Tempo di lettura: 3 minutiRinnovare i fondi per gli screening per l’Epatite C che scadono il 31 dicembre 2023 e allargare le coorti d’età delle popolazione da sottoporre al test. Questo il messaggio principale lanciato dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT e dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato – AISF alla vigilia della Giornata Mondiale per le Epatiti promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come ogni anno per il 28 luglio. Dai dati AIFA, infatti, se all’11 luglio 2022 i pazienti avviati al trattamento per l’eradicazione del virus dell’Epatite C erano 239.378, a un anno di distanza il 17 luglio 2023 sono 252.781. L’incremento è di poco più di 13mila persone e segna un balzo in avanti dopo la flessione dovuta alla pandemia, ma non è ancora sufficiente per percorrere l’ultimo miglio necessario per l’eliminazione dell’infezione dal nostro Paese entro il 2030 come indicato dall’OMS.
Se ne discuterà nei prossimi incontri de “La Sanità che vorrei…” al Ministero della Salute, il progetto promosso da SIMIT insieme ad altre realtà tra cui il Ministero della Salute per preparare il SSN ad affrontare le prossime sfide.
Le epatiti virali
“Le epatiti virali rimangono un problema di salute globale – ribadisce il Prof. Claudio Mastroianni, Presidente SIMIT – L’attenzione della comunità scientifica in questo ambito è rivolta alle epatiti virali che possono essere acquisite per via orale, come l’Epatite A e l’Epatite E, ma soprattutto a quelle che possono essere trasmesse per via parenterale: l’Epatite C, l’Epatite B, l’Epatite Delta. Per l’Epatite B l’Italia è un esempio, vista la vaccinazione obbligatoria alla nascita introdotta nel 1991, grazie alla quale il virus è quasi assente nella popolazione under 40, sebbene si riscontri ancora in altre fasce anagrafiche e in soggetti non nati in Italia. L’HCV, grazie ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), si può eradicare definitivamente nel 98% delle persone, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ma occorre far emergere il sommerso e avviare rapidamente i pazienti al trattamento. Per l’Epatite Delta è stata recentemente approvato un nuovo farmaco specifico efficace, ma serve piena consapevolezza di questa disponibilità e un ampliamento degli screening dei soggetti con Epatite B, su cui il virus Delta si innesta; una priorità anche questa, visto che in Italia si stima che vi siano circa 10mila persone affette da questo virus, il più rapido nel progredire fino a provocare cirrosi ed epatocarcinoma”.
Gli screening HCV
“Gli screening per far emergere il sommerso dei casi di Epatite C rappresentano una buona prassi che negli scorsi anni ha portato l’Italia in linea con l’obiettivo dell’OMS per l’eliminazione del virus entro il 2030, come dimostra il bilancio complessivo degli oltre 250mila trattamenti effettuati fino ad oggi – sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – La disponibilità dei 71,5 milioni di euro stanziati nel 2020 ha dato una grande opportunità, purtroppo frenata dalla pandemia. La proroga fino al 31 dicembre 2023 è stata utile per incrementare il numero delle diagnosi, ma considerando le inadempienze di diverse regioni, colpite dagli strascichi del Covid-19 e da altre contingenze, è auspicabile un’ulteriore proroga di altri due anni e un allargamento delle popolazioni coinvolte, rivolgendosi non solo a tossicodipendenti, detenuti e ai nati tra il 1969 e il 1989, ma anche alle coorti d’età precedenti, con riferimento almeno ai nati tra il ’48 e il ’68, in cui si può annidare il virus. Solo con un approccio così capillare sarà possibile curare centinaia di migliaia di persone ed eliminare l’Epatite C nel nostro Paese entro il 2030”.
Strategie per l’eradicazione
“Due sono le strade che gli specialisti di tutto il mondo stanno percorrendo per contrastare il problema delle epatiti”. La prima: “test diagnostici e percorsi di avvio alla cura, sempre più rapidi e semplificati, da svolgersi all’interno dei centri epatologici”. La seconda: attività di screening alla scoperta del sommerso – spiega la Prof.ssa Vincenza Calvaruso, Segretario Nazionale AISF. “Il problema, infatti, è che spesso non è facile riconoscere l’insorgenza della malattia, specialmente nei soggetti asintomatici. Per tale ragione, si effettuano attività di screening soprattutto nelle categorie a rischio, vale a dire la popolazione nelle carceri e i soggetti con dipendenza da droga per via endovenosa, nonché tra quelli nati tra il 1969 e il 1989, sebbene noi specialisti chiediamo di ampliare tale fascia d’età, coinvolgendo tutti i soggetti maggiorenni nati dal 1943 in poi”. La sfida dell’OMS, per cui entro il 2030 si sarebbe dovuta raggiungere l’eradicazione dell’HCV, è diventata tuttavia più complessa e lontana. “Se fino al 2019 i 36mila trattamenti raggiunti in un anno facevano ben sperare sul raggiungimento dell’obiettivo proposto dall’OMS, il fatto che negli anni successivi non siano stati più di 20mila, complice anche la pandemia, rendono l’obiettivo meno raggiungibile. Occorre quindi, ancora di più, puntare sugli screening, sollecitando tutte quelle regioni che ne sono sprovvisti ad attivarli, e alla semplificazione dell’accesso alle terapie. Questo secondo punto, infatti, inciderebbe positivamente su due problematiche: frenerebbe la progressione della malattia verso la fase avanzata, sino allo stato di cirrosi ed epatocarcinoma, con ovvie conseguenze sanitarie ed economiche, ma impatterebbe anche sulla comunità, perché ridurrebbe a sua volta la possibilità di contagio” conclude la Prof.ssa Calvaruso.
Intolleranza al lattosio, sette consigli essenziali
Alimentazione, News Presa, Stili di vitaMolte persone ogni anno scoprono di essere intolleranti al lattosio. Questa condizione si manifesta quando il corpo è incapace di digerire il lattosio, lo zucchero naturale presente nel latte e nei suoi derivati. Se si è tra coloro che soffrono di intolleranza al lattosio, niente paura: ci sono molti modi per godersi una vita sana e gustosa senza compromettere il benessere. In questo articolo, scopriremo sette preziosi consigli per gestire l’intolleranza al lattosio senza rinunciare al piacere del cibo.
Conoscere i propri limiti
Prima di tutto, è fondamentale comprendere i propri limiti individuali riguardo al consumo di lattosio. Alcune persone possono tollerare piccole quantità, mentre altre devono evitarlo del tutto. Con l’aiuto di un medico o di un nutrizionista, è importante stabilire quale sia il livello di lattosio accettabile per il proprio corpo e cercare di rispettarlo.
Le etichette
Quando si fa la spesa, dedicare del tempo alla lettura delle etichette dei prodotti è essenziale. Riconoscere gli alimenti che contengono lattosio o ingredienti a base di latticini aiuterà a fare scelte consapevoli. Attenzione, inoltre, a termini come “siero di latte”, “caseina” o “proteine del latte” che indicano la presenza di lattosio.
Le alternative
Fortunatamente, esistono numerose alternative al latte vaccino ricco di lattosio. Latte di soia, di mandorla, di cocco, di riso e di avena sono solo alcune delle opzioni disponibili sul mercato. Si possono provare diverse varianti per scoprire quella che si adatta meglio al proprio gusto ed esigenze.
Latticini senza lattosio
Oggi, molti produttori offrono latticini privi di lattosio, come latte, yogurt e formaggi. Questi prodotti sono trattati con l’aggiunta di lattasi, l’enzima che aiuta a digerire il lattosio, rendendoli più digeribili per le persone intolleranti. Includerli nella propria dieta significa continuare a godersi il sapore dei latticini senza preoccupazioni.
Dieta bilanciata
L’intolleranza al lattosio non dovrebbe interferire con una dieta sana ed equilibrata. Assicurarsi di includere una varietà di alimenti ricchi di calcio e proteine, come verdure a foglia verde, tofu, pesce, semi e frutta secca è essenziale. Inoltre, si può considerare l’assunzione di integratori di calcio per soddisfare il fabbisogno giornaliero.
Cucinare i propri pasti
Preparare i pasti in casa permette di avere il controllo completo degli ingredienti. Si possono sperimentare ricette creative che escludono il lattosio senza rinunciare al gusto. Esistono molte risorse online e libri di cucina dedicati a piatti privi di lattosio che possono ispirare e rendere i pasti gustosi e salutari.
Nei ristoranti
Quando si mangia fuori, comunicare l’intolleranza al lattosio al personale del ristorante è importante. Molti ristoranti sono attenti alle esigenze alimentari dei clienti e possono adattare i piatti di conseguenza. Optare per opzioni senza lattosio o richiedere semplici modifiche alle pietanze presenti nel menu non è mai una cattiva idea.
Consapevolezza
L’intolleranza al lattosio non deve essere un ostacolo al piacere della tavola. Con la giusta consapevolezza e una piccola dose di creatività, è possibile godere di una dieta sana e gustosa senza compromettere il benessere. Seguendo questi sette consigli essenziali, si scoprirà quanto sia gratificante prendersi cura di sé e del proprio corpo senza rinunciare al sapore e alla gioia del cibo.
Ecoansia, così si diffonde una nuova malattia
PsicologiaLa crisi climatica sta generando quella che gli psicologi definiscono già “ecoansia”, un allarme che per ora arriva dagli psicologi delle Marche, ma che non andrebbe sottovalutato. Le catastrofi climatiche, sempre più frequenti, si riflettono infatti sulle persone determinando stati di stress, ansia, tristezza ma anche paura per il futuro che porta a rinviare importanti progetti di vita.
Vulnerabilità
I forti temporali che determinano nubifragi o vere e proprie alluvioni, così come l’intensa siccità che favorisce incendi diffusi, non sono solo situazioni critiche in chiave ambientale, ma hanno ripercussioni evidenti nelle persone, soprattutto nei giovani. «Oggi questi episodi irrompono nella vita quotidiana di ciascuno di noi – spiega Katia Marilungo, presidente dell’Ordine regionale – portando a sentirsi vulnerabili e suscettibili, di avvertire di non avere il controllo della propria vita, con una generale tendenza alla tristezza».
Un fenomeno nuovo
Il disturbo, ancora poco noto, affligge diverse persone, soprattutto quelle che vivono in zone suscettibili a problemi idrogeologici, con variazioni climatiche estreme che oscillano tra siccità e nubifragi, talvolta nel corso della stessa stagione. Anche una semplice avvisaglia meteorologica – e nell’arco di un anno, nelle Marche, ne siamo stati testimoni anche più di una volta a settimana – può provocare autentico stress in alcuni individui, scatenando stati d’ansia e paura.
Paura del futuro
La preoccupazione non riguarda solo l’immediato pericolo per la propria sicurezza e i propri beni, ma spinge a mettere in discussione anche il futuro: «Ci sono giovani che tendono a rinviare varie scelte di vita, come spostarsi per motivi di lavoro, acquistare una casa, programmare vacanze e persino avere figli, poiché sono tormentati dall’ecoansia. Per alcuni, pensare al futuro diventa una vera e propria sfida», afferma la presidente Marilungo.
Come affrontarla
Tra i suggerimenti per affrontare questo problema, vi è la ricerca di supporto da parte di amici, familiari o psicologi per consulenze personalizzate. Inoltre, possono essere di aiuto la meditazione, l’attività fisica, la limitazione dell’esposizione a notizie negative e persino il coinvolgimento in azioni di attivismo climatico.
Ultraprocessati aumentano mortalità anche con dieta sana in persone con diabete
Alimentazione, PrevenzioneI cibi “ultraprocessati” hanno un impatto negativo sulla salute della popolazione generale, come dimostrano molti studi. Una ricerca condotta dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), pubblicata sulla rivista scientifica American Journal of Clinical Nutrition, ha indagato se il consumo di alimenti ultraprocessati sia un fattore di rischio maggiore per chi è affetto da diabete di tipo 2.
I risultati confermano l’aumento sostanziale del rischio di mortalità, sia per malattie cardiovascolari che per tutte le altre cause. Gli effetti dei cibi ultraprocessati sono indipendenti dalla qualità nutrizionale della dieta, misurata in questo caso come aderenza alla Dieta Mediterranea.
I cibi ultraprocessati
Gli alimenti ultraprocessati sono prodotti che hanno subito processi di trasformazione realizzati, in parte o interamente, con sostanze che non vengono utilizzate abitualmente in cucina (es. proteine idrolizzate, maltodestrine, grassi idrogenati). In genere contengono molti additivi, tra cui coloranti, conservanti, antiossidanti, anti-agglomeranti, esaltatori di sapidità ed edulcoranti. Il fine degli additivi non è migliorare le proprietà nutrizionali degli alimenti ma esaltarne il sapore, l’aspetto e prolungarne la durata. Nei cibi ultraprocessati rientrano in genere gli snack confezionati, le bevande gassate e zuccherate, i pasti pronti per il consumo e i cibi fast-food.
Possono essere ultraprocessati anche cibi “insospettabili”, come ad esempio yogurt alla frutta, cereali per la colazione, cracker e buona parte dei sostituti vegetali della carne.
Lo studio
La ricerca italiana, condotta nell’ambito del Progetto Epidemiologico Moli-sani, ha preso in esame 1.066 partecipanti che al momento dell’ingresso nello studio erano affetti da diabete di tipo 2.
“Esaminando l’evoluzione della loro salute nel corso di 12 anni – dice Marialaura Bonaccio, epidemiologa del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli e primo autore dello studio – è stato possibile evidenziare che una alimentazione ricca di alimenti ultra-processati esponeva le persone con diabete ad una ridotta sopravvivenza. Quelle che riportavano un consumo più elevato di cibi ultra-processati mostravano un rischio di mortalità per ogni causa del 60% più alto, rispetto ai pazienti che consumavano questi prodotti in quantità minore. Il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari, che sono già frequenti nella popolazione con diabete, aumentava più del doppio”.
“Uno dei risultati più interessanti di questo studio – dice Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento e professore ordinario di Igiene all’Università dell’Insubria di Varese e Como – è che l’aumento di rischio legato ai cibi ultra-processati si osserva anche se si è scrupolosamente attenti a ciò che si mangia. Ad esempio, una persona con diabete sceglie generalmente cibi salutari tipici della Dieta mediterranea. Ma se nella sua alimentazione sono presenti anche molti cibi sottoposti a lavorazione, i vantaggi si annullano, con un evidente aumento di rischio per la salute”.
“Questi risultati – commenta Giovanni de Gaetano, Presidente dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli – potranno avere importanti implicazioni per future linee guida finalizzate alla gestione del diabete di tipo 2. Oltre alla tradizionale adozione di una alimentazione basata sui ben noti requisiti nutrizionali, le raccomandazioni alimentari dovranno anche suggerire di limitare quanto più possibile il consumo di alimenti ultra-processati. In questa prospettiva, e non solo per le persone con diabete, riteniamo che le etichette e le indicazioni sui cibi che acquistiamo dovrebbero contenere anche informazioni sul grado di lavorazione al quale sono stati sottoposti”.
Andrea Purgatori, cosa dice l’autopsia
News PresaLa morte di Andrea Purgatori sarebbe stata causata da un problema cardiopolmonare. Una settimana fa era stata la famiglia a comunicare che il giornalista era stato vittima di una malattia fulminante e adesso l’autopsia pare iniziare a far luce sulla sua morte. L’esame autoptico è stato portato a termine nell’istituto di medicina legale di Tor Vergata, al reporter era stato diagnosticato tre mesi fa un tumore ai polmoni, patologia confermata anche da un primo esame dell’organo in sede autoptica.
Gli esami
Tutto è ancora da definire, da quanto si apprende serviranno ancora diverse settimane per avere un quadro chiaro e i risultati di tac, prelievi e altri esami effettuati. I medici legali, tra l’altro, vogliono capire se vi fossero eventuali infezioni in atto al momento del decesso e, comunque, cercheranno di avere un quadro clinico quanto più possibile completo. Ogni dettaglio, ogni informazione, potrà servire a confermare o escludere le ipotesi avanzate a seguito dell’esposto dei familiari, tra le quali ci sarebbe anche quella di una pericardite settica. Se così fosse ci sarebbe anche la possibilità che ciò possa aver causato l’aggravarsi delle condizioni di Purgatori. Ma il condizionale è d’obbligo, perché al momento ogni possibile scenario è tutto da confermare.
I funerali
Intanto, i funerali del giornalista sono stati fissati per venerdì prossimo. La cerimonia funebre si terrà alle 10.00 a Roma nella Chiesa degli Artisti a piazza del Popolo. Già domani, in Campidoglio, sarà aperta la camera ardente. Intanto, tra i tanti che hanno sempre apprezzato il grande lavoro di Andrea Purgatori c’è chi pensa di dedicare uno spazio alla sua memoria nel museo che contempla la strage di Ustica. A lanciare questa proposta, avanzata al sindaco e al Comune di Bologna, è Daria Bonfietti, presidente dell’associazione dei parenti delle vittime della strage dove persero la vita 81 persone il 27 giugno 1980 a bordo di un Dc9.
Giornata Mondiale delle Epatiti, appello a rinnovare i fondi per gli screening HCV
Associazioni pazienti, PrevenzioneRinnovare i fondi per gli screening per l’Epatite C che scadono il 31 dicembre 2023 e allargare le coorti d’età delle popolazione da sottoporre al test. Questo il messaggio principale lanciato dalla Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT e dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato – AISF alla vigilia della Giornata Mondiale per le Epatiti promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come ogni anno per il 28 luglio. Dai dati AIFA, infatti, se all’11 luglio 2022 i pazienti avviati al trattamento per l’eradicazione del virus dell’Epatite C erano 239.378, a un anno di distanza il 17 luglio 2023 sono 252.781. L’incremento è di poco più di 13mila persone e segna un balzo in avanti dopo la flessione dovuta alla pandemia, ma non è ancora sufficiente per percorrere l’ultimo miglio necessario per l’eliminazione dell’infezione dal nostro Paese entro il 2030 come indicato dall’OMS.
Se ne discuterà nei prossimi incontri de “La Sanità che vorrei…” al Ministero della Salute, il progetto promosso da SIMIT insieme ad altre realtà tra cui il Ministero della Salute per preparare il SSN ad affrontare le prossime sfide.
Le epatiti virali
“Le epatiti virali rimangono un problema di salute globale – ribadisce il Prof. Claudio Mastroianni, Presidente SIMIT – L’attenzione della comunità scientifica in questo ambito è rivolta alle epatiti virali che possono essere acquisite per via orale, come l’Epatite A e l’Epatite E, ma soprattutto a quelle che possono essere trasmesse per via parenterale: l’Epatite C, l’Epatite B, l’Epatite Delta. Per l’Epatite B l’Italia è un esempio, vista la vaccinazione obbligatoria alla nascita introdotta nel 1991, grazie alla quale il virus è quasi assente nella popolazione under 40, sebbene si riscontri ancora in altre fasce anagrafiche e in soggetti non nati in Italia. L’HCV, grazie ai nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), si può eradicare definitivamente nel 98% delle persone, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ma occorre far emergere il sommerso e avviare rapidamente i pazienti al trattamento. Per l’Epatite Delta è stata recentemente approvato un nuovo farmaco specifico efficace, ma serve piena consapevolezza di questa disponibilità e un ampliamento degli screening dei soggetti con Epatite B, su cui il virus Delta si innesta; una priorità anche questa, visto che in Italia si stima che vi siano circa 10mila persone affette da questo virus, il più rapido nel progredire fino a provocare cirrosi ed epatocarcinoma”.
Gli screening HCV
“Gli screening per far emergere il sommerso dei casi di Epatite C rappresentano una buona prassi che negli scorsi anni ha portato l’Italia in linea con l’obiettivo dell’OMS per l’eliminazione del virus entro il 2030, come dimostra il bilancio complessivo degli oltre 250mila trattamenti effettuati fino ad oggi – sottolinea il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT – La disponibilità dei 71,5 milioni di euro stanziati nel 2020 ha dato una grande opportunità, purtroppo frenata dalla pandemia. La proroga fino al 31 dicembre 2023 è stata utile per incrementare il numero delle diagnosi, ma considerando le inadempienze di diverse regioni, colpite dagli strascichi del Covid-19 e da altre contingenze, è auspicabile un’ulteriore proroga di altri due anni e un allargamento delle popolazioni coinvolte, rivolgendosi non solo a tossicodipendenti, detenuti e ai nati tra il 1969 e il 1989, ma anche alle coorti d’età precedenti, con riferimento almeno ai nati tra il ’48 e il ’68, in cui si può annidare il virus. Solo con un approccio così capillare sarà possibile curare centinaia di migliaia di persone ed eliminare l’Epatite C nel nostro Paese entro il 2030”.
Strategie per l’eradicazione
“Due sono le strade che gli specialisti di tutto il mondo stanno percorrendo per contrastare il problema delle epatiti”. La prima: “test diagnostici e percorsi di avvio alla cura, sempre più rapidi e semplificati, da svolgersi all’interno dei centri epatologici”. La seconda: attività di screening alla scoperta del sommerso – spiega la Prof.ssa Vincenza Calvaruso, Segretario Nazionale AISF. “Il problema, infatti, è che spesso non è facile riconoscere l’insorgenza della malattia, specialmente nei soggetti asintomatici. Per tale ragione, si effettuano attività di screening soprattutto nelle categorie a rischio, vale a dire la popolazione nelle carceri e i soggetti con dipendenza da droga per via endovenosa, nonché tra quelli nati tra il 1969 e il 1989, sebbene noi specialisti chiediamo di ampliare tale fascia d’età, coinvolgendo tutti i soggetti maggiorenni nati dal 1943 in poi”. La sfida dell’OMS, per cui entro il 2030 si sarebbe dovuta raggiungere l’eradicazione dell’HCV, è diventata tuttavia più complessa e lontana. “Se fino al 2019 i 36mila trattamenti raggiunti in un anno facevano ben sperare sul raggiungimento dell’obiettivo proposto dall’OMS, il fatto che negli anni successivi non siano stati più di 20mila, complice anche la pandemia, rendono l’obiettivo meno raggiungibile. Occorre quindi, ancora di più, puntare sugli screening, sollecitando tutte quelle regioni che ne sono sprovvisti ad attivarli, e alla semplificazione dell’accesso alle terapie. Questo secondo punto, infatti, inciderebbe positivamente su due problematiche: frenerebbe la progressione della malattia verso la fase avanzata, sino allo stato di cirrosi ed epatocarcinoma, con ovvie conseguenze sanitarie ed economiche, ma impatterebbe anche sulla comunità, perché ridurrebbe a sua volta la possibilità di contagio” conclude la Prof.ssa Calvaruso.
Infezioni da spiaggia, ecco come proteggersi
Stili di vitaCon l’arrivo dell’estate, molti di noi non vedono l’ora di rilassarsi e godersi le belle giornate di sole in spiaggia. Tuttavia, comportamenti sbagliati possono rovinarci le vacanze. Inoltre, tra la sabbia calda, l’acqua salata e la folla, le spiagge possono essere ambienti ideali per il proliferare di batteri e germi, causando potenziali infezioni. Ecco alcune delle infezioni più comuni che è possibile contrarre in spiaggia e alcuni preziosi consigli su come proteggersi e godersi la vacanza in sicurezza.
Infezioni della pelle
Uno dei rischi più comuni in spiaggia riguarda le infezioni della pelle. La sabbia e l’acqua possono contenere batteri come Staphylococcus aureus e Streptococcus, che possono entrare nel corpo attraverso graffi, tagli o punture di insetti. Le infezioni della pelle possono causare irritazione, arrossamenti, pustole e in casi più gravi, ascessi. Il consiglio è di evitate di sedersi direttamente sulla sabbia se ci sono ferite aperte. Utilizzare un telo o una sedia da spiaggia per ridurre il contatto diretto con la sabbia.
Infezioni dell’orecchio
Anche le infezioni dell’orecchio esterno (come l’otite da surfista) sono causate da batteri presenti nell’acqua. L’acqua salata e l’umidità possono creare un ambiente favorevole alla proliferazione dei batteri nell’orecchio, portando a dolori e irritazioni. Dunque, dopo il nuoto, è bene asciugare accuratamente le orecchie con un asciugamano morbido e inclinare la testa da un lato per aiutare a drenare l’acqua. In caso di fastidi, assolutamente da evitare i cotton fioc.
Infezioni gastrointestinali
Le infezioni gastrointestinali sono spesso associate all’ingestione di acqua contaminata. L’acqua di mare può in alcuni casi essere contaminate da batteri fecali, virus e parassiti, che possono causare disturbi come diarrea, nausea e crampi addominali. Attenzione quindi quando si fa il bagno a non bere accidentalmente acqua di mare e, se possibile, per dissetarsi portate sempre acqua potabile in bottiglie sigillate. Meglio evitare di bere acqua di rubinetto nei bar. Una buona norma è poi quella di lavare sempre le mani prima di mangiare.
Infezioni respiratorie
Le infezioni respiratorie possono diffondersi facilmente nelle spiagge affollate, soprattutto quando le persone sono vicine e condividono oggetti come asciugamani o giocattoli da spiaggia. Benché rari in estate, raffreddore e influenza sono esempi di infezioni respiratorie che possono rovinare una vacanza. E a queste c’è da aggiungere il rischio di contagio da Covid. Il consiglio è di mantenere una buona igiene respiratoria, coprendo bocca e naso con un fazzoletto o il gomito quando si tossisce o starnutisce.
Consapevolezza
Le spiagge sono luoghi meravigliosi per trascorrere le vacanze estive, ma è importante essere consapevoli dei potenziali rischi di infezioni. Seguendo semplici precauzioni e adottando buone pratiche igieniche, è possibile ridurre notevolmente la possibilità di contrarre infezioni spiagge. Godersi il sole, il mare e la sabbia è possibile senza compromettere la propria salute. Quindi, preparate la vostra crema solare, un buon telo da spiaggia e godetevi una meravigliosa vacanza estiva in totale sicurezza.
Colpi di tosse, il racconto della cura nell’opera čechoviana
Med. narrativa, News PresaColpi di tosse – il racconto della cura nell’opera čechoviana è il frutto di un progetto di Teatro di Roma con il patrocinio di FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri).
Sul palco saliranno le attrici e gli attori del Corso di Perfezionamento 2023 e le ragazze e i ragazzi del laboratorio pilota “Piero Gabrielli”. Un progetto nato per integrare ragazze e ragazzi con e senza disabilità e per raccontare la cura attraverso la professione medica. Lo spettacolo con accesso libero e fino a esaurimento posti sarà in scena domani 27 luglio alle ore 19.00 al Teatro India di Roma.
Il laboratorio per unire ragazzi con e senza disabilità
Il Laboratorio Teatrale Integrato Piero Gabrielli è un progetto del Teatro di Roma che integra ragazzi e ragazze con e senza disabilità. L’obiettivo è favorire l’inclusione sociale attraverso la forma teatrale, rendendo possibile la partecipazione senza alcuna distinzione di condizioni personali e sociali.
Durante i laboratori, i ragazzi hanno indagato la relazione tra pratica teatrale e cura a partire dai dati biografici di Anton Čechov, medico di professione e a sua volta malato di tubercolosi, e di come questi abbiano influenzato la sua produzione artistica. Un gruppo di medici ha partecipato per condividere con i ragazzi riflessioni sulle professioni mediche nel futuro.
Lo spettacolo che racconta la cura
Anton Čechov era un bravo medico e un pessimo paziente. Era affetto da una grave forma di tubercolosi polmonare e, malgrado ciò, non risparmiava al suo fisico un duro lavoro e viaggi faticosi, come quello che intraprese verso l’isola dei forzati di Sachalin nel Pacifico del Nord, viaggio scomodo, duro, che minò irrimediabilmente la sua fragile salute. Nelle sue novelle, nel suo teatro, si incontrano spesso dottori che si interrogano sul senso della cura e pazienti che pongono domande a cui è difficile rispondere. Cosa può fare un medico di fronte all’enigma della sofferenza e della morte? Durante la sua carriera perché un medico può smarrire la direzione, il senso della propria professione? E il malato come si deve comportare? Accettare la sofferenza che il destino gli impone o ribellarsi al baratro della sofferenza?
Nell’opera cechoviana non ci sono risposte. Ci sono solo testimonianze, racconti, senza una presa di posizione, senza una morale che dia senso all’insignificanza della vita, della sofferenza. L’unica presa di posizione che Anton Pàvlovic si concede e ci concede, è l’ironia, il comico, come se volesse suggerirci che ciò che non capiamo, può farci ridere o almeno sorridere. E questa non è una certezza, è una possibilità.
Il piccolo luigi ora può tornare a vivere
Bambini, News Presa, PediatriaSi chiama Luigi e a soli 5 mesi ha già combattuto e vinto la sua battaglia più importante. Dopo 35 giorni presso la Chirurgia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, di cui è diventato una mascotte d’eccezione, con la sua incredibile energia e i suoi splendidi occhi azzurri, è finalmente tornato a casa. Il piccolo paziente è stato operato per una malformazione congenita, l’estrofia vescicale, che colpisce 1 neonato ogni 30.000, compromettendo organi e apparati e consiste in una rara malformazione dell’apparato urogenitale.
Alta complessità
Si tratta di un difetto di chiusura della parete addominale inferiore, che coinvolge anche le ossa del bacino. Ad accogliere e a prendersi cura di Luigi, l’equipe guidata dal professor Ciro Esposito, Direttore della Chirurgia Pediatrica dell’AOU Federico II, composta dai dottori Maria Escolino, Mariapina Cerulo, Fulvia Del Conte, Vincenzo Coppola e dagli anestesisti Giuseppe Cortese, Giusy Faccioli e Loredana Grande, capitanati dal Direttore dell’Anestesia e Rianimazione Giuseppe Servillo.
Collaborazione
«L’intervento – spiega il professor Esposito – è durato oltre 8 ore ed è consistito in una ricostruzione della parete vescicale, un reimpianto degli ureteri, una ricostruzione della parete addominale, una ricostruzione di parte dell’apparato genitale ed un’osteotomia delle ossa pubiche, vale a dire un riallineamento delle ossa per fornire adeguato spazio alla vescica. Sono interventi estremamente complessi, e proprio per questo, abbiamo costituito in Italia un team di chirurghi pediatri esperti che, grazie ad una costante collaborazione, operano nelle diverse città italiane. Ringrazio il professor Paolo Caione dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, che ha collaborato con la nostra equipe per la realizzazione di questo intervento».
Tanto amore
A seguire, il piccolo Luigi ha dovuto trascorrere una lunga degenza nel reparto di Chirurgia Pediatrica e per favorire il consolidamento delle ossa del bacino ha avuto necessità di una costante assistenza dell’equipe medica e infermieristica e ha trascorso quasi un mese con le gambine fasciate verso l’alto, dimostrando un’incredibile pazienza e non perdendo mai l’occasione per giocare, anche solo con un sorriso, con il personale di reparto. Non è la prima volta che presso la Chirurgia Pediatrica della Federico II si effettuano interventi di questo tipo. Individuata quale Centro di Riferimento regionale, la Chirurgia Pediatrica federiciana di recente è stata identificata anche come Centro di Riferimento Europeo.
Nuovamente a casa
«Grazie all’innovativa tecnologia che utilizziamo – conclude il professor Esposito – abbiamo potuto rispondere alle esigenze del piccolo Luigi e della sua famiglia, dimostrando ancora una volta di poter offrire in Campania cure di alta specialità e di avanguardia». Luigi, che continuerà ad essere periodicamente seguito dal team federiciano, è tornato a casa dalla sua famiglia e dalla sua sorellina maggiore, accompagnato dall’affetto di tutta l’equipe della Chirurgia Pediatrica che gli ha donato l’immancabile maglietta del Napoli per salutarlo e rendere omaggio alla sua grande forza e alla sua solarità.
Medici di famiglia, perché dovremmo difenderli
News PresaDifendere l’autonomia dei medici di famiglia e fare di tutto per aumentarne il numero dovrebbe essere un impegno costante del governo e un punto di principio per ogni cittadino. Eppure, con il passare degli anni il numero dei medici di famiglia è diminuito enormemente e troppo spesso i pazienti non si rendono conto della mole di adempimenti burocratici alla quale i medici di medicina generale sono sottoposti. Il risultato è che l’attrattività di questo mestiere, come quella dei medici dell’emergenza, sta rapidamente evaporando e sono sempre più gli italiani che restano senza il medico di famiglia.
I bandi
Proprio in queste settimane la Campania ha bandito un corso di formazione per medici di medicina generale. Un corso che potrebbe portare una boccata d’ossigeno ad un sistema ormai asfittico, ma che rischia di essere annoverato tra le occasioni sciupate. Lo scorso anno, infatti, delle borse disponibili in Campania ne sono state assegnate poco più della metà, un vuoto legato tristemente alla carenza di candidati. Non si creda però che la mancanza di medici di famiglia sia un problema solo del Sud Italia, anche al Nord la medicina generale è costretta a fare i conti con numeri esigui e tante difficoltà.
Convezione
Una delle battaglie che negli ultimi tempi viene portata avanti dai medici di famiglia è quella per conservare il rapporto di convenzionamento con il Sistema sanitario nazionale. Un rapporto lavorativo che consente alla medicina di famiglia di essere efficiente e proattiva, di rispondere – insomma – ai tanti problemi di ogni giorno in modo efficace. Esempio lampante è stato il Covid, periodo durante il quale nonostante lo tsunami di richieste di assistenza i medici di famiglia sono riusciti a salvare una situazione altrimenti disperata. Difendere quest’istituzione, insomma, dovrebbe essere interesse di tutti. Perché è vero che a prima vista in altri Paesi tutto funziona meglio, ma è anche vero che a guardar bene poi non è tutto oro ciò che, oltre confine, luccica.
La colazione prima delle 8.00 riduce il rischio di sviluppare il diabete
Alimentazione, News Presa, Prevenzione, Stili di vitaFare colazione prima delle 8.00 del mattino può ridurre il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. A dirlo uno studio guidato dal Barcelona Institute for Global Health, pubblicato sull’International Journal of Epidemiology. La ricerca ha tenuto conto delle abitudini di 100.000 partecipanti portando ad un’evidenza per molti versi sorprendente: modificando ciò che si mangia si può ridurre il rischio di diabete, ma addirittura ad incidere sulla possibilità di sviluppare la malattia è anche l’orario dei pasti. La colazione, dunque, si conferma il pasto più importante della giornata, è gli italiani, almeno in questo, continuano ad avere abitudini salutari.
Ritmi circadiani
Anna Palomar-Cros, prima autrice dello studio, spiega che l’orario dei pasti gioca un ruolo chiave nella regolazione dei ritmi circadiani e nel controllo del glucosio e dei lipidi, pochi studi hanno indagato la relazione tra l’orario dei pasti o il digiuno e il diabete di tipo 2. E questo è stato il punto di partenza dello studio, durante il quale i partecipanti hanno compilato registri dietetici online di ciò che avevano mangiato e bevuto per un periodo di 24 ore in 3 giorni non consecutivi, indicando anche l’orario dei pasti.
Maggior rischio
Valutando la salute dei partecipanti negli anni successivi, per una media di sette, vi sono stati 963 nuovi casi di diabete di tipo 2. Il rischio di sviluppare la malattia era significativamente più alto (del 59%) nel gruppo di persone che faceva regolarmente colazione dopo le 9 rispetto a coloro che facevano colazione prima delle 8. Il team di ricerca ha anche scoperto che cenare tardi (dopo le 22) sembrava aumentare il rischio, mentre mangiare più frequentemente (circa cinque volte al giorno) era associato a una minore incidenza della malattia. Al contrario, il digiuno prolungato appariva benefico solo se messo in atto facendo colazione presto e cena presto.
Gli orari migliori
Seguendo le conclusioni di questo interessante studio si può dire che l’orario ideale per fare la colazione è prima delle 8.00 del mattino, così come sarebbe bene cenare prima delle 19.00. Abitudini che potrebbero aiutare a ridurre l’incidenza del diabete di tipo 2.