Un team italiano tutto al femminile sta studiando nuove molecole di sintesi potenzialmente utili per il trattamento della fibrosi cistica. Si tratta del gruppo di ricerca della Prof.ssa Ilaria Lampronti dell’Università di Ferrara che in collaborazione con altri Atenei, sta studiando molecole che potrebbero esercitare un’azione antinfiammatoria e, contemporaneamente, correggere il difetto proteico dovuto alla mutazione più diffusa che causa la malattia.
La fibrosi cistica
La fibrosi cistica è la malattia genetica grave più diffusa tra le popolazioni europee e del nord America. In Italia, al 2017, secondo gli ultimi dati del Registro Italiano Fibrosi Cistica (RIFC), i malati sono 5565. Fino a pochi anni fa, nascere con la fibrosi cistica significava non superare l’età scolare, perché la malattia compromette gravemente l’attività di organi vitali come polmoni, vie respiratorie e intestino. Anche se oggi l’aspettativa di vita è migliorata, grazie a diagnosi migliori e trattamenti farmacologici, la strada per sconfiggere la malattia è ancora lunga.
“Le cure a cui i pazienti si sottopongono oggi sono basate sull’utilizzo di farmaci che agiscono sui sintomi: antinfiammatori classici steroidei e non steroidei, antibiotici per combattere le infezioni polmonari e agenti che fluidificano le secrezioni. La ricerca sta cercando di individuare nuove strategie non solo per affrontare i sintomi ma anche per curare la malattia”, spiega Lampronti. “Quando si verificano le mutazioni nel gene della fibrosi cistica (CFTR), le funzioni dell’omonima proteina diminuiscono o si perdono. Di conseguenza, si ha un’alterazione delle secrezioni nell’organo che si disidratano, appaiono più dense e viscose e portano al danneggiamento dei tessuti”.
Il nuovo studio
Il nuovo studio ha come obiettivo quello di agire all’origine della patologia, cioè di correggere il difetto causato da alcune mutazioni sul gene, utilizzando una nuova molecola di sintesi. L’auspicio è che, in futuro, possa trasformarsi in una vera e propria strategia terapeutica.
“Il potenziale farmaco è stato sintetizzato nei laboratori di ricerca della Prof.ssa Adriana Chilin, dell’Università di Padova, partner in questo studio”, chiarisce Ilaria Lampronti. “La molecola è stata selezionata alla luce di alcuni risultati preliminari molto promettenti, ottenuti con studi su modelli cellulari e in un modello murino di fibrosi cistica sviluppato in collaborazione con il gruppo di ricerca della Dott.ssa Alessandra Bragonzi, del San Raffaele di Milano”.
Allo studio hanno collaborato anche il prof. Giulio Cabrini, la dott.ssa Maria Cristina Dechecchi e la dott.ssa Anna Tamanini, dell’Ospedale Civile Maggiore di Verona. “Come si sperava, la molecola è risultata essere anche priva di effetti collaterali potenzialmente dannosi”, conclude la Prof.ssa Ilaria Lampronti.
Il progetto FFC#22/2019, “Valutazione multitasking di analoghi della TMA come agenti antinfiammatori per il trattamento della fibrosi cistica” è l’ultimo di una serie di grant FFC volti allo studio della trimetilangelicina (TMA). L’identificazione della TMA, il suo perfezionamento e la riduzione della sua tossicità nasce in un interessante crocevia tra due linee fondamentali – l’infiammazione e il difetto di base della malattia – della ricerca promossa e finanziata dalla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica, che ha dato risultati molto promettenti anche per quanto riguarda altre molecole innovative. L’importanza di questo ultimo studio è data dall’azione di un unico composto derivato da TMA sia sull’infiammazione, una delle principali complicanze della malattia, sia sulla proteina difettosa conseguenza della mutazione del gene CFTR, in particolare la mutazione F508del, che è la più frequente. Oltre al contributo di Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica (FFC), il progetto è stato finanziato anche grazie a Fondi di Ateneo per la Ricerca.