Negli ultimi dieci anni la ricerca ha fatto passi da gigante nella comprensione del microbioma umano, in particolare del microbioma dell’apparato digerente. Oggi sappiamo con certezza che il microbioma intestinale (cioè la totalità del patrimonio genetico posseduto dal microbiota) svolge un ruolo importante nella salute umana e che un microbioma sano è costituito da una maggiore diversità di batteri che si mantengono in equilibrio tra loro. Il numero e il tipo di batteri dipende in larga misura da fattori esterni come dieta, farmaci e stile di vita. Tuttavia, nel nuovo studio, pubblicato su Nature Genetics da ricercatori Dipartimento di genetica dell’Università di Groningen e da Serena Sanna, dirigente di ricerca dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr di Monserrato (Cagliari), mostra che anche il nostro genoma influenza il microbioma intestinale.
“Abbiamo analizzato il microbioma intestinale di 7.738 partecipanti allo studio Dutch Microbiome Project, un progetto all’interno della grande biobanca olandese Lifelines”, afferma Serena Sanna che ha coordinato lo studio insieme a Alexandra Zhernakova, docente dell’Università di Groningen. “Abbiamo utilizzato tecniche ad alta risoluzione per mappare quali batteri fossero presenti nel microbioma intestinale e la loro funzione. Per ogni partecipante, le informazioni, su oltre 5 milioni di varianti genetiche comuni, sono state quindi utilizzate per scansionare l’intero genoma umano alla ricerca di possibili associazioni con il microbioma intestinale. Questi risultati forniscono un nuovo punto di partenza per lo sviluppo di strategie nutrizionali personalizzate efficienti per prevenire malattie o per migliorare l’efficacia di alcune terapie farmacologiche”.
I ricercatori hanno identificato due punti del genoma che hanno un impatto importante sulla composizione e sulla funzione del microbioma intestinale. “Il primo è il gene che codifica per l’enzima lattasi (LCT), enzima necessario per digerire il lattosio (zucchero del latte) nello stomaco”, spiega Serena Sanna, “A seconda della variante nel genoma, questo enzima non è prodotto, o è prodotto in scarse quantità, e si può essere intolleranti al lattosio. Questo studio mostra che l’abbondanza di specie di bifidobatteri nell’intestino, la cui caratteristica è la capacità di utilizzare il lattosio come fonte di energia, è maggiore nei partecipanti che consumano latte e che non sono geneticamente predisposti a produrre l’enzima lattasi. In queste persone il lattosio non viene digerito nello stomaco, passa quindi nell’intestino e viene usato dai batteri”.
L’altro gene identificato per avere un impatto sul microbioma intestinale è ABO, che determina i tipi di gruppo sanguigno. “È stato scoperto che le persone con gruppo sanguigno A, B o AB hanno un aumentato numero di batteri della famiglia Collinsella rispetto alle persone con gruppo zero (0), cioè quelle persone che non presentano né l’antigene A né l’antigene B. Questi antigeni A e B contengono uno zucchero, il galattosio, e possono essere rilasciati nell’intestino, risultando una fonte di energia per i batteri. Con questo studio, abbiamo scoperto che entrambi i geni LCT e ABO influenzano anche l’attività di altri batteri coinvolti nella degradazione del lattosio e del galattosio.
Nel complesso, possiamo dunque dire che, seppur globalmente, il microbioma intestinale dipenda fortemente dalla dieta e dallo stile di vita per un sottoinsieme di batteri e, per alcune attività metaboliche, è rilevante anche il genoma umano. Questi risultati sono un punto di partenza importante per acquisire una migliore comprensione del ruolo del microbioma intestinale nelle malattie umane e per sviluppare strategie nutrizionali personalizzate efficienti che tengano conto anche del genoma di ogni persona.
Alcuni degli autori dello studio hanno pubblicato, sempre su Nature Genetics, anche un altro articolo sulle sfide attese e sulle prospettive future degli studi genetici sul microbioma: “Gli studi futuri – conclude Sanna – dovrebbero concentrarsi anche sul genoma batterico. I batteri dello stesso tipo possono infatti presentare piccole differenze nei loro genomi che ne modificano l’attività e la funzione. Pertanto, queste informazioni aggiuntive possono aiutare ulteriormente gli studi volti a comprendere le relazioni specifiche tra geni, batteri e fenotipi umani”.