La recente cronaca ha sempre più frequentemente portato l’opinione pubblica a confrontarsi con dinamiche di eventi la cui complessità richiede la mobilitazione di risorse che possono eccedere le capacità di gestione degli abituali ambiti di quotidianità. Il termine stress è oramai entrato nel vocabolario di riferimento di chiunque si occupi, a vario titolo, di salute e benessere, con il conseguente sviluppo di procedure di riconoscimento ed intervento che agiscono sui fattori costituenti la complementarietà di cause che si pongono come antecedenti di manifestazioni più o meno “sintomatiche” di un contesto stressogeno. Tra queste, ad esempio, rientrano le procedure connesse alla valutazione e all’intervento sul cosiddetto “stress lavoro correlato”, ormai normate in modo più che dettagliato. Tuttavia, vi sono una serie di fenomeni, statisticamente meno frequenti e che potremmo definire ad incidenza episodica, in cui la variabile stress assume una connotazione qualitativamente differente e che necessitano, di conseguenza, di procedure differenziate di intervento.
Lo stress traumatico
In condizioni di emergenza, ad esempio, questa variabile può assumere, per caratteristiche strutturali, una valenza traumatica, andando ad ampliare quel vocabolario appena citato di un altro termine, anch’esso oggi di uso “mediatico”, lo “stress traumatico”. Possiamo già, dunque, differenziare, non solo su un piano dimensionale, due tipologie di fenomeni: lo stress, come reazione fisiologicamente connessa ad aspetti routinari; lo stress traumatico, come espressione dell’impatto di un particolare evento su quel sistema biopsicosociale, più ampio della persona in sé, che è l’essere umano. Lo stress è una reazione complessa, aspecifica, dell’organismo in risposta ad eventi di diverso tipo. Svolge una fondamentale funzione protettiva, in quanto, normalmente, è tramite tale risposta che l’organismo tende a “fronteggiare” il proprio ambiente di riferimento ed in seguito a ripristinare l’equilibrio che la necessaria interazione con quest’ultimo porta a modificare. Al contrario, quando parliamo di “trauma” facciamo generalmente riferimento all’esposizione improvvisa, brutale e spesso insolita (rispetto alla quotidianità dell’individuo) ad un evento che mette in pericolo la vita o che minaccia l’integrità psicofisica della persona esposta.
Categorie
Nella letteratura scientifica di riferimento, questo tipo di eventi rientrano prevalentemente in quattro categorie: disastri (che possono essere naturali o causati da azione umana), violenza (azioni di guerra, violenze fisiche/sessuali, combattimenti, tortura etc.), incidenti gravi e improvvisa morte di un parente o un amico stretto. La carica traumatica che le caratteristiche di un evento possono esprimere non necessariamente da seguito a problematiche a breve/lungo termine (la relazione è data da una molteplicità di fattori tra cui, e non solo: il tipo di evento, le risorse di cui dispone l’individuo, quelle inerenti al contesto prossimale e sociale dello stesso) . Nella maggior parte dei casi, le persone tendono a ripristinare l’equilibrio naturalmente e tramite la quotidiana interazione con il proprio sistema di riferimento. Ciò è più semplice in contesti in cui l’ “appartenenza” è più solida, permettendo alle dinamiche relazionali che si attivano nel gruppo di appartenenza di agire come fattori protettivi. Tuttavia, senza entrare nelle specifiche dei criteri diagnostici di riferimento, è importante porre l’accento su come l’esposizione a un evento a valenza traumatica comporti nell’essere umano reazioni differenziate ma che nella prevalenza dei casi rientrano in manifestazioni di tipo intrusivo, di evitamento e di iperattivazione (in particolare: memorie intrusive e involontarie ricorrenti, incubi relativi all’evento, reazioni dissociative; evitamento di persone, luoghi, immagini, pensieri connessi; insonnia, palpitazioni, ipervigilanza, problemi di concentrazione etc.). Queste manifestazioni, a seconda dell’intensità e del grado di compromissione del livello di funzionamento dell’individuo, sono spesso transitorie e non segno di condizioni psicopatologiche in atto. Se le stesse, al contrario, incidono significativamente sulla quotidianità dell’individuo, rientrano tra i segnali di presenza di una condizione verso cui è bene porre attenzione specialistica. In tal senso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolinea come la presenza delle tre aree sintomatologiche prima citate (sintomi intrusivi, sintomi di evitamento, sintomi di iperattivazione) suggerisca, in particolare se presente da almeno un mese dall’evento “scatenante”, l’opportunità di un assessment più approfondito. Gli strumenti per “affrontare il trauma” sono oggi oggetto privilegiato di ricerca clinico – scientifica e riescono ad offrire alla comunità un aiuto concreto tramite cui attraversare condizioni che, dai primi segnali sub clinici, possono evolvere in qualcosa di più complesso e con costi importanti, in termini di “funzionalità” socio-relazionale, nella più ampia economia della vita delle persone coinvolte.
di Ernesto Taraschi (psichiatra e psicoterapeuta sistemico – relazionale)
e Paolo Trabucco Aurilio (psicologo militare)