Con la sua virulenza epidemiologica e sociale, il Covid-19 ha innescato delle reazioni comportamentali tipiche delle emergenze sanitarie. Reazioni che hanno investito il modello assistenziale del nostro Paese focalizzando tutti gli sforzi, da una parte per rallentare il diffondersi dell’infezione e dall’altra per curare nel miglior modo possibile i cittadini colpiti. Tutto questo funziona nel breve periodo con l’obiettivo primario di ripristinare una condizione di vita sociale che ci possa riportare il più presto possibile alla normalità. Tuttavia, un sistema sanitario e sociale che aspiri a porre le basi di una reale sostenibilità economica, organizzativa e finanziaria in un momento di crisi, deve potersi dotare di una visione in termini di programmazione e pianificazione, che superi la mera logica dell’emergenza.
Negli ultimi anni, infatti, lo scenario della Sanità pubblica è mutato in modo rilevante, con un netto miglioramento della qualità e aspettativa di vita dei pazienti. Per contro, in Italia, così come nei principali Paesi d’Europa, il contesto socio-sanitario è in costante evoluzione e si colloca al centro di un acceso dibattito politico sulla sostenibilità e sulla ripartizione delle competenze tra governo centrale e istituzioni regionali. Appare però essenziale la costruzione di un sistema «reciprocamente sostenibile» che assicuri un quadro programmatico e finanziario certo e stabile. E il valore delle tecnologie rappresenta uno degli aspetti più importanti in questo scenario, soprattutto se collegato all’innovazione.
Solo di recente si insiste sull’evoluzione del concetto di costo verso quello d’investimento per la salute, anche se esistono barriere che ne rallentano il consolidamento. Le tecnologie innovative, più efficaci, potrebbero rappresentare il driver principale per il miglioramento della salute e per attrarre investimenti in sanità, il ritorno dell’investimento in queste tecnologie non è tuttavia a breve termine, ma a medio lungo termine. Ma come si possono valorizzare le innovazioni? Sicuramente, così come dimostrato nei principali Paesi industrializzati, l’Hta e la valutazione economica rappresentano lo strumento chiave tale da permettere di verificare l’effettivo valore di una nuova tecnologia.
La valutazione dell’impatto delle tecnologie, in particolare dei farmaci e dei dispositivi, in Italia avviene considerando esclusivamente l’impatto che hanno all’interno del loro specifico comparto (costi diretti): in questo modo, tecnologie più complesse vengono ritenute troppo dispendiose (in quanto si fa riferimento esclusivamente al prezzo), trascurando gli effetti che si vanno a determinare in altri comparti di spesa a queste collegate quali: la perdita di produttività (giornate di assenza dal lavoro; perdita del lavoro), spesa previdenziale (Inps e Inail), la spesa sociale e l’impatto in termini occupazionali. Per le tecnologie a più alto impatto (tanto dal punto di vista del prezzo che dell’efficacia), si dovrebbe ragionare in un’ottica più allargata, tenendo in considerazione non solo la spesa sanitaria (tanto a livello generale che regionale e locale) ma anche quella sociale e previdenziale (costi diretti e costi indiretti). Occorre quindi da un lato individuare i capitoli di spesa in cui si può spendere meglio e dall’altro ragionare in termini di ritorno nel medio e lungo periodo, non solo in ottica di spesa sanitaria ma di welfare nel suo complesso. Si deve passare da una logica basata sui silos e sui tetti di spesa (per farmaci, dispositivi medici, personale) a un approccio basato sulla valutazione dell’impatto economico della patologia.
In questo contesto le emergenze pubbliche possono e devono aumentare la consapevolezza delle problematiche che attanagliano un sistema, come il nostro sistema sanitario nazionale, così da riuscire a trovare, nel breve periodo, le soluzioni idonee al superamento di queste problematiche e all’introduzione di atteggiamenti migliorativi per tutto il sistema.
Ci si potrebbe iniziare a domandare: cosa succederà quando sarà terminata l’emergenza da Covid-19? Come verranno riconvertiti i nuovi posti letto attivati nelle terapie intensive? Secondo quali criteri? Quale ruolo per l’assistenza domiciliare e territoriale? Nello specifico delle malattie e disturbi dell’apparato respiratorio, qual è l’andamento dei ricoveri di questi primi mesi di Covid-19 in confronto con gli anni precedenti?
Confrontando quale esempio i dati messi a disposizione dalla Protezione civile, relativi al periodo compreso tra il 24 febbraio e il 7 aprile, con le dimissioni per le malattie dell’apparato respiratorio avvenute nello stesso periodo del 2018 dalle specialità di terapia intensiva e medicina generale, si nota come a livello nazionale, il numero delle dimissioni cumulate al 7 aprile siano sovrapponibili; mentre la curva dei decessi Covid-19 risulta sensibilmente più alta.
Il dato nazionale nasconde le evidenti differenze regionali: in Lombardia, regione più colpita dal coronavirus, sia le dimissioni sia i decessi risultano significativamente più alti rispetto all’osservato 2018, di contro; nel Lazio dimissioni e decessi Covid-19 risultano nettamente al di sotto dei dati 2018. Tutto questo dovrebbe far riflettere sul fatto che ogni crisi può e deve essere vista come una opportunità di modificare situazioni stagnanti con l’obiettivo di migliorare la gestione del sistema mediante l’introduzione di nuovi approcci gestionali e organizzativi che permettano una corretta programmazione e pianificazione tanto dell’assistenza ospedaliera (quanti posti letto realmente sono necessari correlati al fabbisogno?) che di quella territoriale e domiciliare.
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione