Colpi di tosse – il racconto della cura nell’opera čechoviana è il frutto di un progetto di Teatro di Roma con il patrocinio di FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri).
Sul palco saliranno le attrici e gli attori del Corso di Perfezionamento 2023 e le ragazze e i ragazzi del laboratorio pilota “Piero Gabrielli”. Un progetto nato per integrare ragazze e ragazzi con e senza disabilità e per raccontare la cura attraverso la professione medica. Lo spettacolo con accesso libero e fino a esaurimento posti sarà in scena domani 27 luglio alle ore 19.00 al Teatro India di Roma.
Il laboratorio per unire ragazzi con e senza disabilità
Il Laboratorio Teatrale Integrato Piero Gabrielli è un progetto del Teatro di Roma che integra ragazzi e ragazze con e senza disabilità. L’obiettivo è favorire l’inclusione sociale attraverso la forma teatrale, rendendo possibile la partecipazione senza alcuna distinzione di condizioni personali e sociali.
Durante i laboratori, i ragazzi hanno indagato la relazione tra pratica teatrale e cura a partire dai dati biografici di Anton Čechov, medico di professione e a sua volta malato di tubercolosi, e di come questi abbiano influenzato la sua produzione artistica. Un gruppo di medici ha partecipato per condividere con i ragazzi riflessioni sulle professioni mediche nel futuro.
Lo spettacolo che racconta la cura
Anton Čechov era un bravo medico e un pessimo paziente. Era affetto da una grave forma di tubercolosi polmonare e, malgrado ciò, non risparmiava al suo fisico un duro lavoro e viaggi faticosi, come quello che intraprese verso l’isola dei forzati di Sachalin nel Pacifico del Nord, viaggio scomodo, duro, che minò irrimediabilmente la sua fragile salute. Nelle sue novelle, nel suo teatro, si incontrano spesso dottori che si interrogano sul senso della cura e pazienti che pongono domande a cui è difficile rispondere. Cosa può fare un medico di fronte all’enigma della sofferenza e della morte? Durante la sua carriera perché un medico può smarrire la direzione, il senso della propria professione? E il malato come si deve comportare? Accettare la sofferenza che il destino gli impone o ribellarsi al baratro della sofferenza?
Nell’opera cechoviana non ci sono risposte. Ci sono solo testimonianze, racconti, senza una presa di posizione, senza una morale che dia senso all’insignificanza della vita, della sofferenza. L’unica presa di posizione che Anton Pàvlovic si concede e ci concede, è l’ironia, il comico, come se volesse suggerirci che ciò che non capiamo, può farci ridere o almeno sorridere. E questa non è una certezza, è una possibilità.