Il plasma è la risorsa fondamentale per l’ottenimento delle proteine plasmatiche necessarie alla produzione dei farmaci plasmaderivati. Questi ultimi hanno lo scopo di sostituire proteine mancanti nel sangue. La carenza di queste proteine è alla base di alcune importanti patologie come le immunodeficienze primitive (IP) per le quali le immunoglobuline, che sono appunto plasmaderivati, costituiscono farmaci spesso insostituibili. Un ruolo che è stato riconosciuto anche dall’OMS che ha incluso questi prodotti nell’elenco dei farmaci essenziali in quanto “salvavita”.
Durante il mese di febbraio è stata lanciata la campagna social “Facciamo le domande” per attirare l’attenzione sul tema della riduzione della raccolta di plasma, tema dibattuto durante il simposio “WARNING ON The value of plasma-derived therapies: immunoglobulins as essential drugs” che si è svolto durante il 40° Congresso Nazionale della SIF Società Italiana di Farmacologia. Ecco il quadro delineato dagli esperti.
La diminuita disponibilità di immunoglobuline ha posto il clinico davanti a scelte difficili: quali sono i passaggi fondamentali per prioritizzare i trattamenti in caso di carenze?
“L’accesso alle terapie è fondamentale, sappiamo che l’evento straordinario rappresentato dalla pandemia avrà effetti negativi nel prossimo futuro. In caso di shortage dovremo fare delle scelte che devono seguire un rigore scientifico – ha spiegato la Professoressa Isabella Quinti, Responsabile UOD Centro di Riferimento Immunodeficienze Primitive, Azienda Policlinico Umberto I. “Alcuni studi –ha sottolineato – hanno evidenziato che in caso di carenza che determini una infezione e un conseguente coinvolgimento polmonare si possano somministrare degli antibiotici, ma questo approccio è contrario al principio di profilassi e quindi alla strategia che evita al paziente di ammalarsi. Il grande consumo di Ig che abbiamo osservato è in parte legato all’uso off label (fuori indicazione). Il fatto che i pazienti con immunodeficienze primarie siano pochi perché rari non deve condizionare il volume della loro voce”.
L’autosufficienza oggi e domani: quali progetti nell’immediato e lontano futuro potranno garantire all’Italia questo obiettivo?
L’Italia non è in una posizione critica per quanto riguarda la raccolta del plasma e dell’autosufficienza. Il 70% delle Ig utilizzate nel Paese, almeno nella forma endovenosa, provengono dalla lavorazione del plasma nazionale. “Ricordo che la legislazione nazionale non deroga dal principio della necessità di ottenere l’autosufficienza sulla base della donazione volontaria e non remunerata vorrei far notare che la media è 24 kg per mille abitanti, un valore di raccolta molto elevato che sarebbe in grado di garantire gran parte dell’autosufficienza per le necessità attuali – ha affermato il Dottor Vincenzo De Angelis, Direttore, Centro Nazionale Sangue. “Dal punto di vista delle indicazioni off label – ha aggointo – è necessario che la transizione verso una indicazione in etichetta passi attraverso studi che ci diano indicazioni chiare. Il rischio altrimenti è che nel tentativo di accontentare tutti rimangano fuori quelli che ne hanno davvero bisogno. Certamente la raccolta del plasma deve essere incrementata perché ci sono regioni virtuose che raccolgono in quantità adeguate, ce ne sono altre che non raggiungono i 6 kg per mille abitanti. Questo differenziale va coperto con politiche di intervento, campagne di sensibilizzazione e coinvolgimento delle associazioni dei donatori che devono essere in grado di ‘far correre’ tutta l’Italia alla stessa velocità”.
Come si affronta il dialogo con le istituzioni in caso di carenze? Quali sono le preoccupazioni e le richieste di una associazione di malati rari per alcuni dei quali la terapia è un salvavita?
Le associazioni operano come un collettore tra le istituzioni e il territorio. “Già nel 2019 in AIFA l’associazione aveva sottolineato che sarebbe stato un problema affrontare una carenza di prodotto e spesa, sottolineando la necessità di mettere un po’ di ordine nelle richieste di Ig dando priorità a chi non ha altre possibilità di trattamento disponibili – ha ribadito il Dottor Alessandro Segato Presidente Associazione Immunodeficienze Primitive (IP). La frase ‘paziente al centro’ – ha proseguito– è sottolineata con forza, ma bisogna dare una risposta strategica alla distribuzione delle Ig. Anche perché di Immunodeficienze Primitive sono affetti anche molti bambini e famiglie colpite da una malattia rara sono già provate e non si può aggiungere a questo carico anche la mancanza di farmaco”.
I plasmaderivati sono prodotti molto differenti dalle molecole di sintesi chimica e non solo per la loro origine biologica
“Quello dei plasmaderivati è un valore che si deve valutare nella prospettiva della domanda e dell’offerta e dell’interazione tra queste due – ha spiegato il Professor Claudio Jommi, Professore Pratica, Divisione Governo, Salute e Non Profit della SDA School of Management dell’Università Bocconi.
“Sotto il profilo della domanda – ha proseguito – il valore dei plasmaderivati non presenta metodi o caratteristiche diverse rispetto agli altri farmaci. I criteri di riferimento per valutarne il valore sono: la rilevanza del target (costo/effectiveness o monetizzazione degli anni di vita persi a causa della malattia usando DALY o QALY), della patologia, il livello di bisogno insoddisfatto (più alto è questo livello e maggiore è il valore e questo guida non solo il pricing ma anche i criteri di prioritizzazione) e laddove il bisogno sia soddisfatto il valore terapeutico aggiunto (l’impatto sulla qualità di vita o su domini minori, anche se a volte rilevanti, come l’impatto organizzativo e quello sulle preferenze dei pazienti, per esempio le innovazioni sulle modalità di somministrazione).
Quello che invece caratterizza i plasmaderivati sono le peculiarità dal lato dell’offerta a causa di una filiera complessa e un processo produttivo complicato. I costi di produzione sono superiori al 50% mentre per le ‘small molecules’ l’incidenza dei costi si aggira in media intorno al 20%.
Una peculiarità è il differenziale tra costi e ricavi nel momento in cui aumenta la produzione quella che viene chiamata ‘economia dell’ultimo litro’: mentre per le small molecules i costi tendono ad abbattersi e i ricavi aumentano all’aumento dei volumi di produzione, per i plasmaderivati i ricavi tendono ad abbattersi.
In soldoni: se devo produrre comunque Ig ma ho esaurito il mercato delle altre sostanze prodotte da un litro di materia prima, i costi si abbattono completamente sul plasma rendendolo meno conveniente per le aziende. Il ricavo aggiuntivo per unità di plasma raccolto quindi tende a ridursi”.
“L’approccio per la gestione delle carenze segnalate tenuto da AIFA sino ad ora è stato olistico e ‘science based’” . Il Dottor Domenico Di Giorgio (Area Ispezioni e Certificazioni, Ufficio Qualità dei prodotti e contrasto al crimine farmaceutico, Responsabile Prevenzione Corruzione e Trasparenza AIFA) ha raccontato come in AIFA abbiano caratterizzato la diversa tipologia di carenza considerando quelle distributive (le cosiddette ‘indisponibilità’) perché le diverse disfunzioni richiedono approcci diversi.
“Hanno inoltre studiato lo strumento migliore per ovviare al problema cercando consenso attorno a interventi che vanno nella direzione dei pazienti. Rispetto alle Ig – ha proseguito – è stato affrontato il tema in prevenzione invece che in reazione.
AIFA sta intervenendo in anticipo rispetto a quando ci si attende la carenza. Partendo da qualche mese con un tavolo tecnico operativo per analizzare le leve su cui poter intervenire. Alcune sono state menzionate durante il simposio: l’intervento – cruciale – sulla raccolta, l’investimento nell’aumento delle rese di produzione, la necessità di un riconoscimento economico alle aziende che si impegnano e la valutazione della priorità di utilizzo con linee guida ad hoc. L’Italia – ha ribadito Di Giorgio – a dispetto della severità con cui è stata colpita dal Covid-19 è riuscita ad evitare la carenza nelle sale operatorie e nei reparti di terapia intensiva dove il plasma è fondamentale”.
Come le aziende farmaceutiche possono essere partner per migliorare la disponibilità e contribuire alla gestione delle carenze dei plasmaderivati?
Ne ha parlato il Dottor Oliver Schmitt (chairman PPTA Plasma Protein Therapeutics Association) che si è soffermato sulla ‘partnership’ come la parola chiave a tutti i livelli del sistema: “noi trattiamo dei pazienti particolari dove non esiste alternativa, quindi come aziende abbiamo due obiettivi: uno è garantire la fornitura del prodotto salvavita e l’altro é garantire la sostenibilità finanziaria dell’impresa. Il binomio tra Ig e pandemia ha fatto emergere la profondità della dipendenza dalla raccolta di plasma. Il ciclo di produzione ha bisogno di 7/9 mesi più 4 mesi di magazzino. Se non si sente ancora una vera crisi di prodotto, é perché stiamo usando la produzione della fase pre-Covid, ma già a marzo dello scorso anno ci siamo resi conto che negli Stati Uniti la raccolta ha subito un arresto molto brusco, – 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ci siamo fatti carico di informare le autorità del rischio imminente di carenza in modo da creare un ‘paracadute’. Abbiamo creato nuovi centri di raccolta negli Stati Uniti e potenziato la plasmaferesi, misure che era possibile implementare a breve termine. A medio lungo termine ci siamo concentrati sulle rese, mentre investimenti come la creazione di nuovi stabilimenti produttivi hanno bisogno di una ulteriore sostenibilità economica. I dati internazionali ci dicono quindi che la carenza arriverà, e la durata dipende solo da quando gli USA saranno di nuovo capaci di fornire le quantità necessarie. Per l’industria la sostenibilità è un fattore fondamentale: l’Italia però ha un sistema di ‘payback’ che crea una pressione economica sui produttori. Confidiamo che in un sistema in cui tutti riconoscono il ruolo delle rispettive parti sia possibile affrontare e risolvere il problema”.