Biomarcatori specifici per valutare le terapie
Si chiamano biomarker e in generale sono degli “indicatori” di fenomeni biologici. Maya Di Rocco, responsabile UOSD Malattie Rare del Gaslini, chiarisce che «rispetto ai fenomeni biologici un biomarker è tutto ciò che si può misurare». Semplificando, questi biomarcatori «possono essere strumenti molto utili a misurare e migliorare l’efficacia dei farmaci». Ed è evidente che per le malattie questo è ancor più importante che per altre patologie delle quali conosciamo già bene i meccanismi e per le quali disponiamo di cure molto efficaci. Maurizio Scarpa direttore Centro di coordinamento regionale delle malattie rare del Friuli-Venezia Giulia (azienda universitaria di Udine) e Coordinatore europeo della rete di riferimento delle malattie metaboliche rare, sottolinea come l’obiettivo di molti ricercatori sia oggi quello di metterne a punto biomarcatori specifici. «Ad esempio – dice Scarpa – per le malattie da accumulo oggi somministriamo gli enzimi che mancano ai pazienti, tuttavia misuriamo la sostanza che viene accumulata in assenza dell’enzima. La diminuzione della sostanza per effetto della terapia non è indice di guarigione. È un biomarcatore, ma non è ottimale. Ci dà l’idea che la terapia in qualche modo agisce, ma non è l’optimum. Nelle malattie rare al momento non abbiamo dei biomarcatori che ci possano dare indicazioni chiare sull’effetto delle terapie. La speranza è che si riesca presto ad identificare biomarker specifici. Si tratta di riuscire ad analizzare un numero sufficiente di pazienti in terapia e seguire un numero di pazienti adeguato per capire, ad ampio spettro, quali molecole sono legate ad un effetto terapeutico». Tenendo presente che trovare un indicatore non significa poterlo usare per ciascuna delle 6.000 malattie rare che oggi si conoscono.