Tempo di lettura: 4 minutiIn Italia più di una persona su tre non pratica attività fisica di nessun tipo. Si tratta del 36,3 per cento della popolazione. Il dato emerge dal recente rapporto ISTAT-BES del 2022 che analizza nel dettaglio l’andamento nel tempo e il confronto con il periodo pre-pandemia Covid-19. Nell’indagine sono considerati gli indicatori in 12 aree in cui è articolato il “benessere” delle persone. Una quota preoccupante, in linea con i dati pre-pandemia, ma in aumento rispetto al 2021, quando le persone che non praticavano nessuna forma di sport erano il 32,5 per cento, con un peggioramento di +3,8 punti percentuali.
Sedentarietà fattore di rischio patologie croniche
La mancanza di attività fisica è correlata a malattie ad alto impatto socio-economico. In particolare, aumenta il rischio di obesità, malattie cardio-vascolari, ipertensione sino ad arrivare ad alcuni tipi di cancro, come le neoplasie del colon-retto e del seno. Gli studi hanno infatti dimostrato forti correlazioni con una marcata ipocinesia. Secondo gli esperti, non è necessario svolgere attività intense. Basta sfruttare i momenti di vita quotidiana come scendere dall’autobus due fermate prima e fare una passeggiata, oppure fare le scale a piedi anziché prendere l’ascensore.
Per diminuire il rischio cardiovascolare sono però preferibili attività ritmiche e ripetitive, per esempio camminare, correre, andare in bicicletta, nuotare e ballare.
Il rischio di malattia cardiovascolare diminuisce con un’attività fisica moderata, per esempio camminare, per almeno 30 minuti al giorno per cinque giorni alla settimana.
L’iniziativa per incentivare lo sport ad ogni età
Per contrastare malattie come l’obesità, il diabete e le malattie croniche non trasmissibili è nata un’alleanza per la promozione dell’esercizio fisico. È stata sancita nei giorni scorsi con la firma di un protocollo d’intesa tra l’Intergruppo parlamentare Obesità, diabete, malattie croniche non trasmissibili, l’Intergruppo parlamentare per la Prevenzione delle emergenze e l’assistenza sanitaria nelle aree interne, l’Aniad – Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici, l’Unc – Unione Nazionale Chinesiologi e la Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Sanitaria di Fisioterapia. La firma è avvenuta nell’ambito della conferenza stampa “Sostenibilità + attività fisica = beneficio per la salute”, presso il Senato della Repubblica su iniziativa della Sen. Daniela Sbrollini, che è stata l’occasione per il fare il punto sul tema e presentare i contenuti dell’accordo.
Sport e rischio di professionisti non qualificati
L’obiettivo è “garantire al cittadino l’opera di professionisti qualificati, evitando pericolose approssimazioni”. Uno sforzo congiunto, per valorizzare, da una parte, l’idea di una programmazione dello sport e, dall’altra, il ruolo dei professionisti sia in ambito terapeutico-sanitario (Fisioterapisti) che in quello preventivo-sociale (Chinesiologi). L’obiettivo è quello di minimizzare il distacco sia operativo che culturale tra l’ambito sanitario e quello sociale.
Malattie cronico-degenerative causano il 75 per cento circa di morti
«Sport e attività fisica rappresentano un “farmaco” senza controindicazioni, che fa bene a tutte le età», dichiara la Sen. Daniela Sbrollini, Presidente dell’Intergruppo parlamentare Obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili, Vice Presidente X Commissione del Senato, «Nei Paesi industrializzati la sedentarietà è divenuta il secondo più importante fattore di rischio per la salute, dopo il fumo di tabacco. Esiste una stretta relazione tra l’inattività fisica e le malattie cronico-degenerative, che rappresentano circa il 75 per cento delle cause di mortalità nei Paesi industrializzati».
«L’obiettivo è quello di sostenere l’attività motoria e sportiva nelle persone di ogni fascia di età – dichiara il Sen. Guido Liris, Presidente Intergruppo parlamentare per la Prevenzione delle emergenze e l’assistenza sanitaria nelle aree interne – sia che presentino sia che non presentino condizioni tali da richiedere un intervento di natura clinica».
«I dati ci dicono che nel nostro paese, attualmente, vi è una marcata situazione sociale di ipocinesia. Questo espone ad una facilitazione dell’instaurarsi di malattie croniche che presentano un forte impatto socio-economico e che possono essere oggetto di prevenzione proprio grazie ad un programma strutturato di promozione dell’attività fisica e sportiva nel nostro paese», dichiara Giorgio Berloffa, Presidente Unione Nazionale Chinesiologi, «La somministrazione di Esercizio Fisico, inteso come attività motoria razionale e finalizzata, è l’elemento perno su cui ruota ogni possibile intervento in tal senso e deve essere impartita dai professionisti del settore, evitando pericolose improvvisazioni e generalizzazioni. In ambito sanitario, i Fisioterapisti sono coloro che si occupano dell’Esercizio Fisico a scopo terapeutico mentre in quello socio-sanitario lo sono i Chinesiologi con la loro operatività nell’attività di prevenzione e la loro azione su individui che, pur presentando patologie croniche stabilizzate, hanno efficacemente seguito il percorso terapeutico in ambito sanitario».
«In tutto il mondo i fisioterapisti intervengono per assicurare prevenzione cura e riabilitazione anche attraverso la gestione dell’esercizio fisico, con attività dirette e attività in collaborazione con altri professionisti adeguatamente formati – dichiara Piero Ferrante, Presidente della Federazione nazionale degli Ordini della professione sanitaria di Fisioterapista-FNOFI».
«L’impatto sulla salute determinato dalle condizioni di inattività fisica e dagli scorretti stili di vita diffusamente noti e presenti tra la popolazione, necessita, per una sua riduzione e un auspicabile inversione di tendenza, di un intervento maggiormente efficace a tutti i livelli ma soprattutto trasversale e sinergico», dichiara Marcello Grussu, Presidente Aniad – Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici, «Pensare di lasciare al solo Sistema Sanitario l’onere di affrontare questa battaglia, significa non sfruttare le opportunità di successo che possono derivare dal supporto di numerosi stakeholders. Comprese le Associazioni pazienti che in questo contesto possono contribuire utilizzando al meglio le proprie prerogative, quali appunto in primis quelle di raccogliere ed intercettare prima di altri alcuni bisogni tra i cittadini, soprattutto nelle fasce maggiormente fragili ed esposte, e successivamente rendersi soggetti facilitatori nell’applicazione concreta di programmi di informazione, formazione e sensibilizzazione».
Come sta Madonna? Le notizie sulla salute della popstar
News BreviCome sta la Madonna? La salute della star è stata nell’ultima settimana al centro delle preoccupazioni di milioni di fan in tutto il mondo. Diciamo subito che l’unica nota ufficiale è quella del manager della cantante, che giorni fa si era limitato a dire che le condizioni di salute della popstar erano in via di miglioramento. Certo è che Madonna è tornata a casa dopo essere stata ricoverata in terapia intensiva a causa di un’infezione batterica. Poche scarne notizie e tanto mistero che hanno contribuito ad alimentare indiscrezioni, susseguiti e rumors.
Instagram
Sui social, e in particolare su Instagram, l’ultima a lasciare intendere qualcosa sulle attuali condizioni di Madonna è stata l’amica di una vita Rosie O’Donnell. È stata proprio lei a pubblicare una foto che la vede ritratta assieme a Madonna e tratta dal film “A League of Their Own“, in cui recitarono insieme nel 1992. Sotto, la scritta “Ti ricordi quando…?”. Scorrendo i commenti la stessa O’Donnell ha però aggiunto “Si sta riprendendo a casa, è molto forte in generale”.
L’infezione
A costringere Madonna in una terapia intensiva per giorni è stata un’infezione batterica, forse sottovalutata dalla cantante. La cronistoria di questo ricovero era stata proposta proprio dal manager di Madonna Guy O’Seary che in un post aveva scritto “Sabato 24 giugno, Madonna ha sviluppato una grave infezione batterica che l’ha portata a un ricovero di diversi giorni in terapia intensiva. Le sue condizioni di salute stanno migliorando, ma è ancora sottoposta a cure mediche. Si prevede un recupero completo”.
Le ultime sul tour
Sempre il manager aveva annunciato la sospensione del tour mondiale. Spostata a data da destinarsi la prima tappa, originariamente in programma per il 15 luglio a Vancouver. Nel messaggio, il manager ci tiene ad informare i fan che non appena le condizioni saranno migliorate renderanno note le nuove date di inizio del tour e gli spettacoli riprogrammati. Milioni di fan della cantante restano dunque con il fiato sospeso in attesa che la “material girl” torni a farsi vedere in sui suoi canali social e presto anche sul palco.
OMS: caldo estremo e Long Covid minacciano l’Europa
Covid, PrevenzioneSebbene non sia più un’emergenza globale, gli effetti del Covid-19 possono protrarsi nel tempo. A tre anni dall’inizio dell’emergenza sanitaria globale, 36 milioni di europei potrebbero aver sperimentato il “Long Covid”. Una condizione complessa, di cui gli scienziati sanno ancora molto poco. Ma ci sono altre minacce che si affacciano sulla regione europea in vista dell’estate. Le ondate di caldo estremo e il rischio di nuovi virus sono alcuni dei pericoli all’orizzonte.
Questa è “la prima estate degli ultimi tre anni, di cui molti di noi potranno godere senza l’incombente minaccia del COVID-19”. Tuttavia, il virus – potenzialmente letale – non è scomparso del tutto, ha dichiarato il direttore regionale dell’OMS per l’Europa, Hans Kluge ai giornalisti, in una conferenza stampa virtuale da Copenaghen.
Mille decessi a settimana per Covid-19
Ogni settimana, sono almeno mille i nuovi decessi in Europa a causa del coronavirus, ha continuato Kluge. Secondo i dati diffusi dall’OMS ed elaborati dall’Institute for Health Metrics and Evaluation all’Università di Washington negli Stati Uniti, ha sperimentato il Long Covid “circa un europeo su 30 negli ultimi tre anni”. Kluge ha sottolineato che le persone colpite potrebbero ancora avere difficoltà a tornare alla “vita normale”.
Il Covid-19 rappresenta una grave minaccia se sussistono già delle fragilità. È il caso di tumori, malattie cardiovascolari, diabete e malattie polmonari croniche. Queste patologie oggi “rappresentano il 75% della mortalità nella nostra regione”, ha affermato, ribadendo che sono necessarie ulteriori ricerche per sviluppare una diagnosi e un trattamento per il Long Covid.
Attività fisica e vaccino
Kluge ha incoraggiato tutti e in particolare i gruppi più vulnerabili a farsi vaccinare contro il Covid-19. “Dovremmo garantire almeno il 70% di copertura vaccinale per questi gruppi, comprese le dosi di richiamo primarie e aggiuntive”, ha affermato.
Poi ha anche sottolineato il ruolo fondamentale di uno stile di vita sano e dell’attività fisica costante. Intraprendere, se possibile, 25 minuti di esercizio moderato al giorno, smettere di fumare, ridurre il consumo di alcol e limitare l’assunzione di sale potrebbe aumentare significativamente la propria resilienza alle malattie infettive e non trasmissibili, ha aggiunto.
Il caldo estremo
Preparando gli europei all’estate, Kluge ha allertato sul rischio di caldo estremo. Secondo l’Unione Europea e l’Organizzazione meteorologica mondiale, sta diventando la norma e non più l’eccezione.
“L’anno scorso nella nostra regione, il caldo estremo ha causato 20 mila vittime tra giugno e agosto”, ha ribadito.
Limitare l’attività all’aperto, rimanere idratati, mantenere le case fresche e avere più tempo per riposare sono alcuni dei modi per sopravvivere al caldo. Inoltre ha lanciato un appello: “prendersi cura l’uno dell’altro” e controllare parenti e vicini anziani.
Vaiolo delle scimmie
Di recente il vaiolo delle scimmie è apparso negli Stati Uniti e poi in Belgio, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito, ha affermato il dott. Kluge.
Sebbene siano stati registrati solo 22 nuovi casi nella regione europea durante il mese di maggio, la raccomandazione per le persone ad alto rischio è di vaccinarsi, limitare il contatto con gli altri in caso di sintomi. Infine, accogliendo con favore gli sforzi del Regno Unito per continuare il suo programma di vaccinazione, Kluge ha esortato altri paesi a ridurre gli ostacoli ai test, alla vaccinazione anti-covid e all’assistenza alle persone ad alto rischio.
Pressione bassa: cosa fare, i sintomi e il ruolo della dieta
Alimentazione, Benessere, PrevenzioneLa pressione bassa è uno dei rischi che accompagnano le giornate estive e afose. Un abbassamento della pressione arteriosa può farsi sentire con diversi sintomi ma non è un fattore di rischio cardiovascolare, al contrario dell’ipertensione. Con le temperature elevate aumenta anche la dilatazione dei vasi sanguigni e la disidratazione, fattori che abbassano la pressione. I sintomi più comuni sono: stanchezza, vertigini, debolezza muscolare, mal di testa e anche nausea. Nei casi più gravi può sopraggiungere uno svenimento, soprattutto se la pressione cala rapidamente.
L’effetto di alcune quantità di caffè
Secondo un nuovo studio italiano, il caffè aiuta a mantenere bassa la pressione sanguigna. Se fino ad oggi si pensava che la caffeina favorisse l’aumento di pressione, ora arriva un contrordine: i risultati dimostrano l’effetto positivo sopra una determinata quantità. Dai dati emerge che due o tre tazze al giorno sono vantaggiose, perché gli altri componenti bioattivi della bevanda bilanciano gli effetti della caffeina con un risultato finale positivo.
In particolare, a fare la differenza sono le quantità, se troppo poco l’effetto favorevole non avviene. Due o tre tazze di caffè al giorno mantengono la pressione più bassa rispetto una sola tazza o nessuna. Il dato vale sia a livello periferico che per la pressione aortica centrale, quella più vicina al cuore. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nutrients ed è realizzata da studiosi dell’Università di Bologna e dell’IRCCS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna – Policlinico di Sant’Orsola.
Cos’è e quali sono i sintomi dell’ipotensione
Nell’ipotensione la pressione arteriosa massima e quella minima non superano i 90/60 mmHg. In alcune persone la pressione è fisiologicamente bassa e non provoca sintomi. Quando invece cala in modo improvviso può dare vertigini, debolezza, offuscamento della vista e svenimento. La pressione può diminuire bruscamente quando, ad esempio, ci si alza in piedi velocemente dopo essere stati sdraiati o seduti. Questa condizione comune è nota come ipotensione ortostatica che è spesso accompagnata da sintomi temporanei. Gli stessi sintomi si verificano anche in caso di ipoglicemia, quando i livelli di glucosio ematico calano sotto un certo livello. In genere i disturbi si risolvono in poco tempo, perché vengono compensati dall’organismo con una regolazione che interessa tutto il sistema cardiovascolare. Il rischio di ipotensione aumenta in estate ma è comune soprattutto nelle donne in età fertile, a causa degli ormoni, durante il ciclo mestruale. Estrogeni e progesterone, infatti, agiscono sui vasi sanguigni favorendone la dilatazione. Il fenomeno può essere ancora più marcato in gravidanza.
Cosa fare in caso di pressione bassa e come prevenire
Durante un calo di pressione repentino gli esperti sono d’accordo nel suggerire di sdraiarsi a terra e sollevare le gambe per evitare uno svenimento. Ci sono anche alcune semplici manovre che fanno alzare la pressione, come la contrazione massimale delle dita delle mani (hand-grip) oppure contrazioni dei muscoli delle gambe, per esempio a gambe incrociate. In caso di ipotensione senza un’apparente causa scatenante è opportuno rivolgersi al medico, soprattutto se i disagi persistono. La dieta gioca un ruolo importante nel mantenere stabile la pressione, sono raccomandate abbondanti porzioni di frutta fresca e di verdura. Gli specialisti suggeriscono soprattutto il consumo di vegetali ricchi di potassio e magnesio, come le banane e gli ortaggi a foglia verde. La prima raccomandazione, però, è quella di idratarsi, bevendo almeno 1,5-2 litri al giorno di acqua. Da non trascurare anche l’attività fisica che deve essere moderata e costante. Durante l’esercizio, infatti, la pressione aumenta e ciò permette all’organismo di abituarsi a variazioni. Anche alcuni rimedi naturali sono di supporto. Nei giorni più caldi, possono aiutare gli integratori salini, fitoterapici (guaranà, polline) ad azione stimolante, oppure liquirizia che aumenta la pressione.
Parodontite, una dieta ipocalorica riduce l’infiammazione
News PresaCome si può combattere la parodontite? L’alimentazione, in particolare una dieta ipocalorica, può avere effetti positivi sulla parodontite e ridurre l’infiammazione a cairvo delle gengive. A dirlo è un team di ricercatori italiani King’s College di Londra, che in collaborazione con le università di Los Angeles, Liverpool e Barcellona, hanno effettuato un’importante revisione di studi clinici internazionali.
CALORIE
A giocare un ruolo determinante sono le calorie. In diversi studi condotti sull’uomo erano state testate due tipologie di dieta: una prevedeva l’assunzione di un massimo di 1.300 calorie al giorno per 4 settimane associate ad attività fisica, ed un’altra che consisteva in un minimo di 300 ad un massimo di 500 calorie al giorno per 4-10 giorni. L’associazione tra assunzione calorica e infiammazione gengivale è risultata evidente, con una riduzione della progressione della malattia ed una migliore risposta al trattamento della parodontite, condizione che, se non trattata, porta alla perdita dei denti.
VISITA SPECIALISTICA
Naturalmente, la sola dieta non basta a combattere e risolvere una parodontite. È sempre necessario rivolgersi ad uno specialista che possa prescrivere una terapia. Anche il diabete può avere effetti importanti sulla salute delle gengive, ma in fatto di alimentazione gli stessi ricercatori invitano alla cautela rispetto a conclusioni affrettate. Servono infatti di più dati per poter affermare con certezza che la modulazione restrittiva della dieta porti ad un benefico aggiuntivo a quello della terapia non chirurgica sopra e sottogengivale.
SINTOMI
Riconoscere i sintomi di una parodontite è importante. Al principio la patologia si manifesta con dolore, gonfiore, sanguinamento, arrossamento delle gengive e alito cattivo (alitosi). Poi, più si riduce l’osso più i denti diventano mobili. In alcuni casi più gravi cambiano posizione e la masticazione diventa dolorosa. I denti frontali si inclinano di frequente verso l’esterno e nelle condizioni più avanzate si arriva alla perdita del dente.
La vitamina D riduce il rischio di infarto
News PresaCome si può ridurre il rischio di infarto? La vitamina D è un vero e proprio salva cuore. Uno studio australiano dimostra infatti che negli over 60 gli integratori di vitamina D riescono a ridurre il rischio di infarto e altri eventi cardiovascolari. Una forma di prevenzione che può fare la differenza, se unita a un corretto stile di vita.
LO STUDIO
La ricerca è stata condotta da Rachel Neale del QIMR Berghofer Medical Research Institute e pubblicata dal British Medical Journal. In particolare, i ricercatori australiani hanno cercato di dimostrare che l’assunzione di dosi mensili di vitamina D modifica il tasso di eventi cardiovascolari gravi. Per questo hanno condotto uno studio che è andato avanti dal 2014 al 2020 e ha coinvolto 21.315 australiani di 60-84 anni. Ad una parte dei soggetti coinvolti sono state somministrate capsule di vitamina D, a un’altra parte un placebo (10.653 partecipanti) da assumere per via orale all’inizio di ogni mese per un massimo di 5 anni.
OTTIMI RISULTATI
Incredibilmente, il numero di eventi cardiovascolari gravi è risultato inferiore del 9% nel gruppo che ha assunto vitamina D rispetto al gruppo placebo (equivalente a 5,8 eventi in meno ogni 1.000 partecipanti). Il tasso di infarto è stato inferiore del 19% e il tasso di rivascolarizzazione coronarica è stato inferiore dell’11% nel gruppo della vitamina D, ma non vi è stata alcuna differenza nel tasso di ictus tra i due gruppi. Il ruolo della vitamina D è dunque centrale per un buono stato di salute. grazie a queste nuove scoperte in futuro sarà più semplice prendersi cura di sé.
Dolcificanti, aspartame possibile cancerogeno. I prodotti sotto accusa
Alimentazione, PrevenzioneUno dei più comuni dolcificanti artificiali potrebbe essere classificato come “possibile cancerogeno per l’uomo”. L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) potrebbe, infatti, esprimersi a luglio e inserire l’aspartame nel gruppo delle sostanze 2B. La notizia è stata riportata da Reuters che cita fonti informate, ma al momento non ci sono conferme ufficiali. La valutazione però “non tiene conto della quantità di un prodotto che una persona può tranquillamente consumare”. Lo Iarc suddivide le sostanze in quattro livelli: cancerogene per l’uomo (gruppo 1), probabili cancerogeni (gruppo 2A), possibili cancerogeni (gruppo 2B), non classificabili come cancerogeni (gruppo 3).
Dove si trova l’aspartame e in quali quantità è a rischio
L’aspartame è uno dei dolcificanti artificiali più diffusi sul mercato, usato soprattutto nelle bibite light e le gomme da masticare. Viene utilizzato anche in prodotti di pasticceria, yogurt e cibi a ridotto contenuto energetico, oltre che come dolcificante da tavola. “La valutazione dell’IARC – riporta Reuters – ha lo scopo di valutare se qualcosa è un potenziale pericolo o meno, sulla base di tutte le prove pubblicate. Non tiene conto della quantità di un prodotto che una persona può tranquillamente consumare”. Lo Jecfa (il comitato congiunto dell’Oms e dell’Organizzazione per l’agricoltura e l’alimentazione che si occupa di additivi alimentari) nel 1981 aveva classificato l’aspartame come sicuro se ingerito entro dei limiti giornalieri indicati.
Tuttavia, l’aspartame era stato messo sotto accusa anche nel 2022 da uno studio osservazionale francese, pubblicato su Plos Medicine. Gli autori concludevano che fra i 110mila partecipanti, in quelli che consumavano alti livelli di dolcificanti – fra cui l’aspartame – si era rilevato un lieve aumento del rischio di sviluppare alcuni tipi di tumore. La conclusione tuttavia non si basava su una relazione causa-effetto ma solo su un’associazione statistica tra due variabili. A oggi, infatti, non ci sono ancora dati che dimostrino in modo incontrovertibile che i dolcificanti siano correlati a un aumento del rischio di cancro. La prevenzione però rimane al centro del dibattito scientifico internazionale.
Cos’è la Porpora Trombotica Trombocitopenica
News Presa, PartnerLa Porpora Trombotica Trombocitopenica (o sindrome di Moschcowitz, dal nome del primo medico che la descrisse) è una malattia che genera accumuli di sangue spontanei o micro-trombi, causando gravi danni a carico di organi vitali, come cuore, cervello e rene. A parlare di questa patologia ultra-rara ai microfoni di Radio Kiss Kiss è Massimo Chiaramonte (presidente A.N.P.T.T. Onlus – Associazione Nazionale Porpora Trombotica Trombocitopenica).
AUTOIMMUNE
Per le Pillole di Salute realizzate dal network editoriale PreSa, Chiaramonte ha spiegato che all’origine di questa sindrome c’è la carenza di una proteina chiamata Adams13, che ha funzioni molto importanti per l’organismo. Della Porpora Trombotica Trombocitopenica esiste una forma congenita che colpisce solo il 5% dei pazienti e una forma acquisita (APTT) – che è quella più comune – e che è caratterizzata da un “corto circuito” a causa del quale gli anticorpi attaccano i propri stessi organi.
SINTOMI GENERICI
Uno dei grandi problemi, ha detto Chiaramonte, è quello di riuscire ad arrivare in tempi brevi a una diagnosi. Un compito non semplice, visto che questa patologia si manifesta solitamente in forma acuta partendo però da sintomi molto generici. «Si comincia a stare male, molti accusano febbre e mal di testa», prosegue il presidente di A.N.P.T.T. Onlus. «Il primo pensiero è una banale influenza. Poi però le cose peggiorano rapidamente, sopraggiunge uno stato di confusione mentale, disturbi della vista, affaticamento e dolore toracico». Una rapida spirale che sembra non avere fine. Di qui anche un appello a donare plasma, perché chi soffre di Porpora Trombotica Trombocitopenica ne ha bisogno per vivere.
Robotica e intelligenza artificiale per curare ictus. Specialisti a confronto
News Presa, Ricerca innovazioneCon le tecnologie neuroriabilitative la medicina diventa sempre più di precisione e personalizzata. “La robotica offre la possibilità di registrare parametri numerici in grado di caratterizzare in modo oggettivo le funzioni motorie e cognitive di ciascun paziente e quindi di analizzare l’andamento di un trattamento riabilitativo – spiega il Prof. Stefano Mazzoleni, docente di Bioingegneria presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica e dell’Informazione del Politecnico di Bari. Negli ultimi anni, la robotica si è alleata con l’intelligenza artificiale.
L’elaborazione dei dati registrati dai robot combinati con le scale cliniche mediante algoritmi specifici permette di predire l’andamento del recupero motorio e cognitivo in un dato periodo di tempo. In breve, diventa possibile predire l’andamento di una terapia senza dover attendere che il trattamento giunga al termine, con la possibilità di modificarlo in tempo reale e renderlo più conforme agli obiettivi adattandosi alle capacità del paziente”.
Tuttavia, sottolinea lo specialista: “l’algoritmo non sostituisce l’operatore sanitario, ma è un supporto per l’operatore stesso. Come nel caso dei robot, lo specialista non viene sostituito, ma aiutato, per questo dobbiamo capire come utilizzare al meglio questi strumenti. La popolazione a cui ci rivolgiamo è affetta da patologie di origine neurologica, come ictus, lesioni midollari, sclerosi multipla, Parkinson, traumi cranici e paralisi cerebrali infantili. Ogni paziente viene sottoposto a un trattamento specifico, spesso utilizzando tecnologie come la robotica.
Dopo una prima fase “pioneristica” durata circa vent’anni, e rappresentata nel documento finale della Conferenza Nazionale di Consenso sulla robotica per la neuroriabilitazione promossa dalle società scientifiche SIRN e SIMFER nel 2018 e conclusasi nel 2022, oggi l’intera comunità scientifica è impegnata a dimostrare l’efficacia di trattamenti riabilitativi assistiti da robot per ciascuna di queste patologie per favorire il recupero delle funzioni motorie e cognitive di ogni paziente e per migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità e dei loro familiari”.
Il tema è stato al centro del convegno internazionale organizzato dall’Associazione Genesis in collaborazione con l’Istituto Clinico Quarenghi & l’Ordine dei fisioterapisti di Bergamo, dal titolo: “Robotica e tecnologie per la neuroriabilitazione: sfide e prospettive dalla ricerca alla pratica clinica”. In questi anni la robotica ha fatto passi da gigante – sottolinea il Dott. Giampietro Salvi – ma occorre fare il punto della situazione per capire quali benefici si possano trarre nella riabilitazione, quando si debbano utilizzare, quali siano i pazienti bisognosi di questa tecnologia al fine di ritrovare l’autonomia nella vita quotidiana con cure a domicilio.
In questo quadro non si può escludere l’aspetto etico, proprio di ogni tecnologia. I rischi, infatti, sono un abuso di queste tecnologie, un uso scorretto dei dati privati, la poca trasparenza, il problema dell’equità di accesso, i temi della responsabilità. Questioni sempre più cogenti per cui la parte bioetica deve essere alla base della futura progettazione”.
Sport a ogni età riduce rischio malattie croniche, obesità e alcuni tumori
Anziani, Prevenzione, Sport, Stili di vitaIn Italia più di una persona su tre non pratica attività fisica di nessun tipo. Si tratta del 36,3 per cento della popolazione. Il dato emerge dal recente rapporto ISTAT-BES del 2022 che analizza nel dettaglio l’andamento nel tempo e il confronto con il periodo pre-pandemia Covid-19. Nell’indagine sono considerati gli indicatori in 12 aree in cui è articolato il “benessere” delle persone. Una quota preoccupante, in linea con i dati pre-pandemia, ma in aumento rispetto al 2021, quando le persone che non praticavano nessuna forma di sport erano il 32,5 per cento, con un peggioramento di +3,8 punti percentuali.
Sedentarietà fattore di rischio patologie croniche
La mancanza di attività fisica è correlata a malattie ad alto impatto socio-economico. In particolare, aumenta il rischio di obesità, malattie cardio-vascolari, ipertensione sino ad arrivare ad alcuni tipi di cancro, come le neoplasie del colon-retto e del seno. Gli studi hanno infatti dimostrato forti correlazioni con una marcata ipocinesia. Secondo gli esperti, non è necessario svolgere attività intense. Basta sfruttare i momenti di vita quotidiana come scendere dall’autobus due fermate prima e fare una passeggiata, oppure fare le scale a piedi anziché prendere l’ascensore.
Per diminuire il rischio cardiovascolare sono però preferibili attività ritmiche e ripetitive, per esempio camminare, correre, andare in bicicletta, nuotare e ballare.
Il rischio di malattia cardiovascolare diminuisce con un’attività fisica moderata, per esempio camminare, per almeno 30 minuti al giorno per cinque giorni alla settimana.
L’iniziativa per incentivare lo sport ad ogni età
Per contrastare malattie come l’obesità, il diabete e le malattie croniche non trasmissibili è nata un’alleanza per la promozione dell’esercizio fisico. È stata sancita nei giorni scorsi con la firma di un protocollo d’intesa tra l’Intergruppo parlamentare Obesità, diabete, malattie croniche non trasmissibili, l’Intergruppo parlamentare per la Prevenzione delle emergenze e l’assistenza sanitaria nelle aree interne, l’Aniad – Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici, l’Unc – Unione Nazionale Chinesiologi e la Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Sanitaria di Fisioterapia. La firma è avvenuta nell’ambito della conferenza stampa “Sostenibilità + attività fisica = beneficio per la salute”, presso il Senato della Repubblica su iniziativa della Sen. Daniela Sbrollini, che è stata l’occasione per il fare il punto sul tema e presentare i contenuti dell’accordo.
Sport e rischio di professionisti non qualificati
L’obiettivo è “garantire al cittadino l’opera di professionisti qualificati, evitando pericolose approssimazioni”. Uno sforzo congiunto, per valorizzare, da una parte, l’idea di una programmazione dello sport e, dall’altra, il ruolo dei professionisti sia in ambito terapeutico-sanitario (Fisioterapisti) che in quello preventivo-sociale (Chinesiologi). L’obiettivo è quello di minimizzare il distacco sia operativo che culturale tra l’ambito sanitario e quello sociale.
Malattie cronico-degenerative causano il 75 per cento circa di morti
«Sport e attività fisica rappresentano un “farmaco” senza controindicazioni, che fa bene a tutte le età», dichiara la Sen. Daniela Sbrollini, Presidente dell’Intergruppo parlamentare Obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili, Vice Presidente X Commissione del Senato, «Nei Paesi industrializzati la sedentarietà è divenuta il secondo più importante fattore di rischio per la salute, dopo il fumo di tabacco. Esiste una stretta relazione tra l’inattività fisica e le malattie cronico-degenerative, che rappresentano circa il 75 per cento delle cause di mortalità nei Paesi industrializzati».
«L’obiettivo è quello di sostenere l’attività motoria e sportiva nelle persone di ogni fascia di età – dichiara il Sen. Guido Liris, Presidente Intergruppo parlamentare per la Prevenzione delle emergenze e l’assistenza sanitaria nelle aree interne – sia che presentino sia che non presentino condizioni tali da richiedere un intervento di natura clinica».
«I dati ci dicono che nel nostro paese, attualmente, vi è una marcata situazione sociale di ipocinesia. Questo espone ad una facilitazione dell’instaurarsi di malattie croniche che presentano un forte impatto socio-economico e che possono essere oggetto di prevenzione proprio grazie ad un programma strutturato di promozione dell’attività fisica e sportiva nel nostro paese», dichiara Giorgio Berloffa, Presidente Unione Nazionale Chinesiologi, «La somministrazione di Esercizio Fisico, inteso come attività motoria razionale e finalizzata, è l’elemento perno su cui ruota ogni possibile intervento in tal senso e deve essere impartita dai professionisti del settore, evitando pericolose improvvisazioni e generalizzazioni. In ambito sanitario, i Fisioterapisti sono coloro che si occupano dell’Esercizio Fisico a scopo terapeutico mentre in quello socio-sanitario lo sono i Chinesiologi con la loro operatività nell’attività di prevenzione e la loro azione su individui che, pur presentando patologie croniche stabilizzate, hanno efficacemente seguito il percorso terapeutico in ambito sanitario».
«In tutto il mondo i fisioterapisti intervengono per assicurare prevenzione cura e riabilitazione anche attraverso la gestione dell’esercizio fisico, con attività dirette e attività in collaborazione con altri professionisti adeguatamente formati – dichiara Piero Ferrante, Presidente della Federazione nazionale degli Ordini della professione sanitaria di Fisioterapista-FNOFI».
«L’impatto sulla salute determinato dalle condizioni di inattività fisica e dagli scorretti stili di vita diffusamente noti e presenti tra la popolazione, necessita, per una sua riduzione e un auspicabile inversione di tendenza, di un intervento maggiormente efficace a tutti i livelli ma soprattutto trasversale e sinergico», dichiara Marcello Grussu, Presidente Aniad – Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici, «Pensare di lasciare al solo Sistema Sanitario l’onere di affrontare questa battaglia, significa non sfruttare le opportunità di successo che possono derivare dal supporto di numerosi stakeholders. Comprese le Associazioni pazienti che in questo contesto possono contribuire utilizzando al meglio le proprie prerogative, quali appunto in primis quelle di raccogliere ed intercettare prima di altri alcuni bisogni tra i cittadini, soprattutto nelle fasce maggiormente fragili ed esposte, e successivamente rendersi soggetti facilitatori nell’applicazione concreta di programmi di informazione, formazione e sensibilizzazione».
Diabete, aumentano diagnosi under 18. Cinque consigli
News PresaAumentano le diagnosi di diabete tra i bambini e gli adolescenti al di sotto dei 18 anni. I dati emergono dai risultati di due studi e l’aumento riguarda sia il diabete autoimmune sia quello insulino-resistente. Sono stati presentati durante l’American Diabetes Association (appena concluso il 26 giugno a San Diego USA).
Diabete tra i più giovani, due studi italiani
Sono italiani gli autori di due studi che hanno analizzato i giovani con diabete di tipo 1 e di tipo 2. I risultati confermano un andamento di crescita della malattia.
“Abbiamo valutato l’incidenza del diabete di tipo1 in un arco di tempo di 31 anni (dal 1989 al 2019) in due regioni italiane e l’abbiamo poi confrontata con quella osservata durante la pandemia di Covid-19 (2020-2021). I risultati dello studio ci rivelano un dato alquanto preoccupante – spiega Valentino Cherubini, autore dello studio, presidente eletto della SIEDP 2021-2023 e Direttore della Diabetologia Pediatrica Ospedali Riuniti di Ancona – visto che nel 2021 c’è stato un aumento del 7,2 % rispetto ai risultati attesi, che rapportati all’intero territorio nazionale corrispondono a circa 100 casi in più nell’anno. Allarma anche la percentuale delle nuove diagnosi di diabete di tipo 2 degli ultimi 10 anni che, come conferma un altro studio internazionale che sarà presentato al meeting dell’American Diabetes Association tra due settimane è aumentato del 9% per ogni biennio rispetto alle altre diagnosi di diabete in età pediatrica. Queste percentuali ricalcano i dati dello studio americano che ha visto un incremento di oltre 100 nuovi casi di diabete di tipo2 in un anno, cioè più del doppio degli adolescenti prima del Covid”.
Cinque buone abitudini
La gestione del diabete può portare grandi cambiamenti nella vita quotidiana. Il pediatra Valentino Cherubini dà 5 suggerimenti ai genitori per affrontarli e anche prevenire.
“Si tratta di buone regole che spesso mi ritrovo a suggerire ai genitori con figli che hanno il diabete ma – aggiunge Cherubini – che andrebbero estese a tutte le famiglie in un’ottica di prevenzione”.
Il diabete negli under 18
Dei 150mila italiani con diabete di tipo 1, sono 15mila circa gli under 18. Si tratta di un numero da moltiplicare per il numero dei genitori no-stop che seguono i propri figli nella gestione della patologia.
L’evoluzione tecnologica di device molto piccoli e impermeabili sono una valida possibilità.
“L’andamento della glicemia di un bambino con diabete è molto difficile da prevedere, ma grazie all’ultima tecnologia dei CGM (Continuous Glucose Monitoring, cioè monitoraggio continuo del glucosio in tempo reale) è possibile avere un livello di predittività molto alto e preciso – sottolinea Stefano Zucchini, coordinatore del Gruppo di Studio sul diabete della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica.