenuto nel campo dei tumori cutanei sia melanoma che tumori non-melanoma. I farmaci oggi a disposizione sono in grado di offrire un notevole e rapido beneficio clinico in un’elevata percentuale di pazienti e migliorarne la qualità di vita. La sfida di oggi è quella di poter garantire sempre più una medicina personalizzata e quindi basata sulle caratteristiche genetiche e cliniche del singolo individuo”.
Il clima sulla pelle
Tra i temi affrontati anche l’impatto dell’ambiente sulla cute. I cambiamenti climatici comportano modifiche fisiologiche e parafisiologiche. Le patologie infiammatorie e oncologiche sono correlate all’inquinamento ambientale. Gli idrocarburi partecipano alla carcinogenesi e all’infiammazione attraverso il recettore arilico (AhR). Inoltre, emerge il ruolo dell’epigenetica sullo sviluppo e la progressione di questo tumore e di alcune immunopatologie melanocitarie.
Queste giornate di incontro scientifico arrivano a Napoli grazie all’impegno della Prof. Gabriella Fabbrocini, recentemente scomparsa, che avrebbe dovuto guidare la 97esima edizione del Congresso SIDeMaST.