Il rene policistico dell’adulto (ADPKD) è una delle malattie genetiche più comuni con un’incidenza di 1 su 1000. La Terapia Nutrizionale è fondamentale per curare e rallentare la malattia, tuttavia la maggior parte degli studi si concentrano sull’approccio farmacologico.
La patologia
La malattia renale policistica autosomica dominante (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease, ADPKD), è la più comune forma di malattia renale cistica e rappresenta, nel mondo, la causa di malattia renale cronica terminale nel 7-10% dei pazienti. I pazienti sviluppano cisti in entrambi i reni che aumentano in numero e dimensioni durante la vita fino a causare la perdita totale di funzionalità renale. Ne esistono due forme: il tipo I, causato da mutazioni del gene PKD1, che codifica per la policistina-1, è la forma più diffusa ed aggressiva e colpisce soggetti giovani; il tipo II è causato da mutazioni del gene PKD2 che codifica per la policistina-2 e rappresenta il 10-15% dei casi, ad evoluzione più lenta e ad esordio in età adulta.
Lo studio
Lo studio italiano da poco pubblicato su Journal of Nephrology ha analizzato l’impatto sulla dimensione delle cisti e la progressione della patologia di 5 fattori nutrizionali. “L’obiettivo primario è diminuire la dimensione delle cisti la cui crescita contribuisce alla distruzione del tessuto renale nel 50% dei pazienti sopra ai 50 anni” sottolinea il Dottor Biagio Di Iorio, Direttore UOC di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale “A. Cardarelli” di Napoli, nell’ambito del recente Congresso Internazionale di Cardionefrologia di Roma. “La gestione dell’assunzione di acqua è un elemento fondamentale della strategia terapeutica, semplice e senza effetti collaterali ma non sempre accettata dai pazienti, soprattutto quelli più anziani che presentano una riduzione fisiologica del senso della sete. L’obiettivo è tentare di sopprimere la produzione di ormone antidiuretico (vasopressina) e la conseguente formazione di due enzimi che inducono la crescita delle cisti”. Uno studio di Nagao ha osservato che aumentando l’apporto di idrico di 3.5 – 8.2 volte in 10 settimane si otteneva una riduzione del 29,8%-27% del volume dei reni (in modelli animali), una diminuzione dal 54 al 28% del rapporto rene/peso del corpo e una diminuzione dell’urea (un parametro di funzionalità renale) da 38 a 26 mg/dl.
“Possiamo dire – continua – che l’idratazione può essere utile nelle prime fasi della malattia e quando siano presenti calcoli renali, eventualità in cui la cosiddetta terapia ‘idropinica’ è ormai consolidata, mentre per l’effetto sulla dimensione delle cisti saranno necessari ulteriori studi. Meglio allora puntare sulla riduzione del sodio: nello studio HALT-PKD la riduzione dell’apporto di sale a meno di 2.4 g/giorno ha mostrato una riduzione della crescita del volume renale. Inferiori quantità di sale hanno effetti sulla vasopressina analoghi a quelli ottenibili aumentando l’apporto idrico”.
“Il fosforo è un altro elemento chiave: nonostante non ci siano evidenze che l’intake abbia effetti sulla progressione della malattia, sembra però influenzare la mortalità. Livelli di 3-4.6 mg/dl erano correlati ad una mortalità dell’8% contro il 34% di quelli con livelli di 4.6-5.5 mg/dl e il 58% di decessi nel gruppo con quantità tra 5.5 e 6.8 mg/dl anche a causa dell’impatto sul sistema cardiovascolare. Una dieta troppo ricca di proteine animali favorisce la progressione verso la malattia renale cronica terminale” afferma il Dottor Luca Di Lullo, Responsabile Scientifico del Congresso.
La dieta
Altri studi stanno indagando gli effetti di una moderata restrizione calorica (tra il 10 e il 40%) sfruttandone il potere antinfiammatorio: la diminuzione del 23% dell’apporto calorico ha mostrato di diminuire la dimensione del rene dal 41 al 151% del gruppo di controllo e la proliferazione delle cisti renali è stata del 7,7% rispetto al 15,9% di quelli che non erano stati assegnati al gruppo della restrizione. In generale una dieta a basso contenuto di sodio e proteine animali, e ad alto contenuto di verdure, frutta e acqua fa parte di una strategia che può essere seguita senza effetti collaterali specialmente nelle prime fasi. Nonostante non possa modificare l’evoluzione della malattia, la terapia nutrizionale limita le complicazioni e migliora la qualità della vita allontanando il momento di sottoporsi a trattamenti sostitutivi della funzionalità del rene (dialisi).