La recrudescenza della pandemia riapre questioni legate sia alla terapia che alle morbilità associate all’infezione da SARS-CoV-2. Le manifestazioni cliniche variano molto, da forme asintomatiche – in particolare nei pazienti anziani e con comorbilità – a forme di sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) che richiedono ricovero, ventilazione assistita e gestione in terapia intensiva, con un alto rischio di mortalità. Uno studio italiano appena pubblicato su Clinical Nutrition ha per primo rivelato che l’infezione da SARS-CoV-2 è associata ad una perdita di peso clinicamente significativa (55%) e ad un elevato rischio di malnutrizione (COVID-19 is associated with clinically significant weight loss and risk of malnutrition, independent of hospitalisation: a post-hoc analysis of a prospective cohort study).
Covid e malnutrizione: lo studio
“Non è solo il ricovero a rappresentare un fattore di rischio: anche i pazienti con forma lieve di COVID-19 che possono essere curati a casa sono a rischio di malnutrizione e perdita di peso, verosimilmente dovuta ad una perdita di massa magra. Le alterazioni dell’olfatto e del gusto, così come l’affaticamento e gli aspetti psicologici, sono sintomi prevalenti nei pazienti COVID-19 che possono influenzare negativamente l’assunzione di cibo. Il confinamento in casa può limitare l’attività fisica, portando alla perdita di massa magra e mettendo il paziente a rischio di ‘sarcopenia’, la riduzione di massa e forza muscolare, che può avere svariati effetti negativi. Anche la risposta infiammatoria sistemica tipica dell’infezione ha la potenzialità di provocare malnutrizione persino nei pazienti non ricoverati e trattati a domicilio”spiega il Presidente SINuC Maurizio Muscaritoli “Sino ad oggi non erano disponibili dati sull’impatto dell’infezione da SARS-CoV-2 sullo stato nutrizionale, ma il recentissimo studio italiano ha colmato questo gap fornendo informazioni utili per trattare i pazienti anche dal punto di vista nutrizionale, in modo da favorire una prognosi migliore”.
Il team di ricercatori guidati da Caterina Conte, attualmente professoressa associata di Medicina Interna presso l’Università Telematica San Raffaele Roma, ha valutato l’incidenza della perdita di peso involontaria e della malnutrizione nei sopravvissuti a COVID-19 che erano stati ricoverati o gestiti a casa e rivalutati dopo la remissione clinica. Si tratta di un’ampia indagine osservazionale prospettica eseguita presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. Sono stati inclusi pazienti adulti (età ≥18 anni) con diagnosi confermata di COVID-19 che erano stati dimessi e trasferiti a casa da un reparto di Medicina Interna o dal Pronto Soccorso dell’Ospedale dal 7 aprile all’11 maggio 2020.
Sulla base dei risultati del Mini Nutritional Assessment, il 54,7% e 6,6% dei pazienti era rispettivamente a rischio di malnutrizione o francamente malnutrito. Tutti i pazienti che sono stati ricoverati in terapia intensiva erano a rischio di malnutrizione.
Circa il 30 % dei pazienti studiati aveva perso più 5% del peso corporeo iniziale, con una riduzione mediana di 2.3 punti di indice di massa corporea (BMI). La percentuale di pazienti che aveva perso più del 10% del peso corporeo iniziale era simile tra i pazienti ricoverati e non ricoverati (9,6% contro 5,3%).
“Come suggerito dalla Società Europea di Nutrizione Clinica e Metabolismo (ESPEN), la prevenzione, la diagnosi e il trattamento della malnutrizione dovrebbero essere considerati nella gestione dei pazienti COVID-19 per migliorare la prognosi sia a breve che a lungo termine” sottolinea Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC, Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo.
“La maggior parte dei dati pubblicati sugli effetti delle malattie acute sullo stato nutrizionale si riferiscono a pazienti in condizioni critiche. Diversi meccanismi possono contribuire alla perdita di peso e alla malnutrizione nei pazienti affetti da COVID-19, anche nelle forme non gravi. Confrontando i pazienti con o senza perdita di peso, il gruppo di ricercatori del San Raffaele di Milano ha scoperto che coloro che hanno perso peso avevano una maggiore infiammazione sistemica una peggiore funzione renale e durata della malattia più lunga. La durata della malattia, che riflette infiammazione e gravità, era in grado di predire la perdita di peso” spiega Alessio Molfino Professore Associato di Medicina Interna all’Università La Sapienza di Roma.
“L’infiammazione sistemica acuta colpisce diverse vie metaboliche e ipotalamiche che contribuiscono all’anoressia e alla diminuzione dell’assunzione di cibo, nonché all’aumento del dispendio energetico a riposo e del catabolismo muscolare a cui si aggiungono risposte neuroinfiammatorie persistenti che possono perpetuare infiammazione e deperimento anche dopo la fase acuta” sottolinea il Prof. Molfino.
Nella coorte di pazienti COVID-19, la perdita di peso si è verificata in un tempo relativamente breve (durata mediana della malattia: 32 [27-41] giorni): anche brevi periodi di riposo a letto inducono una marcata riduzione della sintesi proteica muscolare con conseguente perdita di massa muscolare scheletrica anche negli individui di mezza età.
I risultati inoltre confermano l’associazione tra sovrappeso/obesità e COVID-19. “Il fatto che i pazienti con sovrappeso/obesità abbiano perso una quantità significativa di peso e abbiano sviluppato o fossero a rischio di malnutrizione supporta la raccomandazione dell’ ESPEN secondo cui anche gli individui obesi dovrebbero essere sottoposti a screening per la malnutrizione e ricevere assistenza nutrizionale, perché la malnutrizione è definita non solo da un basso peso corporeo, ma anche da alterazioni della composizione corporea e riduzioni della massa muscolare scheletrica. L’obesità sarcopenica, ovvero la coesistenza di massa grassa in eccesso e sarcopenia, è una complicanza dell’obesità prevalente e spesso sottovalutata che può associarsi ad una prognosi peggiore” sottolinea la Prof.ssa Conte.
“Specie in ambito ospedaliero la perdita di peso non è auspicabile” chiarisce il professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC “la ricerca ci ha mostrato che pazienti che hanno perso peso non erano ancora tornati al peso corporeo iniziale alla visita di follow-up (circa 23 giorni dalla dimissione). Studi precedenti in pazienti con ARDS da altre cause indicano che, nell’anno successivo alla dimissione, il recupero del peso perso durante il ricovero era da attribuire ad un aumento della massa grassa. Ciò evidenzia la necessità di eseguire un’attenta valutazione nutrizionale non solo alla diagnosi o per pazienti ricoverati, ma anche per quelli gestiti al domicilio, con un’attenta rivalutazione nel tempo per monitorare le variazioni di peso e lo stato nutrizionale.
“L’incidenza di perdita di peso e rischio di malnutrizione tra i sopravvissuti al COVID-19 è molto elevata, indipendentemente dal ricovero in regime ospedaliero. È noto che la malnutrizione è associata ad una prognosi peggiore. L’implementazione di strategie di gestione nutrizionale è cruciale per i pazienti ricoverati, in particolare quelli in terapia intensiva o con età avanzata e con più patologie. Tuttavia, i nostri risultati indicano che anche gli individui che sono gestiti a domicilio dovrebbero essere seguiti dal punto di vista nutrizionale e consigliati su come mantenere un adeguato apporto di calorie, proteine e liquidi in tutte le fasi della malattia, per garantire una prognosi migliore e un corretto recupero del peso in termini di composizione corporea” conclude la prof.ssa Conte.